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3DNews/I Simpson ospitano Julian Assange.

Da http://insidetv.ew.com

Julian Assange interpreterà sé stesso nella 500esima puntata dei Simpson. Lo ha rivelato il sito di Entertainment Weekly, secondo cui quest`estate il fondatore e redattore di Wikileaks avrebbe registrato la sua voce per l`iconica puntata che andrà in onda, negli Stati Uniti, il prossimo 19 febbraio.

Il produttore esecutivo, Al Jean, ha detto che il creatore della serie, Matt Groening, aveva sentito dei “rumors” secondo cui il creatore di Wikileaks era interessato a una comparsata. «Quindi – ha spiegato Jean – abbiamo chiesto al direttore del casting Bonnie Pietila, che in passato, oltre ad aver coinvolto l`ex primo ministro inglese Tony Blair, era stato capace di scovare l`altrettanto sfuggente scrittore Thomas Pynchon, di trovare Assange. E lo ha fatto».

Assange ha registrato la propria voce in un luogo sconosciuto ai produttori dei Simpson, mentre era agli arresti domiciliari in Inghilterra, ricevendo istruzioni da Los Angeles. Jean ha spiegato che gli era stato fornito «solo un numero di telefono». Nell`episodio, Homer e Marge scoprono che i cittadini di Springfield hanno organizzato un consiglio cittadino segreto per scacciarli dalla città.
«I Simpson si danno pertanto alla macchia – ha spiegato Jean – e come nuovo vicino, al posto di Flanders, si ritrovano Assange che li invita in casa sua a guardare un film, un matrimonio afgano che viene bombardato».

«È un personaggio controverso. C`è una ragione per cui è controverso – ha detto Jean – c`è stata una discussione interna per decidere se ospitarlo allo show, ma alla fine abbiamo deciso di fare la puntata». In fin dei conti, ha assicurato il produttore, la puntata «non ha nulla a che fare con la situazione legale in cui si trova Assange. volevamo accertarci che la sua apparizione fosse satirica, e lui era d`accordo».

Per il biondo “pirata” australiano è un periodo di intensa attività nel mondo dello spettacolo. A marzo, infatti sarà anche conduttore di un nuovo show (in inglese) che verrà. In ogni caso ‘interpretazione più importante è quella prevista per domani, quando comparirà davanti alla Corte Suprema britannica per l’udienza di appello contro la sua estradizione in Svezia, dove è stato accusato di aver commesso crimini sessuali.
Assange non è il solo ospite illustre del 500esimo episodio , c’è un coppia di altri camei di personaggi che sono meno controversi e più familiari ai fans dello show come Kiefer Sutherland, Micheal Cera, Jane Lynch, Andy Garcia, e Jeremy Irons. (Beh, buona giornata.)

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Attualità Cinema Dibattiti Società e costume

3DNews/Il naufragio della Costa Concordia è già un film.

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Di Pino Farinotti – da mymovies.it
…I nomi e i codici ci sono quasi tutti: per cominciare l’eroe (De Falco) e l’antieroe (Schettino). C’è il viaggio come metafora della vita, il coraggio e la paura, la responsabilità, il destino, la tragedia e il disastro, il popolo. Infine, il divo assoluto, lo spettacolo. Ci sono Conrad e Shakespeare, Spielberg e Cameron. L’Exodus e la Nave dei folli. Il Poseidon e il Titanic naturalmente. Cinema, letteratura, media e realtà. Più che mai un unicum.

IL CONCORDIA: TUTTI I SIMBOLI E TUTTE LE STORIE
La vicenda del Concordia è un assoluto, un precedente che sorpassa tutte le notizie e tutti i codici che i media riportano quotidianamente. Per cominciare, quella nave adagiata sul fianco davanti alla costa del Giglio è un’immagine, un’estetica che di fatto è già nella storia del secolo. Per analogia non è improprio richiamare le due torri, anche se la portata, naturalmente, non è la stessa. Il dato è che tutte le testate del mondo da giorni aprono col Concordia, poi la notizia scenderà negli spazi, ma se ne parlerà tanto e a lungo. Il grande naufragio ha sparigliato tutto, dando uno spazio, immane, possibilità infinite, ai programmi di approfondimento (voyeurismo) e affrancandoli dagli stucchevoli casi, aggrediti, dilaniati, degli ultimi anni. Melania, Sara, Yara, troveranno un po’ di pace.

Tutti
Dicevo dei codici, tutti. Per cominciare la grande metafora del naufragio del nostro Paese. Poi c’è il colossal che supera la fiction. Poi l’umanità tutta: quattromila storie, di cui molte finite, offriranno temi e servizi di tutti i generi. Visti e scritti.
E poi quell’incredibile comandante, leader istituzionale, “presidente del consiglio” della Nave, anche lui una sorta di metafora “politica” che viene scalzato dal capitano De Falco (governo tecnico) che prende in mano la situazione. Molti leggono nell’affair Concordia un avviso trascendente. Qualcun intravede un segnale verso l’Occidente decadente, e senza neppure il dirottamento di aerei. E poi, giorno dopo giorno arrivano altri particolari. Ma l’eroe, assoluto, è questo Schettino. In attesa che si faccia chiarezza, si possono comunque fare dei richiami, guardare alla Storia. Non esiste nella storia delle marine un pensiero e un’azione che possano essere avvicinate a questo comandante.

Tutte
Il mare offre tutte le possibilità di storie e di racconto. Può essere la materia nera semovente che accoglie e provoca tutte le tragedie. Battaglie, drammi, naufragi, come tante parziali fine del mondo. Ci sono stati comandanti eroi, altri vigliacchi, altri sfortunati, molti coraggiosi. Ogni comportamento era figlio delle leggi, estreme e mortali, del mare. Hans Langsdorff era il comandante della Admiral Graf Spee, la corazzata tascabile tedesca che affondò decine di navi alleate. Nel dicembre del ’39 fu costretta a ritirarsi nella baia di Rio della Plata, ormai braccata dalla marina inglese. Langsdorff ordinò l’autoaffondamento, abbandonò per ultimo la nave, si ritirò in una camera d’albergo, si avvolse nella bandiera della marina imperiale tedesca e si sparò. Le versioni sulla fine di Edward Smith, comandante del Titanic sono diverse. Fa testo quella del libro di Robert Ballard, ripresa dal colosso diretto da James Cameron: Smith salì sul ponte e attese che il mare si richiudesse sopra di lui.
La nostra Andrea Doria affondò sulla rotta verso New York nel luglio del ’56. Il comandante Piero Calamai, che aveva navigato in due guerre, davvero salvò il salvabile. Diede ordine ai suoi ufficiali, ultimi rimasti a bordo, di mettersi in salvo. Rimase solo sul ponte, deciso, come si dice, a dividere il destino con la sua nave. Alcuni ufficiali tornarono sulla nave ormai quasi sommersa e costrinsero, a forza, il comandante a mettersi in salvo. Sono tre episodi di mitologia vera che la memoria evoca di getto.

Cinema
La fiction, della carta e del cinema, oltre ad aver rappresentato comandanti esistiti, ha inventato personaggi ai quali il contesto del mare conferiva una grande potenza nel bene e nel male. In mare può arrivare un’onda anomala, il nemico, un errore, un ammutinamento, tutto può essere capovolto da un momento all’altro. Il mare può alimentare l’ossessione di una vita, come quella di Achab e della sua balena bianca. O quella di William Bligh, comandante del Bounty, nel film conTravor Howard, ottuso senza nobiltà, che “costringe” ufficiali e marinai ad ammutinarsi. O quella di Philip Francis Queeg (Bogart) malato e maniaco, e vigliacco, che a sua volta costringe gli ufficiali a destituirlo. E poi quel lord Jim (Peter O’Toole nel film tratto dal romanzo di Conrad) che abbandona, per paura, il suo Patna di cui è secondo ufficiale, ma per redimersi, passerà tutta la vita da un eroismo all’altro fino al sacrificio finale.

Questo Schettino, di fatto, è già entrato in quell’antologia del mare. A poco a poco i connotati saranno definiti. È stato fatto un esame tossicologico, è emersa questa hostess moldava, misteriosa di cui non si conosce il ruolo, o forse lo si conosce. C’è questo amico anziano marinaio che il comandante avrebbe omaggiato con un saluto passandogli davanti col Concordia. Siamo nel grottesco, soprattutto con una versione che vorrebbe Schettino assistere all’affondamento seduto su uno scoglio. Ecco, quest’ultima immagine è superiore persino a Cameron e Spielberg. Ci vuole l’animazione, ci vuole Walt Disney.

Media
E poi i media. Tutto il movimento è stato colto di sorpresa da questa realtà servita su un piatto d’oro. L’infotainment, l’informazione spettacolare, dunque per definizione diversa dalla realtà e dalla verità, è stato declassato. Non c’è bisogno. E gli opinionisti, i conduttori, gli esperti ospiti, sono a disagio, perché vengono tagliati fuori dai fatti, dall’overdose di documenti. Fatti e documenti che poi non lascerebbero spazio e scampo, scendono ora dopo ora, a cascata.
E poi, naturalmente, il processo. Il comandante troverà chi lo difende, nel tribunale mediatico. Perché a un’azione occorre sempre opporre una reazione, a una verità un’altra verità. Già qualcuno dice che Schettino, accortosi della deriva anomala, di cui non era responsabile, con una manovra abbia salvato quattromila vite. Il sociologo A, vorrà opporsi al collega B, dunque dovrà portare una tesi, essere creativo, e credibile. Poi ci sono i disobbedienti, gli amici di Caino, i guastatori.
Concludo con un incoraggiamento per la Costa Crociere: pensi ai diritti d’autore. Tutte le testate attingeranno a quel colosso reclinato, a quel marchio, per chissà quanto tempo. Mettiamola in chiave editoriale: milioni di copie vendute.

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3DNews/“Sporchi da morire”, a Napoli in anteprima il docufilm sugli inceneritori.

Lunedì 5 dicembre, alle ore 20,30, in anteprima assoluta al Modernissimo di Napoli, proiezione del film documentario ” Sporchi da morire ”.

Gli inceneritori e i rischi per la salute delle zone in cui sono stati costruiti sono il principale argomento del lavoro con la regia di Marco Carlucci, che poi passa in rassegna anche le possibili alternative.

La proiezione sarà preceduta da una breve conferenza stampa di presentazione del film alla presenza del Vice Sindaco di Napoli, Tommaso Sodano, del regista, Marco Carlucci, del fautore della teoria “Rifiuti Zero”, il professor Paul Connett, del Prof. Stefano Montanari, della dottoressa Antonietta Morena Gatti e Carlo A. Martigli oltre che a tanti altri protagonisti. L’evento sarà aperto a tutti i cittadini. È vero che gli inceneritori fanno male? Perché in Italia si continuano a costruire questi impianti mentre nel resto del mondo si stanno smantellando?

Quali sono i rischi concreti per la salute?
Quali sono i danni provocati dalle micro- e nano-particelle?
Quali sono le possibili alternative?

Con queste domande in testa è iniziata la ricerca online di Carlo Martigli, un viaggio virtuale che diventa reale, in cui video presenti in rete si alternano improvvisamente ad esclusivi reportage realizzati in varie parti del mondo.
“ Sporchi da morire” è il film-documentario che ci farà riflettere su un problema non solo nostro ma soprattutto dei nostri figli legato alle invisibili nanoparticelle da molti indicate come il più pericoloso strumento d’inquinamento del presente e del prossimo futuro.

Rifiuti Zero.
Così “ Primafilm” , distretto creativo e tecnologico indipendente, presenta una nuova grande sfida: un viaggio nel mondo delle polveri sottili, delle nano-particelle e delle possibili alternative.

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3DNews/LA BIBBIA DELLO SPECULATORE FINANZIARIO.

LA BIBBIA DELLO SPECULATORE FINANZIARIO
Wall Strett dixit
citazioni dal film di Oliver Stone

Il futuro è ieri, tra cinque minuti storia… alle quattro sarò un dinosauro!

Il più ricco 1% del paese possiede metà della ricchezza del paese, 5 trilioni di dollari. Un terzo di questi viene dal duro lavoro, 2/3 dai beni ereditati, interessi sugli interessi accumulati da vedove e figli idioti, e dal mio lavoro, la speculazione mobiliare-immobiliare. È una stronzata, c’è il 90% degli americani là fuori che è nullatenente o quasi. Io non creo niente, io posseggo.

Informazioni, non m’importa come, non m’importa dove le ottieni… ottienile… tu mi devi stupire!

Tutto in guerra si basa sull’inganno: se il tuo nemico è superiore eludilo, se è irato irritalo, se è di pari forza lotta, altrimenti sparisci e riconsidera.

Il denaro c’è ma non si vede: qualcuno vince, qualcuno perde. Il denaro di per sé non si crea né si distrugge. Semplicemente si trasferisce da una intuizione ad un’altra, magicamente.

Il denaro non dorme mai.

lo sono in questo business dal ’69. I più di questi laureati di Harvard non valgono un ca**o. Serve gente povera, furba e affamata, senza sentimenti. A volte vinci, a volte perdi, ma continui a combattere. E se vuoi un amico, prendi un cane.

È tutta una questione di soldi, il resto è conversazione.

Noi facciamo le regole: le notizie, le guerre, la pace, le carestie, le sommosse, il prezzo di uno spillo. Tiriamo fuori conigli dal cilindro mentre gli altri, seduti, si domandano come accidenti abbiamo fatto. Non sarai tanto ingenuo da credere che noi viviamo in una democrazia: vero, Buddy? È il libero mercato, e tu ne fai parte: sì, hai quell’istinto del killer…

°Rispettando le agitazioni sindacali in atto al quotidiano TERRA, questa settimana 3D uscirà solo sul web. Saremo in rete sui siti www.3dnews.it, www.ildiariodilosolo.com, www.marco-ferri.com a partire dalle 24 di oggi.

3DNews, Settimanale di Cultura, Spettacolo e Comunicazione
Inserto allegato al quotidiano Terra. Ideato e diretto da Giulio Gargia.
In redazione: Arianna L’Abbate – Webmaster: Filippo Martorana.

(Beh, buona giornata).

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Cinema Cultura

3DNews/Cinema e Filosofia, “Warrior”: se non ti muovi muori.

Warrior

Per Eraclito non c’è realtà senza movimento e polemos

di Riccardo Tavani

Famosa è la foto della portaerei americana “Enteprise” con l’intero equipaggio schierato sul ponte a comporre la formula della Relatività E=mc2. Scienza e potenza, forza e intelligenza, questo il messaggio esplicito contenuto efficacemente nell’immagine. Oggi quel binomio sembra essersi scisso, proprio mentre l’America attraversa una crisi che ne minaccia la stessa sicurezza economica interna.

Brendan Conlon è un insegnante di fisica, felicemente sposato e padre di due bambine, ma ha acceso un mutuo per pagare la casa e ora la banca lo ha messo in mutande e gliela sta sequestrando. Tom Conlon, fratello di Brendan, invece, riappare una notte dall’abisso della guerra in Iraq dove ha visto tutta la sua squadra e il suo migliore amico massacrati dal fuoco amico dell’aviazione americana. Si è trascinato dentro un potenziale di rabbia incontenibile e distruttivo.

I due fratelli non hanno più rapporti da molti anni. Tom ha seguito la madre quando ha abbandonato il padre alcolizzato e manesco in famiglia. Brendan è rimasto con il padre, perché era già innamorato di Tess che poi ha sposato. Tom e sua madre hanno fatto una vita di stenti che ha portato la donna a morire dopo pochi anni. Anche Brendan appena ha potuto ha rotto completamente con il padre e si è fatto una sua vita lontano da lui. Eppure quel vecchio ubriacone e violento di Paddy Conlon aveva fatto diventare quei due ragazzi campioni di lotta greco romana, essendo uno dei migliori allenatori nel campo.

E ora sia Tom che Brendan, per vie parallele ed entrambi per tirare su soldi tornano a combattere. Il primo per aiutare la vedova dell’amico ucciso in guerra, il secondo per non farsi togliere la casa dagli strozzini della banca. Tom riallaccia i rapporti con il padre ma limitatamente agli allenamenti, Brendan si affida al preparatore Frank Campana. Ad Atlanta è indetto il più micidiale scontro diretto tra i migliori sedici lottatori d’America con una borsa in palio di cinque milioni di dollari.

Il ring è costituito da una grande gabbia metallica ed entrambi i fratelli vi si infileranno dentro. E qui rientra in ballo la questione della forza e dell’intelligenza. Tom si fa preparare dal padre solo dal punto di vista atletico, dell’alimentazione corretta, della resistenza fisica, perché la rabbia e la potenza ce la mette tutta lui e nessuno può fermarlo. Frank, il preparatore di Brendan, ha invece una sua filosofia di allenamento in cui fa uso anche della musica classica, per far capire quale sono i diversi ritmi di un combattimento. Sulla lavagna del suo ufficio c’è scritto: “Se non ti muovi muori”. Muoversi non solo e non tanto con le braccia quanto con la testa, cogliendo i rapidi mutamenti di ritmo, di situazione nella gabbia.

Accanto alla lavagna di Frank con quella scritta c’è anche una foto giovanile di Nietzsche e questo non è certo comune in una palestra di lotta greco-romana. Eppure il filosofo tedesco, che era innanzitutto un docente di filologia greca, è stato uno dei più grandi studiosi ed estimatori di Eraclito.

In Eraclito non solo tutta la realtà è movimento, cambiamento, ma è anche “polemos”, guerra, combattimento. Nel senso più profondo potremmo intendere il movimento non tanto come spostamento nello spazio ma come rottura della uniformità. Muoversi da un abitudine e attitudine statica, uniforme di pensare, guardare, agire. Non solo la realtà è movimento ma senza movimento non si dà proprio realtà. Così la vera staticità è l’uniformità, e il polemos, il combattimento, la rottura è contro questa intesa come vero nulla. Anche la forza se caratterizzata da uniformità d’azione è niente.

Simile alla scritta sulla lavagna di Frank è una frase della coreografa Pina Baush, posta come sottotitolo al film che le ha dedicato Wim Wenders: “Danziamo, danziamo, altrimenti siamo persi”. E niente meglio della danza, del ritmo, della musica rappresenta questo moto di continua rottura dell’uniformità, la quale uccide e smarrisce la realtà. Per questo Brendan entra nella gabbia accompagnato da un poderoso canto di lode al movimento interiore della vita: “L’inno alla gioia” di Beethoven.

°Rispettando le agitazioni sindacali in atto al quotidiano TERRA, questa settimana 3D uscirà solo sul web. Saremo in rete sui siti www.3dnews.it, www.ildiariodilosolo.com, www.marco-ferri.com a partire dalle 24 di oggi.

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Inserto allegato al quotidiano Terra. Ideato e diretto da Giulio Gargia.
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(Beh, buona giornata).

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Attualità Cinema Media e tecnologia Pubblicità e mass media Teatro

La rivincita del fumetto d’autore: menzione speciale al Premio Giancarlo Siani.

La giuria del Premio Giancarlo Siani – edizione 2011 – ha assegnato una menzione speciale per il fumetto “Il mistero del pescatore” al settimanale 3DNews, inserto culturale del quotidiano Terra.
3DNews, ideato e diretto da Giulio Gargia, ha riscoperto il fumetto come strumento giornalistico di indagine e approfondimento dei fatti di cronaca.

Da circa due anni a questa parte, 3DNews approfondisce tematiche legate alla comunicazione, ai mass media, al cinema e al teatro. Va dato merito alla giuria del premio Siani di aver individuato una innovazione nel panorama della carta stampata.

Un’innovazione che reca i nomi di Giulio Gargia, Paco Desiato, Tommaso Vitiello, Nico Piro. La cerimonia di premiazione sinterrà il prossimo 22 settembre alle ore 11,30 presso la sala Siani del quotidiano “Il Mattino”, a Napoli. Beh, buona giornata.

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Attualità Cinema Teatro

Il Valle Occupato denuncia: la costruzione del Palazzo del Cinema di Venezia? Un cinema.

(fonte: lavoratori e lavoratrici del Teatro Valle Occupato-teatrovalleoccupato.it)

CEMENTO SUL CINEMA
BUROCRATI CORROTTI, APPALTI MISTERIOSI, SPECULAZIONE, INTRIGHI BIPARTISAN TRA CULTURA E AFFARI: STORIE (STRA)ORDINARIE DI CRIMINALITA’ AMMINISTRATA.

Non è la Venezia che visse due volte, non è un romanzo di Raymond Chandler, non è una patologia. Uno strano fenomeno. A prima vista potrebbe sembrare un’avanzata forma di schizofrenia da parte del potere. Da una parte si taglia per risparmiare, dall’altra si finanziano grandi opere e grandi eventi che producono voragini economiche. E la Vertigo inizia. Se questa non servisse a fare profitti sarebbe incomprensibile. Ma è una strategia tutt’altro che miope e inefficace. È il sistema cinico che ragiona e agisce.

C’ERA UNA VOLTA UN TEATRO – Era l’inizio del secolo scorso quando, per allietare le malinconiche serate dei ricoverati, il dottor Marinoni donò un teatro all’Ospedale al Mare. Sul soffitto dell’edificio in perfetto stile liberty, un Nettuno attorniato da amorini anima un’allegra scena marina. Ma niente ha potuto sulle spietate logiche della speculazione. Svenduto dal Comune con l’intera area dell’ex-Ospedale, senza tener in alcun conto il suo valore storico-artistico, l’unico teatro del Lido ancor prima di essere demolito è scomparso dalle mappe.

UNA STORIA ESEMPLARE: PUBBLICI SPRECHI E PROFITTI PRIVATI – E questo è solo l’inizio. Tutto nasce da un progetto della prima giunta Cacciari per un nuovo Palazzo del Cinema che avrebbe dovuto rilanciare sul piano internazionale la Mostra di Venezia, sempre più smunta e opaca. Per finanziare la costruzione dello spettacolare edificio dal costo iniziale di 98 milioni di euro è stata concepita una complessa operazione immobiliare. Dismissione del vecchio ospedale, nomina di un commissario governativo dai poteri sempre più illimitati e appalti vinti dalle aziende che già costruiscono le dighe del Mose. L’obbiettivo è la cementificazione dell’intera isola del Lido. Senza che sia costruito alcun Palazzo del Cinema. Il connubio tra cultura e affari si dispiega a Venezia in tutto il suo potenziale distruttivo: il progetto di valore culturale costituisce la testa d’ariete per pura speculazione immobiliare. Villette, alberghi, parcheggi, porti turistici e servizi di lusso: con la cultura si mangia eccome. E il pranzo è lautamente bipartisan.

Ecco com’è andata…

«SOVRANO È CHI DECIDE SULLO STATO DI ECCEZIONE» (Schmitt, Teologia politica)

Nel settembre 2005 viene bandito un concorso internazionale di progettazione per il nuovo Palazzo del Cinema, vinto dallo studio 5+1AA&Ricciotti, gruppo genovese di architetti associati. Uno spettacolare manufatto a forma di conchiglia che si affaccia sul mare, sala principale da 2400 posti, altre tre sale d’appoggio e una vetrata ad ala di libellula in omaggio ai mastri vetrai di Murano.

Solo dopo che il concorso è stato bandito, inizia la ricerca della copertura finanziaria. Il Sindaco Cacciari, il presidente della Regione Galan e il direttore dell’Azienda Sanitaria Padoan firmano un protocollo d’intesa: le risorse proverranno dalla vendita delle aree dell’ex Ospedale a Mare. Si mobilitano i Comitati dei cittadini: l’ex Ospedale è patrimonio di enti pubblici, non può essere svenduto e i proventi non possono giuridicamente essere impiegati per fini diversi da quelli della pubblica sanità. Ma la svendita non si ferma.

Per rendere tutto più scorrevole, nel luglio 2007 con un decreto del governo Prodi il progetto viene commissariato. Motivazione: disposizioni urgenti per favorire l’occupazione. Un’anomalia. Che c’entrano poteri straordinari con un Palazzo del Cinema?

Qualche mese dopo, per assicurare la necessaria copertura finanziaria, il ministro Rutelli inserisce la costruzione del Palacinema tra le opere straordinarie per le celebrazioni legate al 150° anniversario dell’unità d’italia. È il Grande Evento: il palazzo dovrà essere completato entro giugno del 2011, e consulente d’eccezione viene nominato Angelo Balducci, massima autorità istituzionale per appalti e opere pubbliche, poi arrestato nell’indagine sulla Protezione Civile.

Con queste premesse venne fatto l’appalto per la costruzione del Palazzo del Cinema: a dicembre del 2007 la cordata Sacaim e Gemmo vince la gara d’appalto. La Sacaim ha già incrociato i corrotti destini degli uomini della protezione civile nella ricostruzione della Fenice.

Cambio governo. Il 28 agosto 2008 viene finalmente posata la prima pietra del futuribile Palazzo. Foto ricordo a futura memoria: il sindaco Cacciari, il governatore Galan, il ministro dei Beni culturali fresco di nomina Sandro Bondi e il presidente della Biennale Paolo Baratta. Ma il Comune deve trovare i fondi. Per la vendita delle aree dell’ex-Ospedale vengono indette due gare d’appalto: la prima va deserta, la seconda – indetta con tempi brevissimi in modo da rendere pressoché impossibile la partecipazione di grandi gruppi – se l’aggiudica per 81 milioni la società Est Capital. Giusto per capire l’intreccio tra incarichi pubblici e profitti privati: fondatore e presidente di Est Capital è Gianfranco Mossetto, che fu assessore alla cultura e al turismo della prima giunta Cacciari (1993-1997) e ne sono azionisti le imprese Mantovani e Condotte, impegnate nella costruzione delle dighe del Mose dopo aver acquistato l’Excelsioer e il Des Bains, il lungomare che li collega e il Forte di Malamocco. Del prezzo di vendita, 49 milioni sarebbero andati al Comune, necessari per la costruzione del nuovo Palazzo del Cinema. Ad oggi il Comune ne ha incassati solo 16.

I SUPER POTERI DI UN COMMISSARIO SPAZIANTE – Finalmente il Comune prende l’iniziativa: a febbraio 2009 si procede speditamente all’abbattimento della pineta. Provvedimento non previsto nel progetto iniziale: 105 alberi, in perfetta salute, sotto la cui ombra gli abitanti del Lido sono soliti passeggiare dall’inizio del secolo.

Berlusconi, di nuovo presidente del Consiglio, nomina Commissario Straordinario Vincenzo Spaziante, alto funzionario della Protezione civile, braccio destro di Bertolaso, poi indagato per falso dalla Procura calabrese di Vibo Valentia e sotto inchiesta per malasanità ai tempi dell’incarico come assessore della Regione Calabria. Un commissario che non deve rendere conto a nessuno, né al sindaco di Venezia né tantomeno al Presidente della Regione Veneto. Con successive ordinanze, i poteri di Spaziante si estendono progressivamente dal Palazzo del Cinema a tutta l’area dell’ex-Ospedale, fino all’intero progetto di riqualificazione del Lido, diventando di fatto il raìss del territorio.

I lavori ricominciano e ai primi scavi si scoprono due depositi di amianto. L’Imperterrito Spaziante dichiara che il Palazzo del Cinema si farà ugualmente, troppi soldi in campo per ammettere l’errore commesso. Intanto le lastre di amianto arrivate dai tetti degli stabilimenti balneari del Des Bains iniziano avventurosi giri per la penisola in diverse discariche abusive. E davanti al Casinò il cratere degli scavi diventa sempre più grande e inquietante.

Serve un capo per la commissione dei collaudatori: viene nominato un nome noto al mondo dello spettacolo, “l’uomo del FUS”, Salvatore Nastasi, 37 anni, capo di Gabinetto del Ministro per i Beni Culturali, con formazione universitaria da avvocato. Senza alcun concorso interno si aggiudica un incarico destinato per competenza ad un ingegnere. Il compenso dei collaudatori è ben retribuito ed ammonta a 700.000 euro annui. La domanda sorge spontanea: quanti soldi, allora, sono stati spesi per il palazzo del cinema?

Il Camaleontico Spaziante risolve il problema tagliando il finanziamento per il Palazzo e riducendo il progetto. La nuova mecca del cinema si trasforma in una modesta sala di provincia da 2.200 posti, che poi diventeranno due salette d’appoggio. Nel frattempo, davanti al Lido, a fianco alla sala grande proprio al centro della Mostra continua ad imperare un cratere senza nessuna sala buia.

Il 13 settembre 2010 finisce l’67° Festival del cinema. I cinefili se vanno, le scenografie illusorie del festival vengono smontate – arrotolati i tappeti rossi, il Lido torna tranquilla residenza per i suoi cittadini. L’Infaticabile Spaziante dà il via alla ripresa dei lavori: firmando un’ulteriore ordinanza di bonifica dell’amianto, l’investimento per il Palazzo viene riportato a 96 milioni.

Ad oggi, non è possibile sapere quanto amianto sia stato effettivamente smaltito dal cratere. Ma questa è un’altra storia.

SETTEMBRE 2011 – SI APRE LA 68° FESTA DEL CINEMA – Da settembre 2010 ad oggi, non è comparsa neanche l’ombra d’un mattone che lasci immaginare un Palazzo del cinema. Nessun lavoro, nessun Palazzo. Di Straordinario c’è solo il giro di appalti, speculazione e affari.

Il valore culturale del progetto è servito ad aprire le porte ad un’operazione immobiliare ben più grande: l’edificabilità di tutta l’area dell’ex-Ospedale, compresa l’area verde del Parco della Favorita, la privatizzazione di una della poche spiagge libere, il porto turistico, la dismissione e l’abbattimento del Monoblocco. Dei 96 milioni di copertura finanziaria ne sono arrivati solo 36, dei quali 30 sono stati spesi nell’unica grande opera attualmente visibile: il grande cratere scavato per l’amianto, che grigi paraventi di cemento nascondono agli sguardi mondani del Festival.

Ma Baratta dichiara: il Lido sarà bellissimo. Via le consunte poltrone beige, ecco quelle nuove in velluto di lino marrone, “il colore scuro si addice ai cinefili, annulla i riverberi, addio alla moquette su cui poco potevano i potenti aspirapolvere”, rinnovati i tendaggi, il percorso delle star verso il red carpet, e soprattutto il Lion’s Bar, tornato all’antico splendore. Al modico costo di 3 milioni e 800 mila euro, il balzo nel tempo è immediato. Finalmente, come piace a Baratta, si torna al glorioso spirito del 1937.

A colpi di dichiarazioni si ritocca la realtà – un make up retorico più pesante di quello di un film horror. (Beh, buona giornata).

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Riuscirà l’intrattenimento a distrarre milioni di persone e a tenerle buone e docili comparse del mercato o invece una spinta dal basso, attraverso i social network manderà all’aria lo stato delle cose economiche esistenti?

Avevamo intuito che il Teatro Valle occupato sarebbe potuto presto diventare una piccola fucina incandescente di idee. In effetti, le assemblee e i dibattiti sembrerebbero contribuire a una sorta di consapevolezza, una specie di senso di appartenenza alla classe dei lavoratori cognitivi. E come tali, col tempo sentire di essere al centro di un attacco sociale strategico per la sopravvivenza della casta dei capitalisti finanziari europei, che, per difendere i loro interessi, hanno scatenato una guerra civile senza esclusione di colpi contro la cultura, l’istruzione e la scuola pubblica, l’università e la ricerca, il cinema e il teatro d’autore costringendo milioni di persone, nel miglior periodo della loro stessa vita alla schiavitù del precariato.

L’obiettivo è pagare le idee creative il meno possibile, spingere i talenti verso forme di intrattenimento, utili a generare profitti per i grandi media. L’intrattenimento è il nuovo oppio dei popoli. È stato giustamente definito la più potente arma di distrazione di massa: dopo la catastrofe finanziaria globale del 2008 e la immediata ripercussione sull’economie locali, la crisi economica pesta duro le classi sociali più deboli, e premia e arricchisce e fa sempre più proterve le classi dominanti e i sodali dei poteri forti.
Lo stato sociale è ridotto a un colabrodo dalle pervicaci politiche neoliberiste, la sinistra, geneticamente modificata nel centrosinistra si è indebolita, nello spirito e nel corpo elettorale, dunque non assolve più la funzione di spingere verso la redistribuzione controllata della ricchezza prodotta.

È vero, come sostiene qualcuno, che in Europa e in Nord Africa sta prendendo forma la coscienza collettiva di dover essere autonomi dalle istituzioni e dai partiti. È vero che le grandi proteste di massa che hanno attraversato il Vecchio Continente sono i prolegomeni di una insurrezione di massa contro le misure economiche imposte dagli organismi europei ai governi nazionali. Esse risultano sempre più inadeguate alla difesa dei redditi più bassi, mentre appare come una intollerabile provocazione di classe il fatto che sia cominciata la ripresa economica, mentre i salari continuano a scendere e la disoccupazione a salire.

Riuscirà l’intrattenimento a distrarre i milioni di persone e a tenerle buone e docili comparse del mercato o invece, in barba al televoto, una spinta dal basso, autonoma e organizzata attraverso i social network manderà all’aria lo stato delle cose economiche esistenti, per dare vita a un nuovo ordine, a una nuova società europea, a nuovi principi economici e finalità produttive? Si riuscirà a combinare correttamente la produzione autonoma di energie rinnovabili con la produzione di nuove e promettenti idee di socialità e produzione di ricchezza?

Riusciranno la cultura, il sapere, le arti, la ricerca, la creatività a diventare il propellente di un potente motore di cambiamento, capace di spingere l’Europa a superare il Capitalismo? In Europa il capitalismo è nato, e dunque giusto sarebbe che qui se ne celebrasse il funerale.
(Beh, buona giornata).

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Cinema democrazia Finanza - Economia Teatro

Le ragioni del Teatro Valle sono a monte.

Succede di aver talmente ragione da capitombolare dalla parte del torto. E’ successo a Goffredo Fofi che sulle pagine de l’Unità ha accusato gli occupanti del teatro Valle di Roma di essere nostalgici dell’assistenzialismo culturale. A quelli non è andata giù, e a ragione.

Perché i motivi dell’occupazione del teatro sono più grandi delle clientele, mafiette e greppie che hanno caratterizzato la produzione cinematografica e teatrale italiana, col risultato di dare vita a sprechi di danaro pubblico e a insulse e dimenticabili opere artistiche. Sono anche più grandi del conformismo di sempre della sinistra parlamentare, ma anche del suo rinato attivismo di questi giorni, tutto imperniato a far sopravvivere il teatro Valle, col coinvolgimento finanziario degli enti locali. Guardano l’albero, ma non vedono la foresta.

Il fatto è che i tagli alla cultura operati nell’ultima manovra finanziaria del governo altro non sono che tagli della parte residua dei tagli precedenti. Il che autorizza a pensare e dunque a dire con chiarezza che chiudere i rubinetti alla cultura italiana è una strategia, prima ancora che una necessità di bilancio. La qual cosa è straordinariamente in sincronia con i tagli di bilancio al finanziamento della scuola, dell’università e della ricerca.

Questa strategia è stata annunciata dal ministro dell’Economia, l’uomo delle forbici, circa un anno fa. “Certi diritti non possiamo più permetterceli”, ebbe a dire Tremonti, molto prima dell’emergenza speculativa internazionale che si è abbattuta sul Paese, proprio grazie alle politiche del governo Berlusconi, cosa, sia detto per inciso, che non è una tesi del dibattito, ma è un fatto accertato e certificato dai mercati internazionali.

Sostenere che l’attuale governo non si può permettere di finanziare certi diritti è la confessione sincera di colpevolezza, al di la di ogni ragionevole dubbio. Perché i diritti non sono merci che a un certo punto esauriscono sullo scaffale del supermarket. La Costituzione non è un menù sul quale un asterisco ci avverte che questo o quel diritto potrebbe essere congelato.

Da questo punto di vista, contrariamente a quanto dice Fofi, si ha l’impressione che gli occupanti del Valle abbiamo le idee chiare. Tanto che la risonanza che sta avendo l’occupazione è un motore mentale che è in grado di produrre idee nuove , quelle stesse di cui Fofi lamenta la mancanza. La verità è che la lotta è una eccellente palestra di ingegni, e il Valle sembra un piccola, ma incandescente fucina. Fosse solo per questo, l’occupazione del Valle andrebbe difesa, propagandata, aiutata con tutti i mezzi.

La piattaforma di lotta non è così chiara come la vorrebbe qualcuno? Sempre succede che chi comincia ha ragioni che le parole ancora non sanno spiegare. Cionondimeno, dall’occupazione del Valle di Roma arriva, sottoforma di metalinguaggio, forte e chiaro un bel messaggio: l’Italia non solo bisogno di una alternativa di governo, l’Italia ha forte consapevolezza di un’alternativa politica, economica, sociale e culturale. L’occupazione del teatro Valle, nella sua specificità, che sembrerebbe riguardare attori, autori, registi e maestranze è in realtà un tassello di un mosaico che rappresenta il cambiamento in atto, tassello che va a collocarsi accanto alle novità espresse dalle amministrative di Milano e Napoli, accanto allo straordinario pronunciamento di massa su i referendum, accanto alla protesta No tav.

Al Valle c’è entusiasmo collettivo, proprio quello che servirebbe per contagiare di nuovo il Paese intero. C’è anche forte il senso di una consapevole autonomia dalle politiche culturali del centrosinistra, contro le quali le parole di Fofi sono sacrosante. Ma il bello delle lotte è che, qualunque risultato immediato ottengano, esse fanno bene alla salute democratica di un Paese.

Per l’attuale ministro della Cultura, che viene dal management di Publitalia,e che ha detto che per quanto allegra l’occupazione del Valle è pur sempre abusiva, evidentemente gli attori servono solo a fare i testimonial pubblicitari. Se da protagonisti delle fiction diventano attori della realtà, bisogna mandargli la polizia? Beh, buona giornata.

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Attualità Cinema Società e costume

Habemus Papam di Moretti ovvero la messa in scena di una crisi altrettanto reale e minacciosa.

In sala con il filosofo: Paolo Virno commenta Moretti. “Habemus Papam”: rito e abisso dell’apocalisse culturale. Da “Palombella rossa” alla “palla prigioniera” dei porporati
di RICCARDO TAVANI -3Dnews/Terra

Paolo Virno si lascia trascinare volentieri alla proiezione per la stampa dell’ultimo film di Nanni Moretti. Virno insegna filosofia del linguaggio a Roma ed è uno dei nostri pensatori più stimati e citati, soprattutto all’estero. Una stima che si è conquistato con anni di studi e pubblicazioni di importanza decisiva e crescente.

A fine proiezione, Virno deve subito tornare ai suoi impegni universitari e appena fuori la sala comincia già a svolgere il rullo delle impressioni che ha ricavato da “Habemus Papam”. A non essere scambiato per uno che cela il proprio giudizio dietro pomposi riferimenti speculativi, afferma subito che gli è sembrato un film riuscito.

Dice che ha pensato a Ernesto De Martino, alla sua definizione di “apocalisse culturale”, che è una sorta di messa in scena, o forse di “messa in abisso” degli elementi reali di una crisi altrettanto reale e minacciosa. L’apocalisse culturale è quella rappresentazione nelle forme profonde di un rito collettivo che serve a impedire l’avvento di una apocalisse vera e incombente. È ciò che De Martino ha osservato nei suoi cruciali studi antropologici: quando un aggregato umano sente che una crisi sta mettendo in discussione le premesse e le condizioni stesse alla base dell’esperienza umana, ricorre al rito. Rappresenta tutte le tappe che hanno condotto alla catastrofe e cerca di invertirne il segno, di trovare un contravveleno.

“Habemus Papam”, rappresentando un particolare e originale stato di crisi, in quanto film, prodotto cinematografico si carica esso stesso del ruolo di apocalisse culturale tesa a scongiurarne una reale. Nel conclave per eleggere il Papa, ogni cardinale implora Dio per non essere eletto proprio lui; così la scelta cade su uno dei meno favoriti. Ma questi, di fronte all’enormità del compito che lo aspetta rimane paralizzato, incapace di proferire una sola parola alla folla che lo attende sotto la famosa finestra e, anzi, fugge, senza farsi neanche vedere.

La psicanalisi, dice Virno, cui si tenta di far ricorso per risolvere la crisi del Papa si dimostra del tutto impotente, anzi, grottesca perché non di una crisi individuale si tratta ma di quella di un intero organismo collettivo. Il Papa non soffre di alcuna crisi riguardante la propria fede, non ha alcun trauma infantile del tipo “deficit da accudimento” da parte della madre. Sente solo la sproporzione tra sé e la necessità di una rottura di continuità storica che la chiesa dovrebbe segnare ma che è incapace di determinare.

Anche i prodromi di un’analisi collettiva all’intero corpo cardinalizio, però, si dimostrano grottescamente infecondi, perché né i porporati e tanto meno l’analista conoscono la regola dello “spariglio”, della rottura di continuità, sia a carte che nella vita reale. Così la “palombella rossa” della crisi della vecchia chiesa comunista, dice Virno, diventa qui la palla a volo tormentata dei cardinali, i quali, però, sono rimasti alla “palla prigioniera” del secolo e del millennio scorso.

Il Papa prigioniero di un ruolo mummificato e sprofondante sotto il proprio sovraccarico è egli stesso elemento fondamentale della crisi, della catastrofe incombente. Per questo fugge davanti al compito assegnatogli, evade dalle mura vaticane, tenta un esodo paradossale sulle strade, sui tram, nei supermercati, nelle cornetterie notturne, negli hotel di terz’ordine, come nelle piccole chiese della città. Fino a imbattersi nella passione vera della sua vita: il teatro.

Si mette a seguire una compagnia che sta rappresentando “Il gabbiano” di Checov. La vera rappresentazione, però, a cui assiste è quella della crudele follia di un suo “doppio”, ovvero di quella degenerazione patologica costituita dall’incapacità di sottrarsi alla coazione a ripetere un ruolo svuotato di senso. Quando i porporati, nota Virno, fanno irruzione nel teatro con tutto il loro austero e cupo apparato scenico abbiamo come un raddoppiamento del tema della rappresentazione apocalittica: il delirio autentico che colpisce l’attore principale è esattamente l’orlo dell’abisso reale su cui stiamo pericolosamente oscillando.

Il disordine, l’incertezza, il caos magmatico che ci minacciano non possono essere assolutamente limitate alla vicenda della chiesa, anche se Virno comprende le necessità di un’efficacia narrativa del film circoscritta a questo particolare ambiente. La chiesa, il Papa hanno sì rappresentato nel passato quello che San Paolo chiamava il katechòn, ovvero la forza che abbraccia il male, il disordine, la confusione per impedire loro di dilagare completamente.

Oggi, però, è l’intero ordine economico, politico, istituzionale mondiale a rappresentare su vasta scala la pericolosa “crisi di presenza” di cui parlava De Martino. La fuga, la sottrazione, l’esodo dai ruoli sociali prefissati e ormai insensati, soffocanti diventano esse stesse forme attuali del katechòn. Non riguardano, però, solo un Papa, immaginario o reale che sia, ma tutti noi.

Ma intanto, il papa immaginato e messo in scena dal film di Moretti mantiene aperta l’apocalisse culturale nell’unico modo tormentosamente eppure coraggiosamente conseguente a impedire l’inabissamento in quella reale.
(Beh, buona giornata).

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