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Ultima chiamata per fermare la legge-bavaglio.

http://www.avaaz.org/it/

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Prima rompe con FIOM, poi con Confindustria: dove vuole arrivare la Fiat?

La Fiat si prepara a lasciare l\'Italia?

(Clicka sulla frase in rosso e vedi il commento in video).

L’assemblea dei delegati accoglie la proposta di mobilitazione di gruppo contro il piano industriale del Lingotto e Fabbrica Italia. “Bisogna mandare un segnale che non siamo rassegnati”, dice Airaudo
La manifestazione degli operai di Irisbus, azienda del gruppo Fiat
MILANO – L’assemblea dei delegati Fiom ha accolto la proposta della segreteria per uno sciopero nazionale di 8 ore il 21 ottobre in tutto il gruppo Fiat, approvando all’unanimità il documento. Mobilitazione che sarà estesa alle aziende della componentistica, con una manifestazione nazionale a Roma.

“Fabbrica Italia non esiste” ha tuonato il segretario nazionale Fiom, Giorgio Airaudo che ha aggiunto: “Bisogna mandare un segnale che non siamo rassegnati”. Secondo il rappresentante delle tute blu di Cgil la stessa uscita del Lingotto da Confindustria è una vicenda che “riguarda gli assetti del Paese e le libertà democratiche. Siamo di fronte a un tentativo di costruire un modello sociale diverso, un modello di rappresentanza e di rapporti diversi. E quello che ci viene proposto in Italia non è altro che la coda del fallimento del modello americano”.

Airaudo ha quindi sottolineato il momento difficile della vertenza Fiat, motivo in più per dare un “segnale importante”. Lo sciopero del 21 ottobre e la manifestazione a Roma “sono indispensabili. E’ una risposta a quello che ci viene proposto e serve per non lasciare soli i lavoratori degli stabilimenti della Irisbus di Valle Ufita e di Termini Imerese”.

Sui diritti di rappresentanza e sulle libertà sindacali Fiom realizzerà un libro bianco e proporrà al Parlamento una commissione di inchiesta: “E’ necessario costruire una campagna di denuncia su questi temi”, ha concluso Beh, buona giornata.

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democrazia Leggi e diritto Media e tecnologia

Il tuo click per fermare la legge bavaglio.

Cari amici in Italia,

E’ vergognoso! E’ tornata l’infame “legge bavaglio” e il Parlamento potrebbe adottarla in qualunque momento: soltanto un enorme grido d’indignazione può fermarla.

La coalizione di Berlusconi è in frantumi, ma nel crollo si sta trascinando la sua maggioranza per portare a segno la “legge bavaglio”, che minerebbe sensibilmente il potere del nostro sistema giudiziario di combattere il crimine e la corruzione, e imporrebbe sanzioni draconiane contro editori, giornalisti e blogger. L’anno scorso abbiamo combattuto questa legge e abbiamo vinto. Anche questa volta dipende solo da noi: battiamoci con tutte le nostre forze per salvare la nostra democrazia!

Il bavaglio potrebbe diventare legge in ogni momento! Mezzo milione di italiani sta chiedendo al Parlamento di respingere la “legge bavaglio” e proteggere così la libertà di stampa: raggiungiamo ora le 750.000 firme! Clicca sotto per firmare e inoltra questa e-mail a tutti quelli che conosci – la petizione sarà consegnata direttamente ai parlamentari durante ogni voto cruciale da ora fino alle prossime due settimane:

http://www.avaaz.org/it/no_bavaglio_2/?tta

A fronte di nuovi vergognosi scandali sessuali e episodi di corruzione che hanno colpito il Premier e alcuni membri del governo, incluse accuse di prostituzione minorile e appalti assegnati in cambio di ragazze, il governo di Berlusconi sta facendo di tutto per far passare questa legge, che limiterebbe pericolosamente il potere giudiziario e metterebbe il bavaglio agli editori, i giornalisti e i blogger.

L’anno scorso abbiamo costretto il Parlamento a chiudere nel cassetto la “legge bavaglio”, grazie a un’enorme mobilitazione pubblica, che ha attirato l’attenzione dei media internazionali e ha aiutato a dividere la coalizione governativa. Ma ora che il suo disastroso mandato sta volgendo al termine, Berlusconi sta disperatamente cercando di proteggere se stesso e i suoi alleati dalle condanne e censurare preventivamente la stampa per fermare nuovi scandali dall’essere pubblicati.

Se la “legge bavaglio” passerà, non potremo più raccogliere le prove investigative contro i casi di corruzione e mafia e chiedere conto ai nostri politici, e un fondamento della nostra democrazia sarebbe distrutto. Solo noi possiamo fermare tutto questo! Firma la petizione urgente ora e invita tutti i tuoi amici a farlo:

http://www.avaaz.org/it/no_bavaglio_2/?tta

Negli ultimi due anni insieme siamo riusciti a ostacolare i molteplici tentativi di Berlusconi di imporre i bavagli ai media, al sistema giudiziario e a internet, che avrebbero messo in pericolo il cuore della nostra democrazia. Ma ora che questo scandaloso governo è al tramonto, Berlusconi ci sta provando di nuovo. Non possiamo abbassare la guardia proprio ora: siamo noi i guardiani della nostra democrazia. Il complotto del governo è ora all’attacco, e sta a noi dimostrare che continueremo a combattere finché i nostri diritti fondamentali e le nostre libertà siano definitivamente rispettati e protetti.

Con determinazione,

Giulia, Luis, Alice, Ricken, Pascal, Benjamin e il resto del team di Avaaz

Più informazioni:

Corriere della Sera – Un divieto senza senso
http://www.corriere.it/politica/11_ottobre_05/intercettazioni-un-divieto-senza-senso-giovanni-bianconi_2c8831be-ef16-11e0-a7cb-38398ded3a54.shtml

Il Fatto quotidiano – Giulia Bongiorno: “Non sarò relatrice di questo obbrobrio”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/04/intercettazioni-bongiorno-non-saro-certo-la-relatrice-di-questo-obbrobrio/162069/

La Repubblica – Caselli: “Togliere le intercettazioni è come eliminare ai medici le Tac”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/04/intercettazioni-bongiorno-non-saro-certo-la-relatrice-di-questo-obbrobrio/162069/

Wikipedia – La protesta contro la “legge bavaglio”
http://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Comunicato_4_ottobre_2011

Valigia blu – Comma ammazza-blog: un post a rete unificata
http://www.valigiablu.it/doc/540/comma-ammazza-blog-un-post-a-rete-unificata.htm

La libertà è partecipazione informata – raccolta firme contro la legge bavaglio
http://nobavaglio.it/

CHI SIAMO
Avaaz.org è un’organizzazione no-profit e indipendente con 9 milioni di membri da tutto il mondo, che lavora perché le opinioni e i valori dei cittadini di ogni parte del mondo abbiano un impatto sulle decisioni globali (Avaaz significa “voce” in molte lingue). I membri di Avaaz vivono in ogni nazione del mondo; il nostro team è sparso in 13 paesi distribuiti in 4 continenti e opera in 14 lingue. Clicca qui per conoscere le nostre campagne più importanti, oppure seguici su Facebook o Twitter.

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Leggi e diritto Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Decreto ammazza blog: viva Venezia.

Il Comune di Venezia ha aderito alla protesta del web contro il comma 29 del Ddl Alfano sulle intercettazioni. Si tratta del cosiddetto “ammazza blog”, che equipara i blog ai siti di informazione e prevede multe di 12 mila euro per mancate rettifiche a notizie.

“Si tratta di un vero e proprio attacco alla libertà di comunicazione portato fino al cuore dei social network e, quindi, al cuore della moderna libertà di espressione”, si legge in un comunicato dell’assessore alla Cittadinanza digitale Gianfranco Bettin.

“Il Comune di Venezia – continua la nota – ritiene un diritto fondamentale l’accesso alla Rete e la libertà di espressione attraverso di essa. Per questo aderisce alla protesta contro ogni ottusa e prepotente limitazione alla piena libertà di espressione”. Venezia è davvero una gran bella città. Beh, buona giornata.

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democrazia Leggi e diritto Media e tecnologia

Ci risiamo: il governo Berlusconi contro i blog.

INTERNET
Bavaglio al web col ddl intercettazioni
ritorna la norma “ammazza blog”-repubblica.it
Il governo ripresenterà lo stesso disegno di legge, inclusa la disposizione che obbliga i gestori di un sito a modificare i contenuti pubblicati se oggetto di richieste di rettifica. Nessuna possibilità di replica e multe salate. In Rete riparte la mobilitazione. Di Pietro sul web: “Non staremo con le mani in mano”

Il governo torna alla carica sul ddl intercettazioni, fortemente voluto dal premier Silvio Berlusconi. Una questione su cui l’esecutivo è orientato a porre la fiducia, bloccando la via a ogni eventuale emendamento.

Ma il disegno di legge attualmente allo studio contiene ancora la norma 1 cosiddetta “Ammazza blog”, una disposizione per cui, letteralmente, ogni gestore di “sito informatico” ha l’obbligo di rettificare ogni contenuto pubblicato sulla base di una semplice richiesta di soggetti che si ritengano lesi dal contenuto in questione. Non c’è possibilità di replica, chi non rettifica paga fino a 12mila euro di multa. Una misura che metterebbe in ginocchio la libertà di espressione sulla Rete, e anche le finanze di chi rifiutasse di rettificare, senza possibilità di opposizione, ciò ha ritenuto di pubblicare. Senza contare l’accostamento di blog individuali a testate registrate, in un calderone di differenze sostanziali tra contenuti personali, opinioni ed editoria vera e propria.

Ai fini della pubblicazione della rettifica, non importa se il ricorso sia fondato: è sufficiente la richiesta perché il blog, sito, giornale online o quale che sia il soggetto “pubblicante” sia obbligato a rettificare. Ecco il testo: “Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”.

Al di là delle diffamazioni e degli insulti, ogni contenuto sul web diventerebbe potenzialmente censurabile, con l’invio di una semplice mail. E sul ddl intercettazioni, il governo ha particolarmente fretta: il documento potrebbe passare così com’è entro pochi giorni. Un caso unico in Europa che, come in passato 2, sta già allarmando il popolo del web e mobilitando i cittadini in favore della difesa della libertà di informazione, come già accaduto ai tempi della contestata delibera AgCom. 3

Sulla sua pagina di Facebook, il presidente dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, scrive che “Il governo prova ancora una volta a mettere il bavaglio al web. Il ddl intercettazioni, infatti, prevede anche che qualunque blog, sito, portale o social network riceva una richiesta da soggetti che si ritengano lesi da un contenuto pubblicato, sia obbligato a rettificare entro 48 ore. E’ la solita norma ‘ammazzablog’. La rete si sta già ribellando e state certi che anche noi dell’IdV non staremo con le mani in mano”. (Beh, buona giornata).

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Leggi e diritto Potere

Berlusconi bigia la Procura di Napoli?

«Io – ha detto Berlusconi, secondo quanto riporta Il Messaggero, – faccio le cose che si devono fare. Dopo la decisione di Stark di lasciare la Bce si è posto come importante il problema di rassicurare tutte le istituzioni europee, la commissione, il consiglio dei capi di Stato e di Governo e il Parlamento europeo della serietà della nostra manovra, della tenuta dei nostri conti pubblici e della situazione di benessere dell’intera nostra economia. Credo sia mio dovere recarmi a Bruxelles e Strasburgo per questi incontri».

I fatti sono che Stark si è dimesso venerdì, e la richiesta italiana di incontrare i leader della Ue è di almeno due giorni prima. E cioè poche ore dopo la richiesta dei giudici di interrogare Berlusconi sul caso Tarantini-Lavitola, e l’appuntamento preso dai suoi avvocati e fissato per il prossimo martedì a Palazzo Grazioli. Ancora non sono cominciate le scuole e Berlusconi già bigia. Beh, buona giornata.

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democrazia Lavoro Leggi e diritto

C’era una volta una Repubblica fondata sul Lavoro.

di Luciano Gallino-la Repubblica.

Se diventano legge, le modifiche all´art. 8 del decreto sulla manovra economica avranno effetti ancor più devastanti per le condizioni di lavoro e le relazioni industriali di quanto non promettesse la prima versione. I ritocchi al comma 1 rendono più evidente la possibilità che sindacati costituiti su base territoriale – si suppone regionale o provinciale, e perché no, comunale – possano realizzare con le aziende intese che, in forza del successivo comma 2, riguardano la totalità delle materie inerenti all´organizzazione del lavoro e della produzione. Da un lato si apre la strada a una tale frammentazione dei contratti di lavoro e delle associazioni sindacali da rendere in pratica insignificante la presenza a livello nazionale dei sindacati confederali; un esito che la maggioranza di governo punta da anni a realizzare.
Dall´altro lato la combinazione dei commi 1 e 2 darebbe origine a veri mostri giuridici. Il comma 2 stabilisce infatti che le intese sottoscritte da associazioni dei lavoratori più rappresentative anche sul piano territoriale valgono per la trasformazione dei contratti di lavoro e per le conseguenze del recesso del rapporto di lavoro. Come dire che se il sindacato locale accetta che uno possa venir licenziato con tre mesi di salario come indennità e basta, tutti i lavoratori di quel territorio dovranno sottostare a tale clausola. C´è dell´altro. Le eventuali intese tra sindacati e aziende riguardano anche le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese – si noti bene – le collaborazioni coordinate o a progetto e le partite Iva. Il che significa che il sindacato potrebbe sottoscrivere dei contratti che prevedono l´impiego di lavoratori autonomi, quali sono formalmente i collaboratori e le partite Iva, come lavoratori dipendenti. Finora, se qualcuno cercava di realizzare simile aberrazione, finiva dritto in tribunale. L´art. 8 del decreto trasforma l´aberrazione in legge.
Quanto al nuovo comma 2-bis, esso abolisce di fatto non solo l´art. 18, bensì l´intero Statuto dei lavoratori. E con esso un numero imprecisato di disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2, visto che nell´insieme essi abbracciano ogni aspetto immaginabile dei rapporti di lavoro. Ciò è reso possibile dalla esplicita indicazione che le intese di cui al primo comma operano anche in deroga alle suddette disposizioni ed alle regole contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro. A ben vedere, il legislatore poteva condensare l´intero articolo 8 in una sola riga che dicesse “i contratti collettivi nazionali sono aboliti e con essi tutte le norme concernenti il diritto del lavoro”.
Per quanto attiene alla tutela della parte più debole del contratto di lavoro, sarebbe quindi un eufemismo definire scandaloso il complesso del nuovo articolo 8 del decreto. Ma è giocoforza aggiungere che esso è anche penosamente miope per quanto riguarda il contributo che una riforma delle condizioni di lavoro potrebbe dare ad una ipotetica ripresa dell´economia. Il nostro Paese avrebbe bisogno, per menzionare un solo problema, di cospicui interventi nel settore della formazione continua delle sue forze di lavoro, di ogni fascia di età. È un settore in cui siamo indietro rispetto ai maggiori paesiUe. Questo decreto che punta in modo così smaccato a dividere le forze di lavoro per governarle meglio li rende impossibili. Naturalmente, c´è di peggio: esso rende anche impossibile un significativo recupero mediante la contrattazione collettiva della quota salari sul Pil, la cui caduta – almento 10 punti in vent´anni – è una delle maggiori cause della crisi.
(Beh, buona giornata).

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democrazia Leggi e diritto

Entrerà nel Guinness dei primati: il Senato ha inventato il primo elenco anonimo di persone.

La Commissione Bilancio del Senato, su proposta del governo, ha modificato il testo là dove prevede la pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi su internet da parte dei Comuni: si farà, ma senza nomi e cognomi dei contribuenti: compariranno solamente per aggregati e categorie. A che serve? Boh! Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto Potere

Se potessi avere 20 mila euro al mese.

(Fonte: Ansa.it)

Per ora c’é un unico punto fermo sul quale sono tutti d’accordo, magistrati, indagati, testimoni e lo stesso premier: Berlusconi ha corrisposto ingenti somme di denaro all’imprenditore Giampaolo Tarantini.

E il nodo da sciogliere resta sempre quello: quei soldi, solo in parte finiti nella disponibilità di Tarantini – 20 milioni al mese per oltre un anno, più un finanziamento di 500mila euro – rappresentano il segno della generosità del presidente del Consiglio, deciso a venire incontro alle esigenze di un amico in difficoltà oppure (ed è la tesi di pm e gip) costituiscono la prova regina di un’estorsione ai danni di un Berlusconi sotto ricatto per la vicenda delle escort che l’imprenditore aveva condotta a Villa Certosa e Palazzo Grazioli?

Un interrogativo al quale le sette ore dell’interrogatorio di garanzia di Tarantini e della moglie Angela Devenuto, detenuti a Poggioreale con l’accusa di aver taglieggiato il premier, non ha fornito certo risposte incontrovertibili. Perché da un lato Tarantini, come ha scritto in un lungo memoriale e come hanno spiegato i suoi legali, ha ribadito di aver chiesto e ottenuto quelle somme dopo aver manifestato la grave situazione in cui era venuto a trovarsi, mentre dagli ambienti degli inquirenti traspare la convinzione di aver fissato un altro paletto a sostegno dell’accusa, dopo la deposizione di ieri della segretaria di Berlusconi, Marinella Brambilla, che ha ammesso di aver consegnato il danaro in contanti.

L’interrogatorio di garanzia, davanti al gip Amelia Primavera, è cominciato pochi minuti dOpo le dieci. Hanno partecipato tutti i sostituti del pool che si occupa dell’inchiesta coordinato dal procuratore aggiunto Francesco Greco – i pm Francesco Curcio, Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock – e i legali dei due indagati, Alessandro Diddi e Ivan Filippelli. La posizione di Tarantini è in pratica “sintetizzata” nelle 14 pagine del memoriale redatto prima dell’arresto ed è stata sostanzialmente ribadita dall’ imprenditore pugliese davanti al gip: l’appannaggio di 20mila euro mensili ricevuti per il tramite di Valter Lavitola (il direttore dell’Avanti destinatario di un ordinanza di custodia, che si trova all’estero) fu un atto di “liberalità” del premier; il danaro era ritirato dalla moglie, Angela Devenuto, presso gli uffici dello stesso Lavitola in via del Corso.

Tarantini afferma anche di aver chiesto a Berlusconi un prestito di 500mila euro per avviare un’attività imprenditoriale; il premier avrebbe acconsentito a tale richiesta, ma l’imprenditore si dice convinto che la somma sarebbe stata trattenuta da Lavitola.

In ogni caso Tarantini esclude in maniera categorica di aver ricattato Berlusconi. Ma perché il presidente del Consiglio avrebbe dovuto elargirgli tanti soldi? “A mio carico, spiega Tarantini, oltre alla mia famiglia, composta da mia moglie e da due bambine di due e sette anni, vi è quella di mio fratello, composta da moglie e figlio, nonché la mia anziana madre vedova. Peraltro ho numerosi debiti personali lasciati a Bari che non ho potuto onorare”. “A Bari – hanno spiegato gli avvocati al termine dell’interrogatorio – Gianpaolo Tarantini ha lasciato moltissimi debiti.

Deve soldi, per esempio, al benzinaio ed ai fornitori di cibo e di vino. Inoltre, si sente responsabile delle disavventure del fratello, che ha trascinato con sé in questa vicenda. Il denaro ricevuto da Berlusconi non serviva perciò a condurre una vita lussuosa ma a rimediare ad una serie di errori commessi”.

Ma c’é un passaggio della versione di Tarantini che i magistrati considerano di grande interesse, sotto il profilo della tesi accusatoria: il timore che una soluzione positiva del processo a suo carico a Bari avrebbe potuto determinare una sorta di disinteresse del premier nei suoi confronti. “Avevo il timore che una mia eventuale uscita dal processo avrebbe potuto determinare una caduta di attenzione da parte del presidente per le mie vicende. Mi rendo conto della puerilità del mio agire, avendo in quel momento anche dubitato della spontaneità e generosità del presidente, però all’epoca io ero ancora in attesa del finanziamento di 500mila euro che mi era stato promesso”. Intanto, la signora Devenuto è stata scarcerata. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Potere

Italia, paese di merda.

(fonte: Tiziana Testa – repubblica.it)

“…Anche di questo – dice Berlusconi, a proposito di alcuni aspetti della vicenda P4 – non me ne può importare di meno… perchè io… sono così trasparente… così pulito nelle mie cose… che non c’è nulla che mi possa dare fastidio… capito?… io sono uno… che non fa niente che possa essere assunto come notizia di reato… quindi… io sono assolutamente tranquillo… a me possono dire che scopo… è l’unica cosa che possono dire di me… è chiaro?… quindi io… mi mettono le spie dove vogliono… mi controllano le telefonate… non me ne fotte niente… io… tra qualche mese me ne vado per i cazzi miei… da un’altra parte e quindi… vado via da questo paese di merda… di cui… sono nauseato… punto e basta…”. (Beh, buona giornata).

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“Atomausstieg”, ovvero facciamo come la Germania, abbandoniamo il nucleare. Ecco un buon motivo per andare a votare sì.

Atomo, addio, di Riccardo Valsecchi- Avvenire dei Lavoratori

Ripristinando la decisione assunta dal governo rosso-verde di Gerhard Schroeder, l’attuale cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha deciso che la Germania rinuncerà all’energia nucleare. Il tema scompare così dai programmi di tutti i partiti presenti nel Bundestag. La terza potenza industriale del mondo avvia la sua fuoriuscita dall’atomo.

“Atomausstieg”, abbandono del nucleare: una parola, un sogno, uno slogan politico che oggi, dopo 42 anni dall’apertura del primo reattore atomico per uso commerciale sul territorio tedesco, pone una data definitiva, il 2022, per la chiusura del programma nucleare in Germania. A dare l’annuncio, lunedì scorso, dopo una notturna riunione tra i partiti di maggioranza, il ministro dell’ambiente Norbert Röttgen.

Il futuro dei 17 reattori attivi sul territorio è, come ha scandito il segretario dell’Unione Cristiano Sociale (CSU) Horst Seehofer, “ir-re-ver-si-bi-le”: chiusura immediata degli otto impianti più vecchi, scadenza al 31 dicembre 2021 per altri sei reattori e data finale di uscita dal programma nucleare fissata al 31 dicembre 2022 con la chiusura delle tre centrali Isar 2, Emsland e Neckarswestheim 2.

Una decisione, in realtà, che ripristina i limiti imposti dalla legge sul nucleare del 2002, approvata dall’allora governo SPD-Verdi e soppiantata non più di otto mesi fa da un decreto dell’attuale governo Merkel che prolungava l’attività nucleare per altri 14 anni.

Poi Fukushima e le successive sconfitte elettorali in Baden-Württemberg e Brema hanno imposto un drammatico dietrofront alla maggioranza. Oggi la Germania è la prima potenza industriale non solo che rinuncia in maniera definitiva all’uso del nucleare, ma che cancella l’aggettivo dal programma di tutti i partiti presenti nel Bundestag, di qualsiasi colore e posizione politica essi siano.

Ma, nonostante ciò, le polemiche non mancano.
Il mercato nucleare tedesco è attualmente dominato principalmente da tre colossi: E.ON, che detiene 6 dei 17 impianti attivi – più partecipazioni azionarie in altri quattro -, RWE, che possiede 6 reattori, ed EnBW, l’azienda pubblica del Baden Württemberg che gestisce i 4 impianti localizzati sul proprio territorio. L’impianto di Brunsbüttel, invece, è di proprietà per il 67 % della società svedese Vattenfall e per il 33% di E.On
Secondo Wolfgang Pfaffenberger della Jacobs University di Brema, gli otto reattori nucleari in chiusura forniscono attualmente guadagni per oltre 1,5 miliardi di euro e vendite per circa tre miliardi di euro l’anno. La totalità dei 17 impianti in funzione creerebbe circa quattro milardi di euro di profitto annuo, per un giro d’affari di 7,5 miliardi. Il solo gruppo E.ON, secondo una valutazione interna, avrà, come conseguenza della chiusura immediata di tre degli impianti attivi, una perdita sull’utile di circa il 30%.

Ad aggravare la situazione, l’imposta fiscale che dal gennaio 2011 impone il pagamento di 2,3 miliardi annui sul combustibile nucleare per la produzione commerciale di energia.

Gli analisti della Landesbank Baden-Württemberg valutano, nel complesso, una perdita di valore per E.On e RWE di circa il 6% e l’11%, con conseguente esposizione dei due giganti energetici alle mire espansionistiche dei rivali stranieri EFD e Gazprom.
Se le prospettive future per le due aziende appaiono tutt’altro che rosee, meglio non va per le municipalità dove hanno sede gli impianti.
“Ci aspettiamo un deficit annuo di circa tre milioni di euro” ha spiegato il tesoriere di Neckarwestheim, nel Baden-Wuerttemberg. “EnBW – la compagnia che controlla l’impianto locale – è il più grande contribuente della zona.”

A Phillipsburg il sindaco Martus (CDU) è rimasto anch’egli perplesso: “Grazie alle tasse pagate dal gestore dell’impianto EnBW la nostra piccola cittadina di 12.600 abitanti si è potuta permettere un ginnasio, una scuola secondaria e una scuola speciale.” Secondo il sindaco, Phillipsburg dovrebbe comunque rimanere in futuro un centro d’infrastrutture energetiche, in virtù dell’impianto solare costruito a ridosso della cittadina e inaugurato quest’anno – con 87.500 metri quadrati di pannelli, il più grande impianto solare sul territorio tedesco -.

Hildegard Cornelius-Gaus è il sindaco di Biblis in Assia, dove sono localizzati due reattori RWE. Mercoledì scorso, in una conferenza stampa, ha ricordato lo scompenso fiscale dovuto alla chiusura degli impianti: “L’impianto nucleare comporta più del 50 per cento delle nostre entrate fiscali.” La centrale locale, di proprietà RWE, dà lavoro a più di 1.000 persone e, secondo RWE, garantisce inoltre annualmente all’intera regione metropolitana del Rhein-Neckar-Kreis, tra attività correlate, strutture commerciali e alberghiere, circa 70 milioni di euro.

Le polemiche non si sono esaurite all’interno del confine nazionale. Sebbene, infatti, la decisione di Berlino abbia riacceso i focolari della speranza di un futuro antinucleare negli ambienti ecologisti di tutta Europa, i governi in carica con programmi già attivi sul proprio territorio, dalla Spagna fino alla Finlandia, passando per Francia, Gran Bretagna, Belgio, Paesi Bassi, Svezia e Polonia, si sono affrettati a precisare, intimoriti dall’eventuale boomerang mediatico, che la scelta della Germania non avrebbe avuto alcun effetto sulla loro politica energetica.

Il Commissario Europeo per l’energia, Guenther Oettinger, ex Presidente dei Ministri dello Stato del Baden-Württenberg, ha dichiarato in una conferenza a Vienna lunedì scorso che “la politica tedesca funzionerà solo se ci saranno dei miglioramenti strutturali, maggiori capacità di stoccaggio e più consistenti investimenti nelle nuove energie.” Ha poi aggiunto che “il nucleare continuerà a giocare un ruolo importante in Europa, dato che Paesi come la Francia sono estremamente dipendenti da esso, ma dopo la decisione di Berlino il gas – con tutto ciò che comporta in quanto a dipendenza energetica dall’estero – diventerà il vero fattore guida nella crescita.”
(Beh, buona giornata).

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La privatizzazione dell’acqua ha fatto aumentare le bollette. Un buon motivo per andare a votare sì.

Costi, dispersione, efficienza i falsi miti dell’acqua privata

In vista dell’appuntamento del 12 e 13 giugno, Altraeconomia ha realizzato un dossier che sfata, punto per punto, tutte le false credenze nate intorno alla privatizzazione del servizio idrico italiano. Gli acquedotti pubblici non sono affatto dei “colabrodo”. E gestione privata il più delle volte fa rima con bolletta salata di GIULIA CERINO-republica.it

MITO numero uno: gli acquedotti “pubblici” sono dei colabrodo. “Falso: secondo i dati di Mediobanca, il peggiore, se consideriamo la dispersione idrica (litri immessi in rete e non fatturati/abitanti/lunghezza della rete gestita), è quello di Roma, dove l’acquedotto è affidato ad Acea, una spa quotata in borsa i cui principali azionisti sono il Comune di Roma, Francesco Gaetano Caltagirone e Suez”. In vista del referendum del 12 e 13 giugno, Altraeconomia ha pubblicato un dossier “speciale” 1. Lo scopo? Sfatare punto per punto tutte le false credenze nate intorno alla privatizzazione del servizio idrico italiano. A partire dai costi. Secondo il Conviri (Commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche), per i prossimi 30 anni servono circa 64 miliardi di euro per la manutenzione e l’ammodernamento delle reti idriche di casa nostra. Due miliardi l’anno, una cifra standard necessaria in ogni caso, a prescindere dall’esito del referendum. Di questi, il 49,7% è diretto al comparto acquedottistico (per nuove reti, impianti e per manutenzione) mentre il 48,3% alle fognature e alla depurazione. A metterci i quattrini dovrebbero essere lo Stato, le Regioni e i Comuni d’Italia dato che quelli – spiega Pietro Raitano, direttore del mensile Altreconomia e curatore del dossier Speciale Referendum – sono “soldi delle nostre tasse, gli stessi che vengono usati anche per riparare le strade, per costruire il ponte sullo Stretto o per la Difesa”.

Ed ecco sfatato il secondo mito. Con l’ingresso dei privati, la bolletta non si ridimensionerà. Al contrario, ai costi standard appena elencati se ne aggiungono altri. Per fare i lavori infatti (gli stessi che dovrebbero fare gli enti pubblici) le aziende punteranno al risparmio tentando di “scaricare l’investimento sulle bollette, come previsto dalla legge”. Dunque, nel conto di ogni italiano saranno inclusi, oltre ai lavori ordinari, “anche gli utili delle aziende”, spiega Raitano. La concorrenza tra privati non basterà a contenere i costi. Anzi. In assenza di ulteriori interventi normativi e in virtù della legge Galli del 1994, come modificata dal dl 152/2006, i costi di tutti gli investimenti sulla rete acquedottistica finiranno in bolletta. Il business ringrazia. I consumatori non proprio perché – conclude Raitano – pretendere tariffe più basse significherebbe – trattando con dei privati – “necessariamente un blocco degli investimenti”.

La privatizzazione della gestione dell’acqua prevista dal decreto Ronchi (numero 135 del 2009) ha dunque di fatto provocato un aumento dei costi. A dimostrarlo sono anche le cifre del rapporto Blue Book 4 che ha pensato di confrontare le tariffe della gestione privata con quelle in house. Risultato? Nel primo caso sono aumentate del 12% rispetto alle previsioni, nel secondo il dato è rimasto quasi costante (solo l’1% in più). Conferma la tendenza anche l’annuale dossier 5, realizzato dall’Osservatorio Prezzi & Tariffe di Cittadinanzattiva, dal quale si scopre che dal 2008 il costo dell’acqua non ha fatto che aumentare: la media è del più 6,7%, con aumenti del 53,4% a Viterbo (record nazionale), Treviso (+44,7%) Palermo (+34%) e in altre sette città, dove gli incrementi hanno superato il 20%: Venezia (+25,8%), Udine (+25,8%), Asti (+25,3%), Ragusa (+20,9%), Carrara (+20,7%), Massa (+20,7%) e Parma (+20,2%).

In generale, gli incrementi si sono registrati in 80 capoluoghi di provincia ma è la Toscana che si conferma la regione con le tariffe mediamente più alte (369 euro). Costi più elevati della media nazionale anche in Umbria (339 euro), Emilia Romagna (319 euro), Marche, Puglia (312 euro) e Sicilia (279 euro) mentre capita spesso di trovarsi di fronte a differenze all’interno di una stessa regione: l’acqua di Lucca costa 185 euro in meno di quella di Firenze, Pistoia e Prato. Stessa cosa in Sicilia: tra Agrigento e Catania lo scarto è di 232 euro. D’altra parte, la logica che muove ogni business degno di tale nome – scrive Luigino Bruni, docente di economia politica all’università Milano-Bicocca – è quella di fare utili, possibilmente a breve termine. Il ragionamento fila: “Le imprese private hanno per scopo il profitto. Chi massimizza il profitto non tiene conto dell’ottimo sociale e difficilmente può essere controllato, nemmeno con un meccanismo di sanzioni”.

Sul tema dell’acqua poi sembra circolino tanti altri falsi miti. Si dice, ad esempio, che la gestione privata della rete idrica sia molto efficiente. Sbagliato. “Uno dei migliori acquedotti del nostro Paese – spiega Raitano – è quello di Milano, al cento per cento di gestione pubblica, dove l’acqua viene controllata più volte al giorno e le dispersioni sono minime”. E’ quindi “dogmatico dire che la gestione privata garantisce una migliore gestione della rete. Le esperienze che si sono fatte in questi anni in Calabria, ad Agrigento, a Latina dimostrano che dove gli acquedotti sono passati in mano ai privati c’è stato solo un aumento delle tariffe”. E’ successo in Calabria, dove alcuni sindaci della Piana di Gioia Tauro si sono visti raddoppiare la bolletta. A San Lorenzo del Vallo, comune di 3.521 abitanti della provincia di Cosenza, il conto è salito da 100 a 190 mila euro l’anno perché – spiega il sindaco – l’azienda che gestisce l’acqua in tutta la Calabria (la So.Ri.Cal) con concessione trentennale ha arbitrariamente aumentato la tariffa del 5%. Una cifra, questa, pari all’intero bilancio del piccolo comune che, non avendo saldato il debito, e stato dichiarato moroso.

Privati o no, la gestione idrica pubblica in Italia sembra aver fallito. Il Belpaese spreca acqua continuamente. Ogni giorno si perdono circa 104 litri di sangue blu per abitante, il 27% di quella prelevata. Considerando ogni singolo italiano si scopre che consumiamo a testa in media 237 litri di liquido al giorno: 39% per bagno e doccia, 20% per sanitari, 12% per bucato, 10% per stoviglie, 6% per giardino, lavaggi auto e cucina, 1% per bere e 6% per altri usi. A fronte di un terzo dei cittadini che non ha un accesso regolare e sufficiente alla risorsa idrica, otto milioni di italiani non ne hanno di potabile e 95 milioni di litri di acqua che, ogni anno, vengono usati per l’innevamento artificiale. Dunque il problema – conclude il dossier – non si risolve nemmeno affidando l’acqua ai privati che – per loro natura – tenderebbero a spostare le reti idriche nelle zone d’Italia più fruttuose. Il punto semmai è la totale assenza di un piano normativo, economico ed amministrativo nazionale volto a finanziare e supportare le tecnologie necessarie. In alcune regioni d’Italia mancano ancora gli Ato, ambiti territoriali ottimali, territori appunto su cui sono organizzati servizi pubblici integrati. Come quello dell’acqua o dei rifiuti. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto

La fedina penale del premier.

(fonte: repubblica.it)

P2, Falsa testimonianza
L’accusa: falsa testimonianza
La sentenza: condannato per aver giurato il falso davanti al Tribunale di Verona a proposito della sua iscrizione alla P2. L’amnistia del 1989 però copriva il reato, che è estinto.

Tangenti alla Guardia di Finanza
L’accusa: tangenti a ufficiali della Guardia di finanza per ammorbidire i controlli fiscali su quattro delle sue società.
La sentenza: in primo grado è condannato a 2 anni e 9 mesi per le quattro le tangenti contestate, senza attenuanti generiche. In appello, la Corte concede le attenuanti generiche, in questo modo la prescrizione scatta per tre tangenti. Per una invece viene concessa l’assoluzione con formula dubitativa del comma 2 dell’art. 530 del Codice di procedura penale che comprende la vecchia insufficienza di prove. La Cassazione assolve Berlusconi per non aver commesso il fatto, seppur richiamando l’insufficienza di prove.

All Iberian 1
L’accusa: finanziamento illecito estero su estero, tramite il conto All Iberian, a Bettino Craxi.
La sentenza: la condanna arriva in primo grado e corrisponde a 2 anni e 4 mesi. In appello, scatta la prescrizione. La Cassazione la conferma.

All Iberian 2
L’accusa: falso in bilancio.
La sentenza: l’inchiesta giudiziaria si chiude il 26 settembre 2005 con l’assoluzione di Silvio Berlusconi. La sentenza recita: “Assolto perché il fatto non costituisce più reato”. Il secondo Governo Berlusconi infatti approva la la riforma del diritto societario che depenalizza il reato di falso in bilancio.

Medusa cinematografica
L’accusa: falso in bilancio e frode fiscale per le operazioni legate all’acquisto della casa cinematografica Medusa dalla società Finivest (Reteitalia).
La sentenza: in primo grado viene condannato a un anno e quattro mesi. In appello viene assolto con formula dubitativa del comma 2 dell’art. 530 del Codice di procedura penale che comprende la vecchia insufficienza di prove. La Cassazione conferma tutto.

Terreni di Macherio
L’accusa: apporpriazione indebita, frode fiscale e falso in bilancio, sostenendo che attraverso l’operazione di acquisto dei terreni di Macherio, le società del gruppo Fininvest avrebbero accantonato quasi cinque miliardi da utilizzare per pagamenti non proprio cristallini, tanto da non poter apparire nei bilanci ufficiali delle società del gruppo.
La sentenza: in primo grado è stato assolto dai reati di appropriazione indebita e di frode fiscale, mentre per le due imputazioni di falso in bilancio contestate è scattata la prescrizione. Nell’ottobre del ’99 viene confermata l’assoluzione per il reato di frode fiscale e per uno dei due falsi in bilancio. Il secondo in invece è coperto dall’amnistia.

Processo Lentini
L’accusa: falso in bilancio. Secondo l’accusa, l’acquisto del giocatore del Torino, Gianluigi Lentini, avvenne in parte alla luce del sole e per il resto con un pagamento fuori bilancio di 10 miliardi delle vecchie lire.
La sentenza: il processo si conclude definitivamente con il proscioglimento di Berlusconi per intervenuta prescrizione del reato.

Bilanci Fininvest 1988-92
L’accusa: falso in bilancio e appropriazione indebita
La sentenza: archiviazione per prescrizione dei reati di falso in bilancio e appropriazione indebita nell’acquisto di diritti televisivi da parte di alcune società off-shore del gruppo Fininvest, a causa delle attenuanti generiche.

Consolidato Fininvest
L’accusa: fondi neri. Il gruppo Fininvest si sarebbe servito tra il 1989 e il 1996 di una “tesoreria occulta”, in grado di movimentare i 750 milioni di euro (1500 miliardi di vecchie lire) attraverso 60 conti bancari e decine società estere.
La sentenza: i fatti entrano in prescrizione, il governo aveva dimezzato i tempi di prescrizione con una legge ad hoc.

Lodo Mondadori
L’accusa: corruzione in atti giudiziari. L’avvocato di Silvio Berlusconi, Cesare Previti, viene accusato di aver comprato il giudice Metta in modo da ottenere una decisione a suo favore nel giudizio di impugnazione per nullità del Lodo Mondadori, dal cui esito dipendeva la proprietà della casa editrice.
La sentenza: in primo grado viene condannato Cesare Previti. Grazie alla concessione delle attenuanti generiche il reato è stato dichiarato prescritto dalla Corte d’Appello di Milano e dalla Corte di Cassazione

Processo Sme/Ariosto 1
L’accusa: corruzione dei giudici di Roma nell’intricata vicenda della vendita del comparto agro-alimentare dell’Iri alla Cir, la finanziaria di Carlo De Benedetti. La vicenda giudiziaria risale al 1985, quando una cordata di industriali formata tra gli altri da Silvio Berlusconi, Michele Ferrero e Pietro Barilla, scese in campo su sollecitazione dell’allora premier Bettino Craxi per contrastare la vendita della Sme (il colosso pubblico del settore alimentare), già firmata dal presidente dell’Iri Romano Prodi, a favore della Cir di Carlo De Benedetti.
La sentenza: assoluzione con formula piena

Processo Sme/Ariosto 2
L’accusa: falso in bilancio nell’ultimo stralcio di procedimento nato con il caso-Sme. Gli episodi contestati all’ex premier risalivano alla fine degli anni Ottanta.
La sentenza: viene assolto perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Il secondo Governo Berlusconi infatti approva la la riforma del diritto societario che depenalizza il reato di falso in bilancio.

Mediaset (processo aperto)
L’accusa: falso in bilancio e frode fiscale.
La situazione: l’indagine, partita agli inizi del 2001, ha scoperto un metodo secondo cui, attraverso la mediazione dell’agente di origini egiziane, Frank Agrama, Mediaset sovrafatturava il prezzo dei format televisivi acquistati dalle case di produzioni statunitensi. I pagamenti avvenivano attraverso conti esteri. il processo si è fermato due volte per legittimo impedimento. È destinato alla prescrizione.

Caso Mills (processo aperto)
L’accusa: corruzione in atti giudiziari per aver compensato l’avvocato inglese David Mills con 600 mila dollari. La falsa testimonianza del legale inglese per essere favorito nel processo All Iberian e in quello sulle presunte tangenti alla Guardia di Finanza.
La situazione: il processo in cui è imputato Berlusconi è uno stralcio di quello principale, ed è tutt’ora in corso. Ma ha subito numerosi stop per il legittimo impedimento, la prescrizione scatta nel 2012. David Mills invece è stato condannato a 4 anni e 6 mesi. La condanna però viene annullata: il reato pur essendo stato commesso è prescritto.

Mediatrade (processo aperto)
L’accusa: appropriazione indebita e frode fiscale.
La situazione: il procedimento è in corso davanti al gup Maria Vicidomini. Serviranno diversi mesi prima di sapere se il premier verrà rinviato a giudizio o prosciolto, dopo lo stop della Consulta sul “legittimo impedimento”.

Ruby (processo aperto)
Le accuse: concussione e prostituzione minorile.
La situazione: Berlusconi viene rinviato a giudizio dal gup Cristina Di Censo. La prima udienza di smistamento c’è stata il 6 aprile. La prossima sarà il 31 maggio. (Beh, buona giornata).

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democrazia Leggi e diritto Media e tecnologia Società e costume

“C’è chi vede, in quella coazione a mentire, l’archetipo del Bambino come se alloggiasse nell’inconscio del Cavaliere una personalità che “ragiona” in base al principio di piacere e non al principio di realtà.”

Il grande imbroglione,di GIUSEPPE D’AVANZO-La Repubblica.

BERLUSCONI mente con costante insolenza. È una consuetudine che da sempre sollecita molte attenzioni per afferrarne le ragioni, per così dire, costitutive. Per dirne una. C’è chi vede, in quella coazione a mentire, l’archetipo del Bambino come se alloggiasse nell’inconscio del Cavaliere una personalità che “ragiona” in base al principio di piacere e non al principio di realtà. Lungo questa via è suggestiva l’interpretazione di chi avvista Berlusconi afflitto da “pseudologia phantastica”.

«Una forma di isteria caratterizzata dalla particolare capacità di prestar fede alle proprie bugie. Di solito succede – scrive Carl G. Jung – che simili individui abbiano per qualche tempo uno strepitoso successo e che siano perciò socialmente pericolosi». Sono accostamenti utili e intriganti, ma rischiano di annebbiare quel che è semplice e chiaro da tempo: se l’imbroglione è, come si legge nei dizionari, «una persona che ricorre al raggiro come espediente abituale», Berlusconi è innanzitutto un imbroglione.

È un imbroglio, un abituale inganno l’ultimo flusso verbale del capo del governo – che come sempre parla soltanto di se stesso, soltanto del suo prezioso portafoglio, soltanto dei complotti che gli impedirebbero di governare e arricchirsi. Berlusconi manipola fatti, eventi e contingenze della sua storia di imprenditore e di politico per mostrarsi vittima di un’aggressione, nell’una come nell’altra avventura. Deve farlo, il Cavaliere, poverino.
Non solo per una fantasia di potenza adolescenziale (anche per quello), ma (soprattutto) per la consapevole accortezza di dover nascondere il catastrofico fallimento della sua leadership e i sistemi che ne hanno fatto un uomo di successo.

Dice il Cavaliere: «Mi trattano come se fossi Al Capone». Il fatto è che Berlusconi, con Al Capone, condivide il rifiuto delle regole, il disprezzo della legge, l’avidità, una capacità di immaginazione delirante. Come Al Capone testimonia simbolicamente la crisi di legalità negli Stati Uniti degli Anni Venti, Berlusconi rappresenta – ne è il simbolo – l’Italia corrotta degli Anni Ottanta e Novanta, la crisi strutturale della sfera pubblica che ancora oggi, nonostante Tangentopoli, comprime il futuro del Paese. Berlusconi è tutt’uno con quella storia e senza amnistie, riforme del codice (falso in bilancio) e della procedura (prescrizione) preparate dai suoi governi, egli sarebbe considerato un “delinquente abituale”.

Scorriamo i reati che gli sono stati contestati nei dodici processi che ha subito finora. La fortuna del premier è il risultato di evasione fiscale; falso in bilancio; manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio; corruzione della politica (che gli confeziona leggi ad hoc); della polizia tributaria (che non vede i suoi conti taroccati); dei giudici (che decidono dei suoi processi); dei testimoni (che lo salvano dalle condanne). Senza il dominio nell’informazione e il controllo pieno dei “dispositivi della risonanza”, sarebbe chiaro a tutti come la chiave del successo di Berlusconi la si debba cercare nel malaffare, nell’illegalità, nel pozzo nero della corruzione della Prima Repubblica, di cui egli è il figlio più longevo.

Deve farlo dimenticare e deve mentire per tenere in vita la mitologia dell’homo faber e il teorema vittimistico. È quel che fa per nascondere il passato e salvare il suo futuro. Confondendo come sempre privato e pubblico, Berlusconi ora denuncia anche un assalto al suo patrimonio, la sola cosa che ha davvero a cuore. Si lamenta: «Contro di me tentano anche un attacco patrimoniale: a Milano c’è un giudice, di cui potrei dire molto, che ha formulato un risarcimento di 750 milioni per la tessera numero 1 del Pd, De Benedetti, per un lodo a cui la Mondadori fu costretta. È una rapina a mano armata».

Si sa come sono andate le cose. La Cassazione dice colpevoli il giudice Vittorio Metta e gli avvocati Cesare Previti, Attilio Pacifico, Giovanni Acampora (assistono la Fininvest nella guerra di Segrate): hanno barattato la sentenza del 1991 sul cosiddetto “Lodo Mondadori” che, a vantaggio di Berlusconi, ha sottratto illegalmente la proprietà della casa editrice a De Benedetti (editore di questo giornale). Sono i soldi della Fininvest che corrompono il giudice, ma Silvio Berlusconi si salva per una miracolosa prescrizione.

Per il suo alto incarico (nel 2001 è capo del governo) gli vanno riconosciute – sostengono i giudici – le attenuanti generiche e quindi la prescrizione e non come sarebbe stato più coerente, proprio per le sue pubbliche responsabilità, le aggravanti e quindi la condanna insieme agli uomini che, nel suo interesse, truccarono il gioco. «Corresponsabile della vicenda corruttiva», il Cavaliere con Fininvest deve ora risarcire – come ha deciso la Cassazione – i danni morali e patrimoniali quantificati in primo grado in 750 milioni di euro. Troppo o troppo poco, lo dirà il giudice dell’appello che deciderà degli interessi di due privati e non, come vuole far credere l’Imbroglione, di due fazioni politiche.

È altro quel che qui conta ripetere, una volta di più semmai ce ne fosse bisogno. Come dimostra il tentativo di gettare nel calderone delle polemiche anche un suo affare privato, dietro la guerra scatenata dal capo del governo contro la magistratura ci sono soltanto gli interessi personali del premier. Null’altro. Riforma costituzionale, riforma della giustizia, asservimento del pubblico ministero al potere politico, che oggi paralizzano la vita pubblica del Paese, sono soltanto gli espedienti ricattatori di Berlusconi per ottenere un salvacondotto che lo liberi dal suo passato illegale, da una storia fabbricata, oggi come ieri, con l’imbroglio. (Beh, buona giornata).

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democrazia Leggi e diritto

“Egli può agitare pubblicamente contro l’accertamento dei fatti una politica corrotta, Camere diventate bottega sua, parlamentari diventati servitù.”

Abuso di Parlamento, di GIUSEPPE D’AVANZO-la Repubblica

IL PARLAMENTO, senza arrossire di vergogna per il degradante disonore che gli viene inflitto, sostiene che Berlusconi davvero crede che Karima El Mahroug (“Ruby”) sia la nipotina minorenne del rais egiziano Hosni Mubarak. Così, nella notte tra il 27 e 28 maggio 2010, il buon uomo si muove per evitare al Paese un conflitto internazionale nella sua funzione di premier, primo responsabile della politica estera della Repubblica. È la grottesca frottola che nemmeno un sempliciotto butterebbe giù senza riderne.

Nominati o comprati, i rappresentanti del popolo devono bere l’intruglio per sostenere che il Cavaliere quella notte e nelle conversazioni con il funzionario della questura (il capo del governo chiede l’immediata liberazione della sua giovanissima concubina, accusata di furto) esercita addirittura l’autorità ministeriale. Quindi, se reato c’è stato, è ministeriale e di competenza del Tribunale dei Ministri, conclude l’aula di Montecitorio. Accettato di trangugiare senza turbamento la favoletta buffonesca di un premier sprovveduto e credulone – insomma, uno sciocco di 75 anni che crede alla prima balla che gli racconta una ragazzina di diciassette – il Parlamento deve muovere un passo abusivo: sostenere che è potere esclusivo delle Camere decidere se un reato sia ministeriale o meno. In questo caso lo è – sragiona Montecitorio – e solleva il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale cui la Camera chiede di sottrarre al tribunale di Milano il processo per concussione e sfruttamento
della prostituzione contro il Cavaliere.

I giuristi ridono degli sgorbi che vedono raccolti nella decisione di un Parlamento ubbidiente alla volontà e agli interessi del presidente del Consiglio. Lo ha già scritto qui Franco Cordero: “Finché esiste l’attuale Carta, la giurisdizione non ammette interventi esterni”. Naturalmente è legittimo porre la questione della competenza del giudice, ma non spetta a un corpo politico sbrogliare la matassa, ma ai giudici e nel processo. Come ha deciso anche recentemente la Cassazione (3 marzo), “rientra nelle attribuzioni dell’autorità giudiziaria verificare i presupposti della propria competenza” e sarà il giudice ordinario a decidere se un reato ha natura ministeriale.

Questi pochi segni liquidano la questione giuridica (la Camera rivendica un potere che non ha) e rivelano la qualità politica della questione o, detto in altro modo, le potenzialità eversive di questa stagione italiana. Berlusconi non può affrontare il processo, non può argomentare e soprattutto provare l'”eleganza” dei convegni di Arcore, la correttezza dei suoi comportamenti, l’invulnerabilità o la non ricattabilità della sua persona. Davvero qualcuno ha creduto che l’uomo che ci governa avrebbe accettato di farsi processare? Come ci è già apparso chiaro a gennaio, Berlusconi deve rinserrarsi nel ridotto di Montecitorio e, protetto dalla sua maggioranza, rifiutare il processo, ricattare le più alte istituzioni dello Stato, scatenare la politica contro la magistratura, gridare al coup d’Etat – addirittura ieri al “brigatismo” delle toghe – perché ogni controllo che lo sfiora è già un colpo di Stato giudiziario che impone, dice, la punizione dei giudici, il castigo per magistratura, la sacralizzazione della sua persona con un’impunità definitiva (sono l’eletto del popolo). Anche a costo di demolire le istituzioni e trascinare il Paese in un conflitto senza vie di uscita, Berlusconi pretende di essere legibus solutus. Il Cavaliere è già al lavoro. Fin d’ora avvelena i pozzi dell’opinione pubblica con cadenza quotidiana e, come sempre, rifiuta ogni domanda e ogni contraddittorio, senza coraggio. Organizza piazze. Ordina figuranti. Sistema il suo esercito mediatico per la manipolazione che, cancellati i fatti e soprattutto la violenza su una minore, dovrà trasformare il “caso Ruby” in uno spettacolino plausibile come il Grande Fratello e il responsabile delle torsioni di un corretto gioco democratico nella vittima di un complotto politico.

È il pericoloso incrocio in cui ci ha portato un premier incapace di controllare la sua vita, determinatissimo a non accettare alcuna responsabilità e giudizio. Ma se ieri, per evitare ogni responsabilità e giudizio, il presidente del Consiglio comprava i giudici (Mondadori) e corrompeva i testimoni (All Iberian), oggi queste manovre non sono più necessarie per allontanarsi dall’incomodo giudiziario. Non ha più bisogno giocare con baratti sotto il banco perché, per cancellare oneri e obblighi, egli può agitare pubblicamente contro l’accertamento dei fatti una politica corrotta, Camere diventate bottega sua, parlamentari diventati servitù. È la partita finale che stringe in un solo nodo tutte le questioni che ha posto al Paese il potere di Silvio Berlusconi. È la stagione che ci dirà se nel nostro futuro ci sarà ancora uno Stato con una pluralità di poteri divisi o ai quattro poteri accumulati oggi dal Cavaliere (esecutivo, legislativo, economico, mediatico) si aggiungerà presto il dominio incontrollato del quinto (giudiziario). (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Leggi e diritto Popoli e politiche

L’appello alla mobilitazione apparso sul sito di Libertà e Giustizia, firmato dal presidente onorario dell’associazione, Gustavo Zagrebelsky.

L’ora della mobilitazione di GUSTAVO ZAGREBELSKY

Navi affollate di esseri umani alla deriva, immense tendopoli circondate da filo spinato, come moderni campi di concentramento. Ogni avanzo di dignità perduta, i popoli che ci guardano allibiti, mentre discettiamo se siano clandestini, profughi o migranti, se la colpa sia della Tunisia, della Francia, dell’Europa o delle Regioni. L’assenza di pietà per esseri umani privi di tutto, corpi nelle mani di chi non li riconosce come propri simili. L’assuefazione all’orrore dei tanti morti annegati e dei bambini abbandonati a se stessi. Si può essere razzisti passivi, per indifferenza e omissione di soccorso. La parte civile del nostro Paese si aspetta – prima di distinguere tra i profughi chi ha diritto al soggiorno e chi no – un grande moto di solidarietà che accomuni le istituzioni pubbliche e il volontariato privato, laico e cattolico, fino alle famiglie disposte ad accogliere per il tempo necessario chi ha bisogno di aiuto. Avremmo bisogno di un governo degno d’essere ascoltato e creduto, immune dalle speculazioni politiche e dal vizio d’accarezzare le pulsioni più egoiste del proprio elettorato e capace d’organizzare una mobilitazione umanitaria.

“Rappresentanti del popolo” che sostengono un governo che sembra avere, come ragione sociale, la salvaguardia a ogni costo degli interessi d’uno solo, dalla cui sorte dipende la loro fortuna, ma non certo la sorte del Paese. Un Parlamento dove è stata portata gente per la quale la gazzarra, l’insulto e lo spregio della dignità delle istituzioni sono moneta corrente. La democrazia muore anche di queste cose. Dall’estero ci guardano allibiti, ricordando scene analoghe di degrado istituzionale già viste che sono state il prodromo di drammatiche crisi costituzionali.

Una campagna governativa contro la magistratura, oggetto di continua e prolungata diffamazione, condotta con l’evidente e talora impudentemente dichiarato intento di impedire lo svolgimento di determinati processi e di garantire l’impunità di chi vi è imputato. Una maggioranza di parlamentari che non sembrano incontrare limiti di decenza nel sostenere questa campagna, disposti a strumentalizzare perfino la funzione legislativa, a rinunciare alla propria dignità fingendo di credere l’incredibile e disposta ad andare fino in fondo. In fondo, c’è la corruzione della legge e il dissolvimento del vincolo politico di cui la legge è garanzia. Dobbiamo avere chiaro che in gioco non c’è la sorte processuale di una persona che, di per sé, importerebbe poco. C’è l’affermazione che, se se ne hanno i mezzi economici, mediatici e politici, si può fare quello che si vuole, in barba alla legge che vale invece per tutti coloro che di quei mezzi non dispongono.

Siamo in un gorgo. La sceneggiatura mediatica d’una Italia dei nostri sogni non regge più. La politica della simulazione e della dissimulazione nulla può di fronte alla dura realtà dei fatti. Può illudersi di andare avanti per un po’, ma il rifiuto della verità prima o poi si conclude nel dramma. Il dramma sta iniziando a rappresentarsi sulla scena delle nostre istituzioni. Siamo sul crinale tra il clownistico e il tragico. La comunità internazionale guarda a noi. Ma, prima di tutto, siamo noi a dover guardare a noi stessi.

Il Presidente della Repubblica in questi giorni e in queste ore sta operando per richiamare il Paese intero, i suoi rappresentanti e i suoi governanti alle nostre e alle loro responsabilità. Già ha dichiarato senza mezzi termini che quello che è stato fatto apparire come lo scontro senza uscita tra i diritti (legittimi) della politica e il potere (abusivo) magistratura si può e si deve evitare in un solo modo: onorando la legalità, che è il cemento della vita civile. Per questo nel nostro Paese esiste un “giusto processo” che rispetta gli standard della civiltà del diritto e che garantisce il rispetto della verità dei fatti.

Questo è il momento della mobilitazione e della responsabilità. Chiediamo alle forze politiche di opposizione intransigenza nella loro funzione di opposizione al degrado. Non è vero che se non si abbocca agli ami che vengono proposti si fa la parte di chi sa dire sempre e solo no. In certi casi – questo è un caso – il no è un sì a un Paese più umano, dignitoso e civile dove la uguaglianza e la legge regnino allo stesso modo per tutti: un ottimo programma o, almeno, un ottimo inizio per un programma di governo. Dobbiamo evitare che le piazze si scaldino ancora. La democrazia non è il regime della piazza irrazionale. Lo è la demagogia. La democrazia richiede però cittadini partecipi, attenti, responsabili, capaci di mobilitarsi nel momento giusto – questo è il momento giusto – e nelle giuste forme per ridistribuire a istituzioni infiacchite su se stesse le energie di cui hanno bisogno.

Libertà e Giustizia è impegnata a sostenere con le iniziative che prenderà nei prossimi giorni le azioni di chi opera per questo scopo, a iniziare dal Presidente della Repubblica fino al comune cittadino che avverte l’urgenza del momento. (Beh, buona giornata).

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Eccolo il salvacondotto per Berlusconi.

Delitto perfetto, di Massimo Giannini- repubblica.it

Sulla guerra lunga contro la Libia no. Incapace e irresponsabile, Silvio Berlusconi non è in grado di “metterci la faccia”. Ma sulla guerra-lampo contro i magistrati sì. Feroce e inesorabile, il Cavaliere la faccia ce la mette. Il blitzkrieg sul processo breve è la drammatica conferma di un lucido progetto di destrutturazione del sistema giurisdizionale. L’unica cosa che davvero conta, per il presidente del Consiglio, è ora e sempre fermare la macchina dei processi che lo riguardano. E così, nell’ombra della Camera oscurata per un giorno dai riflettori spostati su Lampedusa, il premier consuma il delitto perfetto. Lunedì la scena madre a Milano, con il predellino bis davanti al Palazzo di Giustizia trasformato in un qualsiasi palaforum da campagna elettorale: colossale finzione propagandistica, per dimostrare al suo popolo che lui ai processi ci va, nonostante la “persecuzione giudiziaria” di questi diciassette anni perpetrata dai soliti comunisti. Oggi, nel retroscena di Montecitorio, l’accelerazione improvvisa sul disegno di legge che contempla tra l’altro l’accorciamento dei tempi di prescrizione per gli incensurati: ultimo e definitivo “salvacondotto”, per mettersi al riparo entro l’estate dalla probabile condanna nel processo Mills.

Come sempre, quando la posta in gioco del Cavaliere è la giustizia non si sbaglia mai: conviene scommettere sul peggio. Perché il peggio, puntualmente, arriva. A dispetto dei finti ingenui dell’opposizione, che ancora credono alle menzogne
del premier o ai bluff del suo Guardasigilli. In un giorno solo, il governo fa piazza pulita dell false promesse che hanno accompagnato la presunta “riforma Alfano”: mai più norme ad personam, ma leggi nell’interesse dei cittadini. In un giorno solo, la maggioranza con il processo breve fa due passi avanti sul terreno dell’arbitrio legislativo, dopo aver simulato un passo indietro sull’emendamento per la responsabilità civile dei giudici. È la tattica collaudata in un quasi Ventennio. Con una mano, esibita al pubblico plaudente, ti porgo il ramoscello d’ ulivo. Con l’altra mano, nascosta dietro la schiena, mi preparo a colpirti col bastone.

Adesso ci risiamo. Con un’aggravante in più. Per salvare il premier con la norma tagliata a misura per la sua prescrizione, passa una legge che rischia di azzerare circa 100 mila processi, tra cui molti di quelli su reati comuni gravissimi (dalla violenza sessuale alla rapina), oltre a quelli su Thyssen, Parmalat, Antonveneta, e la Casa dello Studente dell’Aquila. È il prezzo, carissimo, messo da Berlusconi sul conto degli italiani: per garantire la sua impunità, devono rinunciare alla loro giustizia. Questa è la vera “riforma” del centrodestra. (Beh, buona giornata)

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Attualità democrazia Leggi e diritto

Prove tecniche di salvacondotto. Ognuno sta facendo il gioco delle parti in commedia. A tutti farebbe comodo salvare Berlusconi dai processi. Ma siamo poi sicuri che si leva di mezzo?

Processo breve, sì a norma salva premier
“E’ fatta apposta per aiutare Berlusconi” – Via libera della commissione giustizia della Camera all’emendamento del relatore al ddl Maurizio Paniz che riduce i tempi di prescrizione per gli incensurati. Pd, Udc e Fli abbandonano la commissione

Riecco la norma salva-premier. La Commissione giustizia della Camera ha approvato, a maggioranza, la norma taglia-prescrizione per gli incensurati. Durante il voto sugli emendamenti, alla ripresa dei lavori nel pomeriggio, è passato l’emendamento Paniz quattro-bis che premia chi ha la fedina pulita e allunga i tempi della prescrizione per chi è recidivo. La norma non si applica ai procedimenti in cui è già stata pronunciata sentenza di primo grado. Hanno votato contro Pd, Udc, Idv e Fli. Si da Pdl, Lega e Responsabili.

Immediata la reazione dei deputati dell’Udc, di Fli e del Pd che hanno abbandonato i lavori della commissione. “Prendiamo atto – dichiara il capogruppo del Pd Donatella Ferranti – che non c’è più alcuna possibilità di costruire migliorando il testo insieme”. Analogo il commento di Lorenzo Ria (Udc) secondo il quale la maggioranza sta andando avanti da sola senza ascoltare i contributi che arrivano dall’opposizione”. Il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, invece, resta: “Siamo riusciti a ridurre moltissimo la portata della norma pertanto restiamo e votiamo contro”.

L’emendamento Paniz stabilisce che le misure predisposte non si applichino ai procedimenti nei quali, alla data dell’entrata in vigore della legge, è già stata pronunciata sentenza di primo grado e modifica l’art. 161 del codice penale prevedendo che “salvo che si proceda per i reati di cui all’articolo 51, comma 3 bis e 3 quater del codice di procedura penale (reati più gravi come quelli di mafia o il sequestro di persona a scopo di estorsione, ndr), in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un sesto del tempo necessario a prescrivere, di un quarto nel caso di cui all’art. 99 primo comma (che riguarda la recidiva), della metà nei casi di cui all’articolo 99 secondo comma, dei due terzi nei casi di cui all’articolo 99 quarto comma e del doppio dei casi di cui all’articolo 102, 103 e 105”.

Duro il capogruppo del Pd in commissione, Donatella Ferranti: “Sono spudorati sembra stiano approfittando della guerra per accelerare tutte le norme che riguardano Berlusconi. La prescrizione breve se sarà approvata in questa forma darà un duro colpo alla lotta alla corruzione”. “Il testo – afferma Pierluigi Mantini dell’Udc – è stato molto modificato e molto migliorato ma contiene il trucco modesto di un favore ad personam sulla prescrizione agli incensurati”. Ma Paniz non ci sta: “In nessun modo si arriverebbe alla fine del processo Mills a fine febbraio dell’anno prossimo. State svilendo il mio lavoro”. (Beh, buona giornata).

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Berlusconi, la riforma della Giustizia e l’amaro medicinale Giuliano.

Il lato oscuro della forza di Berlusconi è tutto, ma proprio tutto nel lato debole e lampante dell’opposizione parlamentare al Governo. Non è una novità, ma sui temi della riforma della Giustizia l’ossatura politica del centro-sinistra diventa cartilagine. Su cui pestano i giannizzeri del centro-destra. Primo fra tutti il capo del servizio d’ordine del Berlusca, Giulianone Ferrara che dai microfoni di RaiUno indora agli italiani la pillola della crisi del belusconismo, tutte le sere, dopo il TgUno di Minzolini. Lui viene dopo il tiggì. Ma lui, anche e soprattutto viene dopo il PCI. Di cui era appunto capo del servizio d’ordine. Non ha cambiato mestiere, solo padrone. Ma, soprattutto, Ferrara non ha cambiato mentalità.

Nelle file del Pci amava l’uso della giustizia contro i movimenti sociali, nati a sinistra del Partito comunista. La generazione che attraverso la storia del nostro paese tra il ’68 e il ’77 conobbe molto bene l’uso politico della giustizia in Italia. Manganellate in piazza, ma anche poliziotti travestiti da “autonomi”, secondo la dottrina Cossiga, eppoi sentenze addomesticate dalla logica della conservazione del potere democristiano e dalla politica di “Unità nazionale” con cui il Pci entrò nell’area di governo alla fine dei Settanta. E poi teoremi giudiziari, e poi carceri speciali, e poi confino di polizia, come ai tempi del Fascismo. A metà degli anni Ottanta, nelle carceri italiane si potevano contare la bellezza di quattromila “prigionieri politici”, come si diceva allora.

Tutta l’attenzione giudiziaria fu concentrata nello sconfiggere con la repressione un vasto movimento giovanile, di cui la sinistra comunista e socialista avevano letteralmente perduto il controllo, politico e sociale. Fu facile il trucco di considerare tutti terroristi: il trucco fu favorito dal Pci, e messo in pratica dalla Magistratura italiana. Che oggi vanta di aver sconfitto il terrorismo, come se i fenomeni sociali si potessero sconfiggere con le sentenze, invece, come di fatto è avvenuto, con la gestione politica dei cambiamenti economici e sociali che trasformarono il Paese. Il crollo del delta dell’inflazione, l’introduzione di norme che favorirono l’occupazione giovanile, furono le vere cause della fine della violenza politica in Italia. Ma col benessere, insorsero i reati dei colletti bianchi, la criminalità politica, il connubio tra il malaffare e la corruzione politica. Di alcune procure si parlò come de “Il porto delle nebbie”. E venne alla luce la P2, di cui autorevoli esponenti di codesta compagine governativa fecero parte, mai essendo perseguiti. Poi venne Tangentopoli.

Fu la Magistratura italiana a spazzare via una intera classe dirigente o essa implose, annegando tra valigette di banconote, che viaggiavano su e giù per la Penisola, per essere poi recapitate ai tesorieri di quei partiti di governo, pronti a restituire, pronto cassa, favori, emendamenti, leggi ad personam? Eccolo, allora il lato oscuro della forza di Berlusconi, che è entrato in politica perché orfano di quei partiti che mediavano tra i suoi appetiti e le leggi dello Stato.

Quello che si capisce dalle concioni televisive del capo del servizio d’ordine degli interessi di Berlusconi è la grande nostalgia di un grande “Porto delle Nebbie” nel quale non attracchino mai i processi che inchioderebbero chi ha imparato a far politica per fare affari, quelli suoi. La nostalgia di un grande accordo politico, sul modello del governo di unità nazionale, o se volete del Caf (il famoso accordo Craxi, Andreotti, Forlani) perché la politica fosse comunque sempre il sifone che miscela e separa le acque bianche da quelle nere.

E’ affascinante questa visione della politica italiana. Vorrebbe essere moderna, ma sa di modernariato della Prima Repubblica. Giuliano Ferrara vorrebbe si dicesse di se stesso che è l’Eugenio Scalfari della centro-destra. Faccia pure.

Quello che è comico è come si contrabbandi una riforma della Giustizia che è invece una ingenua contro-riforma. Ma tant’è. Le vie del Signore sono infinite: uscendo da via delle Botteghe Oscure, in cammino verso via della Conciliazione, il Nostro è stato folgorato da un’intuizione storica. L’Italia non è forse il Paese in cui la Chiesa Cattolica Romana varò la Controriforma senza neanche aspettare che in Italia nascesse la Riforma? Esattamente come fece il Pci dopo il XX Congresso del Pcus: accettò il rapporto di Kruscev senza porsi mai la questione stalinista.

Beh,non si può negare la coerenza di Ferrara. E’ sempre stato l’uomo giusto nel posto giusto. Ieri era fedele alla linea del CC (Comitato Centrale), oggi è molto più sensibile al cc (conto corrente). Beh, buona giornata.

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“Tutto è ormai pubblico, tutto è inevitabilmente politico. Anche l’ultimo atto: si dimetta, e vada a difendersi, se può, nel tribunale della Repubblica, evitando di distruggere il tempio con se stesso.”

Il capolinea Silvio Berlusconi- repubblica.it

SIAMO dunque arrivati alla domanda capitale del tragico quindicennio berlusconiano: può governare un Paese democratico un leader che da giorni è lo zimbello del mondo per i festini con minorenni prostitute, pagate e travestite da infermiere per eccitare il satrapo stanco? Con ogni evidenza no. In qualsiasi Paese normale un premier coinvolto nel ridicolo e nello squallore di questo scandalo si sarebbe già ritirato a vita privata, per difendersi senza coinvolgere lo Stato nella sua vergogna.

La giustizia dirà se ci sono reati con minori e se c’è la concussione, com’è convinta la Procura di Milano. Ma intanto ciò che emerge dalle carte giudiziarie è sufficiente per un giudizio politico di totale inattitudine ad esercitare la leadership governativa e la rappresentanza di una democrazia occidentale. L’incoscienza del limite, la dismisura eretta a regola di vita, la concezione del rapporto tra uomo e donna, uniti insieme danno forma ad un permanente abuso di potere che macchia le istituzioni e offende lo Stato.

Che si tratti di malattia, come denunciava l’ex moglie del premier, o di perdita di controllo, poco importa per il cittadino. Da due anni la politica è prostituita da un primo ministro che teme le rivelazioni sulle sue notti, è vulnerabile dalle sue partner occasionali, è ricattato dalle minorenni, dichiara guerra alle intercettazioni e ai giornali soltanto per difendersi dalla valanga di scandali che lo sovrasta: soprattutto mente e invita le ragazze a mentire.

Tutto è ormai pubblico, tutto è inevitabilmente politico. Anche l’ultimo atto: si dimetta, e vada a difendersi, se può, nel tribunale della Repubblica, evitando di distruggere il tempio con se stesso. (Beh, buona giornata).

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