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Soprusi d’autore.

Incuranti delle battaglie a favore del copyleft, contro la schiavitù del diritto d’autore, anche i graffitari di New York, tra i più famosi e i più apprezzati al mondo, vogliono riconosciuto il copyright: secondo loro, chi fotografa i loro capolavori e soprattutto li pubblica in un libro deve pagare i diritti d’autore. Secondo il New […]

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Incuranti delle battaglie a favore del copyleft, contro la schiavitù del diritto d’autore, anche i graffitari di New York, tra i più famosi e i più apprezzati al mondo, vogliono riconosciuto il copyright: secondo loro, chi fotografa i loro capolavori e soprattutto li pubblica in un libro deve pagare i diritti d’autore.

Secondo il New York Times, che dedica all’argomento un lungo articolo dedicato alla vicenda , gli esponenti del gruppo ‘Tats Crù, tra i più famosi graffitari professionisti della Grande Mela si sono rivolti a un noto avvocato quando si sono accorti che un fotografo che li segue da anni, Peter Rosenstein, ha pubblicato un libro di foto delle loro opere senza versare loro una sola lira di copyright. Dopo le loro proteste, l’editore, la University Press del Mississippi, ha deciso addirittura di ritirare dal mercato il libro, intitolato ‘Tattoed Walls’, cioè i muri tatuati, per non avere troppe noie.

Il fotografo Rosenstein è apparso molto stupito dalla reazione dei ‘Tats Crù, perché uno dei suoi obiettivi -sostiene- era di far conoscere al mondo questi artisti spesso non apprezzati al loro giusto valore. “Volevo diventare il loro amico -spiega il fotografo- perché mi piace davvero molto quello che fanno”. Non la pensa assolutamente allo stesso modo il legale che rappresenta ora molti dei graffitari newyorchesi, Stacey Richman.

La Richman ha detto al Nyt: “molti di questi fotografi ragionano come fossero esploratori che hanno scoperto questi artisti tra i meandri delle città, e promettono loro che li tireranno fuori dal ghetto. Ma non è affatto così: molti di loro sono già famosi di per sé, anche a livello mondiale”E ha aggiunto:” il fatto che i murales si trovino in luoghi pubblici non cambia affatto la situazione: non possono essere considerati di dominio pubblico”.

Ecco il punto: secondo l’avvocato, un murales non può essere di dominio pubblico. Della perfidia degli avvocati americani sono piene le cronache e le barzellette.

Però, sostenere che io che passo davanti a un muro dipinto per strada debba pagare per fotografarlo ricorda tanto Totò la famosa vendita della Fontana di Trevi. Beh, buona giornata.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

Una risposta su “Soprusi d’autore.”

Sul copyleft c’è da dire una cosa: chi fa riferimento a questo tipo di autoregolamentazione dice che le opere possono essere riprodotte e diffuse liberamente, ma non a scopo di lucro. Se io scrivo un romanzo, chiunque può fotocopiarlo e diffonderlo quanto vuole, ma se un editore vuole pubblicarlo, e venderlo, allora mi deve pagare. è dalla parte del cittadino, non del profitto.
Non credo che un writer chieda soldi a chi fotografa una sua opera, ma se qualcuno pubblica e vende queste foto, beh, allora la cosa cambia. Se queste foto fossero state pubblicate su internet e quindi messe a disposizione del mondo gratuitamente, forse non avrebbero avuto nulla dire. Non mi sembra poi così sbagliato, fermo restando che se gli avvocati in America sono tanto odiati, un motivo ci sarà.

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