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Ciao, Eluana.

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“….e perché un uomo il cui padre meno di sessanta anni fa non avrebbe neanche potuto essere servito in un ristorante ora può trovarsi di fronte a voi per pronunciare il giuramento più sacro di tutti.”

Barak Obama, Washington, 20 Gennaio 2009 (da repubblica.it)

OGGI mi trovo di fronte a voi, umile per il compito che ci aspetta, grato per la fiducia che mi avete accordato, cosciente dei sacrifici compiuti dai nostri avi. Ringrazio il presidente Bush per il servizio reso alla nostra nazione, e per la generosità e la cooperazione che ha mostrato durante questa transizione.

Quarantaquattro americani hanno pronunciato il giuramento presidenziale. Queste parole sono risuonate in tempi di alte maree di prosperità e di calme acque di pace. Ma spesso il giuramento è stato pronunciato nel mezzo di nubi tempestose e di uragani violenti. In quei momenti, l’America è andata avanti non solo grazie alla bravura o alla capacità visionaria di coloro che ricoprivano gli incarichi più alti, ma grazie al fatto che Noi, il Popolo, siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri antenati e alle nostre carte fondamentali.

Così è stato finora. Così deve essere per questa generazione di americani.

E’ ormai ben chiaro che ci troviamo nel mezzo di una crisi. La nostra nazione è in guerra contro una rete di violenza e di odio che arriva lontano. La nostra economia si è fortemente indebolita, conseguenza della grettezza e dell’irresponsabilità di alcuni, ma anche della nostra collettiva incapacità di compiere scelte difficili e preparare la nostra nazione per una nuova era. C’è chi ha perso la casa. Sono stati cancellati posti di lavoro. Imprese sono sparite. Il nostro servizio sanitario è troppo costoso. Le nostre scuole perdono troppi giovani. E ogni giorno porta nuove prove del fatto che il modo in cui usiamo le risorse energetiche rafforza i nostri avversari e minaccia il nostro pianeta.

Questi sono gli indicatori della crisi, soggetti ad analisi statistiche e dati. Meno misurabile ma non meno profonda invece è la perdita di fiducia che attraversa la nostra terra – un timore fastidioso che il declino americano sia inevitabile e la prossima generazione debba avere aspettative più basse.

Oggi vi dico che le sfide che abbiamo di fronte sono reali. Sono serie e sono numerose. Affrontarle non sarà cosa facile né rapida. Ma America, sappilo: le affronteremo.

Oggi siamo riuniti qui perché abbiamo scelto la speranza rispetto alla paura, l’unità degli intenti rispetto al conflitto e alla discordia.

Oggi siamo qui per proclamare la fine delle recriminazioni meschine e delle false promesse, dei dogmi stanchi, che troppo a lungo hanno strangolato la nostra politica.

Siamo ancora una nazione giovane, ma – come dicono le Scritture – è arrivato il momento di mettere da parte gli infantilismi. E’ venuto il momento di riaffermare il nostro spirito tenace, di scegliere la nostra storia migliore, di portare avanti quel dono prezioso, l’idea nobile, passata di generazione in generazione: la promessa divina che tutti siamo uguali, tutti siamo liberi e tutti meritiamo una possibilità di perseguire la felicità in tutta la sua pienezza.

Nel riaffermare la grandezza della nostra nazione, ci rendiamo conto che la grandezza non è mai scontata. Bisogna guadagnarsela. Il nostro viaggio non è mai stato fatto di scorciatoie, non ci siamo mai accontentati. Non è mai stato un sentiero per incerti, per quelli che preferiscono il divertimento al lavoro, o che cercano solo i piaceri dei ricchi e la fama.

Sono stati invece coloro che hanno saputo osare, che hanno agito, coloro che hanno creato cose – alcuni celebrati, ma più spesso uomini e donne rimasti oscuri nel loro lavoro, che hanno portato avanti il lungo, accidentato cammino verso la prosperità e la libertà.

Per noi, hanno messo in valigia quel poco che possedevano e hanno attraversato gli oceani in cerca di una nuova vita.

Barak Obama, Washington, 20 Gennaio 2009 (da repubblica.it)

Per noi, hanno faticato in aziende che li sfruttavano e si sono stabiliti nell’Ovest. Hanno sopportato la frusta e arato la terra dura.
Per noi, hanno combattuto e sono morti, in posti come Concord e Gettysburg; in Normandia e a Khe Sahn.
Questi uomini e donne hanno lottato e si sono sacrificati e hanno lavorato finché le loro mani sono diventate ruvide per permettere a noi di vivere una vita migliore. Hanno visto nell’America qualcosa di più grande che una somma delle nostre ambizioni individuali; più grande di tutte le differenze di nascita, censo o fazione.

Questo è il viaggio che continuiamo oggi. Rimaniamo la nazione più prospera, più potente della Terra. I nostri lavoratori non sono meno produttivi rispetto a quando è cominciata la crisi. Le nostre menti non sono meno inventive, i nostri beni e servizi non meno necessari di quanto lo fossero la settimana scorsa, o il mese scorso o l’anno scorso. Le nostre capacità rimangono inalterate. Ma è di certo passato il tempo dell’immobilismo, della protezione di interessi ristretti e del rinvio di decisioni spiacevoli. A partire da oggi, dobbiamo rialzarci, toglierci di dosso la polvere, e ricominciare il lavoro della ricostruzione dell’America.

Perché ovunque volgiamo lo sguardo, c’è lavoro da fare. Lo stato dell’economia richiede un’azione, forte e rapida, e noi agiremo – non solo per creare nuovi posti di lavoro, ma per gettare le nuova fondamenta della crescita.

Costruiremo le strade e i ponti, le reti elettriche e le linee digitali che alimentano i nostri commerci e ci legano gli uni agli altri. Restituiremo alla scienza il suo giusto posto e maneggeremo le meraviglie della tecnologia in modo da risollevare la qualità dell’assistenza sanitaria e abbassarne i costi.

Imbriglieremo il sole e i venti e il suolo per alimentare le nostre auto e mandare avanti le nostre fabbriche.
E trasformeremo le nostre scuole, i college e le università per venire incontro alle esigenze dei tempi nuovi. Possiamo farcela. E lo faremo.

Ora, ci sono alcuni che contestano le dimensioni delle nostre ambizioni – pensando che il nostro sistema non può tollerare troppi grandi progetti. Costoro hanno corta memoria. Perché dimenticano quel che questo paese ha già fatto. Quel che uomini e donne possono ottenere quando l’immaginazione si unisce alla volontà comune, e la necessità al coraggio.

Quel che i cinici non riescono a capire è che il terreno gli è scivolato sotto i piedi. Gli argomenti politici stantii che ci hanno consumato tanto a lungo non sono più applicabili. La domanda che formuliamo oggi non è se il nostro governo sia troppo grande o troppo piccolo, ma se funzioni o meno – se aiuti le famiglie a trovare un lavoro decentemente pagato, cure accessibili, una pensione degna. Laddove la risposta sia positiva, noi intendiamo andare avanti. Dove sia negativa, metteremo fine a quelle politiche. E coloro che gestiscono i soldi della collettività saranno chiamati a risponderne, affinché spendano in modo saggio, riformino le cattive abitudini, e facciano i loro affari alla luce del sole – perché solo allora potremo restaurare la vitale fiducia tra il popolo e il suo governo.

La questione di fronte a noi non è se il mercato sia una forza del bene o del male. Il suo potere di generare benessere ed espandere la libertà è rimasto intatto. Ma la crisi ci ricorda che senza un occhio rigoroso, il mercato può andare fuori controllo e la nazione non può prosperare a lungo quando il mercato favorisce solo i già ricchi. Il successo della nostra economia è sempre dipeso non solo dalle dimensioni del nostro Pil, ma dall’ampiezza della nostra prosperità, dalla nostra capacità di estendere le opportunità per tutti coloro che abbiano volontà – non per fare beneficenza ma perché è la strada più sicura per il nostro bene comune.

Quanto alla nostra difesa comune, noi respingiamo come falsa la scelta tra sicurezza e ideali. I nostri Padri Fondatori, messi di fronte a pericoli che noi a mala pena riusciamo a immaginare, hanno stilato una carta che garantisca l’autorità della legge e i diritti dell’individuo, una carta che si è espansa con il sangue delle generazioni. Quegli ideali illuminano ancora il mondo, e noi non vi rinunceremo in nome di qualche espediente. E così, per tutti i popoli e i governi che ci guardano oggi, dalle più grandi capitali al piccolo villaggio dove è nato mio padre: sappiate che l’America è amica di ogni nazione e di ogni uomo, donna e bambino che sia alla ricerca di un futuro di pace e dignità, e che noi siamo pronti ad aprire la strada ancora una volta.

Ricordiamoci che le precedenti generazioni hanno sgominato il fascismo e il comunismo non solo con i missili e i carriarmati, ma con alleanze solide e convinzioni tenaci. Hanno capito che il nostro potere da solo non può proteggerci, né ci autorizza a fare come più ci aggrada. Al contrario, sapevano che il nostro potere cresce quanto più lo si usa con prudenza. La nostra sicurezza emana dalla giustezza della nostra causa, dalla forza del nostro esempio, dalle qualità dell’umiltà e del ritegno.

Noi siamo i custodi di questa eredità. Guidati ancora una volta dai principi, possiamo affrontare le nuove minacce che richiederanno sforzi ancora maggiori – una cooperazione e comprensione ancora maggiori tra le nazioni. Cominceremo a lasciare responsabilmente l’Iraq alla sua gente, e a forgiare una pace duramente guadagnata in Afghanistan. Con i vecchi amici e i vecchi nemici, lavoreremo senza sosta per diminuire la minaccia nucleare, e respingere lo spettro di un pianeta che si surriscalda. Non chiederemo scusa per il nostro stile di vita, né ci batteremo in sua difesa. E a coloro che cercano di raggiungere i propri obiettivi creando terrore e massacrando gli innocenti, noi diciamo adesso che il nostro spirito è più forte e non può essere infranto. Voi non ci sopravviverete, e noi vi sconfiggeremo.

Perché noi sappiamo che il nostro retaggio “a patchwork” è una forza e non una debolezza. Noi siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e induisti e non credenti. Noi siamo formati da ciascun linguaggio e cultura disegnata in ogni angolo di questa Terra; e poiché abbiamo assaggiato l’amaro sapore della Guerra civile e della segregazione razziale e siamo emersi da quell’oscuro capitolo più forti e più uniti, noi non possiamo far altro che credere che i vecchi odi prima o poi passeranno, che le linee tribali saranno presto dissolte, che se il mondo si è rimpicciolito, la nostra comune umanità dovrà riscoprire se stessa; e che l’America deve giocare il suo ruolo nel far entrare il mondo in una nuova era di pace.

Per il mondo musulmano noi indichiamo una nuova strada, basata sul reciproco interesse e sul mutuo rispetto. A quei leader in giro per il mondo che cercano di fomentare conflitti o scaricano sull’Occidente i mali delle loro società – sappiate che i vostri popoli vi giudicheranno su quello che sapete costruire, non su quello che distruggete. A quelli che arrivano al potere attraverso la corruzione e la disonestà e mettendo a tacere il dissenso, sappiate che siete dalla parte sbagliata della Storia; ma che vi tenderemo la mano se sarete pronti ad aprire il vostro pugno.

Alla gente delle nazioni povere, noi promettiamo di lavorare insieme per far fiorire le vostre campagne e per pulire i vostri corsi d’acqua; per nutrire i corpi e le menti affamate. E a quelle nazioni, come la nostra. che godono di una relativa ricchezza, noi diciamo che non si può più sopportare l’indifferenza verso chi soffre fuori dai nostri confini; né noi possiamo continuare a consumare le risorse del mondo senza considerare gli effetti. Perché il mondo è cambiato e noi dobbiamo cambiare con esso.

Se consideriamo la strada che si apre davanti a noi, noi dobbiamo ricordare con umile gratitudine quegli americani coraggiosi che, proprio in queste ore, controllano lontani deserti e montagne. Essi hanno qualcosa da dirci oggi, proprio come gli eroi caduti che giacciono ad Arlington mormorano attraverso il tempo. Noi li onoriamo non solo perché sono i guardiani della nostra libertà, ma perché essi incarnano lo spirito di servizio: una volontà di trovare significato in qualcosa più grande di loro. In questo momento – un momento che definirà una generazione – è precisamente questo lo spirito che deve abitare in tutti noi.

Per tanto che un governo possa e debba fare, alla fine è sulla fede e la determinazione del popolo americano che questa nazione si fonda. E’ la gentilezza nell’accogliere uno straniero quando gli argini si rompono, la generosità dei lavoratori che preferiscono tagliare il proprio orario di lavoro piuttosto che vedere un amico perdere il posto, che ci hanno guidato nei nostri momenti più oscuri. E’ il coraggio dei vigili del fuoco nel precipitarsi in una scala invasa dal fumo, ma anche la volontà di un genitore di nutrire il proprio figlio, che alla fine decidono del nostro destino.

Forse le nostre sfide sono nuove. Gli strumenti con cui le affrontiamo forse sono nuovi. Ma i valori da cui dipende il nostro successo – lavoro duro e onestà, coraggio e fair play, tolleranza e curiosità, lealtà e patriottismo – tutto questo è vecchio. Sono cose vere. Sono state la forza tranquilla del progresso nel corso di tutta la nostra storia. Quel che è necessario ora è un ritorno a queste verità. Quel che ci viene chiesto è una nuova era di responsabilità – il riconoscimento, da parte di ogni americano, che abbiamo un dovere verso noi stessi, la nostra nazione, il mondo, doveri che non dobbiamo accettare mugugnando ma abbracciare con gioia, fermi nella consapevolezza che non c’è nulla di più soddisfacente per lo spirito, così importante per la definizione del carattere, che darsi completamente per una causa difficile.

Questo è il prezzo e la promessa della cittadinanza.

Questa è la fonte della nostra fiducia – la consapevolezza che Dio ci ha chiamato a forgiare un destino incerto.

Questo è il significato della nostra libertà e del nostro credo – perché uomini, donne e bambini di ogni razza e di ogni fede possono unirsi nella festa in questo Mall magnifico, e perché un uomo il cui padre meno di sessanta anni fa non avrebbe neanche potuto essere servito in un ristorante ora può trovarsi di fronte a voi per pronunciare il giuramento più sacro di tutti.

Perciò diamo a questa giornata il segno della memoria, di chi siamo e di quanta strada abbiamo fatto. Nell’anno in cui l’America è nata, nel più freddo dei mesi, una piccola banda di patrioti rannicchiati intorno a falò morenti sulle rive di un fiume ghiacciato. La capitale era stata abbandonata. Il nemico avanzava. La neve era macchiata di sangue. Nel momento in cui l’esito della nostra rivoluzione era in dubbio come non mai, il padre della nostra nazione ordinò che si leggessero queste parole al popolo:

“Che si dica al futuro del mondo… che nel profondo dell’inverno, quando possono sopravvivere solo la speranza e la virtù… Che la città e la campagna, allarmate da un pericolo comune, si sono unite per affrontarlo”.
America. Di fronte ai nostri pericoli comuni, in questo inverno dei nostri stenti, ricordiamo queste parole senza tempo. Con speranza e virtù, affrontiamo con coraggio le correnti ghiacciate, e sopportiamo quel che le tempeste ci porteranno. Facciamo sì che i figli dei nostri figli dicano che quando siamo stati messi alla prova non abbiamo permesso che questo viaggio finisse, che non abbiamo voltato le spalle e non siamo caduti. E con gli occhi fissi sull’orizzonte e la grazia di Dio su di noi, abbiamo portato avanti il grande dono della libertà e l’abbiamo consegnato intatto alle generazioni future. (Beh, buona giornata)

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Attualità Nessuna categoria Popoli e politiche

In piazza aspettando la tregua sulla Scriscia di Gaza.

da ilmessaggero.it

Corteo a Roma. Il corteo Dalla parte dei Palestinesi è stato organizzato dal comitato Stopmassacrogaza. Partito alle 15.30 da piazza Vittorio, all’Esquilino, il corteo ha raggiunto Porta San Paolo, passando per Santa Maria Maggiore, via Cavour, via San Gregorio, Circo Massimo. Secondo fonti della Questura di Roma, le persone che hanno preso parte al corteo sono state 15mila. Secondo gli organizzatori 200mila.

Manifestazioni in Francia. A Parigi, dietro lo striscione «Resistenza palestinese. Stop alla collaborazione franco-israeliana», hanno sfilato 2.600 persone secondo la polizia, «diverse decine di migliaia» secondo gli organizzatori. Momenti di tensione e suo di lacrimogeni da parte della polizia quando alcuni manifestanti hanno cercato di forzare un cancello dell’Opera, nel centro della città. Al corteo di Marsiglia per denunciare il «massacro del popolo palestinese» hanno partecipato in 2.500 secondo la polizia, 25.000 secondo gli organizzatori.

Inghilterra. In migliaia hanno manifestato in tutto il paese. A Londra in circa 3.500 si sono radunati a Trafalgar Square, dove l’ex premier Tony Blair, rivolgendosi alla folla, ha chiesto al governo di inviare a Gaza la Royal Navy per aggirare il blocco israeliano e scortare le imbarcazioni di soccorso medico e alimentare.

Germania. Circa tremila in piazza in tutto il paese di cui 1600 a Berlino. A Duisburg, oltre al corteo pro-Gaza, c’è stata anche una manifestazione pro-Israele di circa 200 persone.

Turchia. Centinaia di manifestanti anche ad Ankara, davanti all’ambasciata d’Israele e nel centro della città, dove il corteo è stato bloccato dai blindati della polizia.

Grecia. Ad Atene un corteo di più di mille persone, guidato da un gruppo di palestinesi, ha sfilato fino all’ambasciata d’Israele.

Svizzera. A Ginevra, davanti alla sede europea dell’Onu, si sono radunati in centinaia al grido «Israele terrorista». Molti vestivano magliette bianche con sopra la scritta rossa “Gaza”. A Berna circa 1.500 persone hanno invece manifestato a favore di Israele.

Argentina. L’ambasciata israeliana di Buenos Aires ieri sera è stata investita da una pioggia di scarpe, lanciate in segno di protesta da molti delle centinaia di manifestanti, che, sventolando bandiere con scritte anti-israeliane, si erano radunate davanti all’edificio.(Beh, buona giornata).

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Mr Cheney sì che se ne intende.

(ANSA) – WASHINGTON, 13 GEN – E’ una ‘cattiva decisione’ quella di Barack Obama di ordinare la chiusura della prigione di Guantanamo . Lo ha affermato il vicepresidente Cheney, convinto che sia una struttura gestita bene e che Obama sia forzato a rispettare promesse elettorali. Per Cheney, e’ sbagliato chiudere la prigione perche’ e’ una struttura ‘di primo livello’, dove la Croce Rossa garantisce le condizioni dei detenuti e custodisce ‘il nucleo duro’ del terrorismo. (Beh, buona giornata)

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Riuscirà l’Operazione Piombo Fuso a far vincere le prossime elezioni ai laburisti in Israele?

 
di MARIO VARGAS LLOSA da lastampa.it
C’è qualche possibilità che l’invasione militare di Gaza messa in atto da Israele distrugga le infrastrutture terroriste di Hamas – obiettivo ufficiale dell’operazione – e faccia terminare i lanci di razzi artigianali degli integralisti palestinesi che controllano la Striscia sulle città israeliane di frontiera? Penso che non ce ne sia nessuna e che l’operazione militare nella quale, sino al momento in cui scrivo, sono morti oltre 600 palestinesi – un gran numero di bambini e di civili innocenti – e che ha causato migliaia di feriti, avrà, nella comunità palestinese piuttosto l’effetto d’una potatura dalla quale uscirà rafforzata Hamas e parecchio indebolita la parte moderata, l’Autorità Palestinese guidata da Mohamed Abbas.

Per dare una parvenza di realtà al motivo brandito come giustificazione dell’attacco da Ehud Olmert e dai suoi ministri, Israele dovrebbe occupare Gaza con un immenso e permanente spiegamento militare o perpetrare un genocidio di cui neppure i suoi falchi più fanatici oserebbero farsi carico e che, speriamo, il resto del mondo non tollererebbe; anche se l’opinione pubblica internazionale ha mostrato, più d’una volta, una supina indifferenza per la sorte dei palestinesi.

La verità è che, per quanto feroce sia stata la punizione inflitta dall’esercito d’Israele a Gaza e, anzi, proprio a causa del sentimento d’impotenza e di odio per ciò che è accaduto al milione e mezzo di palestinesi che vivono ridotti alla fame e mezzo asfissiati in questa trappola, è probabile che, quando Tsahal si sia ritirato dalla Striscia e sia tornata «la pace», gli atti terroristici riprendano con maggior vigore e con un desiderio di vendetta attizzato dalle sofferenze di questi giorni.

I fautori dei bombardamenti e dell’invasione rispondono a chi li critica con questa domanda: «Sino a quando un Paese può sopportare che le sue città siano bersaglio di razzi terroristi lanciati dalle frontiere per giorni e mesi da un’organizzazione come Hamas che non riconosce l’esistenza di Israele e non nasconde le sue intenzioni di distruggerlo?». L’interrogativo è davvero molto pertinente e nessuno, a meno che non sia un terrorista o un fanatico, può trovare giustificazioni alla continua stretta criminale che Hamas esercita sulla popolazione civile d’Israele. D’accordo. Ma se si tratta di cercare le ragioni del conflitto non è onesto, a mio modo di vedere, fermarsi solo a questo, ai razzi artigianali di Hamas, e non andare, invece, un po’ indietro nel tempo per capire – il che non vuol dire giustificare – ciò che accade in quest’esplosivo angolo di mondo. La vittoria elettorale che ha portato Hamas al potere nella Striscia non è stato un atto di massiccia adesione dei palestinesi di Gaza né al fanatismo integralista né alle azioni terroristiche, ma un modo del tutto legittimo con il quale i cittadini hanno detto no all’inefficienza e, soprattutto, alla vergognosa corruzione dei dirigenti dell’Autorità Nazionale Palestinese. E, anche, un tipico atto di autodistruzione verso la quale gli esseri umani, individualmente o collettivamente, si orientano quando toccano situazioni limite di debolezza e di disperazione totale.

Indubbiamente la ritirata israeliana da Gaza e l’abbandono dei 21 insediamenti di coloni che lì s’erano stabiliti, nell’estate del 2005, suscitò grandi speranze che questo gesto potesse dare impulso al processo di pace destinato a portare alla creazione d’uno Stato palestinese che coesistesse con Israele e fosse garanzia della sua futura sicurezza. Non solo tutto ciò non accadde: Hamas si ribellò e i suoi scontri con Al Fatah – con sparatorie e uccisioni – da una parte e, dall’altra, la politica di Israele volta a isolare Gaza e a mantenerla in una condizione d’implacabile quarantena impedendole di esportare e di importare, vietandole l’utilizzo del cielo e del mare, concedendo alla popolazione di uscire da questo ghetto solo con il contagocce e dopo pratiche burocratiche opprimenti e umilianti, contribuirono a determinare quel grande «fallimento economico» che oggi i falchi d’Israele mostrano come prova dell’incapacità dei palestinesi di autogovernarsi.

Mi domando se qualsiasi Paese del mondo avrebbe potuto progredire e modernizzarsi nelle atroci condizioni in cui vive la gente di Gaza. Non parlo per sentito dire, non sono vittima di pregiudizi nei confronti di Israele, un Paese che ho sempre difeso, in particolare quando era al centro d’una campagna internazionale orchestrata da Mosca che appoggiava tutta la sinistra latino-americana. Ho visto le cose con i miei occhi. E ho provato nausea e indignazione per la miseria atroce, indescrivibile in cui languono senza lavoro, senza futuro, senza spazio per vivere, negli antri stretti e immondi dei campi profughi o in quelle città sommerse dalla spazzatura dove i topi scorrazzano sotto gli occhi pazienti dei passanti, le famiglie palestinesi condannate a poter solo vegetare, ad aspettare che la morte arrivi a mettere fine a un’esistenza senza speranza, completamente inumana. Sono questi poveri infelici, bambini e vecchi e giovani, privati ormai di tutto ciò che rende umana la vita, condannati a un’agonia ingiusta proprio come quella degli ebrei nei ghetti dell’Europa nazista, quelli che, ora, vengono massacrati dai caccia e dai carrarmati d’Israele, senza che tutto ciò serva per avvicinare d’un solo millimetro la sospirata pace. Al contrario, i cadaveri e i fiumi di sangue di questi giorni serviranno solo ad allontanarla, la pace, e ad alzare nuovi ostacoli e a seminare altri risentimenti e altra rabbia sulla strada dei negoziati.

Tutto questo lo sanno – molto meglio di me e di qualsiasi altro osservatore – i dirigenti d’Israele. La classe dirigente d’Israele è di altissimo livello, assai più colta e preparata rispetto alla media dell’Occidente. E se è così, perché, allora, scatenare un’operazione militare che non sconfiggerà il terrorismo dei fanatici di Hamas e che, in cambio, serve solo a screditare uno Stato che, con azioni punitive come questa, ha ormai perso quella superiorità morale mostrata in passato nei confronti dei suoi nemici quando Yitzhak Rabin firmò gli accordi di Oslo del 1993?

Credo che la risposta sia questa: dal fallimento dei negoziati di Camp David e di Taba del 2000-2001 in cui il governo israeliano guidato da Ehud Barak era disposto a fare importanti concessioni che Arafat fu così sconsiderato da rifiutare, la società israeliana, profondamente delusa, ha vissuto una deriva destrorsa radicale e, per massima parte, legata alla convinzione che con i palestinesi non siano possibili accordi ragionevoli. E che, quindi, solo una politica basata sulla forza, sulla repressione e su sistematiche punizioni li piegherà inducendoli ad accettare, alla fine, una pace imposta secondo le condizioni di Israele. Questo spiega la popolarità avuta da Ariel Sharon e il crescente appoggio al movimento dei coloni che continuano a installare insediamenti ovunque in Cisgiordania e alla costruzione del Muro che isola e divide la Cisgiordania palestinese. E ciò spiega, inoltre, perché, da quando le bombe hanno incominciato a piovere su Gaza, sia schizzata in avanti, come una freccia, la popolarità dei laburisti di Ehud Barak, l’attuale ministro della Difesa, e della leader di Kadima, la cancelliera Tzipi Livni, i quali, grazie all’operazione militare contro Gaza, hanno ridotto il vantaggio che, in vista delle prossime elezioni, aveva nei loro confronti il conservatore Benjamin Netanyahu. Non bisogna dimenticare che, secondo indagini demoscopiche, oltre due terzi degli israeliani approvano l’azione militare contro Gaza.

«I nostri cuori si sono induriti e i nostri occhi si sono coperti di nuvole», dice il giornalista israeliano Gideon Levy in un articolo pubblicato sul giornale Haaretz il 4 gennaio 2009 commentando l’incursione di Tsahal a Gaza. Come tutto ciò che scrive, il suo testo è ricco di onestà, lucidità e coraggio. È un rimpianto per questa progressiva scomparsa della morale nella vita politica del suo Paese – quel fenomeno che, secondo Albert Camus, precede sempre i cataclismi della storia – e una critica a quegli intellettuali progressisti come Amos Oz e David Grossman che, prima, levavano le loro energiche proteste contro eventi quali il bombardamento di Gaza e, adesso, timidamente, rispecchiando la generale involuzione della vita politica israeliana, si limitano a invocare la pace. (Bah, buona giornata).

Copyright El País

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Piccoli record crescono: ieri il numero delle visite in questo sito è stato 794. Beh, buona giornata.

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Ancora grazie ai lettori di “Pubblicità ingannevole? No, ingannata.”

Il 5 gennaio ho scritto:

“Pubblicità ingannevole? No, ingannata”, apparso su questo sito il 3 gennaio è stato pubblicato da: ilmessaggero.it; ilmattino.it; google news; megachip.info; viaparaocchi.splinder,com; informazione.it; natasha.it; ilretegiornale.it; raulken.it; edit.splinder.com; spinder.com; oracamminiamoeretti.com; wikio.it; cronachemaceratesi.it; socialprosumer.splinder.com.; oltre che da marcoferri.blog.espresso.repubblica.it. Questa non è pubblicità ingannevole.

Oggi devo aggiungere:

gazzettino.it; expobg.it; braccianoonline,com; science.am; mallabruzzo.it; medical-malpractrice.it; newmedia.it; italy-altop.com; mutuiaconfronto.com; tomolo.it; idir.it; notiziario.net z-chat.info; guazzabuglio.net; massimobinelli.it; cinquelire.info; vivavocetruria.it; inerba.org; inerba.org; laparoscopic.it; immobiliarebello.it; noutopy.org; palmadimontechiaro.com; comune.comunnuovo.bg.it; acitrezzaonline.it.

Non aggiungerò ancora che questa non è pubblicità ingannevole. Beh, buona giornata.

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L’unico augurio possibile è che il 2009 passi il più presto possibile, senza fare troppi danni. Almeno per questo, auguri a tutti i lettori. Beh, buone giornate.

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Alitalia: quando mamma e papà sono in cassa integrazione.

“Questa è la risposta che mia figlia che ha voluto mandare agli auguri di buon natale inviati a me e a suo padre, entrambi cassaintegrati” (da Commenti di “La cena che si è fatta beffe dei lavoratori di Alitalia”)

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Materia e antimateria (grigia).

Al Cern di Ginevra dopo 15 anni di lavori è stato acceso con successo Lhc, il più grande e ambizioso strumento scientifico del mondo. Si tratta di un tunnel 100 metri sottoterra, un tunnel che è un cerchio perfetto lungo 27 chilometri. Nel tunnel è stato lanciato un fascio di protoni che correrà a una velocità che è il 99,9999991% della velocità della luce. Nel gigantesco “autoscontro” fra i protoni si scateneranno energie che normalmente si registrano solo nello spazio. Sottoterra la materia disgregata per un istante tornerà allo stato che aveva alcuni miliardesimi di secondo dopo il big bang.

Dalle 9,45 di mercoledì 10 settembre, fino ai prossime settimane,  tremila scienziati di 30 paesi osserveranno quark, pioni, gluoni e muoni. Nel 2009, forse, riusciremo a scoprire il segreto della eterna lotta tra materia e antimateria.

Se a Ginevra la scienza sta superando la fantascienza, superando le barriere della Fisica,  a Bologna si è superata un’altra barriera, quella tra il cinema e il web.

Spike Lee ha acceso il Babelgum Online Film Festival. In una intervista esclusiva per Repubblica.it, Spike Lee ha detto: “”Il cinema, così come lo conosciamo, è sul viale del tramonto. Anche quello indipendente mostra tutta la sua arretratezza rispetto all’effetto dirompente della Rete. I film, così come siamo abituati a viverli oggi, sono destinati a cambiare radicalmente”.

Il ragionamento di Spike Lee è che il contenuto generato dagli utenti – uno dei cardini della nuova grande euforia della Rete insieme al social networking – non si limita ai video autoprodotti in modo “casalingo” dai navigatori, ma può diventare il nuovo grande incubatore per il futuro della cinematografia.

Il Babelgum Online Film Festival è un festival è aperto a professionisti o studenti iscritti a scuole di cinematografia provenienti da tutto il mondo. I film possono essere iscritti a partecipare senza costo alcuno in una delle quattro categorie: Cortometraggio (20 min), Animazione (5 min), Documentario (30 min) e Mini Masterpiece (5 min). Quest’ultima categoria è riservata a opere brevi, anche low budget, che si segnalano per originalità, forza dirompente o capacità provocatoria e include quella nuova forma d’espressione tipica della Rete che va sotto il nome di viral videos.

Il mondo cambia. Cambia alla velocità della luce, come sta succedendo al Cern di Ginevra. Cambia con la velocità dei nuovi media, come succede a Bologna, al Babelgum Online Film Festival. Con buona pace delle agenzia di pubblicità italiane. Loro preferiscono rimanere all’Età (dei culi) della Pietra. Beh, buona giornata.

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Qualità della vita e vite di qualità.

Henry Allingham, reduce della Prima guerra mondiale e uomo più anziano di tutta la Gran Bretagna, ha festeggiato un altro compleanno spegnendo, sulla torta, ben 112 candeline.

“Il mio segreto?”, ha scherzato Allingham, “sigarette, whisky e donne focose”. Nato a Londra il 6 giugno del 1896, ovvero quando regnava ancora la regina Vittoria, Henry Allingham ha visto passare davanti ai suoi occhi sei monarchi e 21 primi ministri

“Tutti mi chiedono come ho fatto”, ha dichiarato felice Henry Allingham, “e io dico che ho solo desiderato vedere sempre sorgere il sole”. Considerando le usuali condizioni meterologiche della Gran Bretagna, si può capire con quanta determinazione l’uomo, che ha attraversato tre secoli, abbia voluto vivere.

Una vecchia storiella racconta di un uomo che raggiunta la veneranda età di cento anni viene intervistato da un’emittente televisiva. Alla domanda “come ha fatto a vivere così a lungo?” l’uomo rispondeva che mangiava poco, dormiva molto, faceva moto, non fumava, non beveva.

A un certo punto l’intervista viene interrotta dal frastuono di una porta che sbatte, dal vocione di un uomo e dalle risa sgangherate di una donna. “Che succede?” chiede allarmato l’intervistatore. “Nulla di grave” risponde serafico il centenario. “E’ solo mio padre che come al solito rincasa sbronzo in compagnia dell’amichetta occasionale che rimorchia nei bar”.

In barba ai precetti salutisti, alle stesse campagne pubblicitarie di prodotti che promettono di allungare la vita, l’impressione che si ricava è che è la vita, non noi, che decide per quanto tempo vuole continuare a stare dentro il nostro corpo, il nostro organismo, nella nostra lucidità mentale.

E’ la vita che decide quanto tempo vuole vivere con noi. A noi rimane spendere bene questo tempo: vivere intensamente la vita è meglio che lasciarsi vivere. Che la vita magari si annoia e se ne va.

Conoscete tutti la famosa battuta di Woody Allen: “Smetterò di fumare, vivrò una settimana in più. E pioverà tutto il giorno.” Beh, buona giornata.

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Mica si spreca così il vino rosso.

Non è la prima volta che sentiamo dire da autorevoli fonti scientifiche che bere vino rosso allunga la vita. Stavolta la prova provata delle proprietà mirabolanti del vino rosso è stata riscontrata in una sostanza, il ‘resveratrol’, presente in un’alta percentuale nel vino rosso.

Pare che il resveratrol sia capace di proteggere il cuore dall’invecchiamento, attivando l’agente proteico ‘sirtuins’ che rallenta la degenerazione dei tessuti.

La scoperta si deve a un gruppo di scienziati americani dell’Università del Wisconsin che hanno pubblicato il rapporto sulla rivista scientifica ‘PloS One’.

Apparentemente è una buona notizia, se non che nel rapporto si scopre che il vino rosso, oggetto della sperimentazione sarebbe stato somministrato a topi di laboratorio, addirittura topi di mezza età.

“In vino veritas”: dunque, per la verità bisogna dire che passare mezza vita in un laboratorio a subire esperimenti di ogni tipo non è una bella vita. Lo credo bene che un sorso di vino ha dato a quei tapini di topini qualche attimo di ebbrezza, come dire? una sferzata di vitalità.

Ma il problema è: che se ne fanno quei poverini di topi di laboratorio di una vita più longeva? Per essere sottoposti per qualche anno in più alle angherie della sperimentazione? Ai voglia a bere per dimenticare. Va bene che un topo è destinato a fare la fine del topo, ma che razza di cattiverie è procrastinare la fine del topo?

Ma la cosa più grave di tutte è la sola idea di degradare il vino a liquido di laboratorio, come fosse una soluzione chimica, nata tra alambicchi e provette, invece che tra vigne, botti e calici. Il vino nasce per l’amicizia e l’allegria, per il buon cibo e il buon gusto. Non vi sembra di pessimo gusto usarlo per sbronzare cavie da laboratorio? Produrre vino è un mestiere difficile, lo sanno bene i produttori indipendenti e le grandi marche. Mica si spreca così il vino rosso. Beh, buona giornata.

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Till voglio bene.

“Andrò a Cannes non per difendere i nostri lavori, ma per premiare la qualità, la migliore di ogni Paese.” Lo ha detto Till Neuburg, giurato italiano nella categoria Cyber. Bravo Till.

La vecchia guardia non si piega al solito stucchevole, consuetudinario e scontato bla-bla del prima, durante e dopo il prossimo Festival della pubblicità di Cannes.

Till appartiene a quella folta schiera di pubblicitari che vennero a lavorare in Italia. Attratti dalla qualità della vita, della cucina, del Design e dell’arte italiana, Till e Fritz e Hans-Rudolf, e Michele e Felix e Chris, tanto per citarne solo alcuni, sono stati tra coloro che hanno portato il loro contributo alla crescita della pubblicità italiana. Un contributo deciso e decisivo.

L’Italia attirava talenti dall’Europa e dagli Usa, non solo nella creatività, ma anche nel contatto, nel media, insomma in tutta la filiera del nostro mondo. C’era voglia di fare, di innovare, di costruire, di forzare l’esistente, di inventare nuove e più promettenti regole. C’era posto per tutti.

Una delle ragioni della linea continua verso il basso della nostra creatività, che a Cannes viene ogni anno aggiornata verso il basso, sempre più basso, sta proprio nella perdita secca della voglia di fare, di innovare, di costruire. di forzare l’esistente, di inventare nuove e più promettenti regole. Non siamo più attrattivi né attraenti.

L’importanza della contaminazione culturale e professionale è stata una delle grandi ricchezze del nostro mondo della comunicazione commerciale. Vi basti pensare che il primo presidente dell’Art Directors Club italiano è stato Fritz Tschirren, svizzero che vive e lavora a Milano da quasi quarant’anni.

Bravo Till, dicevo.

Perché dice una cosa sacrosanta, semplice e pura: non faccio il giurato a Cannes per difendere i lavori italiani. Infatti, un giurato giudica. Non difende. La pubblicità italiana non ha bisogno di avvocati difensori. È colpevole. Pluri-pregiudicata. Recidiva. È arrivata all’ultimo grado del giudizio. La sentenza è ormai definitiva. Passata in giudicato.

Nessun giurato italiano ha neanche più la forza di appellarsi alla clemenza della corte. Se lo fa è solo perché non sa più neanche che dire a chi gli chiede di dire qualcosa.

Ma c’è un altro aspetto, che mi pare importante nelle semplici parole di Till Neuburg. Il compito del Festival della pubblicità di Cannes è quello di vedere, guardare, capire e premiare la qualità migliore di ogni Paese.

È un compito complicato, ma fantastico. È un compito che è a beneficio di tutti, e proprio per questo non ha proprio nulla a che fare con le piccole e stucchevoli beghe nazionali.

A Cannes si fotografa la mappa dei pensieri e si indica un traguardo, lo si indica nel futuro prossimo venturo.

Male fanno i nostri giurati a andare a Cannes con la testa rivolta all’orticello italico. Male fanno i rappresentanti della nostre marche a scambiare Cannes come una gita premio, magari offerta da una grande concessionaria. Cannes indica la luna, e noi concioniamo sul dito.

Cannes è riuscita negli anni, tra alti e bassi, tra crisi economiche e l’insorgenza della globalizzazione economica a mantenere viva nel tempo la sua missione.

Che è semplice e pura come le parole di Till Neuburg: scovare e premiare la qualità, perché la qualità della pubblicità mette allegria, voglia di fare, ci sfida nelle nostre vecchie sicurezze, ci stimola all’avventura di nuovi orizzonti.

Ci dà forte e chiaro il senso concreto del mondo in cui viviamo. Ci assegna un ruolo, ci indica da che parte stare. Ci obbliga a cambiare punto di vista: ci spinge a osare pensare, osare lottare e osare vincere

E per questo, scrosta via il calcare, la ruggine, la forfora: in altre parole, quel calduccio mediocre in cui spesso consoliamo le nostre mediocrità. Della qual cosa incolpiamo il “fato, cinico e baro”, sfoderando il più trito cerchio-bottismo: un colpo al Cliente e un colpo all’Agenzia. Balle.

Troppo facile: non ha funzionato, non funziona e non funzionerà. Si torna a casa da Cannes e, come al solito si parla del Festival come si parla del Meteo, che è il talento di quelli che non sanno che dire. Non sanno neanche che dire a se stessi.

Quest’anno il Festival del Cinema di Cannes ha premiato il talento, il coraggio, i piedi per terra e la testa nel futuro del cinema italiano.

Possibile che la pubblicità italiana sia così gnucca da non capire come si fa? Forza Till, anche se anche quest’anno la Costa Azzurra ci farà neri, lo spirito con cui ci vai è giusto. Salubre e salutare. Beh, buona giornata.

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Vuoi vedere che anche le donne sono uomini come noi?

L’Università olandese di Leida ha annunciato, ieri sul suo sito, di avere ottenuto la mappa del Dna di una donna. Lo riferisce l’Agenzia Ansa di ieri.

La mappa del Dna di una donna è la prima al mondo e la prima di un essere umano europeo.

Finora sono state ottenute 4 mappe di Dna umano e appartengono tutte a uomini: due americani e due africani.

I ricercatori olandesi del Centro medico dell’Università di Leida, guidati da Gert-Jan van Ommen, scrivono sul loro sito web che i risultati non sono ancora stati sottomessi alla comunità scientifica. Mentre li aspettiamo, possiamo scommettere che sulla mappa del menoma della donna non c’è traccia di “sesso debole”.

La qual cosa potrebbe scompaginare la tendenza, per altro molto italiana, a emarginare le donne da incarichi di responsabilità. Credo anche che potrebbe finire la superstizione maschilista, che vuole che, per essere considerata, una donna debba dimostrare di avere le palle.

Potrebbe essere un brutto colpo al sessismo strisciante. Compreso quello che vede alcune donne fare le carognette, per essere così meglio accette tra i maschilisti.

Comunque aspettiamo con ansia che i risultati degli studi del Centro medico dell’Università di Leida vengano resi noti.

Magari un giorno avremo più ministre (e meno subrette) al Governo, e, magari, più donne a capo di aziende, che non siano proprio solo le figlie uniche dei fondatori dell’azienda. Insomma, non solo CEO ma anche CEA. Beh, buona giornata.

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L’ossitocina, l’ultima frontiera della pubblicità italiana.

Questa è scienza, non fantascienza. Forse. Fatto sta che test clinici avrebbero dimostrato che il nostro corpo ha predisposto un “antidoto” alla sfiducia nel prossimo. La qual cosa pare ci potrebbe permettere di avere una vita sociale piena di soddisfazioni.

Il nostro corpo, il corpo umano, produce ossitocina, già nota come ormone della fiducia e dell’affetto, come ha spiegato all’ Agenzia ANSA il prof. Thomas Baumgartner dell’Università di Zurigo.

Secondo lui, l’ossitocina spegne i “macchinari nervosi della diffidenza e quindi può infondere in noi fiducia negli altri”.

Resa nota dalla rivista Neuron, la scoperta potrebbe essere foriera di applicazioni terapeutiche. I neurologi sostengono, infatti, che i malfunzionamenti dei circuiti che demoliscono la nostra fiducia negli altri potrebbero essere alla base di disturbi neurologici, quali autismo o fobia sociale.

Secondo il prof. Baumgartner sono già in corso sperimentazioni.

Pare che un altro membro del team di neurologi svizzeri, lo psicologo Markus Heinrichs, stia testando gli effetti di uno spray a base di ossitocina su persone colpite da disturbi come la fobia sociale e le personalità borderline.

Se andate su un vocabolario della lingua italiana scoprirete il significato della parola ossoticina. Si tratta di una molecola importantissima, perché è grazie a lei, per esempio, che sboccia l’amore tra mamma e neonato, ma anche l’affetto nelle relazioni di coppia e la fiducia negli altri.

Tuttavia, come ha spiegato il prof. Baumgartner, dopo la scoperta dell’ossitocina restava comunque ancora oscuro il suo meccanismo d’azione e, soprattutto, su quali circuiti nervosi agisse.

Per scoprirlo i neurologi svizzeri hanno sottoposto un gruppo di volontari a due giochi.

In uno, basato sulla fiducia, i volontari dovevano affidare il proprio denaro a un fiduciario, il quale poi, investendolo, poteva decidere se restituire o tenere per sé i profitti dell’investimento.

L’altro gioco invece era semplicemente una “prova di rischio”, in cui la cessione dei profitti degli investimenti era probabilisticamente decisa da un computer.

È successo che in entrambi i giochi i volontari perdevano il denaro. Ma solo nel primo gioco vivevano l’esperienza negativa della fiducia tradita (si erano fidati del fiduciario).

A quel punto, i neurologi svizzeri hanno somministrato loro ossitocina e poi hanno osservato il loro comportamento e contemporaneamente l’attività del loro cervello, attraverso la tecnica della risonanza magnetica.

Risultato? Mentre l’ossitocina non ha avuto alcun effetto nella prova di rischio, guidata da un computer, dove non entrava in gioco la fiducia tra persone, la sua azione è risultata, invece, lampante nell’altro gioco, quello basato sulla fiducia verso la persona che li aveva convinti a farsi affidare del denaro.

Nonostante i tradimenti del fiduciario, sotto l’effetto dell’ossitocina i volontari continuavano ad affidargli i soldi, mostrando, dunque, fiducia incondizionata nei suoi confronti.

Visto come vanno le cose nella politica, nell’economia e nella società occidentale, lo spray all’ossitocina è una scoperta utile non più di tanto, dal momento che c’è sempre un fiduciario che riesce a far fare a tutti quello che gli pare e piace.

La scoperta del prof. Baumgartner è utilissima, invece, per la pubblicità italiana. Soprattutto per la categoria dei CEO, i Chief Executive Officer: non riesci a convincere un cliente che la tua agenzia è meglio delle altre? Non riesci a corteggiare un cliente con la creatività? Col servizio? Con lo sconto? Qui ci vuole lo spray all’ossitocina: una spruzzata sul muso del cliente, e tac!, ecco il budget ai tuoi piedi.

Stai per perdere il cliente che pensa che ha fatto male ad affidarti il budget, si sente tradito perché i risultati non si vedono, le spese corrono e le vendite soffrono? Fruuz-fruuz, una spruzzatina di ossitocina e torna il sereno: in ufficio, nei conti, con l’internazionale.

Sarebbe una vera rivoluzione: invece che invocare il “fattore C” (culo), il CEO del futuro conterà sull’effetto O (ossitocina).

L’unico inconveniente è che bisognerà rifare i biglietti da visita: la siglia CEO diventerà “Chief Executive Ossitocina”.

Niente paura: una spruzzatina sul naso del direttore finanziario dell’agenzia e zac!, il gioco è fatto.
Beh, buona giornata.

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Quando una campagna diventa (contemporaneamente) il brief di altre due.

La colpa non è nel plagio. Può succedere. La colpa è di aver fatto solo e soltanto quello che gli era stato chiesto. Senza preoccuparsi di dove nascesse quella richiesta. Senza informarsi da dove scaturisse quel compito. Senza guardare prima che cosa era già stato fatto. Non dovrebbe succedere.

E invece succede che due importanti vettori italiani fanno praticamente la stessa campagna. Una dice che lei (la compagnia aerea) “fa volare l’Italia”. L’altra dice che grazie a lei (la compagnia aerea) “facciamo volare alto il Paese”. E’ lo stesso posizionamento, non tanto tra i due contendenti, quanto di un’altra campagna: “Fiumicino vola”, firmata da ADR, Aeroporti di Roma, uscita un paio di mesi fa e tutt’ora “on air” (trattandosi di trasporto aereo, “on air” ci sta bene).

Evidentemente, camminando per i corridoi dell’aeroporto di una importante città italiana, dove entrambe le compagnie hanno le rispettive basi di armamento, cioè la sede principale, e dove tutt’ora campeggiano grandi e piccole installazioni con su la campagna “Fiumicino vola”, a qualcuno degli uni contemporaneamente a qualcun altro degli altri è venuta improvvisamente la stessa idea: sono io che faccio volare qualcosa.

Lecito, comprensibile, scusabile, ingenuo. Niente di male. Solo che se una struttura aeroportuale dice che fa volare se stessa, con tanto di foto di persone di tutto il mondo che alzano gli occhi al cielo per verificare o testimoniare il decollo dell’aeroporto, questa è un’idea, proprio perché dichiara apertamente di essere un “nonsense”.

Però, quando la stessa idea viene applicata contemporaneamente a due compagnie aeree, tra loro concorrenti nello stesso mercato domestico, i cui voli partono in gran parte dal medesimo aeroporto che sta facendo, prima di loro, una campagna originale, che per plagio concettuale diventa simile, va da sé che il “nonsense” si sposta dall’oggetto della comunicazione ai soggetti che le hanno concepite, realizzate e stampate sui media.

Si sa che il “cliente ha sempre ragione”. Le agenzie di pubblicità no. Ogni tanto bisognerebbe dire al cliente che ha torto, non fosse altro per il fatto che le due campagne delle due compagnie in questione non solo sono uguali tra loro, ma sono state generate da una campagna precedente e per giunta nata nello stesso settore merceologico, che oltre tutto è un loro fornitore: per montare su un aereo bisogna passare per l’aeroporto da cui il volo parte, quindi acquistare servizi utili al volo (attracco ai moli, rifornimento del carburante, gestione dei bagagli, biglietteria, check- in, controlli di sicurezza, senza contare negozi, bar, ristoranti, edicole.)

Il risultato di questo copia-copia pubblicitario (concettuale, prima ancora che estetico) rischia di diventare grottesco: entro in un aeroporto che “vola”, monto su un aereo che fa “volare” il paese. Ho le vertigini, tutto mi vola intorno. Vuoi vedere che alla fine mi girano davvero: io (passeggero) pago e loro mi pigliano in giro.

Quando una campagna (in questo caso due) dichiara smaccatamente che “verba volant”si fa un pessimo lavoro per i clienti, per i clienti dei clienti, per i clienti della pubblicità in genere.
Beh, buona giornata.

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Rom by night.

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.”

Beh, buona giornata.

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La cellula clandestina.

Un gruppo di ricercatori dell’Università del Queensland, in Australia, hanno scoperto come le cellule nervose possono rigenerarsi e questo apre la strada a nuovi trattamenti per ictus e demenza.

In particolare, gli studiosi hanno scoperto come la stimolazione ambientale raggiunge l’ippocampo e fa scattare l’emissione di molecole che stimolano le cellule staminali a produrre neuroni.

La qual cosa significa che i neuroscienziati australiani hanno individuato una cellula staminale chiave nel cervello associata con l’apprendimento e la memoria.

L’apprendimento di nuovi scenari della comunicazione commerciale in Italia è scarso, al disotto della media europea.

La memoria della buona pubblicità da noi è quasi estinta. Si è interrotta la trasmissione di generazione in generazione dei fondamentali del nostra mestiere.

Il che significa che questa benedetta cellula staminale in Italia è un cellula clandestina. Beh, buona giornata.

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La maledizione del nuovo.

La convenzione positivista di stampo ottocentesco, secondo la quale il nuovo è meglio del vecchio è superata. Il concetto di nuovo si è logorato durante gli ultimi anni del ‘900. Con l’arrivo del Terzo Millennio, il nuovo è diventato vecchio, rancoroso, pericoloso, per sé e per gli altri.

Il nuovo non dialoga, rifiuta il confronto, il nuovo non vuole essere spiegato: si impone con l’arroganza della sua potenza. Il nuovo va cambiato, perché è brutto.

Il nuovo assetto della comunicazione commerciale globale è la dimostrazione pratica che il nuovo è pericoloso e inconcludente. Il nuovo è un inganno: annaspa, distrugge e non combina niente di buono.

Il nuovo si è imposto all’attenzione del mondo l’11 Settembre del 2001. Nuovo terrorismo, nuova guerra al terrorismo, nuova crisi economica, nuova manipolazione. Nuovo disastro: la crisi dei prezzi del petrolio.

Lo hanno detto con chiarezza Bauman, in “La società sotto assedio”, piuttosto che Klein in “Shock Economy”.

La potenza della comunicazione di massa ha massificato comportamenti, stili di vita, punti di vista. E li sta distruggendo. Abbiamo trasformato i target di riferimento in “stock options” del consenso, come se fossero quotati in una “Borsa” dei valori individuali. Non sono stabili i valori finanziari, figuriamoci quelli personali.

Il nuovo ha separato la produzione di idee dalla produzione dei veicoli sui quali le idee dovevano viaggiare, cioè i media.
Da una parte l’Agenzia “creativa”, dall’altra l’Agenzia media. Al media è rimasto potere contrattuale, ricerche, know how. Alla “creativa” il cerino (spento) in mano: niente autorevolezza, niente credibilità, niente soldi.

Bell’affare: il nuovo ha distrutto valore, invece che costruirlo. Infatti, anche il media ha cominciato a soffrire: dopo l’euforia di essere diventato “single”, è cominciata la fase della depressione.

Così che la creatività italiana sembra il classico figlio di due genitori separati.

Media vecchi e nuovi si guardano in cagnesco. Tv, stampa, radio e internet se potessero, invece che investire risorse, investirebbero il concorrente.
Allo stato dei fatti, invece che idee, vendono sconti: come nella classica barzelletta dell’uomo che voleva far dispetto alla moglie, si tagliano i “budget”.

I più accorti dicono che ormai con la pubblicità non si fanno più i soldi. Se ne sono accorti perché non ne hanno più, di idee.

Indietro non si torna. Ma per andare avanti l’unica è superare il nuovo, il più velocemente possibile.
Oltre il nuovo c’è pensare, creare, osare. E poi dirlo, scriverlo, realizzarlo.
E per farlo, battersi. Ci vogliono più palle, e meno balle sul nuovo. Beh, buona giornata.

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Attenti alle formiche.

Crolla il mito della formica altruista, che si sacrifica per il bene di una società dove regna l’egualitarismo. In realtà anche tra quegli insetti esistono le piaghe del classismo, del nepotismo e della corruzione.

Lo sostiene un entomologo inglese, William Hughes, docente all’Università di Leeds. A detta dell’entomologo, le formiche non lavorano sempre per il bene della propria colonia, ma sono anche capaci di una “promozione egoistica dei propri geni individuali”. A ben vedere, la cosa è abbastanza visibile in certi ambienti di lavoro, per esempio le agenzie di pubblicità.

Ci sono “formiche” che si danno un gran da fare, sembrano operose, instancabili. E invece, sono la quinta essenza della “promozione egoistica dei propri geni individuali”. Sono zelanti col capo, sono insopportabili con i colleghi. Sono perniciose, come l’acido formico che hanno in quelle piccole, ma fastidiose, tenagliette.

Producono eventi inesistenti, provocano allarmi senza ragione, agiscono senza costrutto, che non sia, appunto la “promozione egoistica dei propri geni individuali”.

Non costruiscono il formicaio, cioè l’agenzia; distruggono i fondamentali, cioè la creatività. Tendono, una mollichella per volta, a minare il lavoro, a cominciare dal metodo di lavoro. Credono che l’agenzia sia un luogo di auto-promozione egoistica, invece che una fucina di idee. Non risolvono problemi, li creano in continuazione, instancabilmente, come formiche, appunto. I problemi non si fatturano, i lay-out sì. Ma che importa.

A loro che importa: fanno peggio delle cicale. Chiacchierano, concionano, vivono nel rametto basso dell’albero della vita professionale e secernono piccole sentenze. Non parlano, si ascoltano aprir bocca. E se ne compiacciono, perché mirano a compiacere. Fieri di sé, ragionano con la testa del capo in testa.

L’ agenzia di pubblicità è il luogo ideale dell’azzardo mentale, dell’esagerazione semantica, della provocazione intellettuale, del superamento scellerato delle regole.

Loro no, loro sono i guardiani della conservazione, i talebani del già fatto, i kamikaze della muffa.

E hanno pretese, oh se hanno pretese: vogliono mettere bocca su tutto, ambiscono a essere più realisti del re, cioè più prudenti del più prudente tra i clienti, più smargiasse del più smargiasso tra i ceo delle agenzie.

Come le formiche, presidiano il perimetro della loro esistenza. Pervicacemente, con metodo ossessivo, compulsivo, ripetitivo. Non reagiscono alle sollecitazioni, semplicemente pizzicano se qualcuno gli attraversa il percorso.

Però hanno una dote incommensurabile: sanno mentire. Sanno trasportare anche grandi menzogne, con la stessa stupefacente forza che hanno le formiche quando si fanno carico di pesi più grandi di loro.

Questo le rende insuperabili agli occhi del mondo. Sono la prova provata che le bugie hanno le gambe corte. Forse è proprio per questo che infestano la pubblicità italiana. Beh, buona giornata.

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