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La pubblicità italiana, ovvero regressioni d’autunno.

“E mo’ vene Natale, non tengo denari, me leggo ‘o giurnale, e me vado a cuccà”, mitica canzoncina jazz di Renato Carosone del 1955 che, a saldi pari, calza a pennello alla comunicazione italiana, che si appresta a chiudere un altro anno terribile, smentendo, senza che nessuno abbia il coraggio di farne pubblica ammenda, la previsione di un pareggio, se non di un sia pur lieve incremento.

Siamo, invece, ancora nella melma, per non dire di peggio. E non si tratta di numeri, ma d’idee.

Succede, per esempio, che una nota e potente organizzazione nella grande distribuzione mette sui suoi scaffali un nuovo prodotto a marchio: un preservativo. Ma la campagna è moscia. E non vi sembri un volgare ossimoro.

Oppure che un grande editore italiano metta in distribuzione opzionale un prodotto multimediale su Giacomo Leopardi. La creatività radiofonica è niente meno che una serie di brani tratti al Cd, uno dei quali recita:
“Leopardi era un ragazzo allegro”. Peccato che l’agenzia non si chiami Monty Python.

Potremmo andare avanti in un lungo e noioso elenco.

D’altra parte, vanno in continuazione sul web ideuzze risibili, supportate da volonterosi copy e account che tentano di “virarli” attraverso i loro rispettivi profili sui social network.

Però si alzano peana alla comunicazione olistica. Dimenticando che è il marketing che

La comunicazione sono idee, i mezzi sono i veicoli delle idee.
La comunicazione sono idee, i mezzi sono i veicoli delle idee.
deve essere olistico. La comunicazione o è settaria o non è.

Siamo in un’epoca di frantumazione. Si è frantumata la Repubblica, ormai ogni potere fa i casi suoi, spesso in contrasto gli uni con gli altri. Si è frantumato il sogno europeo, ormai divenuto il ricorrente incubo dell’austerity: il suo mantra è “ricordati che devi pagare le tasse”.

Si è frantumata la politica, che oltretutto sta frantumando anche la pazienza degli elettori: neanche la pubblicità degli Anni Ottanta sparava fandonie così roboanti. Manco il leggendario “vavavuma!” della Citroen diesel di Seguélá sarebbe arrivato a tanto.

Certo, la frantumazione dei media è la caratteristica attuale. Usciti (male) dall’impero della tv e dalla satrapia di Auditel, oggi vaghiamo in un limbo in cui per raggiungere i consumatori le marche si devono fare in mille pezzi, tanti quanto è la somma tra i vecchi e i nuovi media.

Ma a forza di avvitarsi in tecnicalità e a credere che i mezzi siano tutto, il messaggio langue, il contenuto è esangue. C’è anche un aspetto grottesco, per non dire gotico, una specie di noir de noantri, non tano del dibattito, che forse non c’è mai stato, quanto del chiacchiericcio lamentoso: quelli che urlano “la pubblicità è morta” non riescono a nascondere le mani sporche di sangue della strage di idee.

Guardare a certe importanti campagne fa impressione; vedere immagini, testi, claim, cioè i contenuti, fa pena. Una regressione stilistica, estetica e sintattica; una povertà d’immaginazione e di comunicativa; una fretta nell’esecuzione che fa cadere ogni voglia di interessarsi al narrare delle marche, dunque ai loro prodotti.

La grande corsa all’irrilevanza della comunicazione commerciale italiana fa sudare, boccheggiare e ansimare tutti, su una strada che vede allontanarsi via via il traguardo della ripresa economica.

Come fosse la vocazione a essere comparse, invece che protagonisti, poco vale consolarsi per la partecipazione straordinaria di creativi italiani alla messa in scena di campagne internazionali.

Mentre da più parti ci verrebbe proposto un nuovo modello di comportamento emotivo, basato sulle migliori qualità italiane, si dimentica che il paradigma gramsciano aveva nell’ “ottimismo della volontà” il contrappeso del “pessimismo della ragione”. Cioè di una visione critica, analitica, non conformista, utile alla modificazione positiva della realtà. Che dovrebbe cominciare col rifiutare di credere ancora che tecnicalità e mezzi, invece che idee e contenuti siano la comunicazione del nuovo modo di fare marketing.

E visto che continuiamo a importare acriticamente dall’estero assiomi del marketing moderno, per concludere ci starebbe bene una famosa citazione di “Un americano a Roma”, interpretato da un Sordi giovane e pimpante.

Quando qualcuno viene a farvi il pistolotto sulle nuove opportunità, rivolgetevi a chi vi sta accanto e dite ad alta voce: “Armando, questo mo’ cacci via, subito”. Magari funziona. Beh,buona giornata.

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Un libro ci racconta come il digitale ci sfugg

di Aldo Garzia – il manifesto –

Negli anni del boom, l’Italia era una potenza informatica, poi il salto indietro. Oggi, Grillo usa la rete come una clava

Giornalista Rai di lungo corso (sua è l’idea iniziale del progetto di Rainews24), Michele Mezza ha il gusto della radicalità delle tesi che espone. Da anni studioso del web e della rete, autore di vari saggi sul tema, fustigatore dei ritardi che la sinistra e il sistema informativo hanno accumulato in Italia sul versante del sapere digitale, Mezza si ripresenta in libreria con “Avevamo la luna” (Donzelli, pp. 346, euro 19) che è un prodotto multimediale, per la precisione «cross mediale». È infatti un libro che si deve leggere consultando il sito dall’omonimo titolo per continuare a discutere e avendo in mano il telefonino smartphone da usare come lettore dei QR code per accedere a documenti di rete, testimonianze dei protagonisti, filmati e altre curiosità.

Avevamo la luna (Donzelli, pp. 346, euro 19)  è un prodotto multimediale, per la precisione «cross mediale». È infatti un libro che si deve leggere consultando il sito dall’omonimo titolo per continuare a discutere e avendo in mano il telefonino smartphone da usare come lettore dei QR code per accedere a documenti di rete, testimonianze dei protagonisti, filmati e altre curiosità.
Avevamo la luna (Donzelli, pp. 346, euro 19) è un prodotto multimediale, per la precisione «cross mediale». È infatti un libro che si deve leggere consultando il sito dall’omonimo titolo per continuare a discutere e avendo in mano il telefonino smartphone da usare come lettore dei QR code per accedere a documenti di rete, testimonianze dei protagonisti, filmati e altre curiosità.

La tesi dell’autore, esplicitata già nel titolo del libro, è che c’è stato un triennio – dal 1962 al 1964, in pieno boom economico – in cui l’Italia grazie alle sue eccellenze in vari campi poteva diventare un paese d’avanguardia nel cuore dell’Europa. Da qui il viaggio compiuto dal libro e dai contenuti multimediali nei sogni dell’innovazione italiana degli anni sessanta e successivi. Grazie ai QR code, cioè ai codici a barre di seconda generazione, il lettore non solo segue il percorso sulla grande occasione mancata a iniziare dal 1962 ma può vedere e ascoltare sul sito del volume, se non vorrà leggerle su carta, le interviste a Giuseppe De Rita, monsignor Luigi Bettazzi, Elserino Piol, Antonio Pizzinato, Alfredo Reichlin, Paolo Sorbi, Claudio Martelli, testimoni o commentatori del tempo che fu.

Nel libro non mancano riferimenti all’attualità, come le dimissioni di papa Ratzinger e l’elezione di papa Francesco. Fin dallo «strillo» di copertina, il libro annuncia di occuparsi «da papa Giovanni XXIII a Papa Francesco, da Olivetti a Marchionne, da Moro a Grillo».

Ognuno può pensare a quei nomi, facendo i paragoni, come a un passo indietro o a un passo avanti nei diversi campi della religione, dell’innovazione tecnologica e della politica incapace di autocomunicazione di massa come per ora solo Beppe Grillo sa fare usando internet come una clava (Mezza analizza nel libro il fenomeno grillino).

L’autore, nelle sue ricostruzioni, operando il confronto tra ieri e oggi, punta l’indice sul sistema politico italiano che finora non ha saputo comprendere la novità del sistema digitale, così come la sinistra si è dimostrata incapace di cambiare il tradizionale paradigma che guarda al lavoro e non alle nuove forme della comunicazione. Narrando gli avvenimenti che vanno dal 1962 al 1964, Mezza ci parla della diversità di allora – quando le innovazioni tecnologiche furono comprese – rispetto alla contemporaneità.

Scrive: in quel triennio di cinquant’anni fa l’Italia fu vicina a una sorta di nuovo rinascimento. Eravamo – argomenta – la prima potenza informatica europea; il primo paese europeo, dopo Stati Uniti e Unione Sovietica, a lanciare satelliti nello spazio, tra i primi ad avviare la sperimentazione elettronucleare. Conclusione amara: eppure alla fine di quel triennio il bilancio sarà tutto negativo.

Enrico Mattei, presidente dell’Eni, muore nel 1962 in un incidente aereo che è probabilmente un attentato per stroncare il progetto dell’autonomia energetica dell’Italia. Il comparto elettronico dell’Olivetti viene svenduto alla General Electric, di conseguenza l’Italia non sarà tra i primi paesi a produrre computer (l’esperienza originale di Adriano Olivetti e la sua idea di capitalismo restano da studiare). Felice Ippolito (a capo nel Cnen in quella fase celebrity pokies, tra i maggiori fautori dell’energia nucleare) vede stroncata la sua carriera da uno scandalo all’italiana: nell’agosto 1963 alcune indiscrezioni giornalistiche sollevano dubbi sulla correttezza del suo operato aziendale. Il 3 marzo 1964 viene arrestato. Ne segue un processo che culmina con la condanna di Ippolito a 11 anni di carcere (sarà graziato due anni dopo da Giuseppe Saragat, in quel momento presidente della Repubblica).

Troppe misteriose coincidenze finiscono per incidere sulla storia del dopoguerra italiano. Dice Giuseppe De Rita, tuttora presidente del Cnel, nell’intervista concessa a Mezza, che dopo quei fatti l’Italia inizia a essere un «paese eterodiretto». E non si deve dimenticare nell’elenco dei fatti e misfatti di quel periodo che nel 1964 fu sventato il cosiddetto «Piano Solo», il tentativo di colpo di Stato che ebbe come protagonista Giovanni De Lorenzo, generale dell’Arma dei carabinieri. L’Italia che cambiava tumultuosamente, diventando realtà industriale, faceva paura all’interno e all’esterno dei nostri confini.

Secondo Mezza, dopo gli episodi riguardanti Mattei, Olivetti e Ippolito, la politica non seppe recuperare il terreno irrimediabilmente perduto nell’appuntamento con l’innovazione pur iniziando nel novembre 1963, con il primo governo guidato da Aldo Moro, l’esperienza delle coalizioni di centrosinistra che portano per la prima volta i socialisti di Pietro Nenni al governo. Se però l’Italia può essere definito paese eterodiretto, i ritardi non sono solo «endogeni» ma «indotti». Con questa chiave interpretativa è facile spiegare i «misteri» degli anni successivi: le bombe a piazza Fontana nel 1969, le bombe ai treni e le altre stragi (è stata solo esperienza italiana istituire una commissione parlamentare d’indagine sulle stragi), fino al rapimento e alla tragica uccisione di Moro, che segnano la fine di un’epoca politica. Quando in Italia il cambiamento è vicino e possibile, accade sempre qualcosa d’imprevisto che fa cambiare il tragitto che conduce all’innovazione sociale e politica.

Nel libro c’è, infine, una rilettura originale degli atti del convegno che l’Istituto Gramsci dedicò nel 1962 alle «tendenze del capitalismo italiano». Mezza è convinto che in quell’occasione per la prima volta la sinistra comunista analizzò i fenomeni del capitalismo americano come anticipatori delle trasformazioni che sarebbero arrivate ben presto a casa nostra mentre il Pci giudicava ancora «straccione» il capitalismo italiano e quindi bisognoso di aiuto per compiere un pieno sviluppo delle forze produttive. La relazione di Bruno Trentin, in quel convegno gramsciano, analizzò le trasformazioni indotte dal taylorismo nel ciclo produttivo e la nascita di nuove figure sociali quali i manager e i tecnici.

Nel dibattito, Giorgio Amendola usò un intervento di Lucio Magri, in quell’anno appena trentenne, per polemizzare con chi parlava di neocapitalismo e di società dei consumi nascenti anche in Italia. Proprio in quel dibattito del 1962 molti studiosi hanno datato la nascita della sinistra comunista che poi verrà definita «ingraiana» e che nel 1969, per decisione di un gruppo di suoi esponenti, darà vita al mensile il manifesto diretto da Rossana Rossanda e Lucio Magri.

Ma questa è un’altra storia, anche se la scelta del titolo Avevamo la luna da parte di Mezza sembra una risposta – inconsapevole? – a quel Volevo la luna che è il titolo dell’autobiografia di Pietro Ingrao uscita qualche anno fa da Einaudi (per l’ex presidente della Camera, la luna era l’utopia di un comunismo realizzabile senza le storture della modellistica sovietica).

Mezza conclude: la luna ce l’avevamo a portata di mano e ce la siamo lasciata sfuggire. Da qui la scelta efficace della copertina del suo libro che ripropone un fotogramma del film Il sorpasso di Dino Risi (anno di produzione 1962, pieno boom per l’Italia uscita dalla guerra). Raffigura un cinico Vittorio Gassman sorridente a bordo della sua Lancia Sport decapottabile, inconsapevole che da lì a pochi istanti sta per perdere la vita in un incidente insieme al suo compagno di viaggio Jean-Louis Trintignant. Metafora efficace per descrivere ciò che accadrà al boom economico italiano nel suo appuntamento con l’innovazione.(Beh, buona giornata).

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Datagate, la prima guerra mondiale per il dominio strategico sulla rete.

di Riccardo Tavani

Va ricordato solo di sfuggita che Internet nasce come una tecnologia militare, per connettere tra loro le varie basi Nato nel mondo, e poi diventa in soverchiante misura un’applicazione civile. Talmente prevalente l’aspetto civile che la Cia, per mettersi al passo con i prodigiosi mutamenti della rete, ha proposto, già qualche anno fa, una collaborazione a Mark Zuckerberg, il mitico fondatore di Facebook, la stessa società che ha recentemente ammesso di aver “parzialmente” aderito alle richieste della National Security Agency (NSA) di fornirle i dati degli iscritti.

Il data-gate è deflagrato dalla scala interna americana a quella planetaria nel giro di pochi giorni. Dal controllo sul traffico telefonico ed elettronico di tutti i cittadini americani a quello degli Stati, dei governi, dei popoli di tutto il mondo.

Ne avevamo già parlato in relazione alla cosiddetta “eccezione culturale” (cfr https://www.marco-ferri.com/?p=6590) sui prodotti audiovisivi, sollevata in primo luogo dalla Francia. I maggiori governi del mondo, Cina, Europa e Russia ne sono rimasti coinvolti e sconvolti, mentre anche altri Stati più piccoli sono ora direttamente sotto la ruvida minaccia di vedersi il lato B fatto a stelle e strisce se daranno asilo politico all’agente segreto americano Edward Snowden.

In Europa, soprattutto Germania e Francia sono montate su tutte le furie, mentre l’Italia attraverso il presidente Napolitano e la ministra Bonino ha adottato la linea della “faccenda spinosa”, come dire : “Siamo seduti su un rovo di spine, muoviamoci il meno possibile”. La cosa più grave, però, è che si sta cercando di accreditare, anche nel nostro apparato mediatico, l’opinione tranquillizzante che in fondo non ci sarebbe nulla di nuovo sotto il cielo: spiati eravamo e spiati restiamo. Soprattutto – si dice – in relazione a quanto già emerso nelle varie commissioni di indagine sull’affare Echelon. Questo fu il primo progetto di raccolta dati planetari strutturato e ripartito tra Australia, Canada, Nuova Zelanda, Inghilterra e Usa. Capofila del progetto era sempre la NSA, con alle dirette dipendenze la Cia e il super segreto National Reconnaissance Office (NRO).

La vittima più illustre di questo apparato fu proprio il Parlamento Europeo, che si trovò spiato direttamente da un suo membro formalmente interno, l’Inghilterra. La differenza fondamentale con l’attuale sistema sta però nel fatto che Echelon era una rete di satelliti terrestri diffusa su diversi territori degli Stati associati. Ora, invece, si tratta direttamente della rete, del web, di Internet, di quella tecnologia sempre più capillare, articolata, differenziata e convergente insieme che usiamo tutti sulla crosta terrestre, nei cieli e nei mari.

Facciamo alcune cifre. La più importante è quella che riguarda l’e-commerce. “Il fatturato in Italia è stimato per l’intero 2013, pari a 11,2 miliardi di euro e in salita del 17% per cento rispetto all’anno passato. Numeri più che discreti ma ancora poca cosa se rapportati a quelli europei. Stando alle rilevazioni di Ecommerce Europe, infatti, l’incremento annuale delle vendite via Web per il 2012 è stato nell’ordine del 22 per cento, per un fatturato complessivo di oltre 305 miliardi di euro. Il Vecchio Continente è il primo mercato mondiale per l’e-commerce, davanti agli Usa (con 280 miliardi di euro) e regione Asia-Pacifico (216 miliardi di euro)”. (IlSole24ORE.com).

Pare evidente non solo la perdita del gradino più alto del podio, ma soprattutto la scomoda situazione da fetta di prosciutto nella quale si trovano gli Usa, tra le due robuste fette di pane rappresentate da Asia ed Europa. È chiaro che anche le altre operazioni bancarie avvengono ormai prevalentemente on line, tanto che Bnp Paribas ha già dato il via alla Hello Bank, la prima banca europea di grandi dimensioni completamente telematica, con ramificazioni in Belgio, Germania e Italia (con apertura qui prevista ad ottobre con BNL). I dati, gli scambi, le operazioni, i pagamenti, i finanziamenti e i progetti viaggeranno tutti ed unicamente via tablet, smartphone e pc.

Ed è questo ormai il nuovo tipo di e-Bank che si sta già egemonicamente affermando nel mondo. Cominciamo a capire la differenza tra il controllo tramite una rete di satelliti terrestri e il controllo diretto, anzi il dominio strategico, militare-spionistico sulla rete.

Abbiamo detto ‘militare’ e non deve stupire, perché sempre di più l’essenza ultima dello scontro – sia bellico che economico – si gioca sul piano della tecnoscienza. Il 23 marzo 1983, il presidente americano Ronald Regan annunciò il cosiddetto “Scudo Spaziale”, lo SDI, Strategic Defense Initiative. Il salto tecnologico rispetto al livello raggiunto dell’ex Urss era talmente vertiginoso che in nessun modo questa avrebbe potuto pareggiarlo o approssimarsi strategicamente a esso. La partita storica del XX secolo era vinta per l’uno e persa per l’altro con quel solo micidiale tecno-colpo.

Il web è il cuore pulsante di qualsiasi ulteriore fattore di sviluppo tecno-scientifico, e la stessa governance, tanto nelle aziende multinazionali produttive, quanto in quelle politiche istituzionali internazionali è impensabile oggi, e tanto più lo sarà domani, senza questo organo cardiaco di pompaggio e smistamento dati. Ricordiamoci che l’Europa aveva già tecnologicamente scavalcato gli Usa nel sistema computerizzato di accelerazione particellare che ha portato al celebre rilevamento del bosone X; e che i cinesi hanno recentemente loro strappato lo scettro di detentori del computer più potente e veloce del mondo.

Per questo gli Usa stanno giocando una partita decisiva, che non è semplicemente quella dei soliti fottuti spioni planetari. Una partita nella quale il galateo diplomatico è destinato a lasciare il campo al gioco duro, quello che quando arriva solo allora i duri cominciano a ballare.

Una locuzione tipica degli americani, che risale agli anni ’50 del secolo scorso è “complesso militare-industriale”. Oggi andrebbe riformulato con “militare-industriale-informatico”, dato che il Dipartimento della Difesa prevede di aumentare il numero dei collaboratori presso il Cyber Command da 900 a 4000. Inoltre, il mercato globale della sicurezza informatica dovrebbe espandersi da circa 64 miliardi di dollari USA del 2011 a 120 miliardi entro il 2017 – con una crescita annua composta pari all’11,3 per cento, secondo dati della società di ricerche Markets and Markets.

L’unico interrogativo, non sappiamo ancora quanto legittimo, che si affaccia lateralmente a tutto questo lurido pacchetto di mischia nel fango è: ma siamo certi che la rete è questo docile strumento di manipolazione e controllo dei potenti? Che non abbia ormai sviluppato un suo efficace sistema immunitario di anti virus che diffondo disubbidienza e beffarda tecno-ribellione, proprio come i casi Anonymus, Assange e Snowden dimostrano? (Beh, buona giornata).

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Siamo pi

20111023-165947.jpgQuesto mese “Beh, buona giornata” ha superato i novantamila visitatori. Secondo i nostri analitics, ecco la situazione:

Visitatori: 90284
Pagine viste: 766994
Spiders: 612413
Feeds: 56168

A questi numeri, vanno ad aggiungersi gli amici che “Beh, buona giornata” ha su Facebook, Twitter, LinkedIn, Tumblr, Yahoo, Mypace, Digg, StumbleUpon, Google, Google+. Continuate a seguirci, ogni giorno cercheremo di fare meglio. Beh, buona giornata.

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Se la crisi della pubblicit

La fotografia della pubblicità italiana è stata scattata all’ultimo Festival di Cannes, che si è appena concluso. All’Italia sono stati assegnati un certo numero di Leoni, che è il nome del premio che viene assegnato sul palco del Palais.
In realtà è andata bene alle agenzie di pubblicità globali che gestiscono in Italia la quasi totalità del mercato della pubblicità, sia dal punto di vista dei messaggi che degli spazi pubblicitari. I fatturati delle multinazionali vengono ovviamente consolidati nei paesi in cui hanno sede i rispettivi quartier generali, e vanno a beneficio dei loro azionisti.

Vista poi, la crisi verticale della stampa italiana, della radio italiana, nonché della tv italiana, sia pubblica che privata, neppure dal punto di vista dei fatturati derivanti dalle inserzioni pubblicitarie si può parlare di pubblicità made in Italy. Gli investimenti su Sky, per esempio, vanno al monopolista australiano del satellite, mentre gli investimenti sul web vanno a vantaggio di player come Google o Facebook.
L’Italia “presta” spesso personale per la creazione e la veicolazione di messaggi pubblicitari di grandi marche multinazionali: per questo si sono creati gli hub per la gestione dei clienti internazionali. Però, qui da noi rimane poco di soldi, pochissimo di cultura della comunicazione commerciale.

Il convegno che Upa (l’associazione degli industriali che investono in pubblicità) ha tenuto a Milano nei giorni scorsi è stato una delusione. Nonostante gli sforzi lessicali del presidente Sassoli de Bianchi non è uscito niente di concreto. Una lamentela qui sul ritardo degli investimenti sulla banda larga; una contumelia lì su i diritti di negoziazione; un ammiccamento colà sulla funzione del servizio pubblico radiotelevisivo. Niente di più. E di più significava tracciare una corsia preferenziale per le aziende italiane, per fare in modo che la pubblicità nel suo complesso potesse essere un nuovo starter per la ripresa. Peccato, ma la situazione richiede molto di più che non essere Malgara (il predecessore di Sassoli de Bianchi alla guida di Upa), cioè portatore di una visione totalmente asservita alle logiche della tv commerciale.

In effetti, la situazione richiederebbe un salto di qualità degli utenti italiani di pubblicità, delle agenzie, delle concessionarie, degli editori: per governare codesta crisi bisogna guidare il cambiamento, non soltanto subirlo o, peggio, ricamarci intorno. Manca concretezza, e questo non è un bene. E quando manca concretezza si fatica a leggere con chiarezza i segnali, i messaggi, le tendenze che si stanno muovendo.

Per esempio, i due Grand Prix, nella tv e sulla stampa che generalmente a Cannes tracciano una nuova tendenza per la comunicazione commerciale, dicono che è finita l’era della pubblicità come intrattenimento, che si può aprire una nuova pagina fatta di concretezza, condivisione, coesione, aderenza alla realtà.

Infatti, la campagna “Unhate” di Benetton, vincitrice del Grand Prix nella stampa, (quella che mostra i capi di stato e di governo che si baciano sulla bocca, che da noi è stata vissuta con scetticismo) è una concreta presa di posizione verso il superamento dei contrasti derivati dalla politica globale.
D’altro canto, la campagna “Back to the start” di Chipotle è la storia dell’azienda inglese che smette di produrre alimenti in modo industriale per tornare a una produzione di qualità, nel rispetto dell’ambiente: la pubblicità si colloca nel trend della green economy.

Ma a guardarla bene, questa dolce e soave campagna inglese vincitrice del Grand Prix sembra una fantastica allegoria del ritorno al modo concreto, genuino, passionale, artigianale di fare pubblicità: fuori dai reticolati delle holding, dalle strettoie dei network internazionali c’è vita, passione creatività, visione, capacità.

Come reazione professionale alla crisi, negli ultimi anni sono nate in Italia alcune strutture indipendenti, spesso con eccellenti capacità non solo creative ma anche organizzative. Ma finché le aziende italiane non la smetteranno di “accodarsi” ai budget gestiti dalle multinazionali della pubblicità e non riprenderanno in mano il destino, le loro esigenze verranno sempre dopo i mega-budget globali.

Il presidente dell’Upa, Lorenzo Sassoli de Bianchi.
Mica male, no?! Beh, buona giornata.

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Beh, buona giornata oltre sessanta mila visitatori.

Marco Ferri
La situazione delle letture ad oggi;
Visitatori: 60008
Pagine viste: 394998
Spiders: 460147
Feeds: 44183

Un grazie a tutti i lettori. Beh, buona giornata.

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Oggi c’

Chi ha vinto la serata Auditel di ieri sera, sabato 3 marzo ? La risposta è : chissenefrega. Così, in pratica, si traduce lo sciopero Auditel proclamato per oggi, 4 marzo, da diverse realtà che in genere si occupano di analisi degli ascolti.

A fine giornata, si tireranno le somme di un’iniziativa che sottolinea il rapporto dialettico tra web e tv. Si chiama WIGD, la tv che vorrei, ed è promossa da una serie di blog e di siti che in genere si occupano di ascolti tv. Blog e siti che abitualmente informano i propri lettori su tutto quel che accade in tv, e quindi anche sui dati d’ascolto, dopo una settimana dedicata alla qualità in tv, oggi hanno sospeso la pubblicazione dei numeri per un giorno, oscurando i dati. Tra i promotori : TvBlog , Televisionando e CineTV.

Perché? L’iniziativa è simbolica e provocatoria e arriverà al termine di una settimana in cui la piattaforma di WIDG si è occupata di qualità in televisione. L’Auditel scatena il tifo e fa perdere di vista il senso più profondo della qualità in televisione. Tutto semenax hoax è sottomesso alla logica degli ascolti.
Qual è lo scopo? Uscire dalla schiavitù degli ascolti, dalle diatribe, dalle lotte che rendono l’Auditel l’unico parametro per valutare la tv italiana. Pensiamo che si possa vivere anche senza percentuali di share e valori assoluti: l’Auditel è una convenzione, una misurazione che ha assunto un valore che non dovrebbe avere. E’ diventato l’unico parametro di riferimento per chi fa tv. E decreta, senza motivo, anche i successi qualitativi“, recita il manifesto di presentazione.

Se anche voi pensate “che si possa vivere anche senza percentuali di share e valori assoluti“, aderite all’iniziativa, dicendo la vostra, nei commenti o sulla pagina Facebook, o su Twitter, usando l’hashtag #WIDG.
Vedremo quali saranno i risultati di questa azione che ha certamente un grande valore dimostrativo, e che ha il merito di mantenere alta l’attenzione sui meccanismi nefasti dell’auditelismo. Certamente, ormai la coscienza che in tv c’è bisogno di nuovi parametri si sta ampliando. Il prossimo passo dovrà essere necessariamente quello di proporre un nuovo meccanismo che si contrapponga all’Auditel. Per mezzi e per filosofia.

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3DNews/Il Copyleft ? In Svezia è una religione, il Copimismo.

Che la pratica di scaricare film e musica illegalmente abbia molti adepti non è una novità, ma in Svezia è diventata una vera e propria religione riconosciuta: il Copimismo è stato infatti ufficialmente registrato dopo una battaglia durata due anni.

Per la Chiesa del Copimismo, si legge nel sito ufficiale, «l’informazione è santa, e copiarla è un sacramento centrale per l’organizzazione e i suoi membri». «Essere riconosciuti dallo stato svedese – si legge ancora – è un passo verso il giorno in cui potremo vivere la nostra fede senza la paura di persecuzioni». L’idea di formalizzare in un vero e proprio culto una pratica piuttosto diffusa è venuta a Isak Gerson, uno studente di filosofia.

Tra i simboli sacri della neonata chiesa ci sono i tasti Ctrl C e Ctrl V, e il ‘culto’ non richiede un ‘battesimo’ formale: «Basta sentire l’atto del copiare e condividere le informazioni come una chiamata sacra – si legge ancora sul sito – per farlo noi organizziamo dei ‘copyacting’, dei servizi religiosi in cui i copimisti condividono le informazioni con gli altri». Il sito si chiude con quello che è il primo comandamento della ‘Chiesa copimista’: «Copia e semina». (Beh, buona giornata).

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