Categorie
democrazia Dibattiti Guerra&Pace libertà, informazione, pluralismo, Movimenti politici e sociali Politica

Il Presidente, il professore e i giovani.

Tanto scipito è stato il discorso di fine anno, che si cerca ora di dargli un qualche sapore. Così, il professor Guido Crainz si è lanciato oltre le trincee del realismo politico alla disperata difesa del discorso del presidente Mattarella. Egli scrive su Repubblica:
“ (…) nella guerra che terminò un secolo fa, ha ricordato, i diciottenni di allora — i «ragazzi del ’99» — andarono a morire nelle trincee, oggi possono dare al Paese non la loro vita ma il loro voto. Possono «essere protagonisti della vita democratica».

I ragazzi del ’99 non furono protagonisti, ma vittime sacrificali di una politica di rapina territoriale, detta “irredentismo”, mandate letteralmente al macello dalla monarchia sabauda, ma anche da una classe politica vecchia e istupidita dal nazionalismo. Quel bagno di sangue immane non battezzò una nuova e più florida epoca, ma spianò la strada al Fascismo, abbondantemente foraggiato da chi – Casa Savoia in testa – temeva che il dopoguerra favorisse il nascente movimento operaio italiano. Il professore Crainz queste cose le sa bene, tuttavia si è lasciato trasportare da una specie di “storicismo all’acqua di rose”, pur di difendere la debole tesi del Presidente Mattarella.

Infatti, Crainz ne è cosciente, al punto di sostenere che “di nuovo la storia aiuta però a ricordare che l’incertezza e la preoccupazione per il futuro, così presenti oggi, non hanno segnato invece altre fasi storiche, pervase da un’idea positiva di progresso.”
È vero. I giovani che aderirono alla Resistenza furono il motore non solo della Liberazione, ma di un vento nuovo che spazzò via, in un colpo solo, occupanti, fascisti e la monarchia corrotta, dando quella spinta alla democrazia del nostro paese, scrivendo pagine di riscatto e riscossa, la cui sintesi è tutt’ora leggibile negli articoli della nostra Costituzione.
Però, stranamente Crainz si è dimenticato di ricordarcelo.

Tuttavia, ci dice finalmente con chiarezza che le difficoltà reali del paese non hanno impedito “ né hanno segnato i primi decenni della nostra storia repubblicana, quando vi era la convinzione che i figli avrebbero avuto un futuro migliore dei padri: fu questa convinzione a farci superare gli anni durissimi del dopoguerra, e poi le asprezze di una modernizzazione che impose anche costi e sacrifici (soprattutto per i più deboli)”.

Vorrei ricordare ai lettori la sostanza di ciò che qui afferma il professor Crainz. Furono i giovani i protagonisti della battaglia per l’attuazione della riforma agraria nel sud, contro i quali si scatenò la violenza mafiosa. Il presidente Mattarella sa bene cosa sia la mafia, che prima di arrivare a colpire gli uomini delle istituzioni, aveva fatto stragi e assassini tra contadini, dirigenti sindacali, militanti politici.

Furono i giovani a battersi contro le “gabbie” salariali, mettendo le basi per la contrattazione collettiva che diede vita ai contratti di lavoro nazionali.

Furono i giovani a dare vita alle grandi battaglie sindacali nel triangolo industriale del nord ovest; furono i giovani a fare delle proteste studentesche del ‘68 non solo un volano di libertà e uguaglianza a fianco della classe operaia, ma anche una formidabile forza di cambiamento nei costumi, nella cultura, nelle relazioni famigliari e nei rapporti tra i sessi, introducendo l’idea dell’estensione dei diritti civili. Senza il protagonismo politico e sociale dei giovani, oggi non avremmo leggi che tutelano il lavoro, le donne, la malattia, le differenze di genere, ecc.

L’Italia cambiò contro il volere dell’establishment a guida democristiana, ma anche oltre le aspettative e l’immaginario politico e sociale della sinistra parlamentare. E qui i giovani divennero un problema politico, che in Italia spesso ha portato a soluzioni di “ordine pubblico”, modo nel quale fu trattato il movimento del ’77, che poneva il problema del reddito, oltre l’organizzazione del lavoro.

È la questione di oggi, a cui però ieri si rispose con la violenza di Stato, accompagnata dalla “scomunica” della sinistra che sedeva in Parlamento, la quale non solo permise la degenerazione dello scontro, ma tentò di gestirla con la repressione assurta a ragion di Stato.

Tra l’altro ci sono amnesie colpevoli. La generazione dei “ragazzi del 1999” è venuta al mondo in contemporanea con il movimento “no global”, nato a Seattle proprio nel 1999. Ma fatto a pezzi a forza di botte e torture al G8 di Genova nel 2001. Il Presidente queste cose dovrebbe ricordarle, perché proprio in quell’anno fu rieletto in Parlamento nelle liste della Margherita.

Ovviamente, il professor Crainz queste cose le sa bene, avendole non solo studiate e insegnate, ma anche vissute. Ed ecco che stupisce la sua difesa d’ufficio del discorso del presidente Mattarella. Tra l’altro, sia detto con grande amarezza, evocare il ruolo dei giovani a poche ore dall’aver permesso di rimandare ancora il diritto di cittadinanza a 815 mila bambini e ragazzi nati in Italia ha avuto il sapore si una gaffe imperdonabile.

Credo sia sbagliato il parallelo storico con i “ragazzi del ’99”; sia retorica fine a sé stessa chiedere ai ragazzi del 1999 di fare qualcosa per salvare il salvabile.

Siamo noi che dobbiamo fare qualcosa per salvare la loro generazione dallo sfacelo nel quale li abbiamo cacciati, (basti prendere in esame il tasso di disoccupazione giovanile). Uno sfacelo che rischia di essere – come ho già avuto modo di dire in un’altra occasione – una Caporetto democratica che incombe nelle prossime elezioni, disfatta il cui sentore si è avvertito nelle stesse parole del Presidente.

La “chiamata alle armi” dei diciottenni rischia di trasformarsi in un bagno di sangue virtuale, in cui veder naufragare non solo la fiducia nella politica –già da tempo bell’e affogata- quanto la stessa fiducia nella cultura democratica, cui tra differenza, scontri e accesi contrasti abbiamo fin qui comunque contribuito per generazioni.

La retorica del macello.

Share
Categorie
democrazia Dibattiti Guerra&Pace libertà, informazione, pluralismo, Popoli e politiche

No, non fate i furbi, non siamo in guerra.

La guerra noi la bombardiamo dall’alto, cercando di non lasciare uomini sul terreno. Noi facciamo i guerrafondai con i morti degli altri. Noi le chiamiamo missioni umanitarie. Noi non spariamo, no, noi facciamo attività di peacekeeping. In Afghanistan, in Iraq, in Siria lo facciamo da quindici anni, che significano centinaia di migliaia di morti civili, per i quali non versiamo lacrime, eh no!, sono danni collaterali, mica lo abbiamo fatto apposta. Gli mandiamo anche cerotti con le organizzazioni non governative, che volete di più?

I nostri nemici non hanno diritto agli onori militari, manco rientrano nelle Convenzioni internazionali: sono terroristi, no!? Bisogna farli parlare, come ad Abu Ghraib o deportare senza processo a Guantánamo.

Ad ogni detonazione, fa eco lo sconcio mantra secondo cui solo i buonisti pensano che non bisogna armarsi e partire, che non bisogna torturarli. “Ci vogliono le palle”, altercano nei salotti televisivi.

I civili inermi che fuggono da lì e vengono da noi? Aiutiamoli a casa loro, quelle stesse case che bombardiamo, radendole al suolo. Rendiamoci conto della sproporzione tra i fatti e la propaganda.

No, loro non sono in guerra contro di noi; semmai, siamo noi che lo siamo contro di loro, da quasi due secoli. Ci servono le loro ricchezze naturali, le fonti di energia vitali per il nostro modo di produrre ricchezza, quella che godono in pochi, ma che distrugge il pianeta di tutti.

Gli attentati che hanno insanguinato Parigi e Bruxelles non sono atti di guerra. Sono gesti disperati di un’organizzazione estremista basata in Belgio. Che è stata evidentemente sottovalutata, magari infiltrata e che poi comunque è sfuggita di mano. Che però fa comodo, perché un po’ di morti europei possono venir utili: aiutano i parlamenti a varare spese militari e leggi speciali, fanno ingoiare alle opinioni pubbliche la militarizzazione del territorio, fanno prendere voti alla destra xenofoba, il cui polverone è utile a mascherare le politiche liberiste contro il welfare.

Bruxelles è insanguinata perché è la capitale del fallimento delle politiche sociali della Eu. È la capitale della disoccupazione, quella giovanile, soprattutto. È la capitale di un’Europa capace solo di aiuti alle banche, nella mistica cieca del mercato. È la capitale del fallimento degli accordi sull’accoglienza delle grandi migrazioni. È la capitale del declino dei grandi ideali.

È la capitale del disastro in cui una cellula ultra-estremista fa da anni cose che si potevano prevedere e prevenire, se il Belgio non fosse una democrazia impazzita, se non avesse più polizie che politiche di sicurezza.

No. Non è contro di noi che Daesh combatte: combatte contro altro che per mettere in discussione le nostre libertà. Al califfo di Isis di noi interessa nulla: combatte contro i governi arabi fantoccio, è in gioco una guerra di supremazia tra sunniti e sciiti. Supremazia come quella in gioco tra valloni e fiamminghi in Belgio.

Non siamo in guerra, non facciamo vittimismo. Che di vittime la nostra sciagurata politica le sta facendo. Non siamo in guerra, ma abbiamo nemici pericolosi: sono nei governi, nei parlamenti, nei talk show televisivi. Sono la destra xenofoba, sono i governi conservatori totalmente supini al capitalismo finanziario e la sinistra che crede nei poteri magici del neoliberismo, sull’altare del quale sacrificare il welfare.

Ma secondo voi, se un ragazzo di 26 anni, magrebino di seconda generazione, cittadino belga con passaporto europeo avesse avuto le opportunità sancite e garantite dalle costituzioni democratiche si sarebbe mai arruolato nelle fila di Daesh, per difendere un’idea astratta di califfato? O si farebbe saltare in aria nella metropolitana della città in cui è nato e cresciuto, urlando disperatamente Allah akbar?

Questo nichilismo è l’urlo di dolore contro l’esclusione sociale, che nessuno ha raccolto, se non qualche predicatore senza scrupoli. Come succede nei sobborghi delle città di provincia degli Usa, dove gli ultimi sono le prime vittime del fanatismo religioso a mano armata: lì cristiano, qui musulmano.

IMG_0956

Crollato il mito del socialismo dei mezzi di produzione, ci siamo incamminati sul sentiero della barbarie. È un vicolo cieco. Di rabbia, di violenza, di morte.

Non ci sono soluzioni facili, semplicemente perché siamo una parte consistente del problema. La sola certezza è che più tardi invertiremo la rotta, più a lungo piangeremo i nostri morti. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità democrazia libertà, informazione, pluralismo, Marketing Politica

Se in Italia la politica si riduce al derby tra due Matteo.

A Gevova, dal palco di RepIdee, il road show di Repubblica,  Renzi ha detto che il suo competitor è Salvini, non Landini. Sì, certo,  il gusto tutto renziano della battutina da primo della classe ha spesso il sopravvento nei suoi ragionamenti. 

Tuttavia, senza fare processi alle intenzioni, si può ragionevolmente sostenere che Salvini fa comodo al governo in carica perché rappresenta un’opposizione totalmente allo sbando, che raccatta il peggior ciarpame ideologico di una destra fascista, violenta e senza prospettive, fatta solo di odio razzista e nostalgie di seconda mano, che appare come la cifra dello sfaldamento e la decomposizione organica di quello che fu Berlusconi e il berlusconismo. 

La manipolazione del manipolatore, o “l’uso parziale alternativo” delle felpe di Salvini sembrerebbe una strategia utile al disorientamento delle forze sociali nel perimetro dei consensi del centrodestra. Tenere in pista Salvini serve al Pd per dimostrare di essere una formazione capace di governare con equilibrio riformatore; ma serve anche al centrodestra, perché dimostra la necessità di essere moderati, unitari, compassionevoli. 

Insomma, Salvini sa bene di essere un pupazzo che prima o poi verrà bruciato. E quindi pesta sul pedale dell’acceleratore, e facendo a meno di freni inibitori, va dritto per una strada senza uscita, un sentiero sterrato dalle sue ruspe immaginarie.

In verità, non è questo che mi preoccupa: se mi permettete, mi fa semplicemente schifo. Nel senso che mi provoca un vero e proprio disgusto per le forme infime in cui si manifesta il cinismo della politica in Italia. 

Infatti, Salvini non crede a una parola di quello che dice, recita la parte che la commedia gli ha assegnato; Renzi gli fa da puparo, mentre Berlusconi passa col cappello a chiedere gli ultimi spiccioli di consenso verso un nuovo partito di centrodestra, magari “repubblicano”, da contrapporre a quello “democratico”. 

Ma in tutto questo, il veleno delle idee sbagliate, l’inquinamento delle coscienze, le narrazioni tossiche vengono scaricate in quantità industriali sull’opinione pubblica, facendo danni paragonabili alle fughe radioattive: i media, come centrali nucleari danneggiate, stanno spargendo particelle pericolose per l’ambiente della convivenza civile nel nostro Paese. Si respira un’aria mefitica perché è utile, oserei dire “organico” alla strategia sia del centrosinistra che del centrodestra, o comunque dei suoi pezzi e ruderi.

Alla ultime elezioni, la Lega ha guadagnato più o meno 250 mila voti. Per qualcuno sono inutili, perché hanno spostato niente. Per altri sono “danni collaterali” di un strategia politica precisa. Ma quegli elettori sono cittadini che sono stati ingannati con la complicità delle nostre tv. 

Complimenti per la trasmissione a Floris, Giannini, Vespa, Formigli, Gruber, Giletti, Paragone, Del Debbio, eccetera, eccetera.

Questo connubio cinico tra strategie politiche e marketing televisivo è raccapricciante, quanto lo sono le felpe, gli sfondoni, le farneticazioni, i saluti romani e l’intera paccottiglia propagandistica di Salvini.

Come credete sia cominciati i pogrom contro gli ebrei, i gitani, gli omosessuali? Cominciarono per vile compiacenza, si imposero per bieca convenienza, continuarono per complice connivenza, si consumarono tra la generale indifferenza. 

Fermiamoli finché siamo in tempo. Beh, buona giornata. 
   

Share
Categorie
Attualità democrazia Dibattiti Lavoro libertà, informazione, pluralismo, Marketing Movimenti politici e sociali Politica

Il bello che c’è nelle cose sbagliate, il brutto che si trova nelle cose giuste.

Cominciamo dal brutto. Una manifestazione per il Primo Maggio a Milano viene affumicata dai black bloc e oscurata dai media. “I black bloc si nascondono nella pancia dei cortei” dicono gli esperti dell’ordine pubblico. E allora: se la testa e il corpo dei militanti di un corteo non si occupano della pancia, c’è qualcosa che non va nel modo di andare in piazza. Bisognerebbe che se occupassero finalmente gli organizzatori di quelle manifestazioni. La questione della gestione dell’agibilità politica in piazza è una questione non più rimandabile.

Continuiamo col brutto. Un nutrito gruppo di giovani si organizza per scatenare gli scontri con le forse dell’ordine. Sono furiosi, odiano, spaccano tutto. Se la disoccupazione, la sottoccupazione, il precariato dei giovani in Italia ha raggiunto livelli mai visti, forse bisognerebbe occuparsene. Se c’è chi si sente legittimato a rappresentare la rabbia giovanile, più che degli arrabbiati, bisognerebbe occuparsi dei motivi che scatenano la violenza. Certo, dire, come a detto il capo del governo che “sono quattro figli di papà” non aiuta, semmai aizza. Senza contare che il capo di un governo democratico dovrebbe occuparsi di tutti i cittadini, anche di quelli che fanno solo casino, anche di quelli che lo contestano. Per fermare la violenza politica di piazza del ’77, l’allora governo Andreotti non usò solo la polizia, ma chiese un prestito internazionale col quale finanziò la famosa legge 285/77 per l’occupazione giovanile, che favorì un reddito e di conseguenza fermò le manifestazioni violente. L’attuale governo Renzi dovrebbe essere meno burbanzoso. E, per continuare col brutto, quello che è successo a Bologna, dove la polizia ha respinto manifestanti che volevano entrare alla Festa de l’Unità per contestare il capo del governo non s’era mai visto. Un partito di sinistra che sa parlare solo con gli industriali e non sa dare risposte ai precari della scuola non è né un partito di governo, né è di sinistra.

E adesso veniamo al bello. Il bello è stato la partecipazione di migliaia di cittadini milanesi che volevano rimettere a posto le cose sfasciate dagli scontri del Primo Maggio. L’orgoglio di sentirsi una comunità solidale è un sentimento puro. Purtroppo la causa è sbagliata: le città non sono vetrine, né Milano si può trasformare in un “temporary store”. Milano è molto di più della città che ospita Expo. Expo non è la soluzione della crisi, né rappresenta un prospettiva per il prossimo futuro. È un evento commerciale, fra sei mesi finirà quello che ancora non è stato neppure finito in tempo. Si dice Expo sia un’opportunità. Se lo sarà, lo sarà per le grandi corporazioni, per le multinazionali, per il mercato. Non per i cittadini di Milano, o comunque non per tutti. Bisognerà, allora raccogliere e coltivare questo sentimento di comunanza e di cura della città, e indirizzarlo verso l’innalzamento della qualità della vita e la gestione positiva della differenza sociali che convivono nella metropoli lombarda. Il sindaco Pisapia ha avuto una felice intuizione a indire l’assemblea pubblica a piazza Cadorna. La domanda è: quei cittadini che hanno partecipato a “nessuno tocchi Milano” sapranno darsi strumenti autonomi di protagonismo politico o arriveranno di nuovo i partiti a spartirsi il consenso per le prossime scadenza elettorali?

Ancora sul bello nelle cose sbagliate. È bello che si protesti con veemenza contro l’arroganza della maggioranza parlamentare che vorrebbe imporre la nuova legge elettorale. Ma è brutto il modo in cui forze politiche di opposte posizioni politiche, per non dire di contrapposte sensibilità democratiche hanno voluto praticare l’opposizione parlamentare. Neanche nei reality show televisivi la pantomima delle contestazione sarebbe riuscita a rappresentarsi tanto finta e strumentale al gioco delle parti. Se le giuste preoccupazione della coerenza democratica tra la Costituzione e le leggi che regolano la partecipazione dei cittadini della Repubblica alle elezioni vengono rappresentate con queste modalità, è chiaro che non c’è da fidarsi della buona fede dell’opposizione.

Poi c’è il brutto che si ritrova a suo agio nello sbagliato. La politica sull’immigrazione del governo è sbagliata, perché tende non a trovare una soluzione equa, quanto piuttosto a camuffare il problema di fronte all’opinione pubblica, inorridita dai naufragi e preoccupata dall’accoglienza. C’anche il più brutto nel peggior modo di sbagliare. Quando per mera propaganda, certe froze politiche vorrebbero respingimenti e affondamenti, mentre sventolano lo slogan “aiutiamoli a casa loro”, succedono cose brutte nel modo peggiore: la Lega ha partecipato a tutti quei governi che durante i G8 e G20 promettevano aiuti ai paesi africani, senza mai poi versare un euro. Se i nodi non vengono al pettine, è il pettine che si incarica di sciogliere con durezza i nodi: è vero che l’Italia è molto esposta all’immigrazione di masse di disperati, ma è altrettanto vero che la nostra politica ha commesso errori drammatici nei confronti di quei paesi che oggi “esportano” fame e miseria in Europa, passando per le nostre coste.

Infine, il bello delle cose giuste. Un ragazzo disabile non è potuto salire sul pullman della gita scolastica e tutti i suoi compagni di scuola non sono voluti partire e quella gita che non si poteva fare per uno, nessuno ha voluta farla. Questa si chiama solidarietà. Non quella di un euro via sms, perché quella è elemosina. La solidarietà è quel sentimento collettiva di rinuncia a un privilegio per pochi perché possa essere condiviso da tutti. Anche se i tutti sono uno solo, quel ragazzo in carrozzella.

Manifestazione "Nessuno tocchi Milano", piazza Cadorna, 3 maggio 2015.
Manifestazione “Nessuno tocchi Milano”, piazza Cadorna, 3 maggio 2015.
Dovremmo ricordarcelo più spesso. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità democrazia Finanza - Economia libertà, informazione, pluralismo, Movimenti politici e sociali

Vetrine e scassavetrine.

Non mi meraviglio di vetrine scheggiate, di un paio di vetture bruciate, di muri imbrattati. 

Mi meraviglio dell’arretratezza del ragionamento politico antagonista: se la rabbia è il fine, invece che il tramite del cambiamento, la logica della rottura dell’ordine pubblico prende il sopravvento sulla prefigurazione di un nuovo ordine sociale. 
Non mi meraviglio di tecnicalità della guerriglia urbana: roba da “comici spaventati guerrieri”. Non è l’odore di bruciato e di lacrimogeni, ma il sentore della mancanza di un’offerta credibile da dedicare a un paese la cui crisi economica ha devastato il lavoro, la piccola impresa, i risparmi delle famiglie, ma anche la loro coscienza politica; il sentore di una distanza stellare tra la condizione materiale dei milioni di giovani disoccupati e precari e le forme della protesta. 
Fare di tutto per finire in tv a farsi raccontare, invece che entrare nelle menti e nei cuori delle vittime della proposopea neo liberista che 
Expo vuole rappresentare in mondo-visione -per raccontare che alternativa c’è o potrebbe esserci-significa voler entrare a far parte della sceneggiatura del programma prestabilito, come fosse rivendicare un invito al reality show che ha messo in onda l’inaugurazione del grande centro commerciale del pianeta. 
Black block non esiste, è un brand inventato dai media. Ma il punto è che in Italia non esiste neanche quel vasto movimento politico e sociale capace di modificare il corso della storia, che continua a correre spedita lungo i binari dell’austerity, verso il più drammatico disastro sociale.
Non mi meravigliano gli scontri di Milano. Sono frutto di una visione annebbiata delle contraddizioni tra le classi sociali. D’altronde,  è la stessa nebbia che offusca la visione del ruolo della politica, che si manifesta nei partiti rappresentati in Parlamento, completamente soggiogati dai dettami delle oligarchie finanziarie e commerciali globali. 
Gli uni tentano di spaccare la vetrina che gli altri hanno tentato di allestire. 
Se la politica continua a essere considerata una vetrina – invece che lo strumento adatto a sconfiggere le politiche neoliberiste, che flagellano i ceti più deboli in tutta Europa- questo è quello che succede. Poi, raccolti i cocci, tutto torna come prima. Beh, buona giornata. 

 

 
Share
Categorie
Attualità Dibattiti libertà, informazione, pluralismo, Media e tecnologia web

Un libro ci racconta come il digitale ci sfugg

di Aldo Garzia – il manifesto –

Negli anni del boom, l’Italia era una potenza informatica, poi il salto indietro. Oggi, Grillo usa la rete come una clava

Giornalista Rai di lungo corso (sua è l’idea iniziale del progetto di Rainews24), Michele Mezza ha il gusto della radicalità delle tesi che espone. Da anni studioso del web e della rete, autore di vari saggi sul tema, fustigatore dei ritardi che la sinistra e il sistema informativo hanno accumulato in Italia sul versante del sapere digitale, Mezza si ripresenta in libreria con “Avevamo la luna” (Donzelli, pp. 346, euro 19) che è un prodotto multimediale, per la precisione «cross mediale». È infatti un libro che si deve leggere consultando il sito dall’omonimo titolo per continuare a discutere e avendo in mano il telefonino smartphone da usare come lettore dei QR code per accedere a documenti di rete, testimonianze dei protagonisti, filmati e altre curiosità.

Avevamo la luna (Donzelli, pp. 346, euro 19)  è un prodotto multimediale, per la precisione «cross mediale». È infatti un libro che si deve leggere consultando il sito dall’omonimo titolo per continuare a discutere e avendo in mano il telefonino smartphone da usare come lettore dei QR code per accedere a documenti di rete, testimonianze dei protagonisti, filmati e altre curiosità.
Avevamo la luna (Donzelli, pp. 346, euro 19) è un prodotto multimediale, per la precisione «cross mediale». È infatti un libro che si deve leggere consultando il sito dall’omonimo titolo per continuare a discutere e avendo in mano il telefonino smartphone da usare come lettore dei QR code per accedere a documenti di rete, testimonianze dei protagonisti, filmati e altre curiosità.

La tesi dell’autore, esplicitata già nel titolo del libro, è che c’è stato un triennio – dal 1962 al 1964, in pieno boom economico – in cui l’Italia grazie alle sue eccellenze in vari campi poteva diventare un paese d’avanguardia nel cuore dell’Europa. Da qui il viaggio compiuto dal libro e dai contenuti multimediali nei sogni dell’innovazione italiana degli anni sessanta e successivi. Grazie ai QR code, cioè ai codici a barre di seconda generazione, il lettore non solo segue il percorso sulla grande occasione mancata a iniziare dal 1962 ma può vedere e ascoltare sul sito del volume, se non vorrà leggerle su carta, le interviste a Giuseppe De Rita, monsignor Luigi Bettazzi, Elserino Piol, Antonio Pizzinato, Alfredo Reichlin, Paolo Sorbi, Claudio Martelli, testimoni o commentatori del tempo che fu.

Nel libro non mancano riferimenti all’attualità, come le dimissioni di papa Ratzinger e l’elezione di papa Francesco. Fin dallo «strillo» di copertina, il libro annuncia di occuparsi «da papa Giovanni XXIII a Papa Francesco, da Olivetti a Marchionne, da Moro a Grillo».

Ognuno può pensare a quei nomi, facendo i paragoni, come a un passo indietro o a un passo avanti nei diversi campi della religione, dell’innovazione tecnologica e della politica incapace di autocomunicazione di massa come per ora solo Beppe Grillo sa fare usando internet come una clava (Mezza analizza nel libro il fenomeno grillino).

L’autore, nelle sue ricostruzioni, operando il confronto tra ieri e oggi, punta l’indice sul sistema politico italiano che finora non ha saputo comprendere la novità del sistema digitale, così come la sinistra si è dimostrata incapace di cambiare il tradizionale paradigma che guarda al lavoro e non alle nuove forme della comunicazione. Narrando gli avvenimenti che vanno dal 1962 al 1964, Mezza ci parla della diversità di allora – quando le innovazioni tecnologiche furono comprese – rispetto alla contemporaneità.

Scrive: in quel triennio di cinquant’anni fa l’Italia fu vicina a una sorta di nuovo rinascimento. Eravamo – argomenta – la prima potenza informatica europea; il primo paese europeo, dopo Stati Uniti e Unione Sovietica, a lanciare satelliti nello spazio, tra i primi ad avviare la sperimentazione elettronucleare. Conclusione amara: eppure alla fine di quel triennio il bilancio sarà tutto negativo.

Enrico Mattei, presidente dell’Eni, muore nel 1962 in un incidente aereo che è probabilmente un attentato per stroncare il progetto dell’autonomia energetica dell’Italia. Il comparto elettronico dell’Olivetti viene svenduto alla General Electric, di conseguenza l’Italia non sarà tra i primi paesi a produrre computer (l’esperienza originale di Adriano Olivetti e la sua idea di capitalismo restano da studiare). Felice Ippolito (a capo nel Cnen in quella fase celebrity pokies, tra i maggiori fautori dell’energia nucleare) vede stroncata la sua carriera da uno scandalo all’italiana: nell’agosto 1963 alcune indiscrezioni giornalistiche sollevano dubbi sulla correttezza del suo operato aziendale. Il 3 marzo 1964 viene arrestato. Ne segue un processo che culmina con la condanna di Ippolito a 11 anni di carcere (sarà graziato due anni dopo da Giuseppe Saragat, in quel momento presidente della Repubblica).

Troppe misteriose coincidenze finiscono per incidere sulla storia del dopoguerra italiano. Dice Giuseppe De Rita, tuttora presidente del Cnel, nell’intervista concessa a Mezza, che dopo quei fatti l’Italia inizia a essere un «paese eterodiretto». E non si deve dimenticare nell’elenco dei fatti e misfatti di quel periodo che nel 1964 fu sventato il cosiddetto «Piano Solo», il tentativo di colpo di Stato che ebbe come protagonista Giovanni De Lorenzo, generale dell’Arma dei carabinieri. L’Italia che cambiava tumultuosamente, diventando realtà industriale, faceva paura all’interno e all’esterno dei nostri confini.

Secondo Mezza, dopo gli episodi riguardanti Mattei, Olivetti e Ippolito, la politica non seppe recuperare il terreno irrimediabilmente perduto nell’appuntamento con l’innovazione pur iniziando nel novembre 1963, con il primo governo guidato da Aldo Moro, l’esperienza delle coalizioni di centrosinistra che portano per la prima volta i socialisti di Pietro Nenni al governo. Se però l’Italia può essere definito paese eterodiretto, i ritardi non sono solo «endogeni» ma «indotti». Con questa chiave interpretativa è facile spiegare i «misteri» degli anni successivi: le bombe a piazza Fontana nel 1969, le bombe ai treni e le altre stragi (è stata solo esperienza italiana istituire una commissione parlamentare d’indagine sulle stragi), fino al rapimento e alla tragica uccisione di Moro, che segnano la fine di un’epoca politica. Quando in Italia il cambiamento è vicino e possibile, accade sempre qualcosa d’imprevisto che fa cambiare il tragitto che conduce all’innovazione sociale e politica.

Nel libro c’è, infine, una rilettura originale degli atti del convegno che l’Istituto Gramsci dedicò nel 1962 alle «tendenze del capitalismo italiano». Mezza è convinto che in quell’occasione per la prima volta la sinistra comunista analizzò i fenomeni del capitalismo americano come anticipatori delle trasformazioni che sarebbero arrivate ben presto a casa nostra mentre il Pci giudicava ancora «straccione» il capitalismo italiano e quindi bisognoso di aiuto per compiere un pieno sviluppo delle forze produttive. La relazione di Bruno Trentin, in quel convegno gramsciano, analizzò le trasformazioni indotte dal taylorismo nel ciclo produttivo e la nascita di nuove figure sociali quali i manager e i tecnici.

Nel dibattito, Giorgio Amendola usò un intervento di Lucio Magri, in quell’anno appena trentenne, per polemizzare con chi parlava di neocapitalismo e di società dei consumi nascenti anche in Italia. Proprio in quel dibattito del 1962 molti studiosi hanno datato la nascita della sinistra comunista che poi verrà definita «ingraiana» e che nel 1969, per decisione di un gruppo di suoi esponenti, darà vita al mensile il manifesto diretto da Rossana Rossanda e Lucio Magri.

Ma questa è un’altra storia, anche se la scelta del titolo Avevamo la luna da parte di Mezza sembra una risposta – inconsapevole? – a quel Volevo la luna che è il titolo dell’autobiografia di Pietro Ingrao uscita qualche anno fa da Einaudi (per l’ex presidente della Camera, la luna era l’utopia di un comunismo realizzabile senza le storture della modellistica sovietica).

Mezza conclude: la luna ce l’avevamo a portata di mano e ce la siamo lasciata sfuggire. Da qui la scelta efficace della copertina del suo libro che ripropone un fotogramma del film Il sorpasso di Dino Risi (anno di produzione 1962, pieno boom per l’Italia uscita dalla guerra). Raffigura un cinico Vittorio Gassman sorridente a bordo della sua Lancia Sport decapottabile, inconsapevole che da lì a pochi istanti sta per perdere la vita in un incidente insieme al suo compagno di viaggio Jean-Louis Trintignant. Metafora efficace per descrivere ciò che accadrà al boom economico italiano nel suo appuntamento con l’innovazione.(Beh, buona giornata).

Share
Categorie
business democrazia libertà, informazione, pluralismo, Media e tecnologia Popoli e politiche web

Datagate, la prima guerra mondiale per il dominio strategico sulla rete.

di Riccardo Tavani

Va ricordato solo di sfuggita che Internet nasce come una tecnologia militare, per connettere tra loro le varie basi Nato nel mondo, e poi diventa in soverchiante misura un’applicazione civile. Talmente prevalente l’aspetto civile che la Cia, per mettersi al passo con i prodigiosi mutamenti della rete, ha proposto, già qualche anno fa, una collaborazione a Mark Zuckerberg, il mitico fondatore di Facebook, la stessa società che ha recentemente ammesso di aver “parzialmente” aderito alle richieste della National Security Agency (NSA) di fornirle i dati degli iscritti.

Il data-gate è deflagrato dalla scala interna americana a quella planetaria nel giro di pochi giorni. Dal controllo sul traffico telefonico ed elettronico di tutti i cittadini americani a quello degli Stati, dei governi, dei popoli di tutto il mondo.

Ne avevamo già parlato in relazione alla cosiddetta “eccezione culturale” (cfr https://www.marco-ferri.com/?p=6590) sui prodotti audiovisivi, sollevata in primo luogo dalla Francia. I maggiori governi del mondo, Cina, Europa e Russia ne sono rimasti coinvolti e sconvolti, mentre anche altri Stati più piccoli sono ora direttamente sotto la ruvida minaccia di vedersi il lato B fatto a stelle e strisce se daranno asilo politico all’agente segreto americano Edward Snowden.

In Europa, soprattutto Germania e Francia sono montate su tutte le furie, mentre l’Italia attraverso il presidente Napolitano e la ministra Bonino ha adottato la linea della “faccenda spinosa”, come dire : “Siamo seduti su un rovo di spine, muoviamoci il meno possibile”. La cosa più grave, però, è che si sta cercando di accreditare, anche nel nostro apparato mediatico, l’opinione tranquillizzante che in fondo non ci sarebbe nulla di nuovo sotto il cielo: spiati eravamo e spiati restiamo. Soprattutto – si dice – in relazione a quanto già emerso nelle varie commissioni di indagine sull’affare Echelon. Questo fu il primo progetto di raccolta dati planetari strutturato e ripartito tra Australia, Canada, Nuova Zelanda, Inghilterra e Usa. Capofila del progetto era sempre la NSA, con alle dirette dipendenze la Cia e il super segreto National Reconnaissance Office (NRO).

La vittima più illustre di questo apparato fu proprio il Parlamento Europeo, che si trovò spiato direttamente da un suo membro formalmente interno, l’Inghilterra. La differenza fondamentale con l’attuale sistema sta però nel fatto che Echelon era una rete di satelliti terrestri diffusa su diversi territori degli Stati associati. Ora, invece, si tratta direttamente della rete, del web, di Internet, di quella tecnologia sempre più capillare, articolata, differenziata e convergente insieme che usiamo tutti sulla crosta terrestre, nei cieli e nei mari.

Facciamo alcune cifre. La più importante è quella che riguarda l’e-commerce. “Il fatturato in Italia è stimato per l’intero 2013, pari a 11,2 miliardi di euro e in salita del 17% per cento rispetto all’anno passato. Numeri più che discreti ma ancora poca cosa se rapportati a quelli europei. Stando alle rilevazioni di Ecommerce Europe, infatti, l’incremento annuale delle vendite via Web per il 2012 è stato nell’ordine del 22 per cento, per un fatturato complessivo di oltre 305 miliardi di euro. Il Vecchio Continente è il primo mercato mondiale per l’e-commerce, davanti agli Usa (con 280 miliardi di euro) e regione Asia-Pacifico (216 miliardi di euro)”. (IlSole24ORE.com).

Pare evidente non solo la perdita del gradino più alto del podio, ma soprattutto la scomoda situazione da fetta di prosciutto nella quale si trovano gli Usa, tra le due robuste fette di pane rappresentate da Asia ed Europa. È chiaro che anche le altre operazioni bancarie avvengono ormai prevalentemente on line, tanto che Bnp Paribas ha già dato il via alla Hello Bank, la prima banca europea di grandi dimensioni completamente telematica, con ramificazioni in Belgio, Germania e Italia (con apertura qui prevista ad ottobre con BNL). I dati, gli scambi, le operazioni, i pagamenti, i finanziamenti e i progetti viaggeranno tutti ed unicamente via tablet, smartphone e pc.

Ed è questo ormai il nuovo tipo di e-Bank che si sta già egemonicamente affermando nel mondo. Cominciamo a capire la differenza tra il controllo tramite una rete di satelliti terrestri e il controllo diretto, anzi il dominio strategico, militare-spionistico sulla rete.

Abbiamo detto ‘militare’ e non deve stupire, perché sempre di più l’essenza ultima dello scontro – sia bellico che economico – si gioca sul piano della tecnoscienza. Il 23 marzo 1983, il presidente americano Ronald Regan annunciò il cosiddetto “Scudo Spaziale”, lo SDI, Strategic Defense Initiative. Il salto tecnologico rispetto al livello raggiunto dell’ex Urss era talmente vertiginoso che in nessun modo questa avrebbe potuto pareggiarlo o approssimarsi strategicamente a esso. La partita storica del XX secolo era vinta per l’uno e persa per l’altro con quel solo micidiale tecno-colpo.

Il web è il cuore pulsante di qualsiasi ulteriore fattore di sviluppo tecno-scientifico, e la stessa governance, tanto nelle aziende multinazionali produttive, quanto in quelle politiche istituzionali internazionali è impensabile oggi, e tanto più lo sarà domani, senza questo organo cardiaco di pompaggio e smistamento dati. Ricordiamoci che l’Europa aveva già tecnologicamente scavalcato gli Usa nel sistema computerizzato di accelerazione particellare che ha portato al celebre rilevamento del bosone X; e che i cinesi hanno recentemente loro strappato lo scettro di detentori del computer più potente e veloce del mondo.

Per questo gli Usa stanno giocando una partita decisiva, che non è semplicemente quella dei soliti fottuti spioni planetari. Una partita nella quale il galateo diplomatico è destinato a lasciare il campo al gioco duro, quello che quando arriva solo allora i duri cominciano a ballare.

Una locuzione tipica degli americani, che risale agli anni ’50 del secolo scorso è “complesso militare-industriale”. Oggi andrebbe riformulato con “militare-industriale-informatico”, dato che il Dipartimento della Difesa prevede di aumentare il numero dei collaboratori presso il Cyber Command da 900 a 4000. Inoltre, il mercato globale della sicurezza informatica dovrebbe espandersi da circa 64 miliardi di dollari USA del 2011 a 120 miliardi entro il 2017 – con una crescita annua composta pari all’11,3 per cento, secondo dati della società di ricerche Markets and Markets.

L’unico interrogativo, non sappiamo ancora quanto legittimo, che si affaccia lateralmente a tutto questo lurido pacchetto di mischia nel fango è: ma siamo certi che la rete è questo docile strumento di manipolazione e controllo dei potenti? Che non abbia ormai sviluppato un suo efficace sistema immunitario di anti virus che diffondo disubbidienza e beffarda tecno-ribellione, proprio come i casi Anonymus, Assange e Snowden dimostrano? (Beh, buona giornata).

20130707-123147.jpg

Share
Categorie
Attualità democrazia libertà, informazione, pluralismo, Movimenti politici e sociali

Cose turche: un video girato dai manifestanti a piazza Taksim.

di Riccardo Tavani

Turchia contro l'arroganza del potere.
Turchia contro l’arroganza del potere.

Ecco un contributo in video, direttamente a Istanbul, realizzato dai manifestanti.
Ogni tanto qualche piazza del mondo si accende e brilla su tutto il pianeta come una stella della speranza nel cielo della sera. Subito accorrono i troni e i loro stregoni a spegnerla, occultarla, affinché i cuori dei giovani, anche degli altri popoli e delle altre metropoli, non si aprano alla sua struggente bellezza.

E i cuori dei vecchi rimangano il polveroso campo di selce di un falso destino di rimpianto e tristezza. Saluti da Piazza Taksim, Istanbul, Europa.
(A chi impasta di stelle quelle piazze, beh, buona giornata).

http://www.youtube.com/watch?v=T91ve_KTTgM

Share
Categorie
libertà, informazione, pluralismo,

Uno, nessuno o centomila?

Il logo di Beh buona giornata è ormai di casa in molti social network.
Il logo di Beh buona giornata è ormai di casa in molti social network.

Visitatori 100421
Pagine viste 902606
Spiders 716818
Feeds 61711

Per quanto siamo più propensi alla qualità che alla quantità, questo è un gran bel risultato. Che ci obbliga a ringraziare tutti coloro che lo hanno reso possibile: voi. Grazie. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità democrazia libertà, informazione, pluralismo, Movimenti politici e sociali Politica Società e costume

Campagna elettorale: le frecciate di Carlo Freccero.

Freccero: "Grillo non è articolato, né argomentativo. Non è un teorico, né un ideologo. Se deve sostenere una discussione approfondita, probabilmente perde. Ma e’ il nostro sismografo. Se si guardano attentamente le oscillazioni, siamo di fronte a un terremoto".
Freccero: “Grillo non è articolato, né argomentativo. Non è un teorico, né un ideologo. Se deve sostenere una discussione approfondita, probabilmente perde. Ma e’ il nostro sismografo. Se si guardano attentamente le oscillazioni, siamo di fronte a un terremoto”.
di Luca Casarini (rifondazione.it)

Ho ascoltato Carlo Freccero in Tv, già dopo aver letto alcune sue interviste, e mi sono deciso a chiamarlo. Mi è sembrato uno dei pochi “lucidi” ed interessanti sulla visione del panorama politico pre elettorale italiano. Già il fatto che sia un grande studioso ed esperto di comunicazione e in particolare di quella televisiva, mi fa pensare che solo attraverso questa chiave si può ormai affrontare il nodo del voto…gliel’ho chiesto all’inizio:

Freccero: Nel nostro paese la tv è lo strumento principe della formazione del consenso. E questo la dice lunga su quanto poco in realtà valgano i “programmi” dei partiti. Conta chi sa starci dentro, e una tv generalista, con i suoi talk show e siparietti, è quanto di più lontano possa esistere dal ragionamento. Il 78% degli italiani usa questa tv per orientarsi al voto. Di questa stragrande maggioranza ben dodici milioni, usano solo e solamente quella. Berlusconi lo sa e infatti punta a quello. Si afferma come il prototipo massimo della commedia all’italiana e in confronto a Monti è come vedere da una parte l’Alberto Sordi de“il sorpasso” e dall’altra un Max Von Sidow ne “Il Settimo Sigillo” di Bergman. Da una parte la barzelletta, la cialtroneria spaccona, l’arcitaliano aapunto, e dall’altra un film svedese in bianco e nero di un regista luterano.

Monti sta tentando di cambiare personaggio: parla del nipotino, sorride, promette…

Freccero: Monti cerca di fare il comico, ora, ma non può riuscirci: lui, come figura politica, è nato dallo shock, dalla paura: prova a far ridere, con il copione che gli detta David Axelrod il suo consulente di immagine americano, ma non può riuscirci. Uno che ha fatto passare le pene dell’inferno a tutti, quello del terrore del crollo, del baratro, come può pensare adesso di diventare “pop”? E Berlusconi, che certo non riuscirà a far dimenticare tutto, però si avvantaggia, proprio grazie a Monti. Credetemi, nel quadro della politica spettacolo, dell’audience/consenso, Monti favorisce Berlusconi e Grillo invece penalizza Berlusconi, perché raccoglie anche una parte dei delusi del Pdl, che sono il vero obiettivo del cavaliere.

Dopodichè c’è il Pd, il centrosinistra…

Freccero: E che dire? Allargo le braccia…come si fa a star dietro, se ci si candida ad essere alternativi, a questa follia? Il pensiero unico domina totalmente. Lo spiega Monti, per il quale la democrazia consisterebbe nel tagliare gli estremi per convergere tutti, appassionatamente, verso il centro. Un’immagine orribile, inquietante, il contrario esatto con il concetto di pluralismo e differenze con i quali è cresciuta la mia generazione. E invece il Pd accetta il gioco, lo teorizza, ci sta. E balbetta, tra il comico e il serioso, tra Alberto Sordi e Max Von Sidow…

In tutto questo un comico di professione c’è…

Freccero:In effetti. Quello che arriverà terzo. Prima di Monti, dopo Berlusconi che sarà sorpassato alla Camera dal Pd. Ma quel terzo posto non avrà il peso dell’ultimo gradino sul podio, dobbiamo farci attenzione. E’ un fenomeno problematico, ma sarebbe sbagliato non cogliere le caratteristiche dello spazio politico che sarah ferguson cthru pokies va a ricoprire. Ad esempio Grillo punta su internet e non va ai Talk. Strategia perfetta per chi sa come funziona la finta democrazia, trappola, della tv generalista. E’radicale, sceglie e decide una parte, non tutte. E ad esempio si rivolge a chi usa internet e cioè il 40% dei cittadini ma soprattutto i giovani che dai 14 ai 29 anni lo usano moltissimo. Ricordiamoci, e le metafore sono quello che conta per chi comunica, che internet è anche lo strumento contemporaneo delle rivoluzioni. Questa scelta poi gli consente di “rimbalzare” nella Tv, perché parlano di lui proprio perché egli si sottrae e crea suspence, audience. E quindi, rifiutando la Tv e i siparietti, vi irrompe più degli altri. Ciò lo fa risultare più simpatico al “popolo”, che per il 65% lo considera più efficace e coinvolgente come leader e come messaggio. Grillo ha conosciuto e lavorato con Coluche, e dal comico francese che per lottare contro il pensiero unico ipotizzò persino di candidarsi alle presidenziali, fu segnato. C’è molto del Coluche di allora in Grillo.

Nella società dello spettacolo in effetti i comici bravi sono avantaggiati…

Freccero: La comicità è una forma di verità. Una critica immediata, diretta, che non concede chance e può distruggere in poche battute avversari e partiti. Berlusconi e il suo editto bulgaro poi, l’hanno enormemente valorizzata.
Io dico che insieme ad una valutazione problematica, con tutte le criticità che vogliamo su ciò che Grillo ha messo in moto, non possiamo non vedere che lui è arrivato a colmare un vuoto, perché l’offerta politica italiana è terribilmente desolante. Non si può valutare Grillo senza rendersi conto cosa di cosa c’è attorno. Di come ad esempio nessuno risponda alla richiesta di un cambiare rotta rispetto alla degenerazione della politica dei professionisti, dei privilegi, della corruzione. Oppure di come Grillo rappresenti in qualche modo quella rottura con il sistema che ormai la maggioranza o tollera o subisce. O teme o odia. Ormai il discorso politico ha perso ogni passione nelle elezioni: si vota valutando chi è il meno peggio, ma dove sta il phatos, l’ideale, l’utopia, il combattimento? La politica somiglia sempre più a un’assemblea di condominio e ha sepolto ogni afrore rivoluzionario, in tutte le sue forme. Però quando giornali come il New York Timeshanno parlato di Grillo, l’hanno fatto in termini di novità. Non lo sottovalutate. Mi ripeto. Non è antipolitica, ma al limite, a-politica.

Un populismo digitale moralizzatore?

Freccero:La denuncia della corruzione non basta. Per invertire la congiuntura economica, la moralizzazione grillesca è insufficente. Ma coglie un aspetto fondamentale, che gli altri non osano affrontare per paura di essere “esclusi” dal loro giocattolino. La verità è che bisognerebbe prima o poi prendere sul serio l’idea che se identifichiamo la politica con la liberazione dell’individuo dalle limitazioni che gli impediscono di conseguire il massimo profitto individuale, non dobbiamo meravigliarci poi che chi ha raggiunto un minimo di potere lo utilizzi per i propri interessi. E’ un tema globale, legato all’ideologia neoliberista, e in Italia si è sovrapposto alla nostra “genetica” arte di arrangiarsi. Grillo non è articolato, né argomentativo. Non è un teorico, né un ideologo. Se deve sostenere una discussione approfondita, probabilmente perde. Ma e’ il nostro sismografo. Se si guardano attentamente le oscillazioni, siamo di fronte a un terremoto.(Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità libertà, informazione, pluralismo, Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Radio Padania come Radio Maria: molte chiacchiere, poche tasse.

La notizia è che Radio Padania è stata riconosciuta dalla Ue come un’emittente, non più a carattere commerciale, ma la concessione è stata ritenuta comunitaria.

In pratica, a Radio Padania viene riconosciuto essere espressione di particolari istanze culturali, etniche, politiche e religiose. In sostanza, a Radio Padania viene riconosciuta l’esenzione ad avere dipendenti regolarmente assunti a tempo indeterminato, di non essere soggetta a obblighi fiscali attraverso il meccanismo delle questue, donazioni o raccolta fondi, che risultano essere esentasse.

Radio Padania è stata equiparata a Radio Maria (!!), quella del Vaticano: tanti vantaggi, pochissimi obblighi. E in più, la fantastica possibilità di accaparrarsi frequenze libere, gratuitamente su tutto il territorio nazionale. In una interpellanza parlamentare al ministro Passera, l’on. Giuseppe Caforio dell’Italia dei Valori (il partito di Di Petro), scrive: . così (Radio Padania, ndr), oltre a ricevere finanziamenti milionari per fare della propaganda basata sull’intolleranza, può attivare nuovi impianti ed occupare le frequenze assegnate ad altre emittenti.”
Fosse solo per questo fatto, si capirebbe il connubio tra la Lega, Berlusconi, l’ultra-destra, e la benedizione della Chiesa cattolica: fu proprio uno degli alleati della Lega, l’on Gasparri incaricato di firmare la legge omonima, grazie alla quale, secondo Antonio Diomede, presidente dell’associazione delle Radiotelevisioni Europee Associate (REA): “Fu l’inizio di un nuovo Far West dell’Etere, legalizzato, firmato da Berlusconi e Gasparri i quali, successivamente, ebbero la sfacciataggine di consolidarlo ed estenderlo anche alle concessioni commerciali (…) Quelle frequenze- dice ancora Diomede- la maggioranza delle quali furono sanate con false dichiarazioni, hanno costituito il coronamento di un commercio illecito delle frequenze e del peggioramento dello stato interferenziale nell’etere provocando danni non indifferenti alle emittenti locali oneste e osservanti la legalità”.

Il quadro sarebbe già inquietante di suo, se non vi si aggiungesse una breve riflessione sulle motivazioni che hanno premiato Radio Padania. Come siano riusciti i leghisti al Parlamento europeo a convincere qualcuno che Radio Padania fosse meritevole del titolo di emittente comunitaria lo si può spiegare solo con l’alleanza a geometrie variabili, nel segno del più democristiano dei precetti politici: io ti do una cosa a te, tu mi dai una cosa a me. Vale a dire che con tutta la buona volontà del mondo si farebbe davvero molta fatica a riconoscere a Radio Padania l’essere espressione di particolari istanze culturali, etniche, politiche e religiose. Lasciamo subito perdere la cultura, dal momento che il responsabile della radio è tal Matteo Salvini, i cui sproloqui ci è toccato spesso sentire durante taluni talk show. Etniche? Con rispetto parlando, di etnia c’è niente di autoctono: furbi, chiacchieroni e xenofobi ce n’è mica solo nella presunta Padania. Religione? Quella del dio Po? Boh. Rimane la peculiarità politica di un partito che facendo finta di essere un movimento è diventato peggio del peggior partito della Prima Repubblica: dall’uso personale dei finanziamenti pubblici, al nepotismo, dalle ruberie dei rimborsi elettorali ai più sordidi, quanto smaccati calcoli politici elettoralistici.
Un ospite d’onore alla grande mangiatoia del debito pubblico, logica spartitoria cui anche questa vicenda di Radio Padania non sembrerebbe affatto sfuggire.
Si avvicinano i giorni delle elezioni, quelle amministrative in Lombardia, provocate dalla giunta Formigoni che è rimasta in piedi grazie all’appoggio della Lega. Quelle politiche nazionali, in cui la Lega non sembra affatto intenzionata ad affrancarsi dal berlusconismo. Anche perché leggi come quelle che permetteranno a Radio Padania di fare il proprio comodo e i propri affari la Lega se li sarebbe sognati, senza Berlusconi e soci. Beh, buona giornata.

Share
Categorie
Attualità democrazia libertà, informazione, pluralismo, Media e tecnologia Potere

Liberismo e libert

(Redazione del Fatto Quoptidiano)
La libertà di stampa e di espressione del pensiero è a grave rischio nell’Occidente capitalistico, quello stesso di cui si vantano tanti bei soloni che, sprofondati nel lusso delle mance ricevute a piene mani dalla classe dominante, non si stancano di ripetere le lodi del nostro sistema illuminato e di lanciare anatemi su coloro che ancora insistono a non riconoscere la naturale supremazia del mercato e l’infallibilità dei suoi servi ben pagati, cioè loro stessi.
Si guardi a quanto sta recentemente succedendo, ad esempio, in Italia e in Grecia. In Italia, la legge varata con la scusa di salvare dal carcere il pessimo Sallusti (proposito che mi lascia assolutamente indifferente, anche perché non si capisce perché in carcere debbano terminare sempre i soliti poveracci), monetizza in sostanza la diffamazione, minando la possibilità dei giornalisti di formulare ipotesi ed accuse a pena di risarcimenti ingenti.

Guai a dire la verità sui potenti, si rischia di dover pagare caro! Una logica e una sanzione ben in linea con l’attuale dittatura neoliberista della finanza, contro le quali si esprimono le legittime preoccupazioni della Federazione nazionale della stampa. Tale legge non farebbe del resto che codificare una prassi in atto. Basti pensare a De Corato, immarcescibile consigliere della destra postfascista milanese che potrà presto, come Paperon De’ Paperoni, farsi il bagno nelle monetine raccolte da migliaia di persone giustamente solidali con il giornalista del manifesto Luca Fazio, condannato a dare ventimila euro al suddetto immarcescibile. Chi vuole contribuire sottoscrivendo qualche monetina per De Corato (buon pro gli faccia!) guardi questo link.

Ancora più grave la vicenda greca, che ha visto l’arresto di ben due giornalisti: uno, Kostas Vaxevanis, reo di aver diffuso una lista di evasori fiscali in un Paese nel quale vengono smantellati servizi pubblici di ogni tipo per onorare gli impegni presi nei confronti del potere finanziario. Nella lista, nel frattempo scomparsa, pare fosse presente mezzo governo “moralizzatore” ellenico. Una ben strana concezione della privacy al servizio dell’illegalità delle classi dominanti! L’altro, Spiros Karazaferris, perché avrebbe diffuso notizie non autorizzate sul default ellenico, mettendo in forse i presupposti stessi dell’attuale devastazione neoliberista del Paese all’insegna dell’insopportabile feticcio europeo del pareggio di bilancio.

Non a caso i due Paesi menzionati sono Paesi nei quali si sta scatenando negli ultimi tempi una feroce offensiva neoliberista volta a spazzare via quanto resta dello Stato sociale. Non a caso il capitale farebbe volentieri a meno delle elezioni che potrebbero in qualche modo far avanzare forze contrarie alle sue mortifere ricette. Non a caso in questi Paesi continuano a regnare caste legate anche all’evasione fiscale e all’economia illegale. Non a caso si tratta di Paesi mediterranei soggetti alla dittatura germanocentrica della signora Merkel.

Ma il discorso si potrebbe forse estendere anche ad altri Paesi capitalistici nei quali però, occorre riconoscere, determinati principi liberali sembrano almeno per il momento avere radici più salde. Ma anche lì, leggi e pronunce giudiziarie contro la diffamazione dei ricchi e processi di concentrazione dei media rischiano di dare gravissimi e irreparabili colpi alla libertà d’informazione. Sempre più spesso poi ricorrono in tribunale per vedersi riconosciuti risarcimenti milionari le multinazionali che sostengono la lesione del loro preteso buon nome, come la fabbrica di amianto Eternit nei confronti dell’avvocato francese Jean-Paul Teissonière che l’ha accusata di avere avvelenato la gente per oltre vent’anni. Ovunque le cricche al potere hanno paura della verità e per questo non risparmiano gli sforzi per controllare in ogni modo l’informazione.

Ce n’è da riflettere per i soloni nostrani. Quelli, per intendersi, pronti a stracciarsi le vesti per le presunte minacce alla libertà di stampa in Venezuela o per ogni smorfia di disappunto di Yoani Sanchez e che tacciono, per ignoranza o malafede, di fronte agli almeno trenta giornalisti assassinati in Honduras dopo il golpe neoliberista e filostatunitense che ha spodestato il presidente democraticamente eletto Zelaya. Perché sprecare energie preziose che possono essere dedicate al discredito delle esperienze alternative al neoliberismo, opera ben più à la page nei salotti bene e soprattutto molto meglio retribuita?(Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Cultura libertà, informazione, pluralismo, Media e tecnologia

LA RAI TAGLIA LA FILOSOFIA. CON UN OLE’

Radio Due interrompe “ Così parlò Zap Mangusta ”, l’unico programma di Radio Rai sull’argomento. Al suo posto lezioni di spagnolo e l’ Ottovolante

di Giulio Gargia

Un milione di Podcast scaricati, un prestigio indiscusso, una comunità di ascoltatori e di followers in crescita costante. Si chiamava “ Così parlò Zap Mangusta” ed era l’unica trasmissione di filosofia sulle reti di radio RAI. Andava in onda tutti i giorni alle 15 su Radio Due. Ironica, scoppiettante, piacevole, faceva cultura intrattenendo. Insomma, aveva tutte le modalità che dovrebbero caratterizzare un servizio pubblico degno di questo nome. E quindi, evidentemente andava chiusa. Dal 3 settembre, non c’è più il quarto d’ora in cui Zap Mangusta, conduttore e scrittore di libri sulla filosofia, intratteneva il pubblico di Radio Due. Nessuna comunicazione ufficiale, sui blog della RAI campeggia da mesi la dizione “ pausa estiva “, e nessun dirigente ha pubblicamente annunciato la sua uscita dal palinsesto. Per ora, al suo posto, vanno in onda lezioni di spagnolo e poi un programma comico. Mentre sulla pagina Facebook comincia a montare la protesta, e dal web arrivano i primi segnali che la comunità di Zap non si rassegnerà così facilmente a farsi privare di una delle poche trasmissioni decenti che giustificano il pagamento di un canone. E così si annunciano “ under costruction “ 2 siti, http://www.facebook.com/pages/cos%C3%AC-parl%C3%B2-zap-mangusta/255101704517563 dove a breve si decideranno le contromosse.

Si stanno preparando infatti 3 incontri con il conduttore, uno a Napoli il 29 settembre, uno a Reggio Emilia il 5 ottobre e uno a Milano in data da stabilire.

Il nostro giornale, intanto si fa portatore della richiesta di molti ascoltatori di un appello da firmare on line, da mandare alla Tarantola, al DG Gubitosi, ai consiglieri del CdA e a Flavio Mucciante, responsabile di Radio Due che chiede il ritorno in onda della trasmissione.

Il direttore di Radio Due spiega così la sua decisione :

” Non si tratta di una sospensione ma del completamento di un progetto. Radio2 è oggi, forse, l’unica rete di intrattenimento a Pokies veicolare contenuti importanti, come la filosofia, che ha rappresentato per noi un grosso impegno produttivo, che non si esaurisce ”.

D – in che senso “non sospensione, ma completamento di un progetto” ?
R – Che la trasmissione faceva parte di una serie di progetti
culturali, modulati secondo la nostra missione editoriale, che è
l’intrattenimento

D – Cioè è finito il ciclo delle trasmissioni previste ?
Si. Il palinsesto si chiude a fine giugno con alcune trasmissioni che
si protraggono per alcune settimane, come avvenuto per Zap

D – Il conduttore lo sapeva ? Era avvertito che quella di fine giugno era l’ultima trasmissione ?
R – Zap è stato avvertito con mesi di anticipo,considerando che il
palinsesto autunnale è partito il 10 settembre

D – Agli ascoltatori è stato comunicato ?
R – Agli ascoltatori è stato annunciato nelle modalità consuete…con
comunicati che illustrano la nuova programmazione

D – Insomma, si può dire che la RAI è un’azienda senza più filosofia ?

R – No, questo no. Sull’esperienza di “Così parlò Zap Mangusta” abbiamo, infatti, realizzato una enciclopedia radiofonica a disposizione di tutti, collezionabile gratuitamente in podcast. Al momento sono disponibili oltre cento puntate ma nei prossimi giorni inaugureremo un sito dedicato, diviso per macro aree storiche e di “pensiero” con 450 download e contenuti extra con la filosofia di ogni tempo, di facile consultazione e catalogazione, a testimonianza della positiva onda lunga della trasmissione, che ha certamente rappresentato una novità significativa e di successo ”

Già, tutto vero. Rimane però la domanda degli ascoltatori. “ Ma allora, perchè l’avete chiusa ? ”

da www.3dnews.it

L’APPELLO

Testo dell’appello da inviare a 3dinfonews@gmail.com :

“ Diffondere la cultura della qualità è il primo dei biglietti da visita del servizio pubblico. Attraverso l’informazione corretta e autorevole, l’intrattenimento intelligente e l’educazione informale si può favorire la costruzione di modelli positivi ” . Annamaria Tarantola, presidente RAI, al Prix Italia – 17 settembre 2012.

Proprio perchè crediamo in queste parole invitiamo la Radio Due a NON TAGLIARE LA FILOSOFIA e restituire al più presto agli ascoltatori la trasmissione “ Così parlò Zap Mangusta ”, unico esempio del genere in onda sulle reti radiofoniche. (Beh, buona giornata)

20120922-124814.jpg

Share
Categorie
democrazia Dibattiti Finanza - Economia libertà, informazione, pluralismo, Movimenti politici e sociali Politica Popoli e politiche Potere

Il divorzio tra politica e potere.

Intervista a Zygmunt Bauman
di Massimo Di Forti-Il Messaggero

«

Zygmunt Bauman
. Zygmunt Bauman riesce subito ad andare al dunque senza perdersi in giri di frase. Non a caso possiede il dono di quella che Charles Wright Mills chiamava l’immaginazione sociologica, la capacità di fissare in una frase, in un’idea, la realtà di un’intera epoca, e il grande studioso polacco lo ha fatto con la sua metafora della “Vita liquida” e della “Modernità liquida” (cosa è più imprendibile e sfuggente dell’acqua e dei suoi flussi?) per descrivere con geniale chiarezza la precarietà e l’instabilità della società contemporanea.

Lui, liquido, non lo è affatto anzi è un uomo di ferro, un ottantasettenne che gira il mondo senza sosta (viaggia almeno cento giorni all’anno tra conferenze e dibattiti!) e a Mantova è intervenuto a Festivaletteratura per un dibattito sull’educazione. Non c’è traccia di stanchezza nel suo fisico asciutto o nel volto scarno e autorevole ravvivato da occhiate scintillanti, mentre parla in una sala della Loggia del Grano pochi giorni dopo aver pubblicato un nuovo libro, Cose che abbiamo in comune (220 pagine, 15 euro) sempre per Laterza, editore dei celebri saggi come Vita liquida, La società sotto assedio, Modernità liquida, Dentro la globalizzazione e altri ancora.

Professor Bauman, è per questo che i politici sembrano girare a vuoto di fronte alla crisi?

«Sì. Il potere è la capacità di esercitare un comando. E la politica quella di prendere decisioni, di orientarle in un senso o nell’altro. Gli stati-nazione avevano il potere di decidere e una sovranità territoriale. Ma questo meccanismo è stato completamente travolto dalla globalizzazione. Perché la globalizzazione ha globalizzato il vero potere scavalcando la politica. I governi non hanno più un potere o un controllo dei loro paesi perché il potere è ben al di là dei territori. Sono attraversati dal potere globale della finanza, delle banche, dei media, della criminalità, della mafia, del terrorismo… Ogni singolo potere si fa beffe facilmente delle regole e del diritto locali. E anche dei governi. La speculazione e i mercati sono senza un controllo, mentre assistiamo alla crisi della Grecia o della Spagna o dell’Italia…».

È l’età della proprietà assenteista, come la chiamava Veblen, della finanza: era meglio prima?

«Il capitalismo di oggi è un grande parassita. Cerca ancora di appropriarsi della ricchezza di territori vergini, intervenendo con il suo potere finanziario dove è possibile accumulare i maggiori profitti. E’ la chiusura di un cerchio, di un potere autoreferenziale, quello delle banche e del grande capitale. Naturalmente questi interessi hanno sempre spinto, anche con le carte di credito, ad alimentare il consumismo e il debito: spendi subito, goditela e paga domani o dopo. La finanza ha creato un’economia immaginaria, virtuale, spostando capitali da un posto all’altro e guadagnando interessi. Il capitalismo produttivo era migliore perché funzionava sulla creazione di beni, mentre ora non si fanno affari producendo cose ma facendo lavorare il denaro. L’industria ha lasciato il posto alla speculazione, ai banchieri, all’immagine»

Non ci sono regole, dovremmo crearle. Avremmo bisogno forse di una nuova Bretton Woods…

«Il guaio è che oggi la politica internazionale non è globale mentre lo è quella della finanza. E quindi tutto è più difficile rispetto ad alcuni anni fa. Per questo i governi e le istituzioni non riescono a imporre politiche efficaci. Ma è chiaro che non riusciremo a risolvere i problemi globali se non con mezzi globali, restituendo alle istituzioni la possibilità di interpretare la volontà e gli interessi delle popolazioni. Però, questi mezzi non sono stati ancora creati».

A proposito della crisi europea, non crede che i paesi dell’Unione siano ancora divisi da interessi nazionalistici e da vecchi trucchi che impediscono una reale integrazione politica e culturale?

«È vero, ma è anche il risultato di un circolo vizioso che l’attuale condizione di incertezza favorisce. La mancanza di decisioni e l’impotenza dei governi attivano atteggiamenti nazionalistici di popolazioni che si sentivano meglio tutelate dal vecchio sistema. Viviamo in una condizione di vuoto, paragonabile all’idea di interregnum di cui parlava Gramsci: c’è un vecchio sistema che non funziona più ma non ne abbiamo ancora uno alternativo, che ne prenda il posto».

La globalizzazione ha prodotto anche aspetti positivi. Vent’anni fa, in Europa non c’era un africano, un asiatico un russo. Eravamo tutti bianchi, francesi, tedeschi, italiani, inglesi… Ora potremmo finalmente confrontarci: riusciremo a farlo su un terreno comune?

«È un compito difficile, molto difficile. L’obiettivo dev’essere quello di vivere insieme rispettando le differenze. Da una parte ci sono governi che cercano di frenare o bloccare l’immigrazione, dall’altra ce ne sono più tolleranti che cercano, però, di assimilare gli immigrati. In tutti e due i casi si tratta di atteggiamenti negativi.
Le diaspore di questi anni debbono essere accettate senza cancellare le tradizioni e le identità degli immigrati. Dobbiamo crescere insieme, in pace e con un comune beneficio, senza cancellare la diversità che rappresenta invece una grande ricchezza». (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
Attualità Leggi e diritto libertà, informazione, pluralismo, Media e tecnologia Potere

Perch

di John Pilger-www.johnpilger.com

La minaccia del governo britannico di irrompere nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e trascinare via Julian Assange assume un significato storico. David Cameron, già uomo di pubbliche relazioni per un truffatore dell’industria televisiva e venditore di armi ad emirati, è sul punto di disonorare le convenzioni internazionali che hanno protetto i cittadini britannici nelle zone calde del pianeta. Proprio come l’invasione dell’Iraq da parte di Tony Blair ha portato direttamente agli atti di terrorismo registrati a Londra il 7 luglio 2005, così Cameron e il Ministro degli Esteri William Hague hanno compromesso la sicurezza dei cittadini britannici in tutto il mondo.

Minacciando di abusare di una legge progettata per espellere assassini da ambasciate straniere, e al contempo diffamando un innocente come “presunto criminale”, Hague ha reso la Gran Bretagna lo zimbello di tutto il mondo, ma questo è in gran parte occultato nel paese anglosassone. Gli stessi “coraggiosi” giornali e le emittenti che hanno appoggiato la parte giocata dalla Gran Bretagna in epici crimini di sangue, dal genocidio in Indonesia alle invasioni di Iraq e Afghanistan, adesso danno addosso alla “situazione dei diritti umani” in Ecuador, il cui vero crimine è quello di contrastare i bulli di Londra e Washington.

È come se i festosi applausi delle Olimpiadi fossero stati rimpiazzati di punto in bianco da una rivelatrice folata di teppismo coloniale. Vedi Mark Urban, l’ufficiale dell’esercito trasformato in reporter della BBC “intervistare” un ragliante Sir Christopher Meyer, ex apologeta di Blair a Washington, davanti all’ambasciata ecuadoregna. La coppia procede a sfogarsi con patriottico sdegno e comico nazionalismo sul fatto che il non classificabile Assange e l’indomito Rafael Correa, mostrino al mondo il rapace sistema di potere occidentale. Un simile attacco irrompe dalle pagine del Guardian, che consiglia ad Hague di “essere paziente” e che un assalto all’ambasciata causerebbe “più problemi di quanto vale”. Assange non è un rifugiato politico, ha dichiarato il Guardian, e “in ogni caso, né la Svezia, né il Regno Unito deporterebbero qualcuno che potrebbe rischiare la tortura o la pena di morte”.

L’irresponsabilità di questa affermazione corrisponde perfettamente al ruolo perfido del Guardian in tutta la vicenda Assange. Il giornale sa benissimo che i documenti rilasciati da Wikileaks dimostrano come la Svezia sia costantemente sottoposta alle pressioni degli Stati Uniti in materia di diritti civili. Nel dicembre del 2001, il governo svedese aveva bruscamente revocato lo status di rifugiati politici a due egiziani, Ahmed Agiza e Mohammedel-Zari, che furono poi consegnati a una squadra-sequestri della CIA all’aeroporto di Stoccolma e “resi” all’Egitto, dove vennero torturati. Un’indagine del difensore civico svedese per la giustizia rilevò che il governo aveva “gravemente violato” i diritti umani dei due uomini. Nel 2009 un cablogramma dell’ambasciata USA ottenuto da Wikileaks, dal titolo “Wikileaks getta la neutralità nella pattumiera della storia”, la tanto decantata reputazione dell’élite svedese per la neutralità è mostrata come una farsa. Un altro cablogramma USA rivela che “la portata della cooperazione [militare e di intelligenza della Svezia] [con la Nato] non è molto conosciuta”, e se non fosse tenuta segreta “avrebbe esposto il governo a critiche interne”.

Il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt, ha svolto un ruolo di primo piano nel famigerato Comitato per la Liberazione dell’Iraq di George W. Bush, e mantiene stretti legami con l’estrema destra del Partito Repubblicano. Secondo l’ex direttore del pubblico ministero svedese Sven-Erik Alhem, la decisione della Svezia di chiedere l’estradizione di Assange sui presunti casi di comportamento sessuale riprovevole è “irragionevole e poco professionale, oltre che ingiusta ed esagerata”. Dopo aver offerto se stesso per un interrogatorio, ad Assange è stato dato il permesso di lasciare la Svezia per Londra, dove, ancora una volta, si è reso disponibile ad essere interrogato. Nel mese di maggio, in un’ultima sentenza d’appello sull’estradizione, la Corte Suprema della Gran Bretagna ha aggiunto farsa a farsa facendo riferimento ad “accuse” inesistenti.

Abbinata a tutto ciò c’è stata un’infamante campagna personale contro Assange. Gran parte di questa è opera del Guardian, che, come un amante respinto, si è rivoltato contro la sua stessa fonte, dopo aver enormemente beneficiato delle rivelazioni di Wikileaks. Senza che un centesimo andasse ad Assange e a Wikileaks, un libro del Guardian ha portato ad un redditizio accordo cinematografico con Hollywood. Gli autori, David Leigh e Luke Harding, insultano arbitrariamente Assange come essere dalla “personalità danneggiata” e “insensibile”. Rivelano perfino la password segreta che lui, fidandosi, aveva dato al giornale, e che proteggeva un file digitale contenente i cablogrammi dell’ambasciata degli Stati Uniti. Il 20 agosto, Harding era davanti all’ambasciata ecuadoregna, gongolando sul suo blog che “Scotland Yard potrebbe avere l’ultima risata”. È ironico, pur essendo completamente calzante, che un editoriale del Guardian che affonda il coltello in Assange assomigli sorprendentemente alla prevedibile ipocrisia della stampa di Murdoch accanita sullo stesso argomento. Come la gloria di Leveson, Hackgate e l’onorato giornalismo indipendente svaniscono come un puntino nel nulla.

I suoi stessi aguzzini valutano la persecuzione di Assange. Accusato di nessun crimine, non è un latitante. Documenti svedesi del caso, tra cui i messaggi di testo delle donne coinvolte, dimostrano chiaramente l’assurdità delle accuse sessuali – accuse quasi interamente ed immediatamente respinte dal procuratore di Stoccolma, Eva Finne, prima dell’intervento di un politico, Claes Borgstrom. Al processo preliminare di Bradley Manning, un investigatore dell’esercito degli Stati Uniti ha confermato che l’FBI stava segretamente prendendo di mira i “fondatori, proprietari o gestori di Wikileaks” per spionaggio.

Quattro anni fa, un documento del Pentagono, a malapena notato, e fatto trapelare da Wikileaks, descriveva come Wikileaks e Assange sarebbero stati distrutti con una campagna diffamatoria che avrebbe portato a “procedimenti penali”. Il 18 agosto, il Sydney Morning Herald, avvalendosi della Libertà di Rilasciare Informazioni, ha reso noto che il governo australiano era stato più volte informato che gli Stati Uniti stavano conducendo una caccia “senza precedenti” ad Assange, ma non ha sollevato obiezioni. Tra le ragioni dell’Ecuador per la concessione dell’asilo politico c’è l’abbandono di Assange “da parte dello Stato di cui è cittadino”. Nel 2010, un’inchiesta della polizia federale australiana ha rilevato che Assange e Wikileaks non hanno commesso alcun crimine.

La loro persecuzione è una violenza a tutti noi e alla libertà.

20120831-190730.jpg

Share
Categorie
democrazia libertà, informazione, pluralismo, Movimenti politici e sociali Politica Popoli e politiche Potere

Le Pussy Riot condannate, ma Putin ha perso.

Nadezhda Tolokonnikova, leader delle Pussy Riot.
Le Pussy Riot, le tre cantanti punk, diventate il simbolo del dissenso contro Putin, sono state condannate a due anni per teppismo e incitamento all’odio religioso. Mentre si svolgono proteste in tutta Europa, pubblichiamo una lettera dalla prigione

di NADEZHDA TOLOKONNIKOVA

La nostra carcerazione è servita come un chiaro e inconfutabile segno che l’intero paese è stato privato della libertà. E ciò minaccia di annichilire le forze di liberazione ed emancipazione in Russia: è questo che causa la mia rabbia, vedendo il grande nel piccolo, la tendenza nel segno, il comune nell’individuo.

Le femministe della seconda ondata dicono che il personale è politico. Così è. Il caso delle Pussy Riot ha mostrato come i guai individuali di tre persone di fronte alle accuse di teppismo possono dare vita a un movimento politico. Un singolo caso di repressione e persecuzione contro coloro che hanno il coraggio di Parlare in un paese autoritario ha scosso il mondo: attivisti, punk, pop star, membri di governo, attori ed ecologisti, femministe e maschilisti, teologi islamici e cristiani stanno pregando per le Pussy Riot. Il personale è diventato politico. Il caso delle Pussy Riot ha messo insieme forze così multidirezionali che io stento ancora a credere che non sia un sogno.

L’impossibile sta accadendo nella politica russa contemporanea: un esigente, continuo, potente e coerente impatto della società sul governo.
Sono grata a tutti coloro che hanno detto “Free Pussy Riot!”. Adesso ognuno di noi sta partecipando a un grande e importante Evento politico che il regime di Putin sta facendo sempre più fatica a controllare. Qualunque sarà l’imminente sentenza per le Pussy Riot, noi – e voi – stiamo già vincendo.

Perché abbiamo imparato a essere arrabbiati e a dirlo politicamente.

Pussy Riot è contenta che siamo stati in grado di spronare un’azione veramente collettiva, e che la vostra passione politica ha dimostrato di essere così forte da abbattere le barriere linguistiche, culturali, ambientali, di status economico e politico. Kant direbbe che non vede altre ragioni di questo Miracolo se non l’inizio della morale umana. Grazie per questo Miracolo. (traduzione a cura del collettivo Uninomade.

Share
Categorie
Attualità democrazia Dibattiti libertà, informazione, pluralismo, Marketing Movimenti politici e sociali Politica

Grillo, una vecchia novit

“A queste ultime parole, Pinocchio saltò su tutt’infuriato e preso di sul banco un martello di legno, lo scagliò contro il Grillo-parlante.”

Renato Mannheimer, sulle colonne del Corsera, ha scritto: “Come si sa, il profilo dell’elettore del M5S è in larga parte diverso da quello degli altri partiti. Si tratta di cittadini in maggior misura residenti nelle regioni del Nord, tendenzialmente giovani, con titoli di studio medio-alti, più interessati alla politica, con una più intensa lettura dei giornali e, specialmente, frequentazione di internet.” E’ da qui, infatti, che deve partire ogni analisi che voglia confrontarsi col “nuovo” fenomeno Grillo.

Per comprendere come abbia potuto prendere vita un’aggregazione, che si è andata via via assemblando sui territori, ma via web, fino all’exploit delle elezioni amministrative. Ciò che appare clamoroso non è tanto l’essere riusciti a far eleggere un proprio sindaco al Comune di Parma, ma il modo in cui questo risultato è potuto maturare. Dal web, col web, attraverso il web il M5S è riuscito non solo a intercettare, ma a dare corpo e infine una concreta prospettiva politica al movimento stesso. Un esempio di simile portata, che poi si è scatenato su scala nazionale, fino alla conquista del governo, lo si era visto con le tv e l’uso che ne ha saputo fare Berlusconi. L’uno ficcato dentro il web fino al collo, l’altro sempre davanti alle telecamere, entrambi sono riusciti a capovolgere il paradigma della rappresentanza politica attraverso il consenso elettorale.

Se fino ad allora, i partiti, espressione di ceti economici e sociali esprimevano i loro leader, con Berlusconi prima e Grillo poi si è verificato plasticamente il contrario: è il carisma del leader che intercetta gli umori di un parco consensi disponibili e su questo dà vita all’organizzazione, usando a piene mani non l’analisi politica, neppure la leva programmatica, ma direttamente gli strumenti di comunicazione con le masse, la tv e poi, appunto il web.

La strategia mediatica è tutta tattica. Berlusconi, infatti ha usato una gamba sola, la tv e il clamore mediatico delle sue manifestazioni carismatiche, e a un certo puntosi è azzoppato. Grillo, accorgendosi che un’anatra zoppa partecipa, ma non vince, a un certo punto si è scaraventato fuori dal web e ha incominciato a essere pressantemente presente sui giornali e citato con ossessione dalle tv.

E in questo, ha molto imparato da Berlusconi: spararla grossa, perché così tutti ne parlino a lungo. E’ successo, consapevolmente con la storia della mafia che “non strangola”, è successo con la storia del terrorismo che vorrebbe fermare il M5S. Berlusconi aveva scelto una precisa collocazione di destra. Grillo si colloca in una presunta terra di nessuno.

Saranno le scelte di governo delle città a tracciare il perimetro delle scelte concrete di M5S. Ma questo è un terreno squisitamente politico. Non ci si arriva con le sole astuzie della comunicazione di massa. Un conto è il potere, altro conto è un blog. Su questo terreno il marketing da solo non basta. (Beh, buona giornata).

20120623-123858.jpg

Share
Categorie
Fumetti. libertà, informazione, pluralismo, Movimenti politici e sociali Popoli e politiche

C’era una volta a Gaza.

di Giulio Gargia-3dnews.it

Dedicato a Vittorio Arrigoni

Il giorno in cui fu assassinato,Vittorio Arrigoni viveva a Gaza,
dentro una comunità di cui raccontava problemi e sofferenze, come
quelli causati dall’Operazione Piombo Fuso del 2008.

Dopo allora solo sette attivisti occidentali dell’ISM, l’International
Solidarity Mouvement, tra cui lui, sono rimasti sotto le bombe,
decisi a dare una mano alla popolazione civile di Gaza.

Per questo, Vittorio ha ricevuto il Premio Speciale Rachel Corrie
2010. dedicato all’attivista USA morta sotto un bulldozer israeliano.
Non potendo uscire da Gaza a causa del blocco israeliano, alla
premiazione del 4 ottobre sono andati i suoi genitori

Tra i suoi articoli, veri e propri scoop, come la denuncia
dell’impiego massiccio di fosforo bianco e di armi di nuova
generazione (DIME).
Per le sue attività un sito pro Israele, http://stoptheism.com/ lo
indica tra i “bersagli da colpire”, con relativi riferimenti
telefonici.
I volontari dell’ISM sono definiti “terroristi” , su di loro ci sono
schede dettagliate e invito, a chiunque possa fornire indicazioni
utili, a mettersi in contatto con l’organizzazione tramite mail o
numero di telefono.

A Vik e a tutti loro abbiamo dedicato questa nostra puntata della
cronaca a fumetti, che trovate sul nostro link
http://www.3dnews.it/taxonomy/term/384?page=7
Con una particolare citazione per Fiamma Nirenstein e per il suo odio
inconsulto per tutti quelli che vogliono aiutare il popolo
palestinese. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
libertà, informazione, pluralismo, Marketing Media e tecnologia Televisione

3DNews/Digitale terrestre, continua la battaglia per un posto al sole.

di Giulio Gargia -www.3dnews.it
Sky vince un round importante, la sentenza del TAR del Lazio dà ragione a Cielo. Perciò, nelle prossime settimane, preparatevi a smanettare più del solito sul vostro telecomando del digitale. I numeri di alcuni dei principali canali nazionali e locali potrebbero cambiare. L’altro giorno, infatti, il Tar del Lazio ha annullato il Piano di numerazione automatica dei canali della tv digitale terrestre in chiaro e a pagamento, il così detto Lcn (Logistic channel numbering) stabilito dall’Autorità per le comunicazioni nel 2010. Lo ha deciso la Terza sezione ter del Tribunale amministrativo, presieduta da Giuseppe Daniele, accogliendo un ricorso proposto da Sky Italia, assistita dall’avvocato Ottavio Grandinetti.
Avvocato, vuole spiegarci perchè il TAR le ha dato ragione ?
Le motivazioni principali che hanno indotto i giudici ad annullare la delibera precedente sono state due. La prima : la normativa è stata considerata “discriminatoria” dal momento che nell’assegnazione distingue tra canali ex analogici, considerati generalisti e quindi privilegiati, e canali digitali, considerati semigeneralisti e per questo penalizzati. Questo a prescindere dai contenuti reali della programmazione di ogni canale.

E la seconda ?
I giudici hanno considerato ingiusto anche il fatto che nella numerazione assegnata dall’Agcom i canali digitali, come Cielo , vengano solo dopo quelli locali, creando in tal modo palesi disparità nella concorrenza rispetto agli ex canali analogici. Ricordo che uno dei motivi dell’introduzione del digitale in TV era l’incremento della concorrenza, a cui non vanno quindi posti questi ostacoli .
Quindi, per il telespettatore, se la sentenza venisse confermata, cosa cambierà ?
Dal nono canale in poi, i numeri potranno essere riassegnati. I nuovi canali nazionali passeranno prima delle locali, che ora sono posizionati dal 9 al 19. Invece, fino al canale 9 , tutto rimarrà come prima. E’ giusto ricordare che noi avevamo chiesto una riassegnazione di tutti i numeri ma su questo il TAR non ci ha seguito. Il TAR ha ritenuto anche che l’Agcom abbia concesso un termine troppo breve per partecipare alla consultazione pubblica, 15 giorni anziché i 30 giorni richiesti dalla legge. Questa consultazione è stata ritenuta comunque illegittima perché i soggetti interessati hanno potuto esprimere le loro osservazioni solo sullo schema di regolamento e non anche sul piano di numerazione.

L’Agcom ha annunciato ricorso .Quando si avrà l’esito finale di questa vicenda ?
Guardi, se l’appello verrà effettivamente proposto, entro 15 giorni ci dovrebbe essere un primo pronunciamento del Consiglio di Stato sugli aspetti urgenti della questione. Ed ove il Consiglio non dovesse sospendere la sentenza del TAR, già allora potrebbero cominciare a esserci delle conseguenze, perchè i canali potrebbero cominciare a spostarsi sui decoder. Successivamente ci sarà una camera di consiglio in cui i giudici esamineranno il problema nella sua interezza e adotteranno la sentenza definitiva. Inoltre, può darsi che la vicenda sarà trattata dal Consiglio di Stato assieme a quella posta dalle emittenti Canale 34 e Più Blu Lombardia, che riguarda emittenti locali che pure avevano avuto problemi sulla numerazione dei decoder. (Beh, buona giornata).

Share
Categorie
libertà, informazione, pluralismo, Media e tecnologia Politica Pubblicità e mass media Società e costume

3DNews/Il direttore del TGUno? Facciamo un concorso pubblico.

di Giulio Gargia *

Chi sarà il prossimo direttore del TG1? Move On lancia un’idea : candidare un giornalista straniero che conosca bene l’Italia. Unica garanzia di un prodotto giornalistico quanto più lontano possibile dalle logiche attuali di fattura dei TG. Il nome ? Wolfgang Achtner, da molti anni in Italia come corrispondente di numerose testate fra cui ABC News, Cnn e Press tv, autore di testi sul giornalismo televisivo, titolare di corsi universitari e di corsi di formazione per videogiornalisti e sulla comunicazione televisiva per il Gruppo Espresso.

Achtner ha scritto una lettera a Garimberti in cui chiede di decidere il direttore del TG1 con un bando pubblico per titoli. E presenta i suoi, candidandosi. La missiva è stata resa pubblica l’11 gennaio, con una conferenza nella sede della Stampa Estera a Roma . Dice il giornalista a Garimberti : “ Ho le carte in regola perchè sono indipendente politicamente, ho una carriera prestigiosa con esperienze nei più grandi network mondiali, come ABC, CNN e Press Tv e una notevole esperienza nel campo della formazione.

Nel momento in cui un nuovo governo è al lavoro per salvare il Paese – afferma Achtner – sono convinto che un buon esito dipenda da una consapevole partecipazione dei cittadini italiani e questo richiede una buona informazione, in particolar modo televisiva, che attualmente non c`è.

In base alla mia consolidata esperienza internazionale in campo televisivo, posso assicurare che, salvo rarissime eccezioni, quello che passa per informazione televisiva in Italia è pura propaganda politica. La funzione dei TG è soprattutto quella di portare nelle case le facce dei politici a ora di cena. Per non parlare del fatto che i servizi dei TG sono ancora una specie di “radio illustrata” , poco attenti allo specifico del linguaggio televisivo che si è così evoluto. Ecco, queste cose mi piacerebbe poterle applicare- continua Achtner – le prime cose che farei? Abolizione del pastone politico, niente editoriali, reintegrare gli emarginati da Minzolini, più servizi sugli esteri e meno sfilate di cani”

Poi Marco Quaranta, di Move On, ricorda il motivo dell’iniziativa : che il servizio pubblico deve operare in condizioni di indipendenza editoriale mentre ci siamo abituati all’idea che la RAI sia lottizzata. Mentre questo è il momento di tornare ai principi che muovono qualsiasi etica dell’informazione, soprattutto perchè bisogna ricordare che c’è un legame indissolubile tra democrazia e buona informazione. E tuttora oltre il 60% degli italiani hanno i TG come unica fonte d’informazione, su cui fondano le loro scelte di tutti i giorni . Compresa quella del voto. Perciò, spiega anche Gianfranco Mascia, questa è solo la prima candidatura, si tratta di riaffermare un principio, il direttore lo fa chi ha più titoli per farlo. Quindi, lanceremo altre candidature, già il 23 gennaio prossimo. E c’impegniamo a rilanciare anche il problema complessivo della governance della RAI, di come viene eletto il CdA. Su quello ripartiremo dalla proposta di Tana de Zulueta elaborata insieme a tante associazioni, che è pronta ed è stata depositata in Parlamento di nuovo già in questa legislatura da Beppe Giulietti.

Alla fine spunta anche un’ ultima idea: fare quanto prima un confronto tra un TG Uno e un nostro TG . Con Achtner mettere sul sito una “ versione alternativa” delle notizie di quel giorno. Per far vedere la differenza che un TG1 Rai rinato potrebbe marcare. Per diventare un punto di attrazione per i migliori, quelli che oggi vengono esclusi per fare posto a persone scelte sulle base della loro affiliazione politica invece che delle loro capacità. (Beh, buona giornata).

* direttore di 3D, inserto settimanale del quotidiano TERRA

Share
Follow

Get every new post delivered to your Inbox

Join other followers: