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3DNews/AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA, ARRIVA IL MICROBO MANGIARIFIUTI.

di Andrea Dosi

Da un sacchetto di rifiuti organici si potrà ricaricare il cellulare. Già oggi, adesso. Tra qualche anno, poi, magari con le bucce di patate ci pagheremo la bolletta di casa. Il tutto grazie a quello che è stato battezzato il “ microbo mangiarifiuti ”, un organismo scoperto dal CNR di Pozzuoli.
Si chiama “ thermotoga neapolitana” e vive a temperature altissime, nelle fumarole sottomarine dove è presente un alto gradiente di temperatura. Questo batterio, in presenza di ossigeno, può produrre gas idrogeno come sottoprodotto del suo metabolismo: può metabolizzare una vasta gamma di carboidrati differenti, glucosio in particolare. Il batterio se lo mangia, lo digerisce e restituisce idrogeno, che poi attraverso un procedimento da biomasse si trasforma in energia.

Alla base del ciclo ci sono i rifiuti organici: il “thermotoga” digerisce il glucosio che ricava dagli avanzi alimentari, come bucce di pesca o di patate, o verdura, o pesce, o più in generale da qualsiasi carboidrato di scarto, producendo di seguito altre molecole utili anche per la medicina e per la chimica. «Certo c’è bisogno di avere rifiuti differenziati» precisano dal Cnr. Il thermotoga, microrganismo termofilo, ovvero un essere vivente che cresce a temperature altissime, riesce a trasformare il glucosio dei rifiuti in idrogeno, e questo attraverso un impianto biomasse diventa energia.

Per il momento esiste all’interno del Cnr un impianto da un litro capace di alimentare una batteria di cellulare, luci led, e piccole lampade. Ma in cantiere c’è qualcosa di più grande. Su quest’ultimo punto gli scienziati mantengono il riserbo e annunciano che parleranno a brevetto avvenuto. Dice la Gambacorta: < < Per adesso siamo riusciti ad alimentare Cialis Online una batteria di cellulare di qualche generazione fa, luci e lampade. Ma in proporzione si potrebbe generare energia per sostentare un edificio delle dimensioni di una piccola casa. Ma certo è in proporzione. Per adesso siamo soltanto poco dopo la ricerca di base>> .

Tra i problemi cruciali per la ricerca, c’è lo scarsissimo finanziamento da parte delle istituzioni, in particolare da parte dello Stato: < > continua la dottoressa < >.
Eppure investire nella ricerca di base dovrebbe interessare le istituzioni, soprattutto in un momento dove si tenta di trovare nuovi modelli di sviluppo.< < La ricerca di base porta spesso a percorrere strade imprevedibili. Quando Watson, Crick e Wilkins scoprirono la doppia elica del DNA, le applicazioni di oggi sembravano all'epoca impensabili>> prosegue < >.
Ma la ricerca del Cnr è ovviamente focalizzata su un punto di vista biologico < > sottolinea < < Questa è una ricerca e per ora non è certo una soluzione al problema rifiuti>>. Per adesso non è una soluzione ancora percorribile, ma è un paradigma della ricerca come innovazione.

La natura ci viene incontro, spesso ponendosi come esempio; l’idea di risolvere il problema rifiuti (organici), con l’ausilio di un batterio che se ne cibi, è ad oggi irrealistica. Ma lo smaltimento dei rifiuti è un problema ancora aperto, e ricercare nuove soluzioni o soluzioni già esistenti in natura, è una via che dovrebbe essere percorsa, ma fino a oggi è più o meno ignorata.

La ricerca di base vuol dire indagare la natura nel profondo, e forse un modello di sviluppo innovativo ed equo potrebbe nascere proprio da qui. La “thermotoga neapolitana” ci insegna ancora una volta che dal letame possono nascere fiori.(Beh, buona giornata).

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3DNews/“Sporchi da morire”, a Napoli in anteprima il docufilm sugli inceneritori.

Lunedì 5 dicembre, alle ore 20,30, in anteprima assoluta al Modernissimo di Napoli, proiezione del film documentario ” Sporchi da morire ”.

Gli inceneritori e i rischi per la salute delle zone in cui sono stati costruiti sono il principale argomento del lavoro con la regia di Marco Carlucci, che poi passa in rassegna anche le possibili alternative.

La proiezione sarà preceduta da una breve conferenza stampa di presentazione del film alla presenza del Vice Sindaco di Napoli, Tommaso Sodano, del regista, Marco Carlucci, del fautore della teoria “Rifiuti Zero”, il professor Paul Connett, del Prof. Stefano Montanari, della dottoressa Antonietta Morena Gatti e Carlo A. Martigli oltre che a tanti altri protagonisti. L’evento sarà aperto a tutti i cittadini. È vero che gli inceneritori fanno male? Perché in Italia si continuano a costruire questi impianti mentre nel resto del mondo si stanno smantellando?

Quali sono i rischi concreti per la salute?
Quali sono i danni provocati dalle micro- e nano-particelle?
Quali sono le possibili alternative?

Con queste domande in testa è iniziata la ricerca online di Carlo Martigli, un viaggio virtuale che diventa reale, in cui video presenti in rete si alternano improvvisamente ad esclusivi reportage realizzati in varie parti del mondo.
“ Sporchi da morire” è il film-documentario che ci farà riflettere su un problema non solo nostro ma soprattutto dei nostri figli legato alle invisibili nanoparticelle da molti indicate come il più pericoloso strumento d’inquinamento del presente e del prossimo futuro.

Rifiuti Zero.
Così “ Primafilm” , distretto creativo e tecnologico indipendente, presenta una nuova grande sfida: un viaggio nel mondo delle polveri sottili, delle nano-particelle e delle possibili alternative.

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Comincia la deberlusconizzazione: il discorso intergale di Monti al Senato.

Mario Monti al Senato della Repubblica, 17.11.11:

Signor Presidente, onorevoli senatrici, onorevoli senatori, è con grande emozione che mi rivolgo a voi come primo atto del percorso rivolto ad ottenere la fiducia del Parlamento al Governo ieri costituito.

L’emozione è accresciuta dal fatto che prendo oggi la parola per la prima volta in questa Aula nella quale mi avete riservato qualche giorno fa un’accoglienza che mi ha commosso. Sono onorato di entrare a far parte del Senato della Repubblica. Desidero rivolgere un saluto deferente al Capo dello Stato, presidente Napolitano che con grande saggezza, perizia e senso dello Stato ha saputo risolvere una situazione difficile in tempi ristrettissimi nell’interesse del Paese e di tutti i cittadini.

APPLAUSI

Vorrei anche rinnovargli la mia gratitudine per la fiducia accordata alla mia persona, per il sostegno e la partecipazione che mi ha costantemente assicurato nei miei sforzi per comporre un Governo che potesse soddisfare le richieste delle forze politiche e, al contempo, dare risposte efficaci alle gravi sfide che il nostro Paese ha di fronte a sé.

Rivolgo il mio saluto ai Presidenti emeriti della Repubblica, ai senatori a vita e a tutti i senatori. Mi auguro di poter stabilire con ciascuno di voi anche un rapporto personale come vostro collega, sia pure l’ultimo arrivato.

APPLAUSI

Il Parlamento è il cuore pulsante di ogni politica di Governo, lo snodo decisivo per il rilancio e il riscatto della vita democratica. Al Parlamento vanno riconosciute e rafforzate attraverso l’azione quotidiana di ciascuno di noi dignità, credibilità e autorevolezza.
Da parte mia, da parte nostra, vi sarà sempre una chiara difesa del ruolo di entrambe le Camere quali protagoniste del pubblico dibattito.
Un ringraziamento specifico e molto sentito desidero, infine, esprimere al vostro, al nostro, Presidente. Il presidente Schifani (APPLAUSI)

ha voluto accogliermi, fin dal primo istante di questa mia missione – come potete immaginare, non semplicissima – svoltasi, in gran parte, a Palazzo Giustiniani, con una generosità e una cordialità che non potrò dimenticare.

APPLAUSI

Rivolgo, infine, un pensiero rispettoso e cordiale al presidente, onorevole dottor Silvio Berlusconi (APPLAUSI) mio predecessore, del quale mi fa piacere riconoscere l’impegno nel facilitare in questi giorni la mia successione nell’incarico.

Il Governo riconosce di essere nato per affrontare in spirito costruttivo e unitario una situazione di seria emergenza. Vorrei usare questa espressione: Governo di impegno nazionale. Governo di impegno nazionale significa assumere su di sé il compito di rinsaldare le relazioni civili e istituzionali, fondandole sul senso dello Stato. È il senso dello Stato, è la forza delle istituzioni, che evitano la degenerazione del senso di famiglia in familismo, dell’appartenenza alla comunità di origine in localismo, del senso del partito in settarismo. Ed io ho inteso fin dal primo momento il mio servizio allo Stato non certo con la supponenza di chi, considerato tecnico, venga per dimostrare un’asserita superiorità della tecnica rispetto alla politica. Al contrario, spero che il mio Governo ed io potremo, nel periodo che ci è messo a disposizione, contribuire in modo rispettoso e con umiltà a riconciliare maggiormente – permettetemi di usare questa espressione – i cittadini e le istituzioni, i cittadini alla politica.

APPLAUSI

Io vorrei, noi vorremmo, aiutarvi tutti a superare una fase di dibattito, che fa parte naturalmente della vita democratica, molto, molto, accesa, e consentirci di prendere insieme, senza alcuna confusione delle responsabilità, provvedimenti all’altezza della situazione difficile che il Paese attraversa, ma con la fiducia che la politica che voi rappresentate sia sempre più riconosciuta, e di nuovo riconosciuta, come il motore del progresso del Paese.

Le difficoltà del momento attuale. L’Europa sta vivendo i giorni più difficili dagli anni del secondo dopoguerra. Il progetto che dobbiamo alla lungimiranza di grandi uomini politici, quali furono Konrad Adenauer, Jean Monnet, Robert Schuman e – sottolineo in modo particolare – Alcide De Gasperi (APPLAUSI) e che per sessant’anni abbiamo perseguito, passo dopo passo, dal Trattato di Roma – non a caso di Roma – all’atto unico, ai Trattati di Maastricht e di Lisbona, è sottoposto alla prova più grave dalla sua fondazione.

Un fallimento non sarebbe solo deleterio per noi europei. Farebbe venire meno la prospettiva di un mondo più equilibrato in cui l’Europa possa meglio trasmettere i suoi valori ed esercitare il ruolo che ad essa compete, in un mondo sempre più bisognoso di una governance multilaterale efficace.

Non illudiamoci, onorevoli senatori, che il progetto europeo possa sopravvivere se dovesse fallire l’Unione Monetaria. La fine dell’euro disgregherebbe il mercato unico, le sue regole, le sue istituzioni. Ci riporterebbe là dove l’Europa era negli anni cinquanta.

La gestione della crisi ha risentito di un difetto di governance e, in prospettiva, dovrà essere superata con azioni a livello europeo. Ma solo se riusciremo ad evitare che qualcuno, con maggiore o minore fondamento, ci consideri l’anello debole dell’Europa, potremo ricominciare a contribuire a pieno titolo all’elaborazione di queste riforme europee. Altrimenti ci ritroveremo soci di un progetto che non avremo contribuito ad elaborare, ideato da Paesi che, pur avendo a cuore il futuro dell’Europa, hanno a cuore anche i lori interessi nazionali, tra i quali non c’è necessariamente una Italia forte.

Il futuro dell’euro dipende anche da ciò che farà l’Italia nelle prossime settimane, anche e non solo, ma anche. Gli investitori internazionali detengono quasi metà del nostro debito pubblico. Dobbiamo convincerli che abbiamo imboccato la strada di una riduzione graduale ma durevole del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo. Quel rapporto è oggi al medesimo livello al quale era vent’anni fa ed è il terzo più elevato tra i Paesi dell’OCSE. Per raggiungere questo obiettivo intendiamo far leva su tre pilastri: rigore di bilancio, crescita ed equità.

Nel ventennio trascorso l’Italia ha fatto molto per riportare in equilibrio i conti pubblici, sebbene alzando l’imposizione fiscale su lavoratori dipendenti e imprese, più che riducendo in modo permanente la spesa pubblica corrente. Tuttavia, quegli sforzi sono stati frustrati dalla mancanza di crescita. L’assenza di crescita ha annullato i sacrifici fatti. Dobbiamo porci obiettivi ambiziosi sul pareggio di bilancio, sulla discesa del rapporto tra debito e PIL. Ma non saremo credibili, neppure nel perseguimento e nel mantenimento di questi obiettivi, se non ricominceremo a crescere.

Ciò che occorre fare per ricominciare a crescere è noto da tempo. Gli studi dei migliori centri di ricerca italiani avevano individuato le misure necessarie molto prima che esse venissero recepite nei documenti che in questi mesi abbiamo ricevuto dalle istituzioni europee. Non c’è nessuna originalità europea nell’aver individuato ciò che l’Italia deve fare per crescere di più. È un problema del sistema italiano riuscire a decidere e poi ad attuare quanto noi italiani sapevamo bene fosse necessario per la nostra crescita.

Non vediamo i vincoli europei come imposizioni. Anzitutto permettetemi di dire, e me lo sentirete affermare spesso, che non c’è un loro e un noi. L’Europa siamo noi.

APPLAUSI

Quelli che poi ci vengono in un turbinio di messaggi, di lettere e di deliberazioni dalle istituzioni europee sono per lo più provvedimenti rivolti a rendere meno ingessata l’economia, a facilitare la nascita di nuove imprese e poi indurne la crescita, migliorare l’efficienza dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani e delle donne, le due grandi risorse sprecate del nostro Paese.

APPLAUSI

L’obiezione che spesso si oppone a queste misure è che esse servono, certo, ma nel breve periodo fanno poco per la crescita. È un’obiezione dietro la quale spesso si maschera – riconosciamolo – chi queste misure non vuole, non tanto perché non hanno effetti sulla crescita nel breve periodo (che è vero che non hanno), ma perché si teme che queste misure ledano gli interessi di qualcuno. Ma, evidentemente, più tardi si comincia, più tardi arriveranno i benefìci delle riforme. Ma, soprattutto, le scelte degli investitori che acquistano i nostri titoli pubblici sono guidate sì da convenienze finanziarie immediate, ma – mettiamocelo in testa – sono guidate anche dalle loro aspettative su come sarà l’Italia fra dieci o vent’anni, quando scadranno i titoli che acquistano oggi.

Quindi, non c’è iato la tra le cose che dobbiamo o fare oggi o avviare oggi, anche se avranno effetti lontani, perché anche gli investitori, che ci premiano o ci puniscono, agiscono oggi, ma guardano anche agli effetti lontani.

Riforme che hanno effetti anche graduali sulla crescita, influendo sulle aspettative degli investitori, possono riflettersi in una riduzione immediata dei tassi di interesse, con conseguenze positive sulla crescita stessa. I sacrifici necessari per ridurre il debito e per far ripartire la crescita dovranno essere equi. Maggiore sarà l’equità, più accettabili saranno quei provvedimenti e più ampia – mi auguro – sarà la maggioranza che in Parlamento riterrà di poterli sostenere. Equità significa chiedersi quale sia l’effetto delle riforme non solo sulle componenti relativamente forti della società, quelle che hanno la forza di associarsi, ma anche sui giovani e sulle donne. Dobbiamo renderci conto che, se falliremo e se non troveremo la necessaria unità di intenti, la spontanea evoluzione della crisi finanziaria ci sottoporrà tutti, ma soprattutto le fasce più deboli della popolazione, a condizioni ben più dure.

La crisi che stiamo vivendo è internazionale; questo è ovvio, ma conviene ripeterlo ogni volta, anche ad evitare demonizzazioni. È internazionale, lo sto dicendo a tutti. Ma l’Italia ne ha risentito in maniera particolare. Secondo la Commissione europea, al termine del prossimo anno il prodotto interno lordo dell’Italia sarebbe ancora quattro punti e mezzo al di sotto del livello raggiunto prima della crisi. Per la stessa data, l’area dell’euro nel suo complesso avrebbe invece recuperato la perdita di prodotto dovuta alla crisi. Francia e Germania raggiungerebbero il traguardo di riportarsi al livello precrisi nell’anno in corso. La relativa debolezza della nostra economia precede l’avvio della crisi.

Tra il 2001 e il 2007 il prodotto italiano è cresciuto di 6,7 punti percentuali, contro i 12 della media dell’area dell’euro, i 10,8 della Francia e gli 8,3 della Germania. I risultati sono deludenti al Nord come al Sud. E non vi propongo un paragone con la Cina o con altri Paesi emergenti, ma con i nostri colleghi ed amici stretti della zona euro. La crisi ha colpito più duramente i giovani. Ad esempio, nei 15 Paesi che componevano l’Unione europea fino al 2004, tra il 2007 e il 2010 il tasso di disoccupazione nella classe di età 15-24 anni è aumentato di cinque punti percentuali, in Italia di 7,6 punti percentuali.

Il nostro Paese rimane caratterizzato da profonde disparità territoriali. Il lungo periodo di bassa crescita e la crisi le hanno accentuate. Esiste una questione meridionale: infrastrutture, disoccupazione, innovazione, rispetto della legalità.

APPLAUSI

I problemi nel Mezzogiorno vanno affrontati non nella logica del chiedere di più, ma di una razionale modulazione delle risorse.

Esiste anche una questione settentrionale: costo della vita, delocalizzazione, nuove povertà, bassa natalità.

Il riequilibrio di bilancio, le riforme strutturali e la coesione territoriale richiedono piena e leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali.

Occorre riconoscere il valore costituzionale delle autonomie speciali, nel duplice binario della responsabilità e della reciprocità.

In quest’ottica, per rispondere alla richiesta formulata dalle istituzioni territoriali che, devo dire, ho ascoltato con molta attenzione…

Se dovete fare una scelta – mi permetto di rivolgermi a tutti – ascoltate, non applaudite!

APPLAUSI

Non ripeterò l’importanza del valore costituzionale delle autonomie speciali, perché altrimenti arrivano di nuovo applausi; l’ho già detto e lo avete ascoltato.

In quest’ottica – come stavo dicendo – perrispondere alla richiesta formulata dalle istituzioni territoriali nel corso delle consultazioni, ho deciso di assumere direttamente in questa prima fase le competenze relative agli affari regionali. Spero in questo modo di manifestare una consapevolezza condivisa circa il fatto che il lavoro comune con le autonomie territoriali debba proseguire e rafforzarsi, nonostante le difficoltà dell’agenda economica. In tale prospettiva si dovrà operare senza indugio per un uso efficace dei fondi strutturali dell’Unione europea.
Sono consapevole che sarebbe un’ambizione eccessiva da parte mia e da parte nostra pretendere di risolvere in un arco di tempo limitato, qual è quello che ci separa dalla fine di questa legislatura, problemi che hanno origini profonde e che sono radicati in consuetudini e comportamenti consolidati. Ciò che si prefiggiamo di fare è impostare il lavoro, mettere a punto gli strumenti che permettano ai Governi che ci succederanno di proseguire un processo di cambiamento duraturo.

Per questo il programma che vi sottopongo oggi si compone di due parti, che hanno obiettivi ed orizzonti temporali diversi. Da un lato, vi è una serie di provvedimenti per affrontare l’emergenza, assicurare la sostenibilità della finanza pubblica, restituire fiducia nelle capacità del nostro Paese di reagire e sostenere una crescita duratura ed equilibrata. Dall’altro lato, si tratta di delineare con iniziative concrete un progetto per modernizzare le strutture economiche e sociali, in modo da ampliare le opportunità per le imprese, i giovani, le donne e tutti i cittadini, in un quadro di ritrovata coesione sociale e territoriale.

In considerazione dell’urgenza con la quale abbiamo dovuto operare per la formazione di questo Governo – ed in questo senso voglio ringraziare le diverse forze politiche che, nei miei confronti, figura estranea al vostro mondo, si sono gentilmente e con sollecitudine apprestate all’ascolto e all’offerta di contributi dei quali ho cercato di tenere conto – quello che intendo fare oggi è semplicemente presentarvi gli aspetti essenziali dell’azione che intendiamo svolgere. Se otterremo la fiducia del Parlamento, ciascun Ministro esporrà alle Commissioni parlamentari competenti le politiche attraverso le quali, nei singoli settori, queste azioni verranno avviate.

È in discussione in Parlamento una proposta di legge costituzionale per introdurre un vincolo di bilancio in pareggio per le amministrazioni pubbliche, in coerenza con gli impegni presi nell’ambito dell’Eurogruppo.
L’adozione di una regola di questo tipo può contribuire a mantenere nel tempo il pareggio di bilancio programmato per il 2013, evitando che i risultati conseguiti con intense azioni di risanamento vengano erosi negli anni successivi, come è accaduto in passato. Affinché il vincolo sia efficace, dovranno essere chiarite le responsabilità dei singoli livelli di Governo.

A questo proposito ed anche in considerazione della complessità della regola, ad esempio l’aggiustamento per il ciclo, sarà opportuno studiare l’esperienza di alcuni Paesi europei che hanno affidato ad autorità indipendenti la valutazione del rispetto sostanziale della regola, dato che in questa materia la credibilità nei confronti di noi stessi e del mondo è un requisito essenziale. Sarà anche necessario attuare rapidamente l’armonizzazione dei bilanci delle amministrazioni pubbliche. Opportunamente la proposta di legge in discussione in Parlamento già prevede l’assegnazione allo Stato della potestà legislativa esclusiva in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici. Nell’immediato daremo piena attuazione alle manovre varate nel corso dell’estate, completandole attraverso interventi in linea con la lettera di intenti inviata alle autorità europee.

Nel corso delle prossime settimane valuteremo la necessità di ulteriori correttivi. Una parte significativa della correzione dei saldi programmata durante l’estate è attesa dall’attuazione della riforma dei sistemi fiscale ed assistenziale. Dovremmo pervenire al più presto ad una definizione di tale riforma e ad una valutazione prudenziale dei suoi effetti. Dovranno inoltre essere identificati gli interventi, volti a colmare l’eventuale divario rispetto a quelli indicati nella manovra di bilancio.

Di fronte ai sacrifici che sono stati e che dovranno essere richiesti ai cittadini sono ineludibili interventi volti a contenere i costi di funzionamento degli organi elettivi. I soggetti che ricoprono cariche elettive, i dirigenti designati politicamente nelle società di diritto privato, finanziate con risorse pubbliche, più in generale quanti rappresentano le istituzioni ad ogni livello politico ed amministrativo, dovranno agire con sobrietà ed attenzione al contenimento dei costi, dando un segnale concreto ed immediato. Si dovranno rafforzare gli interventi effettuati con le ultime manovre di finanza pubblica, con l’obiettivo di allinearci rapidamente alle best practices europee.

Per quanto di mia diretta competenza, avvierò immediatamente una spending review del Fondo unico della Presidenza del Consiglio. Ritengo inoltre necessario ridurre le sovrapposizioni tra i livelli decisionali e favorire la gestione integrata dei servizi per gli Enti locali di minori dimensioni. Il riordino delle competenze delle Province può essere disposto con legge ordinaria. La prevista specifica modifica della Costituzione potrà completare il processo, consentendone la completa eliminazione, così come prevedono gli impegni presi con l’Europa.

APPLAUSI

Per garantire la natura strutturale della riduzione delle spese dei Ministeri, decisa con la legge di stabilità, andrà definito rapidamente il programma per la riorganizzazione della spesa, previsto dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in particolare per quanto riguarda l’integrazione operativa delle agenzie fiscali, la razionalizzazione di tutte le strutture periferiche dell’amministrazione dello Stato, il coordinamento delle attività delle forze dell’ordine, l’accorpamento degli enti della previdenza pubblica, la razionalizzazione dell’organizzazione giudiziaria.

Gli interventi saranno coordinati con la spending review in corso, che intendo rafforzare e rendere particolarmente incisiva con la precisa individuazione di tempi e responsabilità. Negli scorsi anni la normativa previdenziale è stata oggetto di ripetuti interventi, che hanno reso a regime il sistema pensionistico italiano tra i più sostenibili in Europa e tra i più capaci di assorbire eventuali shock negativi. Già adesso l’età di pensionamento, nel caso di vecchiaia, tenendo conto delle cosiddette finestre, è superiore a quella dei lavoratori tedeschi e francesi.

Il nostro sistema pensionistico rimane però caratterizzato da ampie disparità di trattamento tra diverse generazioni e categorie di lavoratori, nonché da aree ingiustificate di privilegio.

Il rispetto delle regole e delle istituzioni e la lotta all’illegalità riceveranno attenzione prioritaria da questo Governo. Per riacquistare fiducia nel futuro dobbiamo avere fiducia nelle istituzioni che caratterizzano uno Stato di diritto, quindi si procederà alla lotta all’evasione fiscale e all’illegalità, non solo per aumentare il gettito (il che non guasta), ma anche per abbattere le aliquote: questo può essere fatto con efficacia prestando particolare attenzione al monitoraggio della ricchezza accumulata (ho detto monitoraggio della ricchezza accumulata) e non solo ai redditi prodotti.

L’evasione fiscale continua a essere un fenomeno rilevante: il valore aggiunto sommerso è quantificato nelle statistiche ufficiali in quasi un quinto del prodotto. Interventi incisivi in questo campo possono ridurre il peso dell’aggiustamento sui contribuenti che rispettano le norme. Occorre ulteriormente abbassare la soglia per l’uso del contante, favorire un maggior uso della moneta elettronica, accelerare la condivisione delle informazioni tra le diverse amministrazioni, potenziare e rendere operativi gli strumenti di misurazione induttiva del reddito e migliorare la qualità degli accertamenti.

Il decreto legislativo n. 23 del 14 marzo 2011 prevede per il 2014 l’entrata in vigore dell’imposta municipale che assorbirà l’attuale ICI, escludendo tuttavia la prima casa e l’IRPEF sui redditi fondiari da immobili non locati, comprese le relative addizionali. In questa cornice intendiamo riesaminare il peso del prelievo sulla ricchezza immobiliare: tra i principali Paesi europei, l’Italia è caratterizzata da un’imposizione sulla proprietà immobiliare che risulta al confronto particolarmente bassa. L’esenzione dall’ICI delle abitazioni principali costituisce, sempre nel confronto internazionale, una peculiarità – se non vogliamo chiamarla anomalia – del nostro ordinamento tributario.

Il primo elenco di cespiti immobiliari da avviare a dismissione sarà definito nei tempi previsti dalla legge di stabilità, cioè entro il 30 aprile 2012. La lettera d’intenti inviata alla Commissione europea prevede proventi di almeno 5 miliardi all’anno nel prossimo triennio. A tale scopo verrà definito un calendario puntuale per i successivi passi del piano di dismissioni e di valorizzazione del patrimonio pubblico. Tuttavia, è necessario volgere tutte le politiche pubbliche, a livello macroeconomico e microeconomico, a sostegno della crescita, sia pure nei limiti determinati dal vincolo di bilancio.

La pressione fiscale in Italia è elevata nel confronto storico e in quello internazionale (nel testo scritto che avrete a disposizione si danno ulteriori elementi). Nel tempo e via via che si manifesteranno gli effetti della spending review sarà possibile programmare una graduale riduzione della pressione fiscale; tuttavia anche prima, a parità di gettito, la composizione del prelievo fiscale può essere modificata in modo da renderla più favorevole alla crescita. Coerentemente con il disegno della delega fiscale e della clausola di salvaguardia che la accompagna, una riduzione del peso delle imposte e dei contributi che gravano sul lavoro e sull’attività produttiva, finanziata da un aumento del prelievo sui consumi e sulla proprietà, sosterrebbe la crescita senza incidere sul bilancio pubblico.

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Dal lato della spesa, un impulso all’attività economica potrà derivare da un aumento del coinvolgimento dei capitali privati nella realizzazione di infrastrutture. Gli incentivi fiscali stabiliti con legge di stabilità sono un primo passo, ma è anche necessario intervenire sulla regolamentazione del project financing, in modo da ridurre il rischio associato alle procedure amministrative. Occorre inoltre operare per raggiungere gli obiettivi fissati in sede europea con l’agenda digitale. Ho quasi concluso.

Con il consenso delle parti sociali dovranno essere riformate le istituzioni del mercato del lavoro, per allontanarci da un mercato duale dove alcuni sono fin troppo tutelati mentre altri sono totalmente privi di tutele e assicurazioni in caso di disoccupazione.

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Le riforme in questo campo dovranno avere il duplice scopo di rendere più equo il nostro sistema di tutela del lavoro e di sicurezza sociale e anche di facilitare la crescita della produttività, tenendo conto dell’eterogeneità che contraddistingue in particolare l’economia italiana. In ogni caso, il nuovo ordinamento che andrà disegnato verrà applicato ai nuovi rapporti di lavoro per offrire loro una disciplina veramente universale, mentre non verranno modificati i rapporti di lavori regolari e stabili in essere.

APPLAUSI

Intendiamo perseguire lo spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso i luoghi di lavoro, come ci viene chiesto dalle autorità europee e come già le parti sociali hanno iniziato a fare, che va accompagnato da una disciplina coerente del sostegno alle persone senza impiego volta a facilitare la mobilità e il reinserimento nel mercato del lavoro, superando l’attuale segmentazione. Più mobilità tra impresa e settori è condizione essenziale per assecondare la trasformazione dell’economia italiana e sospingerne la crescita.

È necessario colmare il fossato che si è creato tra le garanzie e i vantaggi offerti dal ricorso ai contratti a termine e ai contratti a tempo indeterminato, superando i rischi e le incertezze che scoraggiano le imprese a ricorrere a questi ultimi. Tenendo conto dei vincoli di bilancio occorre avviare una riforma sistematica degli ammortizzatori sociali, volta a garantire a ogni lavoratore che non sarà privo di copertura rispetto ai rischi di perdita temporanea del posto di lavoro. Abbiamo da affrontare una crisi, abbiamo da affrontare delle trasformazioni strutturali, ma è nostro dovere cercare di evitare le angosce che accompagnano questi processi.

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È necessario, infine, mantenere una pressione costante nell’azione di contrasto e di prevenzione del lavoro sommerso. Uno dei fattori che distinguono l’Italia nel contesto europeo è la maggiore difficoltà di inserimento o di permanenza in condizioni di occupazione delle donne. Assicurare la piena inclusione delle donne in ogni ambito della vita lavorativa ma anche sociale e civile del Paese è una questione indifferibile.

È necessario affrontare le questioni che riguardano la conciliazione della vita familiare con il lavoro, la promozione della natalità e la condivisione delle responsabilità legate alla maternità da parte di entrambi i genitori, nonché studiare l’opportunità di una tassazione preferenziale per le donne.

C’è poi un problema legato all’invecchiamento della popolazione che si traduce in oneri crescenti per le famiglie; andrà quindi prestata attenzioni ai servizi di cura agli anziani, oggi una preoccupazione sempre più urgente nelle famiglie in un momento in cui affrontano difficoltà crescenti.

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Infine un’attenzione particolare andrà assicurata alle prospettive per i giovani; dico “infine” nel senso di finalità di tutta la nostra azione. Questa sarà una delle priorità di azione di questo Governo, nella convinzione che ciò che restringe le opportunità per i giovani si traduce poi in minori opportunità di crescita e di mobilità sociale per l’intero Paese. Dobbiamo porci l’obiettivo di eliminare tutti quei vincoli che oggi impediscono ai giovani di strutturare le proprie potenzialità in base al merito individuale indipendentemente dalla situazione sociale di partenza. Per questo ritengo importante inserire nell’azione di Governo misure che valorizzino le capacità individuali e eliminino ogni forma di cooptazione. L’Italia ha bisogno di investire sui suoi talenti; deve essere lei orgogliosa dei suoi talenti e non trasformarsi in un’entità di cui i suoi talenti non sempre sono orgogliosi. Per questo la mobilità è la nostra migliore alleata, mobilità sociale ma anche geografica, non solo all’interno del nostro Paese ma anche e soprattutto nel più ampio orizzonte del mercato del lavoro europeo e globale.

L’ultimo punto che desidero brevemente presentarvi – ed è una caratteristica spero distintiva del nostro Esecutivo, se consentirete al nostro, o vostro, Governo di nascere, è quella delle politiche micro-economiche per la crescita.

Un ritorno credibile a più alti tassi di crescita deve basarsi su misure volte a innalzare il capitale umano e fisico e la produttività dei fattori. La valorizzazione del capitale umano deve essere un aspetto centrale: sarà necessario mirare all’accrescimento dei livelli d’istruzione della forza lavoro, che sono ancora oggi nettamente inferiori alla media europea, anche tra i più giovani. Vi contribuiranno interventi mirati sulle scuole e sulle aree in ritardo, identificando i fabbisogni, anche mediante i test elaborati dall’INVALSI, e la revisione del sistema di selezione, allocazione e valorizzazione degli insegnanti. Nell’università, varati i decreti attuativi della legge di riforma approvata lo scorso anno, è ora necessario dare rapida e rigorosa attuazione ai meccanismi d’incentivazione basati sulla valutazione, previsti dalla riforma. Gli investimenti in infrastrutture, di cui tante volte e giustamente abbiamo parlato e si è parlato negli corso degli anni, sono fattori rilevanti per accrescere la produttività totale dell’economia.

A questo scopo, abbiamo per la prima volta valorizzato in modo organico nella struttura del Governo la politica, anzi, le politiche di sviluppo dell’economia reale, con l’attribuzione ad un unico Ministro delle competenze sullo sviluppo economico e sulle infrastrutture ed i trasporti. Questo vuole indicare quasi visivamente e in termini di organigramma del Governo che pari attenzione e centralità vanno attribuite a ciò che mantiene il Paese stabile, la disciplina finanziaria, e a ciò che ad esso consente di crescere e, quindi, di restare stabile a lungo termine, cioè appunto la crescita.

Occorre anche rimuovere gli ostacoli strutturali alla crescita, affrontando resistenze e chiusure corporative. In tal senso, è necessario un disegno organico, volto a ridurre gli oneri ed il rischio associato alle procedure amministrative, nonché a stimolare la concorrenza, con particolare riferimento al riordino della disciplina delle professioni regolamentate, anche dando attuazione a quanto previsto nella legge di stabilità in materia di tariffe minime.

Intendiamo anche rafforzare gli strumenti d’intervento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in caso di disposizioni legislative o amministrative, statali o locali, che abbiano effetti distorsivi della concorrenza, accrescere la qualità dei servizi pubblici, nel quadro di un’azione volta a ridurre il deficit di concorrenza a livello locale, ridurre i tempi della giustizia civile, in modo tale da colmare il divario con gli altri Paesi, anche attraverso la riduzione delle sedi giudiziarie, e rimuovere gli ostacoli alla crescita delle dimensioni delle imprese, anche attraverso la delega fiscale.

Un innalzamento significativo del tasso di crescita è condizione essenziale non solo del riequilibrio finanziario, ma anche del progresso civile e sociale. In tal senso, una strategia di rilancio della crescita non può prescindere da un’azione determinata ed efficace di contrasto alla criminalità organizzata e a tutte le mafie, che vada a colpire gli interessi economici delle organizzazioni e le loro infiltrazioni nell’economia legale.

APPLAUSI

Il risanamento della finanza pubblica ed il rilancio della crescita contribuiranno a rafforzare la posizione dell’Italia in Europa e, più in generale, la nostra politica estera: vocazione europeistica, solidarietà atlantica, rapporti con i nostri partners strategici, apertura dei mercati, sicurezza nazionale ed internazionale rimarranno i cardini di tale politica. Voglio qui ricordare i nostri militari impegnati in missioni all’estero, le Forze Armate ed i rappresentanti delle forze dell’ordine, che sono in prima linea nella difesa dei nostri valori e della democrazia.

APPLAUSI

L’Italia ha bisogno di una politica estera coerente con i nostri impegni e di una ripresa d’iniziativa nelle aree dove vi siano significativi interessi nazionali.

Dimenticavo di dirvi, a proposito di militari impegnati in missioni all’estero, che se non vedete ancora in questi banchi il nostro collega Ministro della difesa, è perché l’altra sera l’ho svegliato alle tre di notte in Afghanistan, pensando che fosse a Bruxelles dove si trova la sua sede ordinaria di lavoro. Ho notato prima una certa esitazione e poi grande entusiasmo nell’accettazione della proposta. (Applausi dai Gruppi PdL e PD). Ecco un esempio di militare impegnato all’estero che sta facendo i salti mortali per arrivare a giurare nelle mani del Capo dello Stato nelle prossime ore. Scusate quindi la sua assenza.

La gravità della situazione attuale richiede una risposta pronta e decisa nella creazione di condizioni favorevoli alla crescita nel perseguimento del pareggio di bilancio, con interventi strutturali e con un’equa distribuzione dei sacrifici.

Il tentativo che ci proponiamo di compiere, onorevoli senatori, e che vi chiedo di sostenere è difficilissimo; altrimenti ho il sospetto che non mi troverei qui oggi. I margini di successo sono tanto più ridotti, come ha rilevato il Presidente della Repubblica, dopo anni di contrapposizione e di scontri nella politica nazionale. Se sapremo cogliere insieme questa opportunità per avviare un confronto costruttivo su scelte e obiettivi di fondo avremo occasione di riscattare il Paese e potremo ristabilire la fiducia nelle sue istituzioni. Vi ringrazio.

APPLAUSI

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Dibattiti Finanza - Economia Natura Popoli e politiche Scienza

About the overshoot day.

L’overshoot day è stato il 27 settembre scorso. E’ stato il giorno in cui l’umanità è entrata in deficit ecologico. Vuol dire che per quest’anno abbiamo esaurito tutte le risorse naturali disponibili. Che si fa? Si fa come fanno tutti quelli che hanno debiti: inizieremo a consumare quelle riservate al prossimo anno. Insomma, da qualche giorno, stiamo mettendo mano ai risparmi che si andranno a sottrarre dal capitale ecologico ed ambientale del futuro del pianeta. Ma come siamo arrivati a questo punto? Per una inesorabile legge dell’economia: spendiamo più di quanto abbiamo. Anche in termini di risorse.

Spiega Mathis Wackernagel presidente del Global footprint network, l’associazione internazionale che calcola ogni anno la spesa ecologica dell’umanità: «Se vogliamo mantenere la società stabili e vivere bene non possiamo più sostenere un deficit di bilancio sempre più ampio tra ciò che la natura è in grado di fornire e quanto le nostre infrastrutture, economie e stili di vita richiedono». È dal 1970 in poi che le attività umane hanno superato la soglia critica di sfruttamento delle risorse del pianeta e la domanda ha iniziato a superare l’offerta in una condizione nota come superamento ecologico.

La domanda, però è davvero semplice: se il nostro sviluppo economico è basato sullo sfruttamento del pianeta, come si pensa di riuscire a fermare l’immenso spreco delle risorse ambientali? Se non si supera il capitalismo, non ci sono chances di tornare un giusto equilibrio tra capitale ecologico e “il capitale”.

Tanto più che “il capitale” ha problemi talmente gravi che ha cominciato a consumare le riserve finanziarie del futuro da almeno tre anni a questa parte, cioè dall’insorgere della bolla speculativa dei titoli tossici, che hanno prodotto un indebitamento finanziario, si dice, pari a undici volte la somma del prodotto interno lordo di tutti i paesi del pianeta.

Il pianeta se la cava meglio dell’economia globalizzata, i cui governi stanno facendo a pezzi piccoli il welfare, con il risultato di ipotecare il futuro di almeno un paio di generazioni future. Quando si parla della fine del mondo, che potrebbe essere stata prevista nel prossimo 2012, non si tiene conto non solo che di leggende catastrofiche è piena la storia degli uomini, ma soprattutto non si tiene in considerazione una cosa semplice semplice: non è dato che le sorti del genere umano coincidano con il futuro del pianeta.

La fine del mondo, semmai potrebbe significare la fine del “mondo degli uomini”, capaci come sono di autodistruggersi. Il pianeta c’era prima della nostra comparsa e ci sarà dopo.
Anzi, se è vero che la Terra è un pianeta intelligente, perché mai dovrebbe sopportarci ancora a lungo? Beh, buona giornata.

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Attualità Popoli e politiche Salute e benessere Scienza

Perché dire No al nulceare e votare SI’ al referendum.

di ALBERTO BAROCAS-repubblica.it

Dopo essere stato allibito per l’incoscienza delle dichiarazioni di uno scienziato, il professor Battaglia (la pubblicazione di una sua opera scientifica con la prefazione di Silvio Berlusconi parla da sé), su un tema così importante per la sorte dell’umanità, mi sento costretto ad intervenire avendo dedicato tutta la mia vita professionale alla ricerca e sviluppo del nucleare ed essendo stato per lungo tempo “abbastanza” a favore dell’energia nucleare.

Dopo una laurea in Radiochimica presso l’Università di Roma e successivo Corso di Perfezionamento in Fisica e Chimica Nucleare, ho lavorato presso i laboratori di ricerca del plutonio di Fontenay-aux-Roses (Francia) nelle ricerche e tecniche del plutonio per l’impianto di riprocessamento del combustibile nucleare di La Hague. Ritornato in Italia ho partecipato, nei laboratori di ricerca della Casaccia (CNEN, ora ENEA), alla messa a punto degli impianti di separazione del plutonio di Saluggia e successivamente allo studio dei siti nucleari in vista della costruzione di centrali di energia nucleare. Dal 1982 sono stato distaccato dal CNEN presso l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) di Vienna dove mi sono occupato prevalentemente di salvaguardie nucleari, in particolare per i reattori nucleari di potenza e di ricerca nel mondo. Per 22 anni ho avuto la possibilità di visitare ed ispezionare una sessantina di reattori in tre continenti, in particolare in Giappone ed in particolare proprio Fukushima.

Durante l’intera attività ero giunto alla conclusione che le precauzioni utilizzate negli impianti nucleari fossero tali da rendere praticamente impossibile un grosso incidente nucleare. Proprio il Giappone si presentava ai miei occhi come il modello per eccellenza di organizzazione, di perfezione, di attenzione al più piccolo dettaglio: l’energia nucleare o doveva essere realizzata così o non doveva esistere. Ed invece… Three Miles Island, Chernobyl, Fukushima… tre catastrofi in meno di 30 anni.

Oggi sono completamente convinto che i rischi dell’energia nucleari siano tali da consigliarne l’utilizzo solo se non ci fossero sulla Terra altre fonti di energia o dopo una guerra nucleare. Voterò quindi SI al referendum per le seguenti ragioni:

a) la progettazione di una centrale nucleare avviene sulla base di dati statistici puri, cioè su una probabilità estremamente bassa di un grosso incidente, anziché basarsi sul fatto che un incidente anche imprevedibile possa avvenire (per esempio: chi avrebbe mai potuto calcolare statisticamente che otto montanari dell’Afghanistan si potessero impadronire contemporaneamente di quattro jet di linea facendoli convergere sulle Torri di New York, sul Pentagono e sulla Casa Bianca? Chi potrebbe calcolare statisticamente la possibilità dell’impatto di un meteorite?) e quindi progettando nello stesso tempo le soluzioni e le difese: naturalmente questo però aumenterebbe enormemente i costi ed allora bisogna ricordarsi che l’energia nucleare è un’industria come tutte le altre, cioè che vuole fare profitti;

b) gli effetti di un grosso incidente non sono come gli altri: terremoti, inondazioni, incendi fanno un certo numero di vittime e danni incalcolabili, ma tutto questo ha un termine. L’energia nucleare no: gli effetti si propagano per decenni se non secoli, con un disastro anche economico per il Paese colpito. I discendenti delle bombe di Hiroshima e Nagasaki ancora subiscono danni. Altrimenti perché il deterrente di una guerra nucleare funziona talmente? Anche i bombardamenti “classici” causano morti molto elevate, ma non portano a danni simili per generazioni…

c) il blocco dell’energia nucleare in Italia del 1987 ha avuto il torto di fermare di botto non solo le quattro centrali in funzione (Trino Vercellese, Caorso, Latina, Garigliano) e la costruzione di Montalto con spese immani per un pazzesco riadattamento dell’impianto nucleare ad una centrale di tipo classico, ma altresì ogni tipo di ricerca nucleare, anche di eventuali impianti innovativi, creando un pericolo, dato l’impauperamento di una cultura “nucleare”: non esistevano più corsi di scienze nucleari, né tecnici, né possibilità di tecnologie di difesa da eventuali incidenti in altre nazioni. E questo non è richiesto dalla rinuncia all’uso di centrali atomiche: la ricerca e lo sviluppo del nucleare dovrebbe poter continuare;

d) la presenza di impianti di produzione di energia nucleare porta ad una militarizzazione delle zone in questione: non c’è trasparenza, ogni dato viene negato all’opinione pubblica. Anche agli ispettori dell’AIEA viene proibito di comunicare con la stampa. Lo dimostra anche quello che è successo a Fukushima: il gestore ha tenuto nascosto per lungo tempo la gravità dell’accaduto. E in un territorio come il Giappone, sottoposto non solo a terremoti ma a tsunami, il costo di una maggiore precauzione per gli impianti di raffreddamento è stato tenuto il più basso possibile senza tenere conto dei rischi solamente per fare più profitto!

e) in tutto il mondo non è stato mai risolto il problema dello smaltimento delle scorie mucleari. Nell’immenso deposito scavato in una montagna di Yucca Mountain in USA si sono dovuti fermare i lavori, il maggiore deposito in miniere di sale della Germania si è dimostrato contaminato con pericoli per le falde acquifere, ecc. Il combustibile nucleare delle nostre centrali fermate è in gran parte ancora lì dopo 25 anni. D’altra parte un Paese come il nostro che non riesce a risolvere il problema dei rifiuti può dare garanzie sui rifiuti nucleari?

f) l’Italia è un paese sismico, dove l’ospedale e la casa dello studente dell’Aquila sono crollate perché al posto del cemento è stata usata sabbia. Può dare garanzie sugli impianti nucleari? E la presenza di criminalità organizzata a livelli preoccupanti può liberarci da particolari preoccupazioni nella scelta e costruzione di centrali atomiche?

g) ultima osservazione: anche se molti minimizzano gli effetti delle radiazioni nucleari, una cosa si può dire con certezza: gli effetti delle radiazioni a bassi livelli ma per tempi estremamente lunghi sugli esseri viventi non sono stati mai chiariti. Non deve essere solo il fumo a preoccupare l’opinione pubblica!

Per tutte queste ragioni penso che in Italia l’uso dell’energia nucleare non sia raccomandabile, perlomeno in questa fase della nostra storia, ed invece un miscuglio di diverse fonti di energia (eolica, solare, idrica, gas, geotermica) potrà sopperire ai nostri bisogni, accompagnato da una maggiore ricerca scientifica ed un diverso modello di vita con maggiore eliminazione degli sprechi. Io voto sì. (Beh, buona giornata).

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La lobby del nucleare (e Publitalia) vittime del conflitto di interessi.

A quelli del Forum nucleare deve essere preso un attacco di bile. Lo si capisce dalle dichiarazioni di Chicco Testa che, sorvolando sulle motivazioni politiche che hanno fatto dire stop al nucleare al neo ministro dello Sviluppo economico, si è limitato a osservare che così vince il petrolio e i suoi derivati.

Certo è che a quelli del nucleare gli devono girare forte. Come ha avuto modo di dire Massimo D’Alema ,con il suo consueto cinismo, il governo Berlusconi si rimangia, in un boccone solo, l’unica vera innovazione della sua travagliata legislatura: il ritorno al nucleare , con tanto di accordi firmati con i francesi, la gran cassa mediatica, il cavallo di battaglia dell’ex ministro Scajola, il quasi riuscito sfondamento a sinistra in fatto di energia atomica, con i possibilisti pronti all’avventura, per non dire dei neoconvertiti già partiti all’attacco, di cui Chicco Testa è stato alfiere.

Adesso che tutto è andato in vacca, ci si chiede ma chi è che ha portato sfiga? E’ stato il Forum che ha gettato sul piatto della comunicazione quattro o cinque milioni di euro per la famosa campagna degli scacchi? L’operazione di comunicazione sollevò un vespaio, beccandosi anche una censura dal parte degli organi di autodisciplina della pubblicità italiana. E’ come se quella campagna avesse evocato il disastro di Fukushima, come dire che il Forum se l’è tirata: si è fatto scacco matto da solo.

Oppure, chi ha portato sfiga è stato Scajola? Scajola è quello che faceva il ministro degli Interni quando si scatenò l’inferno a Genova per quel G8 che vide morire ammazzato Carlo Giuliani, che vide la “macelleria messicana” alla Diaz e alla Caserma Bolzaneto. Non pago, Scajola qualche settimana dopo in barca se se esce con i giornalisti che Marco Biagi, ammazzato della nuove Br a Bologna era (testuale) “un rompicoglioni”. Bufera e Scajola si dimette. Tornerà al governo con il nuovo governo Berlusconi, ma si deve dimettere dopo la scoperta della cricca dei costruttori, quelli che si sfregavano le mani non solo per il terremoto de L’Aquila, ma anche al pensiero delle tonnellate di cemento armato che servono per costruire le centrali nucleari. Ma per via dell’acquisto di quella famosa casa “che se scopro che qualcuno me l’ha pagata a mia insaputa…..”, ecco che è proprio Scajola che ha portato sfiga al nucleare, lui che gli tsumani politici se li crea e se li scatena addosso.

Oppure a portare sfiga al ritorno al nucleare è stato Marcello Andreani, amministratore delegato di Publitalia, la concessionaria di pubblicità di Mediaset. Le reti del Biscione si leccavano i baffi, avevano già offerto spazi a tutte le aziende dell’energia, che, in occasione del Referendum, avrebbero potuto inondare le tv di spot a favore del nucleare. Forse l’eccessiva sicurezza di avere il portafoglio già pieno di inserzioni pubblicitarie ha giocato un brutto scherzo alle reti del Cavaliere: succede il disastro a Fukushima, tutti loro dicono che non bisogna farsi prendere dall’emotività, poi però ci sono le elezioni amministrative, si rischia di perderle. Le aziende dell’energia mangiano la foglia e cominciano a disinvestire. A Publitalia sfuma l’affare pubblicitario, che avrebbe potuto salvare un anno difficile anche per loro.

C’è da pensare che Andreani, se potesse, ammazzerebbe Berlusconi, ma ovviamente non può. Anche se è proprio Berlusconi l’unico vero colpevole della fine del sogno nucleare. Deve aver pensato, che sfiga: se quelli vanno a votare contro e vincono, il governo va in minoranza nel Paese e addio sogni di gloria dell’”eletto dal popolo”. Col pericolo che magari vince anche il referendum contro la privatizzazione dell’acqua pubblica e, sciagura delle sciagure, magari già che ci sono gli elettori mettono una bella croce sul Sì all’abrogazione della legge sul legittimo impedimento.

Insomma, ‘sta volta Berlusconi è stato vittima del suo stesso conflitto di interessi. E’ diventata una scoria radioattiva, che ha portato sfiga alla stessa lobby dell’atomo made in Italy. Beh, buona giornata.

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Attualità Natura Salute e benessere Scienza

Menzogne radioattive.

(fonte: rainews24)

Un ex progettista di centrali nucleari giapponesi ha accusato il governo giapponese di non dire tutta la verita’ sulla situazione degli impianti atomici danneggiati dal terremoto. Masashi Goto, in una conferenza stampa a Tokyo di cui da’ notizia la Bbc, ha detto che per il Giappone si prospetta una crisi gravissima, che uno dei reattori dell’impianto di Fukushima-Daiichi e’ “altamente instabile” e che le conseguenze di un’eventuale fusione sarebbero “tremende”.

Finora il governo giapponese ha detto che un’eventuale fusione non porterebbe al rilascio di dosi significative di materiale radioattivo. Goto e’ di diverso avviso: secondo lui i reattori di Fukushima-Daiichi sono sottoposti a aumenti di pressioni ben oltre i livelli previsti quando sono stati costruiti. C’e’ il grave rischio di una esplosione con materiale radioattivo ‘sparato’ su un’area molto vasta, ben oltre l’area di evacuazione di venti chilometri imposta dalle autorita’.

Goto ha detto che nel reattore 3 di Fukushima-Daiichi, dove la pressione sta salendo a rischio esplosione, e’ stato usato un tipo di combustibile chiamato Mox (un misto di ossido di plutonio e ossido di uranio): il fallout radioattivo potrebbe essere due volte peggio. L’esperto nucleare ha accusato il governo di nascondere deliberatamente informazioni vitali: “Non e’ stato detto abbastanza su come e’ stato ventilato l’idrogeno”. Goto ha anche descritto come “altamente inconsueto e pericoloso” l’uso dell’acqua di mare per raffreddare i reattori di Fukushima-Daiichi.

Descrivendo lo scenario peggiore, l’esperto ha detto che vi sarebbe “la fusione del nucleo. Se le barre cadono e si mescolano con l’acqua il risultato e’ un’esplosione di materiale solido, come un vulcano che diffonde materiale radioattivo. Vapore o una esplosione dell’idrogeno possono disperdere le scorie oltre 50 chilometri. E il tutto rischia di essere moltiplicato: ci sono molti reattori nella zona, cosi’ ci potrebbero essere molte Cernobyl”. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media Salute e benessere Scienza

Alstom, Ansaldo Nucleare, Areva, Confindustria, Eon, Edf, Edison, Enel, Federprogetti, Gdf Suez, Sogin, Stratinvest Ru, Techint, Technip, Tecnimont, Terna, Westinghouse: Chicco che ti sei messo in Testa?

Pubblicità sul nucleare: diteci chi paga quei 7 milioni di euro, di Oliviero Beha

Qualche tempo fa il Ministro Brunetta aveva avuto un’idea tutt’altro che trascurabile: per i programmi tv della Rai nei titoli di coda far scorrere anche i compensi dei singoli, conduttori, autori, ospiti, i costi di produzione, ecc. La cosa finì lì, perché da un lato sembrava una mossa del centrodestra, che governa la Rai dopo la vittoria elettorale come vuole il nostro splendido costume, contro Santoro e le trasmissioni anti-governative.

Governo che ricordo presieduto dal proprietario di altre tre reti in chiaro, più un vasto pacchetto analogico più altri ammennicoli che qui o mi sfuggono o mi faccio sfuggire per farla corta. E dall’altro non se ne fece nulla per oggettive ragioni di psicologia collettiva, di radicate abitudini, di foschia antropologica: non è forse vero che la trasparenza sembra non convenire a nessuno in un Paese anticalvinista che ha un pessimo rapporto con il denaro, in una sorta di post cattolicesimo alla Dio Mammone?

Che cosa mi fa venire in mente quell’uscita di Brunetta presto evaporata tra le polemiche? La storia degli spot tv sul “nucleare sì/ nucleare no” che ormai da un bel po’ campeggiano sui nostri teleschermi (anche alla radio, anche su internet? Controllerò). Sono spot della Saatchi&Saatchi, dubbiosi, problematici, ben fatti da un certo punto di vista. Del resto non si ripete spessissimo che la parte migliore ovvero meglio fatta, più curata della tv, è la pubblicità? E nel processo di produzione delle merci abbinate ai mezzi di comunicazione, in primis la televisione, la pubblicità non gioca un ruolo decisivo?

Voglio dire che si potrebbe sostenere che oggi non sia la pubblicità a essere una condizione essenziale per il capitalismo degli anni Tremila ma il capitalismo un pretesto colossale per il mulino della pubblicità, che sia bianco o no cambia poco. Viviamo ormai una vita pubblica e pubblicitaria, nella quale gli spazi privati si sono ridotti all’osso, per scelta consenziente oppure no, per distrazione, per abitudine delle masse di consumatori. Dei prodotti pubblicizzati. Della pubblicità che li rende visibili aumentandone a dismisura il costo.

Seguendo Brunetta, forse bisognerebbe pretendere che per ogni spot pubblicitario ci fosse la scritta o la dicitura di chi paga quella pubblicità specifica. Che la Barilla produca i suoi spot è ovvio, dunque non è questo il caso in questione e tutti i produttori di qualcosa immediatamente collegabile al marchio dei loro prodotti naturalmente restano fuori da questo discorso. Ma la pubblicità ambigua o dialogica o dialettica (anche qui, dipende dal punto di vista) sulla scelta del nucleare in un Paese che lo ha comunque rigettato con un referendum popolare, bella o brutta che sia, chi la paga? Da Il Fatto di ieri l’altro ecco l’elenco di chi paga: Alstom, Ansaldo Nucleare, Areva, Confindustria, Eon, Edf, Edison, Enel, Federprogetti, Gdf Suez, Sogin, Stratinvest Ru, Techint, Technip, Tecnimont, Terna, Westinghouse.

Un budget di 7 milioni fino ad oggi, non si sa di quanto per l’anno appena cominciato. I dirigenti del Forum sono, oltre a Chicco Testa, Bruno D’Onghia (capo in Italia dell’Edf, gigante elettrico nucleare francese), Karen Daifuku (nota lobbista internazionale del settore), e tre dirigenti Enel: Giancarlo Aquilanti, Paolo Iammatteo e Federico Colosi. Tra i soci del Forum ci sono anche Cisl e Uil di categoria, più alcune Università italiane. L’associazione è fondata sul “supporto organizzativo e strategico” della Hill & Knowlton, multinazionale della comunicazione.

Il Presidente del Forum nucleare italiano che è dietro a tutta l’operazione, compresa la pubblicità di cui sto parlando, non è un profano. Citando Il Fatto ma anche la mia memoria: “Testa conosce l’argomento. L’Enel l’ha scelto per sanare i danni gravissimi da lui stesso prodotti alla cultura nucleare nazionale negli anni ‘80, quando guidava le manifestazioni per fermare le centrali. E’ lui che il 9 novembre 1987, deputato comunista, così commentava l’esito del referendum nucleare: ‘Il risultato è di grandissimo interesse politico.

La battaglia è stata dura per i grossi interessi in campo'”. Insomma, Chicco si è sistemato e da un pezzo.
Capita l’antifona? Allora forza, se la pubblicità si sta mangiando l’informazione non vale la pena che almeno si sappia se gli spot sull’Avis sono prodotti dal Conte Dracula? Non è il minimo della pena, per capirci qualcosa? E se ci fossero spot prodotti dagli antinuclearisti, non credete che pretenderei la stessa trasparenza? Viva Brunetta, dunque, e abbasso Testa se non mi mette in tv (con chiarezza assai superiore e meno subliminale del contenuto sceneggiato) che gli spot sul nucleare sono prodotti dal medesimo business del nucleare. Me li metta in sovrimpressione, prego. Il resto sono chiacchiere.
(Beh, buona giornata).

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Attualità Salute e benessere Scienza

La Chiesa Cattolica sempre contro la scienza. Fin dai tempi di Galileo Galilei, il Vaticano eppur non si muove.

Lo scherzo da preti del Nobel a Edwards,da il-non-senso-della-vita, blog di Giorgio Odifreddi-repubblica-it
Oggi è stato assegnato il premio Nobel per la medicina a Robert Edwards, per «lo sviluppo della fertilizzazione in vitro». Cioè, per intenderci, per la tecnica di fecondazione assistita che permette alle coppie sterili, che sono ben il dieci per cento di tutte le coppie, di non arrendersi e avere comunque figli «in provetta».

Le ricerche di Edwards erano cominciate negli anni ‘50, ma solo il 25 luglio 1978 egli potè annunciare al mondo la nascita di Louise Brown, la prima bambina concepita con la nuova tecnica e partorita con un cesareo. Da allora, circa quattro milioni di bambini sono nati in tal modo, e alcuni di essi sono già diventati genitori a loro volta: in particolare, la stessa Brown, che ha avuto un figlio in maniera «naturale».

Prima di Edwards, la fecondazione assistita era già stata sperimentata con successo nei conigli. Ma negli uomini presentava problemi particolari, e per poterla realizzare Edwards dovette capire meglio il processo di maturazione dell’ovulo, il modo in cui gli ormoni lo regolano, il periodo in cui esso diventa fecondabile, e le condizioni di attivazione dello sperma.

Nel 1969 egli riuscí a fecondare artificialmente il primo ovulo, ma non ad attivarne la divisione cellulare. Uní allora i suoi sforzi a quelli del ginecologo Patrick Steptoe, e quest’ultimo sviluppò una tecnica di ispezione delle ovaie mediante uno strumento ottico. Fu cosí possibile prelevare ovuli che erano già maturati nelle ovaie, e la loro fecondazione artificiale questa volta funzionò: i due scienziati ottennero cosí il primo embrione a otto cellule, pronto per essere reimpiantato nell’utero.

Immediatamente si scatenerano le polemiche. Le ricerche di Edwards e Steptoe persero i finanziamenti pubblici, ma furono salvate da successive donazioni private di fondi. Nove anni dopo, nel 1978, furono infine coronate dal successo. Nel 1986 erano ormai 1.000 i bambini nati con la nuova tecnica. E oggi essa, migliorata e raffinata, è diventata di uso comune nei paesi civili.

Non nel nostro, ovviamente, che civile non è per tanti motivi, compreso questo. Per chi se lo fosse dimenticato, infatti, il 19 febbraio 2004 il Parlamento italiano ha promulgato l’infame Legge 40, sulle «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita». E il 12 e 13 giugno 2005 gli elettori italiani hanno fatto fallire i quattro referendum che erano stati proposti per migliorarne l’obbrobrio.

A parte i sedicenti e ossimorici «cattolici adulti», guidati da Romano Prodi, la quasi totalità dei cattolici, immaturi per definizione, si adeguò infatti ai diktat del cardinal Ruini e dell’allora nuovo papa Benedetto XVI, astenendosi. Con loro si schierò uno sparuto gruppo di altrettanto sedicenti e ossimorici «scienziati» aderenti al Comitato Scienza e Vita, coordinato da Bruno Dallapiccola e Paola Binetti.

La quasi totalità dei laici, compresa ad esempio la Federazione delle Chiese Evangeliche, espressione dei protestanti italiani, seguí invece, senza successo, l’appello alla ragionevolezza dei nostri due premi Nobel per la medicina, Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini. Il che dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che il problema dell’Italia non è la religione, e neppure il Cristianesimo: è soltanto il Cattolicesimo, cosí come lo intendono la Chiesa e il Vaticano. E il Nobel di oggi a Edwards (non a Steptoe, che è morto nel 1988) non fa che confermarlo.

Oggi è stato assegnato il premio Nobel per la medicina a Robert Edwards, per «lo sviluppo della fertilizzazione in vitro». Cioè, per intenderci, per la tecnica di fecondazione assistita che permette alle coppie sterili, che sono ben il dieci per cento di tutte le coppie, di non arrendersi e avere comunque figli «in provetta».

Le ricerche di Edwards erano cominciate negli anni ‘50, ma solo il 25 luglio 1978 egli potè annunciare al mondo la nascita di Louise Brown, la prima bambina concepita con la nuova tecnica e partorita con un cesareo. Da allora, circa quattro milioni di bambini sono nati in tal modo, e alcuni di essi sono già diventati genitori a loro volta: in particolare, la stessa Brown, che ha avuto un figlio in maniera «naturale».

Prima di Edwards, la fecondazione assistita era già stata sperimentata con successo nei conigli. Ma negli uomini presentava problemi particolari, e per poterla realizzare Edwards dovette capire meglio il processo di maturazione dell’ovulo, il modo in cui gli ormoni lo regolano, il periodo in cui esso diventa fecondabile, e le condizioni di attivazione dello sperma.

Nel 1969 egli riuscí a fecondare artificialmente il primo ovulo, ma non ad attivarne la divisione cellulare. Uní allora i suoi sforzi a quelli del ginecologo Patrick Steptoe, e quest’ultimo sviluppò una tecnica di ispezione delle ovaie mediante uno strumento ottico. Fu cosí possibile prelevare ovuli che erano già maturati nelle ovaie, e la loro fecondazione artificiale questa volta funzionò: i due scienziati ottennero cosí il primo embrione a otto cellule, pronto per essere reimpiantato nell’utero.

Immediatamente si scatenerano le polemiche. Le ricerche di Edwards e Steptoe persero i finanziamenti pubblici, ma furono salvate da successive donazioni private di fondi. Nove anni dopo, nel 1978, furono infine coronate dal successo. Nel 1986 erano ormai 1.000 i bambini nati con la nuova tecnica. E oggi essa, migliorata e raffinata, è diventata di uso comune nei paesi civili.

Non nel nostro, ovviamente, che civile non è per tanti motivi, compreso questo. Per chi se lo fosse dimenticato, infatti, il 19 febbraio 2004 il Parlamento italiano ha promulgato l’infame Legge 40, sulle «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita». E il 12 e 13 giugno 2005 gli elettori italiani hanno fatto fallire i quattro referendum che erano stati proposti per migliorarne l’obbrobrio.

A parte i sedicenti e ossimorici «cattolici adulti», guidati da Romano Prodi, la quasi totalità dei cattolici, immaturi per definizione, si adeguò infatti ai diktat del cardinal Ruini e dell’allora nuovo papa Benedetto XVI, astenendosi. Con loro si schierò uno sparuto gruppo di altrettanto sedicenti e ossimorici «scienziati» aderenti al Comitato Scienza e Vita, coordinato da Bruno Dallapiccola e Paola Binetti.

La quasi totalità dei laici, compresa ad esempio la Federazione delle Chiese Evangeliche, espressione dei protestanti italiani, seguí invece, senza successo, l’appello alla ragionevolezza dei nostri due premi Nobel per la medicina, Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini. Il che dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che il problema dell’Italia non è la religione, e neppure il Cristianesimo: è soltanto il Cattolicesimo, cosí come lo intendono la Chiesa e il Vaticano. E il Nobel di oggi a Edwards (non a Steptoe, che è morto nel 1988) non fa che confermarlo.
(Beh, buona giornata).

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