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“Qua si fanno male perché sono deficienti”.

Lo ha detto l’imprenditore carrarese del marmo Alberto Franchi, rispondendo alle telecamere di Report.

“Qua si fanno male perché sono deficienti” lo detto l’imprenditore carrarese del marmo Alberto Franchi, rispondendo alle telecamere di Report.

In buona sostanza, secondo l’illuminato padrone, gli operai vanno in cava con il chiaro obiettivo di finire in ospedale, se non di lasciarci la pelle. La Borsa ha apprezzato, premiando la Franchi Umberto Marmi con un rialzo del 7%. Questo è il vero stato dell’arte: “Io so’ io e voi nun sete un cazzo”.

“Nel nostro paese è diffusa una cultura padronale che vede in salute e sicurezza un costo, da ridurre all’osso per poter massimizzare i profitti”, si legge in un comunicato stampa di Usb, che convoca la manifestazione dl 1 Maggio a Firenze, nel luogo della strage di edili, il cantiere la Esselunga.

La settimana dal 14 al 21 aprile si è chiusa con un totale di 28 morti di lavoro, 4 al giorno.

Lunedì 22 aprile contiamo già 5 vittime. Tutti i contatori sono in rialzo ma, al di là delle pelose dichiarazioni di facciata, regnano l’indifferenza della politica e il sarcasmo padronale.

Quattro delle ultime vittime avevano meno di 30 anni e, tutte insieme, non toccavano il secolo di vita.

Armin Mittermair aveva 21 anni e faceva il boscaiolo. Lunedì 22 aprile è morto travolto dall’albero che stava abbattendo nei boschi di Nova Levante (Bolzano). Trasportato in ospedale con l’elisoccorso, non è sopravvissuto alle ferite.

Francesco Caruso di anni ne aveva 22: era stato assunto da un albergo di Taormina (Messina) ed è morto recandosi al lavoro in scooter da Letojanni, dove risiedeva.

Sulla statale 114 si è scontrato con una moto e, dopo un breve ricovero al San Vincenzo di Taormina, ne è stata dichiarata la morte cerebrale. I familiari hanno donato gli organi.

Haris Shala aveva 25 anni, viveva a Pisa e faceva il camionista. Lunedì 22 ha perso la vita sulla A22 in direzione Modena, nel territorio di Nogarole Rocca (Verona), quando con il suo camion si è schiantato contro un tir fermo in coda per un incidente precedente.

Lascia una bimba in tenerissima età.

Beatrice Belcuore, 25 anni, voleva ripercorrere le orme del padre, carabiniere a Poggio Mirteto (Rieti). Frequentava la scuola Marescialli e Brigadieri dell’Arma, a Firenze, dove lunedì 22 si è chiusa in camerata e si è sparata.

Il burnout tra le divise colpisce anche chi è appena agli inizi della carriera.

Il pordenonese Stefano Del Piero, 48 anni, agente della Polizia di Stato, è morto lunedì 22 stroncato da un malore non appena terminato il turno 19-24 sulle volanti di Treviso.

Si è accasciato in Questura e a nulla sono valsi i soccorsi.

Antonio Maruca era un ristoratore di 58 anni e lunedì 22 aveva approfittato del giorno di chiusura della sua Trattoria Acquasala, a Milano, per sistemare i pannelli del controsoffitto.

È morto cadendo dal trabattello sul quale era salito: una caduta “di testa”, che non gli ha lasciato scampo.

#arminmittermair#francescocaruso#harisshala#beatricebelcuore#stefanodelpiero#antoniomaruca#mortidilavoro#albertofranchi

Aprile 2024: 79 morti (sul lavoro 63; in itinere 16; media giorno 3,6)

Anno 2024: 339 morti (sul lavoro 262; in itinere 77; media giorno 3)

46 Lombardia (28 sul lavoro – 18 in itinere)

38 Campania (28-10)

34 Emilia Romagna (28-8)

31 Veneto (23-8)

24 Toscana (22-2)

22 Puglia (18-4)

20 Lazio (14-6), Sicilia (14-6)

17 Piemonte (13-4)

14 Abruzzo (11-3)

12 Calabria (10-2)

10 Marche (8-2)

9 Liguria (7-2)

8 Sardegna (7-1), Estero (7-1)

7 Trentino (5-2)

5 Alto Adige (5-0),

4 Valle d’Aosta (4-0), Umbria (4-0)

3 Friuli V.G. (3-0)

2 Basilicata (2-0)

1 Molise (1-0).

(Courtesy by Piero Santonastaso).

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Attualità

“La libido incestuosa e la destrudo patricida vengono quindi rivolte contro l’individuo e la sua società in forme che evocano minacciosa violenza e pericolose delizie – non soltanto orchi ma anche sirene dal fascino misterioso e nostalgico.

I contadini russi, per esempio, conoscono l’esistenza delle «Donne Selvagge» dei boschi che vivono nelle caverne dei monti con le loro famiglie, come esseri umani.

Sono d’aspetto attraente, con belle teste, grosse trecce, e corpi pelosi. Quando corrono o allattano i loro piccoli gettano i seni dietro le spalle. Si spostano in gruppo.

Si spalmano di unguenti tratti dalle radici degli alberi che le rendono invisibili.

Amano danzare e fare il solletico alle persone che si avventurano da sole nella foresta, e chiunque assiste per caso ai loro invisibili trattenimenti danzanti muore.

A chi invece mette fuori della finestra del cibo per loro esse mietono il grano, filano, sorvegliano i bambini e puliscono la casa; e se una fanciulla pettina per loro la canapa da filare, le regalano delle foglie che si trasformano in oro.

Spesso hanno per innamorati degli esseri umani, non di rado sposano dei giovani contadini, e si dice che siano mogli eccellenti.

Ma, come tutte le mogli soprannaturali, nell’attimo stesso in cui il marito offende quelle ch’esse ritengono le convenienze matrimoniali, scompaiono senza lasciar traccia.” (da “L’eroe dai mille volti” di Joseph Campbell, Franca Piazza)

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Il testo di Scurati, oscurato dalla RAI.

Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924.

Lo attesero sottocasa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.

Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.

In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944.

Fosse ArdeatineSant’Anna di StazzemaMarzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.

Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia?

Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. 

Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023).

Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.

(Antonio Scurati, repubblica.it).

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Ventidue morti in cinque giorni. Andare al lavoro come in guerra.

Ventidue e ventitré anni: è l’età di due dei cinque lavoratori che hanno perso la vita in Italia venerdì 19 aprile. La settimana in corso conta adesso 22 morti in 5 giorni.

Manuel Cavanna (22 anni, meccanico, residente a Cortona), stava lavorando insieme al suo “principale” intorno a un rimorchio in un’azienda di Montepulciano (Siena), quando è stato colpito al petto da un tubolare metallico sganciatosi dai supporti.

Il colpo è stato talmente violento da provocarne la morte nel giro di poco.

A Cusago (Milano), un 23enne egiziano è stato stritolato da un macchinario compattatrice alla Convertini, azienda che ricicla rifiuti speciali.

Il fatto è avvenuto dopo le 23 e le notizie sono ancora confuse.

Secondo alcune testimonianze, il ragazzo è salito sul bordo del macchinario per liberare un nastro trasportatore bloccato ed è stato risucchiato dalla bocca di aspirazione, cadendo tra gli ingranaggi. Il corpo straziato è stato recuperato dai vigili del fuoco.

Se la ricostruzione corrisponde al vero, è di tutta evidenza che siamo di fronte a clamorose violazioni sul fronte della sicurezza.

Antonio Zulian, 64 anni, è morto a Soraga (Trento), vittima del ribaltamento del merlo e del rimorchio con i quali aveva raccolto legna nei boschi della Val di Fassa.

Il mezzo è rotolato dalla strada forestale lungo un pendio, arrestandosi nel fitto della vegetazione.

Marco Dimita, 48 anni, di Santeramo in Colle (Bari), è morto in uno scontro frontale sulla provinciale 106 a Gioia del Colle, mentre raggiungeva il posto di lavoro in una cava di Castellana Grotte.

Non conosciamo ancora il nome dell’autotrasportatore rimasto stritolato nel tamponamento che ha coinvolto tre tir e una bisarca sull’A1, nel territorio di Caianello (Caserta).

#manuelcavanna#antoniozulian#marcodimita#mortidilavoro

Aprile 2024: 68 morti (sul lavoro 53; in itinere 15; media giorno 3,5)

Anno 2024: 328 morti (sul lavoro 252; in itinere 76; media giorno 2,9)

45 Lombardia (27 sul lavoro – 18 in itinere)

38 Campania (28-10)

34 Emilia Romagna (28-8)

27 Veneto (17-8)

23 Toscana (21-2)

22 Puglia (18-4)

19 Lazio (13-6)

18 Sicilia (13-5)

16 Piemonte (12-4)

14 Abruzzo (11-3)

12 Calabria (10-2)

10 Marche (8-2)

9 Liguria (7-2)

8 Sardegna (7-1), Estero (7-1)

7 Trentino (5-2)

4 Valle d’Aosta (4-0), Alto Adige (4-0), Umbria (4-0)

3 Friuli V.G. (3-0)

2 Basilicata (2-0)

1 Molise (1-0).

(Courtesy by Piero Santonastaso).
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Attualità

“Poi venne il periodo delle grandi scoperte, quando gli italiani si volsero alla matematica per studiare le leggi della prospettiva e all’anatomia per studiare la struttura del corpo umano, scoperte che valsero ad ampliare l’orizzonte dell’artista, ormai non più un artigiano fra altri artigiani, pronti a ricevere l’ordinazione di un paio di scarpe o di un armadio o di un quadro, a seconda dei casi. Egli fu di diritto un maestro, che non poteva raggiungere la fama e la gloria senza esplorare i misteri della natura e ricercare le leggi segrete dell’universo”.
(“La storia dell’arte”, E. H. Gombrich, Phaidon.)

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Attualità

L’Agenzia delle Entrate vuole sempre un fiorino.

In Italia ricevere una raccomandata dall’Agenzia delle Entrate è sempre un triller.

Poi scopri che ti ridanno indietro quello che hai pagato di più. Emozionante.

Stiamo calmi. Leggi meglio, scopri che sottraggono le spese di spedizione della raccomandata.

Perché se devi ridare vuoi comunque riavere? Perché l’istituzione pensa di avere più diritti del singolo?

È come se andando di persona allo sportello per ritirare le somme si potesse chiedere il rimborso immediato del costo della benzina, del parcheggio, nonché delle ore uomo per il tempo della fila allo sportello.

E nel caso si utilizzi l’opzione del rimborso digitale, è come se si potesse ricevere un gettone forfettario di rimborso dei costi di gestione del browser, del conto corrente, dell’energia che alimenta il pc o la carica della batteria dello smartphone da cui partirà l’e-mail col modulo e la documentazione da allegare.

Ma sarà necessario anche contabilizzare le spese di uno scanner e di una App per allegare al modulo di richiesta gli allegati.

Senza contare che tutte le commodity qui citate sono state già soggette all’IVA, quindi il cittadino ha già pagato una tassa per l’utilizzo.

E il tempo speso per andare all’ufficio postale a ritirare la raccomandata?

Vi ricordate le risate provocate dalla gag “un fiorino” del film “Non ci resta che piangere” del duo Benigni-Troisi?

D’altronde, il testo della lettera raccomandata recita: “La informiamo che è disponibile a suo nome la somma di xxxxx quale rimborso derivante da un importo superiore a quanto da Lei effettivamente dovuto”.

Mica c’è scritto “ci scusi le abbiamo sottratto soldi, li restituiamo, staremo più attenti”. C’è scritto “rimborso eccedenze”.

E c’è scritto anche che se non ti sbrighi, il credito lo perdi per sempre. Non è un debito, quello sì che lievita di mese in mese, di anno in anno.

Un lavoratore dipendente, un pensionato, un interinale, una partita IVA mica può prendere la cittadinanza a Montecarlo o ad Amsterdam per non pagare le tasse che ti soffiano all’origine del reddito.

E manco avere una maggioranza parlamentare che garantisca l’immunità da truffe societarie, evasioni fiscali, falsi in bilancio.

Quindi, come nel film, ora e sempre dobbiamo sottostare a: “Chi siete? Quanti siete? Che portate? Un fiorino!”.

La domanda è: siamo sicuri che non ci resti solo che piangere?

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MORTI DI LAVORO

Con questo post, courtesy by Morti di Lavoro, via Facebook, curato da Piero Santonastaso, comincia qui il bollettino quotidiano della strage di lavoratori che affligge il nostro paese.

Nel primo trimestre 2024 sono morti in Italia 260 lavoratori (8 in più del primo trimestre 2023, che però contava 90 giorni, uno in meno), 62 dei quali (23,8%) per incidenti in itinere.

Febbraio è stato il mese peggiore, con 95 vittime (84 a marzo, 81 a gennaio).

La media morti per giorno è stata di 2,8, mentre le date senza incidenti mortali sono state 11 (4 a gennaio, uno a febbraio, 6 a marzo).

Il 16 febbraio, data della strage al cantiere Esselunga di Firenze, è stato il giorno più insanguinato, con ben 12 lavoratori uccisi.

Tra i comparti lavorativi è l’agricoltura a contare più morti, 67, davanti all’edilizia (62), ai trasporti (31) e all’industria (10).

Tra le regioni la Lombardia conferma il suo primato negativo, con 35 vittime, davanti a Campania (29), Emilia Romagna (24), Veneto (22), Toscana (21), Puglia (17), Lazio (15), Sicilia (14), Piemonte e Abruzzo (13).

La classifica delle province è guidata da Firenze con 11 morti, seguita da Napoli (10), Brescia e Caserta (9), Roma (7).

Ben 59 i cittadini stranieri morti, il 22,6% del totale.

La comunità romena è la più colpita, con 10 vittime, seguita da quelle albanese con 8 e marocchina (7).

I morti europei sono 32, 15 gli africani, 11 gli asiatici.

Il 60% dei morti di lavoro, 157, avevano più di 50 anni; nel dettaglio, 84 (32%) avevano tra i 50 e i 59 anni, 46 tra 60 e 69 (17,6%), 17 tra 70 e 79 (6,5%), e 10 avevano più di 80 anni (3,8%). Due delle vittime non avevano ancora 20 anni. tra i 20 e i 29 anni si contano 20 morti (7,6%), 33 le vittime tra i 30 e i 39 anni (12,6%), e 45 quelle tra i 40 e i 49 anni (17,3%).

Lunedi 15 aprile ci consegna la notizia della morte di Ernesto Wong Isasi (nella foto), 50 anni, cubano di nascita ma da oltre 20 anni residente con la moglie e i 3 figli a Settimo Torinese.

Wong, idraulico industriale, era al lavoro su una nave posatubi nel Mar della Cina.

Le prime frammentarie notizie dicono che sia rimasto impigliato in uno dei macchinari.

Vasto il cordoglio nel mondo del baseball: Wong era stato un giocatore di alto livello in patria e in Italia aveva contribuito a riportare in serie

A la squadra di Settimo, assumendone anche il ruolo di capo allenatore.

#ernestowong#mortidilavoro

Aprile 2024: 47 morti (sul lavoro 37; in itinere 10; media giorno 3,1)

Anno 2024: 307 morti (sul lavoro 236; in itinere 71; media giorno 2,9)

41 Lombardia (24 sul lavoro – 17 in itinere)

35 Campania (25-10)

33 Emilia Romagna (27-6)

25 Veneto (17-8)

22 Toscana (20-2)

19 Puglia (16-3)

18 Lazio (12-6)

16 Piemonte (12-4), Sicilia (11-5)

14 Abruzzo (11-3)

11 Calabria (9-2)

9 Liguria (7-2),

8 Marche (7-1), Sardegna (7-1), Estero (7-1)

6 Trentino (4-2)

4 Valle d’Aosta (4-0), Alto Adige (4-0), Umbria (4-0)

3 Friuli V.G. (3-0)

2 Basilicata (2-0)

1 Molise (1-0).

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Attualità

Sapienza e insipienza.

Scontri alla Sapienza.

Interrompere gli accordi militari stipulati dalla Sapienza con aziende belliche e università israeliane, finché Israele non cambierà politica in Palestina è sostenere l’opposizione politica interna contro il governo messianico, colonialista e guerrafondaio di Netanyahu.

C’è sapienza negli studenti della Sapienza, la rettrice Polimeni e il Senato accademico imparino da loro. Chiamare la polizia è insipienza.

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Quel gran vigliacco dell’algoritmo.

Passare una mattina infernale appresso alle bizze di una piattaforma digitale succede ormai a tutti.

Le amministrazioni pubbliche, gli enti, le società di servizi sono riusciti a capovolgere il paradigma della loro arroganza nei confronti degli utenti.

Non è più colpa loro se le regole sono farraginose, cavillose, punitive, inefficienti.

È diventata tutta colpa dell’utente che non ricorda l’ID, la pw, il codice utente, se non ha digitato il campo obbligatorio, quello con l’asterisco, se non ha ricevuto in tempo l’SMS col codice OTP e la pagina è scaduta e deve ricominciare tutto da capo.

Lo scopo del servizio, l’utilità della prestazione, la soluzione di un problema non hanno mai avuto alcuna importanza agli occhi del burocrate analogico di ieri come non ce l’hanno a quello digitale di oggi.

L’algoritmo è il nuovo stupido, ottuso, imbecille capoufficio.

“Io, Daniel Blake”, Ken Loach, 2016.

Quello di ieri lo potevi insolentire attraverso il cristallo dello sportello.

Oggi al massimo puoi irritarti con l’assistente virtuale, chiedergli di parlare con un umano, che dopo essere rimasto in linea per non perdere la “priorità acquisita”, risponderà dall’Albania, un attimo prima che cada la linea.

In “Io, Daniel Blake” (Gran Bretagna, 2016) Ken Loach ci spiegava che l’inefficienza, l’arroganza, la noncuranza degli enti pubblici non sono défaillance, ma una precisa strategia di gestione di respingimento delle istanze dell’utente. L’attacco frontale al Welfare.

Quella istanza di cui un cittadino avrebbe diritto, viene sistematicamente neutralizzata.

Il nuovo modo di esercitare il potere di negarlo, è il ricorso a un sotterfugio: è colpa tua che non sia stato in grado di rivendicarlo correttamente.

Non sono io che ti nego un diritto, sei tu che non sei capace di esercitarlo. Quindi, non lo meriti.

Te lo dice con il nuovo burocratese digitale proprio l’algoritmo, la spersonalizzazione del sempiterno “io so io e voi non sete ‘n cazzo“.

La “semplificazione amministrativa”, la “innovazione tecnologica”, o “la digitalizzazione dei servizi pubblici” impongono, senza appello, gli algoritmi, la continuazione delle angherie della burocrazia contro i cittadini con altri mezzi, più sofisticati.

Il potere è diventato vigliacco. Nega i diritti, ma non vuole sporcarsi le mani.

Il potere usa la transizione digitale, i governi sguinzagliano la tirannide degli algoritmi, i nuovi cani da guardia del capitalismo.

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Il grande inganno neo liberista.

“L’estensione con la quale le aziende riescono a sfruttare i lavoratori con redditi aleatori per generare forme di lavoro che impoveriscono, dipende quindi dalla forza delle leggi in vigore previste da ogni singolo Paese per la tutela del lavoro.

Come abbiamo visto, in linea generale i Paesi sono intervenuti nelle economie con una bassa domanda di manodopera per limitare tali protezioni.

In effetti, questo era l’obiettivo esplicito della stessa Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), tenace sostenitrice della flessibilità del lavoro come mezzo per abbassare le percentuali della disoccupazione.

Alla fine degli anni Ottanta, gli economisti dell’Ocse erano finalmente giunti a riconoscere che, in presenza di tassi più lenti di crescita economica, era improbabile che le aziende investissero a sufficienza per aumentare il capitale sociale in linea con quello che era richiesto per creare nuovi posti di lavoro ad alta produttività e ad alto reddito.

Parve dunque “ineluttabile” che una “crescita ragionevolmente rapida dell’occupazione richiedesse la creazione di molti posti di lavoro che usano una quantità inferiore alla media di capitale per sostenerli e per i quali – di conseguenza – il salario reale sostenibile fosse modesto in modo corrispondente”.” (da “Automazione: Disuguaglianze, occupazione, povertà e la fine del lavoro come lo conosciamo” di Aaron Benanav).

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Marx va a segno ancora.

“Non importa quanto pessime diventino le condizioni del mercato del lavoro: i lavoratori devono pur sempre cercare lavoro, perché hanno bisogno di guadagnare un reddito che consenta loro di vivere.

Ora che masse sempre più ampie di lavoratori si trovano senza risparmi, l’economia mondiale odierna comincia ad assomigliare maggiormente a quella che Marx analizzò alla metà del XIX secolo nel suo Capitale.

In un’economia stagnante, spiegò Marx, la porzione inattiva dell’“armata operaia attiva” del capitalismo, un “serbatoio inesauribile di forza lavoro disponibile”, tenderà a crescere.

“Reclutati tra i lavoratori in soprannumero nella grande industria e dall’agricoltura che è diventata ridondante” questa popolazione in soprannumero di operai viene a formare un “elemento della classe operaia che si riproduce e si perpetua” e che “in proporzione partecipa all’aumento complessivo della classe operaia in misura maggiore che non gli altri suoi elementi”.

Poiché il suo lavoro è “caratterizzato da massimo tempo di lavoro e minimo salario”, le sue condizioni di vita tendono a “scendere al di sotto del livello medio normale”.

L’espandersi di questa popolazione era, per Marx, “una legge generale dell’accumulazione capitalistica”.

Scritta oltre 150 anni fa, l’analisi di Marx torna a essere contemporanea. Nelle economie a crescita lenta degli ultimi decenni, le masse di coloro che hanno perso il lavoro sono state obbligate a unirsi a chi si affacciava per la prima volta al mercato del lavoro in mansioni di scarso livello, guadagnando salari inferiori al normale in condizioni di lavoro peggiori della media.

A differenza dell’epoca di Marx, questo fenomeno è mediato oggi dalle istituzioni del welfare state create nel Dopoguerra, che hanno continuato a plasmare gli esiti del mercato del lavoro anche quando con il passare del tempo quelle istituzioni si sono deteriorate.

Le differenze istituzionali tra i vari Paesi determinano il livello al quale le esperienze del precariato si diffondono tra la forza lavoro o restano concentrate all’interno di specifiche fasce della popolazione.” (da “Automazione: Disuguaglianze, occupazione, povertà e la fine del lavoro come lo conosciamo” di Aaron Benanav) 

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Il capitale distrugge il lavoro.

 “Nel 1970, il settore manifatturiero dava lavoro al 22 per cento sul totale dei lavoratori degli Stati Uniti, percentuale scesa ad appena l’8 per cento nel 2017.

Nello stesso periodo, le percentuali di occupazione nel manifatturiero sono scese dal 23 al 9 per cento in Francia e dal 30 per cento all’8 per cento nel Regno Unito.

Giappone, Germania e Italia hanno vissuto decrescite inferiori ma nondimeno sostanziali: in Giappone dal 25 al 15 per cento, in Germania dal 29 al 17 per cento, e in Italia dal 25 al 15 per cento.

In tutti i casi, le diminuzioni sono state associate alla fine con cali significativi nel numero complessivo delle persone occupate nel settore manifatturiero.

Negli Stati Uniti, in Germania, Italia e Giappone, il numero complessivo dei posti di lavoro nel manifatturiero è diminuito approssimativamente di un terzo rispetto ai picchi postbellici; in Francia è calato del 50 per cento e nel Regno Unito del 67 per cento.40 Di solito, si presume che la deindustrializzazione in questi Paesi ad alto reddito debba essere la conseguenza delle delocalizzazioni offshore degli stabilimenti di produzione.

Di sicuro, la delocalizzazione offshore ha contribuito alla deindustrializzazione negli Stati Uniti e nel Regno Unito, che vantano i più grandi deficit commerciali del mondo.

Eppure, in nessuno dei Paesi menzionati, compresi Stati Uniti e Regno Unito, la perdita dei posti di lavoro nel manifatturiero è stata associata a cali nei livelli assoluti di produzione del manifatturiero.

Al contrario: tra il 1970 e il 2017 il volume della produzione del manifatturiero, quantificata secondo il valore reale aggiunto, è più che raddoppiata in Stati Uniti, Francia, Germania, Giappone e Italia. Perfino il Regno Unito, il cui settore manifatturiero è stato il peggiore in assoluto in questo gruppo, nello stesso periodo ha assistito a un aumento del 25 per cento nel valore reale manifatturiero aggiunto.” (da “Automazione: Disuguaglianze, occupazione, povertà e la fine del lavoro come lo conosciamo” di Aaron Benanav) Inizia a leggere: https://amzn.eu/94mUgWY ———-

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“Manhattan non è un mondo, è una scenografia.” (“Il senso della natura”, Paolo Pecere, Sellerio.)

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Il ritorno alla storia moderna.

Perché è sempre più forte la sensazione di essere tornati alle Signorie, all’assolutismo, alle guerre di conquista, stragi di innocenti, crimini efferati magari commessi con l’impiego diffuso di mercenari?

La Battaglia di Lepanto (Andrea Vicentino,1603, olio su tela, Palazzo Ducale, Venezia). Il riferimento alla battaglia viene spesso citata nei talk show come esempio storico da seguire per sconfiggere i “nemici” dell’Occidente.

La storia moderna è quel periodo che va dalla fine del Medioevo, sino alla rivoluzione industriale.

Quel periodo che va dalla “scoperta” dell’America (che sarebbe ora di catalogare sotto il più appropriato titolo di “colonizzazione del continente americano”) alla presa della Bastiglia.

Insomma, dal 1492 al 1789, trecento anni che, dal punto di vista sociale, politico e geopolitico hanno disegnato i contorni del mondo, che poi è stato modellato dalla storia contemporanea.

Sappiamo che la storia dell’umanità non è una linea continua, ma un insieme di segmenti, che non sempre coincidono col disegno che si vorrebbe fosse realizzato.

La fine della globalizzazione unica, – provocata dalla paralisi economica e finanziaria prodotta dalla pandemia del Covid -, accanto al panico della perdita di dominio che gli establishment stanno accusando come trauma, danno vita alla volontà di scontro, affinché l’occidente torni a prevalere, sotto l’egida della potenza militare USA.

Come quando si scontravano Francia e Spagna, Inghilterra a Francia, Austria e Impero Ottomano, oggi la lotta sembra tornare per il controllo territoriale e la supremazia sui mari, più che sulla rilevanza delle quote di mercato.

Perché è forte la sensazione di essere tornati alle Signorie, all’assolutismo, alle guerre di conquista, magari con l’impero di mercenari?

Una possibile spiegazione la fornisce un piccolo e prezioso libro che contiene l’analisi elaborata da Jodi Dean, docente di Teoria politica a Geneva, nello stato di New York. Scrive la dottoressa Dean in “Capitalismo o neofeudalesimo?” (Mimnesis, 2024):

“Ho caratterizzato il neofeudalesimo ricorrendo a quattro elementi: la parcellizzazione della sovranità, nuovi padroni e servi; provincializzazione e ansia apocalittica.” (Cfr. pag. 90).

Per essere più chiari: “Oggi l’accumulazione non si realizza tanto attraverso la produzione di merci quanto attraverso l’affitto e la predazione: prendendo e non producendo […]

Il ‘signor un sacco di soldi’ di cui parlava Marx appare meno come una rappresentazione del capitalista e più come quella di un proprietario terriero o un finanziere, come quella di qualcuno che ottiene la sua quota”.

In “Il capitale è morto, il peggio deve ancora venire” (Produzioni Nero, 2021), MacKenzie Mark, scrittrice e studiosa di teoria del media, scrive:

“Capitalismo delle piattaforme, capitalismo della sorveglianza, postcapitalismo, capitalismo green: sono moltissime le definizioni attraverso le quali si è provato a definire o ispirare l’attuale governo economico del mondo, ma nessuna è stata in grado di restituire davvero la contemporaneità in cui viviamo”.

Sempre Jodi Dean (ibidem) scrive: “E che dire del fatto che nel XXI secolo la gran parte dei posti di lavoro si trova nel settore dei servizi, nel servaggio a larga scala in tutto il mondo?

Nei paesi ad alto reddito, il 70-80% dell’occupazione è nei servizi, e anche la maggior parte dei lavoratori in Iran, in Nigeria, in Turchia, nelle Filippine, in Messico, in Brasile e in Sudafrica è impiegato in questo settore […]

Sempre più persone, costrette a vendere la propria forza lavoro nella forma di servizi desinati a chi è in cerca di consegne, di autisti, addetti alle pulizie, trainer, assistenti sanitari a domicilio, babysitter, di guardie, coach e così via. […]

Con i progressi nella produzione che sembrano giunti a un vicolo cieco, il capitale è oggi tesaurizzato e brandito come un’arma di distruzione: i suoi detentori sono i nuovi signori, il resto di noi dipendenti, invece, è composta da servi e schiavi proletarizzati”. (Cfr. pagg. 43 e 44).

Questi ragionamenti, queste analisi hanno bisogno di venir meglio approfonditi, arricchiti, meglio articolati.

Tuttavia, è qui che possiamo trovare le ragioni del nuovo protagonismo della guerra, nei vari scenari in cui si è di manifestata.

Le teorie geopolitiche sono poco convincenti se non si analizza il nuovo corso del capitalismo globale e quindi le nuove ragioni delle strategie di esercizio della potenza militare come strumento di dominio politico e sociale.

Vale per l’Ucraina, per la Palestina, per l’Iran, per il braccio di ferro militare nel contesto indo pacifico tra USA e Cina.

Tanto che è difficile pensare che una nuova versione del pacifismo, che fu strumento di lotta politica durante la “Guerra Fredda”, possa oggi essere ancora efficace a contrastate il nuovo imperialismo, il nuovo colonialismo, il nuovo corso del capitalismo.

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Attualità

I giorni dell’Iran.

Hanno lasciato che Israele bombardasse un edificio diplomatico iraniano a Damasco.

Hanno lasciato che l’Iran lanciasse duecento droni in territorio israeliano, aiutando la contraerea ad abbatterli.

Gli USA continuano a giocare il ruolo di potenza insostituibile e onnipresente nel Medio Oriente, senza la quale non si fanno le guerre, né le tregue.

Di pace manco a parlarne, finché gli USA non decideranno che Netanyahu e i suoi alleati di governo debbano lasciare la guida di Israele, dopo il fallimento del 7 ottobre, la catastrofe nella gestione degli ostaggi, la carneficina di Gaza, le continue provocazioni colonialiste in Cisgiordania.

I continui tentativi di allargare il conflitto, fino a coinvolgere direttamente l’Iran sono una precisa strategia di Netanyahu.

La domanda è: riuscirà Biden a fermare Netanyahu prima che questi metta in pratica i suoi propositi di vendetta dopo lo smacco subito da Teheran?

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Attualità

Netanyahu ha bisogno di guerra.

“Nessuno ferma Netanyahu?
L’attacco israeliano all’ambasciata iraniana di Damasco del primo aprile doveva essere fermato: era un chiara provocazione alla guerra. Ancora una volta gli Usa hanno lasciato che si aprisse un altro conflitto.” (Alberto Negri).

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Attualità

Siamo sicuri di essere smart?

“Avevamo il personal computer, anarco-individualista figlio degli anni Settanta, macchina che permetteva al suo proprietario un controllo pressoché completo.

Siamo ora quasi completamente passati allo smartphone, ovvero al discendente neoliberista del personal computer, un computer molto personale su cui, però, il proprietario ha un controllo limitato, anzi, un personal computer che silenziosamente controlla, sorveglia, spia, manipola il suo proprietario.

È inevitabile che le cose stiano così?” (da “Contro lo smartphone: Per una tecnologia più democratica (Saggi)” di Juan Carlos De Martin) Inizia a leggere: https://amzn.eu/gdq7KKW ————

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Attualità

Mi sono ripreso il mio tempo.

Mi è stato chiesto di argomentare il perché lascio Facebook. Lo faccio con due libri, di cui pubblico le copertine.

Poi cito un film:

“La grande bellezza”. Dice

Jap Gambardella (Toni Servillo):

“La più consistente scoperta che ho fatto, pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni, è che non posso più perdere tempo per cose che non mi va di fare.”

E, infine, un piccolo ragionamento: ho avuto cura di codesto profilo, eliminando gli hater e i perditempo; ho avuto cura di stare sul pezzo dell’attualità; ho avuto cura di postare brani selezionati di narrativa italiana e straniera, saggistica, poesia, filosofia, economia politica, sociologia.

Ho preso sul serio i commenti, rispondendo sempre a tutti.

Ho anche cercato di alleggerire sempre con ironia, sarcasmo e arguzia.

Mi sono divertito. Ma ho dedicato a Fb 3, 4 a volte 6 ore al giorno. E questo è sbagliato: il tempo è prezioso. Mr. Mark Zuckerberg non può averlo gratis. E io questo tempo me lo riprendo.

Due libri per capire.
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Attualità

Luciano Colavero e come si scrive per il teatro.

Due riflessioni sulla composizione dell’azione.

Una di Jurij Alschitz, che tocca la questione dal punto di vista dell’attore:

«La creazione da parte dell’attore della propria composizione del ruolo è la strada verso l’indipendenza artistica, che fa dell’attore l’autore del proprio ruolo.

Il ruolo è li risultato dell’interpretazione artistica individuale data dall’attore alla parte e al personaggio creati dal drammaturgo. Il ruolo dunque, in un certo senso, è il racconto che fa l’attore della storia scritta dall’autore drammatico. [La] parte elaborata dall’autore, passa attraverso la sensibilità artistica dell’attore. Se la composizione delle scene, l’ordine degli atti, delle parole appartiene all’autore, la composizione delle immagini, dei sentimenti, dele associazioni appartiene all’attore che crea la composizione della vita spirituale del ruolo. Se il ruolo viene inteso in questo senso, l’attore non ha limiti nella creazione. La sua composizione del ruolo può quindi non coincidere con quella dell’autore, pur essendone strettamente correlata.

La domanda fondamentale che l’attore si deve porre è se questo divario non sia gratuito, se sia realmente necessario al fine di far comprendere meglio l’idea della parte e del personaggio. Il lavoro del drammaturgo, dell’attore e del regista è subordinato a un’unica idea artistica. La composizione rispecchia i gradini della spirale che porta verso l’idea.»

L’altra riflessione è di Eugenio Barba, che guarda alla composizione anche dal punto di vista del regista:

«[…] “comporre” (porre con) significa “montare”, mettere assieme, tessere azioni: creare il dramma […].

Se le azioni degli attori possono costituire qualcosa di analogo a strisce di pellicola che sono già il risultato di un montaggio, è possibile usare questo montaggio non come un risultato, ma come materiale per un montaggio ulteriore. È, in genere, il compito del regista, che può intrecciare le azioni di più attori in una successione per cui l’una sembra rispondere all’altra o in uno svolgimento simultaneo, in cui il senso dell’una e dell’altra deriva direttamente dal loro essere compresenti. […]

Nel montaggio del regista le azioni, per divenire drammatiche, debbono ricevere un’altra valenza che abbatte il significato e le motivazioni per cui le azioni erano state composte dagli attori.

È questa nuova valenza che fa andare le azioni al di là dell’atto che esse, di per sé, rappresentano. Se io cammino, cammino e basta. Se mi siedo, mi siedo e basta. Se mangio, non faccio che mangiare. Se fumo, non faccio che fumare. Sono atti che illustrano se stessi, che si esauriscono in sé.

Ciò che fa trascendere le azioni, e le spinge al di là del loro significato illustrativo, deriva dalla relazione per cui sono poste nel contesto di una situazione. Messe in relazione con qualcosa d’altro, diventano drammatiche. Drammatizzare un’azione significa introdurre un salto di tensione che la obbliga a svilupparsi verso significati differenti da quelli originari.

Il montaggio, insomma, è l’arte di porre le azioni in un contesto che le faccia deviare dal loro significato implicito.»

Due sguardi, diversi e complementari, che ci ricordano quanto la composizione sia uno strumento di lavoro fondamentale per essere attori e registi creativi e non meri interpreti di un progetto altrui.

Luciano Colavero, regista, drammaturgo e pedagogo teatrale.
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Attualità

L’estremismo verbale dei bellicisti.

Si scrive Iran, si legge terrore. Si scrive Israele, si legge libertà”, al Foglio si credono di essere la gazzetta del Pentagono.

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