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Pacs lateranensi.

Preoccupati che il Capo dello Stato desse troppo ascolto alle gerarchie ecclesiastiche sui Pacs, l’Unione degli atei italiani ha chiesto un incontro al Quirinale, sostenendo che”cercare un dialogo con le alte gerarchie della Chiesa, che più volte hanno definito le proprie opinioni in materia «principi non negoziabili», appare ai laici italiani un’impresa destinata ad avere scarso successo.” Neanche si fossero messi d’accordo prima, con un tempestività “diabolica” la Cei replica: “una legge sulle coppie di fatto è superflua”. I vesco ricordano che “di fronte alle accuse di indebita ingerenza nell’attività legislativa, anche per ciò che concerne il riconoscimento giuridico delle unioni di fatto, al riguardo la Chiesa non può rimanere indifferente e silenziosa”.

Per una volta, il diavolo e l’acqua santa nello stesso momento. Il presidente aveva, con molta cortesia detto che sui Pacs si poteva arrivare a una soluzione, “una sintesi” l’ha definita, in modo da conciliare la posizione della Chiesa e quella dello Stato.
Ma la Chiesa non ci sta e spara ad alzo zero, proprio come quel cannone che aprì la famosa breccia di Porta Pia. La Chiesa non gira l’altra guancia, anzi, fa la faccia cattiva, addirittura minacciosa.
Al nuovo Papa, che pure il presidente Napolitano aveva detto, cortesemente che ne avrebbe ascoltato le inquietudini, i Pacs proprio non gli vanno giù. Lo Stato italiano è laico, c’è pure scritto nella Costituzione. Ma quelli niente, come se la Breccia di Porta Pia non si fosse mai squarciata.

Eppure lo sappiamo tutti che è giusto che si permetta la legalità alle coppie di fatto, che un diritto non è un obbligo, ma una opportunità di rendere equa e solidale la posizione di fatto davanti alla Legge. Ma monsignor Giuseppe Betori è irremovibile: per quanto riconosca leggere sfumature tra i vescovi italiani, dice che “c’è fondamentale unità sul ‘no’ a qualunque riconoscimento giuridico alle coppie di fatto”.

E non volevano la pillola, e ancora vietano il preservativo, nonostante l’Aids, e non volevano il divorzio e neanche l’aborto. Andarono allo scontro e persero i referendum. Oggi lo minacciano. Cattolici o atei, siamo cittadini: i diritti non sono una partita tra scapoli e ammogliati.
Caro Presidente, se lei cercava una sintesi, beh la sintesi adesso ce l’abbiamo. Vogliono la guerra? E Pacs sia. Beh, buona giornata.

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Quei buchi nei calzini.

Jane Fonda, Tim Robbins, Sean Pen, Susan Sarandom erano tra i centomila americani che hanno sfilato a Washington contro la guerra in Iraq. C’erano anche reduci dalla sciagurata avventura bellica, sulle loro t-shirt c’era scritto Iraq Venterans againts War. Nel frattempo, nei sondaggi di opinione Bush crollava al 30% del gradimento degli americani. Come sono antiamericani questi americani. Nelle stesse ore Paul Wolfowitz mostrava i buchi dei suoi calzini in Turchia, durante una visita a una moschea.

Chissà come è invidioso Giuliano Ferrara, che di trash se ne intende. Anche a lui sarebbe piaciuto mostrare i calzini bucati, come Paul Wolfowitz, il falco, l’oracolo del politicamente scorretto, delle affermazioni brutali e senza mediazione. Il massimo che è riuscito a fare il neo-cons nazionale fu buttare la giacca di lino per terra, mentre si faceva intervistare in un programma televisivo, di quelli del capo, di cui è il capo del servizio d’ordine.

Wolfowitz è americano, pragmatico, intellettuale, pratico, spiccio, tutt’altra pasta dei neo-cons nostrani, quelli all’amatriciana.

Da teorico pervicace della supremazia della politica e dell’economia americana, muscolare e molto bellicosa, dopo aver anche militato a sinistra, tra i democratici, che così ci si fa una reputazione da intellettuale e poi ci si fa pagare come il figliol prodigo che ritorna, il nostro ha fatto un balzo felino nell’Amministrazione Bush.

Dopo aver ricoperto la carica vice segretario di Stato, ai tempi di Colin Powel, che dovette andare all’Onu a mostrare una provetta con una roba bianca dentro per dimostrare al mondo che si trattava della prova provata, “la pistola fumante”, delle armi di distruzione di massa, che non era vero, ma che la guerra si fece lo stesso, Wolfowitz fu candidato da Bush e accettato da tutti gli altri come presidente della Banca Mondiale.

Dal che si capisce a che servono le guerre: a intimorire tutti e mettere le mani sul malloppo. Insomma, l’uomo giusto nel posto ghiotto. E dunque, il nostro eroe è arrivato nella stanza dei bottoni e dei bottini.

Un lupo a guardia del gregge, a decidere quali progetti finanziare, quali paesi aiutare, quali prestiti erogare. E, per converso, quali ricattare, strangolare, minacciare, piegare, rovesciare.

Insomma, la guerra vera, quella fatta con gli interessi, i debiti e i dollari. Che la guerra, come si sa, è cosa troppo seria per lasciarla fare ai generali. Quelli sono solo capaci di perderla, come stanno facendo in Iraq. Lo dicono i fatti, i morti, le stragi, ma lo dicono anche i dimostranti che tornano a migliaia nelle strade di Washington .Proprio come noi abbiamo fatto in tutti questi maledetti anni.

Perché è un fatto assodato che la guerra vera si fa con i colletti bianchi, con i dollari verdi, con l’oro nero, con i ricatti oscuri. Meglio della teoria delle armi di distruzione di massa è la pratica finanziaria della disperazione delle masse: quelle dei paesi poveri, quelli che fanno il World Social Forum, gli odiati paesi no global. Che se rompono troppo le balle, li mettiamo nella lista dei “paesi canaglia”.

Però stavolta, almeno per una volta, a Wolfowitz gli è andata buca. Se non nelle sue strategie, almeno nei calzini. E’ successo in Turchia e, per di più, di fronte a una moschea. Torna in voga un vecchio detto: sarà una risata che vi seppellirà. Beh, buona giornata.

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Mezze smentite e mezze porzioni.

Al convegno dei circoli Liberal, il trastullo che è stato regalato a Ferdinando Adornato per farlo giocare un po’al filosofo, (sapete com’è se a uno da piccolo non gli hanno regalato il piccolo chimico, poi crescendo diventa un piccolo cinico), Fini, candidato alla cena dei Telegatti come leader della Cdl, e scandidato la mattina dopo davanti a un cappuccino prima di entrare al cinema Capranica, dove appunto si teneva il convegno dei berluscons, ha detto: “Non facciamo nominalismi, pensiamo ai valori.”

E infatti, Berlusconi ai valori ci pensa eccome, soprattutto al valore di Mediaset, azienda quotata in Borsa. Berlusconi, dopo aver mezzo smentito la candidatura di Fini, ha invece riconfermato la sua rabbiosa opposizione al ddl Gentiloni.

Ora, lo sanno tutti qual è la tattica da sempre seguita dal Cavaliere: far finta di essere conciliante, far lavorare i pontieri per cercare di trarre vantaggi da una mediazione e poi, quando le convenienze diventano altre, ecco che scatta il piano B. Tutto all’aria: accuse, minacce, vittimismo, chiamata alle armi. Se lo ricorda ancora D’Alema, che credeva di trattare sulle riforme istituzionali e poi il piano B mandò la bicamerale all’aria.

E’ la stessa tecnica che sta usando oggi per quanto riguarda il ddl Gentiloni, che ha cominciato il suo iter parlamentare tra mille cavilli e ostruzionismi da parte dei deputati della Cdl.

C’è però una domanda che ci piacerebbe rivolgere al Ministro delle Comunicazioni: egli ha confezionato un disegno molto cauto, equilibrato, che pur contenendo spunti interessanti, in direzione della rottura della posizione dominante sul mercato della raccolta pubblicitaria, oltre tutto all’interno stesso delle direttive europee in materia, non può essere considerato un progetto profondamente riformatore del sistema televisivo italiano.

Nel ddl si danno per acquisite posizioni forti e quindi, invece che riformarle si tenta la via di gestirle. Nonostante questo cauto agire, Berlusconi si è scagliato con forza contro il ddl Gentiloni, definendolo un “piano criminale” per espropriargli l’azienda.

E allora, forse valeva la pena di fare una legge veramente severa, invece che una mezza porzione. Tanto Gentiloni sarebbe finito sbranato lo stesso. Beh, buona giornata.

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Noi che stiamo nei nostri sandali, ci piace Prodi come Bartali e i berluscones che si incazzano.

Berlusconi nomina Fini suo successore ai Telegatti. La Lega dice no ai cinque milioni di baionette contro la riforma della Tv. L’Udc sghignazza. Dal centro-sinistra, finalmente cala un pietoso silenzio. E intanto Prodi pedala.

Per la prima volta nella storia dello spettacolo, che uno che viene nominato delfino fa la fine del sorcio. Fini è stato nominato il successore del dopo-cena.

E’ successo durante le ultime esternazioni di Berlusconi alla cena che segue la cerimonia dei Telegatti. Nessuno nella Cdl ha gradito, anche il portavoce di Fini ha detto “sì, no, vabbé, forse, non so”.
Roba da “avanz-spettacolo”. Berlusconi ha anche detto che porterà in piazza cinque milioni di persone contro il ddl Gentiloni, la qualcosa fa tanto gli 8 milioni di baionette, pronte a combattere contro i nemici demoplutogiudaici del centro-sinistra.

Pensando di essere il Colosso di Rodi, Berlusconi ha fatto la figura dell’ex leader a cui gli rode: gli rode che la legge sulle tv vada avanti, nonostante il piano preordinato di ritardarne l’iter parlamentare, con tanto di sdegnosi abbandoni delle sedute in commissione Cultura e Trasporti della Camera da parte dei deputati del centro-destra; gli rode che sia stata giudicata inammissibile la Pecorella, quella legge che gli avrebbe consentito di non dover affrontare il processo d’appello sul caso Sme.

Ma gli rode, soprattutto a Berlusoni, che Prodi abbia cominciato a pedalare di gran lena.
Dopo la salita della Finanziaria, dopo il falso piano di Caserta, dopo le curve a gomito di Vicenza e dell’Afghanistan, Prodi tira la volata del Governo. Le liberalizzazioni, appena varate dal Governo colpiscono al cuore il berlusconismo.

Ben prima dei cinque anni del suo governo abbiamo sentito suonare sempre la stessa musica, dai soliti Soloni della politica italiana: il Cavaliere ha tutti i difetti del mondo, ma per modernizzare il Paese va bene anche uno come lui. Ora quest’alibi è caduto, non solo nelle urne, ma nei fatti. La vecchia storia del “turarsi il naso”, di montanelliana memoria non è più di attualità.

E’ dietro le spalle del Paese, è dietro la ruota del governo Prodi. Oggi i berluscones sembrano ex combattenti e reduci di una guerra persa contro i tempi che stanno cambiando.

Comici, spaventati guerrieri di un’era che sta cambiando, la schiera del berluscones sbanda e ondeggia, lo spettacolo non diverte più: oggi Berlusconi sembra in bianco e nero, mentre il Paese riprende i colori.
Non sono state, non sono e non saranno rose e fiori.

Ma a chi, come noi, sa stare nei suoi sandali, fa piacere che Prodi cominci ad andare come Bartali e che ai berluscones le palle comincino a girargli. Taratazza, taratazza, za, za! Beh, buona giornata.

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Il macero elettronico.

Un’azienda americana ha inventato la e-mail che si cancella qualche secondo dopo essere stata letta, evitando tracce informatiche o evitando di aggravare la memoria.

L’invenzione è della VaporStream di New York, che per un abbonamento di 20 sterline all’anno offre la garanzia che i messaggi di posta elettronica spariranno dopo la lettura.

Insomma, la novità che arriva dagli Usa e che apre a una nuova generazione di e-mail è ricevere messaggi di posta elettronica che si auto-distruggono dopo essere stati letti. Ecco che la tecnologia riconosce apertamente che la maggior parte dei messaggi via e-mail sono talmente inutili da volere che siano inceneriti immediatamente dopo essere stati subiti sul proprio account di posta elettronica.

E soprattutto, senza lasciare tracce né ingombri sulla memoria del computer. Dove non sono arrivate le norme anti-spam, ci arriva la genialata di una azienda che commercializza il diritto a essere lasciati in pace dagli invii molesti.

Qualcuno dirà che uno dovrebbe pagare per avere di più, non per avere di meno: ma questo è il fantastico mondo della comunicazione globale, dove essere lasciati in pace diventa un lusso.

Ma è anche il mondo della banalizzazione delle parole, dello scrivere, cioè del comunicare tra individui. Al giorno d’oggi è impossibile sottrarsi alla propria casella di posta: quella vera si riempie ormai solo di bollette da pagare, quella virtuale si va via via riempiendo di offerte, aderendo alle quali poi si riempie la casella reale, la cassetta della posta.

Una sorta di pozzo cartesiano, in cui un messaggio travasa le sue conseguenze con un altro messaggio, così che il virtuale e il reale azzerano le loro differenze. Chissà se un giorno qualcuno non inventi la raccolta differenziata della posta indesiderata. Beh, buona giornata.

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Il cinico in Erba.

“Azouz è il personaggio del momento e ha un gran futuro”, parola di Fabrizio Corona, fotografo degli scandali, della scuderia di Lele Mora, al centro dell’inchiesta sui presunti ricatti ai vip di cui si è parlato qualche mese fa.

Azouz Marzouk è l’unico superstite della strage della sua famiglia, avvenuta a Erba. Azouz è stato al centro di maldicenze razziste, fino a quando non si è scoperto chi fossero i veri assassini. Azuoz, da vittima sacrificale, si è lentamente trasformato in un personaggio pubblico: intervistato dai giornali, ospite di trasmissioni televisive, fotografato dai paparazzi.

Ora, sembra che un assistente di Corona abbia realizzato un servizio fotografico dei funerali di Raffaella e del piccolo Youssuf in Tunisia. Sembra, anche, che a invitare il vice- paparazzo alla cerimonia funebre svoltasi a Zanghouan, in Tunisia, sarebbe stato proprio Azouz Marzouk.

Il dipendente di Corona avrebbe realizzato in esclusiva un servizio fotografico che comprende anche momenti privati della famiglia Castagna durante la permanenza nel paese tunisino, comprese le ore di raccoglimento durante la veglia funebre nell’abitazione dei genitori di Azouz. Si parla si un compenso di 15 mila euro, che però viene smentito, come sempre accade in queste situazioni, tanto per renderle ancora più scabrose.

Carlo Castagna, il padre di Raffaella, ha reagito subito: ha diffidato Fabrizio Corona dal diffondere le immagini riprese in esclusiva alle esequie della figlia e del nipotino. Corona a sua volta ha precisato che ha ricevuto il permesso all’esclusiva a titolo gratuito e solo per quanto riguarda l’immagine di Azuoz Marzouk. Di cui alla cinica dichiarazione che val la pena,( pena, appunto), riportare di nuovo: “Azouz è il personaggio del momento e ha un gran futuro”.

Che uno pensi al futuro, proprio mentre non ha ancora finito di “seppellire” il proprio tragico passato recente è semplicemente cinismo allo stato puro. Aver voglia di avere un teleobiettivo sul viso rigato dalle lacrime è una scelta personale, e come tale è di personale responsabilità: ne risponda Azuoz al suo dolore, alla memoria dei suoi cari, così come si è trovato a doverne rispondere allo sdegno di Carlo Castagna. Noi militiamo dalla parte di questo sdegno, anche perché abbiamo militato dalla parte della compostezza e del senso della misura di questo uomo, durante l’orribile svolgersi dei tragici fatti di Erba.

Non ci sono ingranaggi perversi cui uno non sappia sottrarsi, se preferisce essere una persona. Se invece vuole diventare un personaggio, allora fa quello che sta facendo Azouz, a cui i media stanno insegnando una regoletta semplice-semplice: tutto fa spettacolo, bellezza.

Non si può impedire a Azuoz di fare quello che vuole, non si può impedire al fotografo di fare un accordo di esclusiva, non si può impedire a un talk show di fare di Azouz un personaggio, non si può impedire a un rotocalco di acquistare le foto e pubblicarle. Il pubblico è adulto e sa giudicare.

Anche se un modo per dissuadere che questo cinico commercio dei dolori dell’animo abbia successo, in effetti, ci sarebbe. Giorni fa al Grande Fratello, nella sua versione inglese, una concorrente ha insultato, con epiteti razzisti, una modella indiana. Ne è nata un polemica che ha raggiunto anche la diplomazia tra la Gran Bretagna e l’India. Lo sponsor del programma trasmesso da Channel Four ha minacciato di ritirare l’investimento.

Ecco, se gli inserzionisti pubblicitari disinvestissero i loro budget nella tv trash e nella stampa scandalistica, forse a nessuno verrebbe in mente di organizzare messinscene ciniche come quella di cui stiamo parlando.

Non si tratta di moralismo, né di censura preventiva, ma di quel minimo di responsabilità sociale, che farebbe bene alla reputazione dei marchi e dunque alla pubblicità. E molto male alla cronica mancanza di scrupoli, che vorrebbe essere l’ingrediente fondamentale del successo nel mondo dello show biz.
Beh, buona giornata.

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Il reggi-coder di Berlusconi.

La Commissione Europea dovrebbe dichiarare oggi illegittimi gli aiuti concessi dal governo Berlusconi per l’acquisto di decoder per il digitale terrestre.

Salvo sorprese dell’ultima ora, dovrebbe passare la linea di Neelie Kroes, commissaria europea per la Concorrenza, come conferma lo stesso vicepresidente Franco Frattini, il quale non nasconde tuttavia le sue riserve. “Io ho delle perplessità giuridiche – ha detto il commissario nel corso di un incontro con i giornalisti italiani – che riguardano il fatto di porre l’onere del rimborso a carico di soggetti che non si sono arricchiti”.

Secondo il commissario responsabile della Giustizia, sicurezza e libertà, la decisione di domani “porrà un problema piuttosto complicato e in effetti lascerà aperte tutte le possibilità”.

Frattini riterrebbe più giusto “chiedere il rimborso ai distributori che hanno tratto da questi aiuti un vantaggio economico. C’e’ inoltre un altro problema che riguarda la determinazione del quantum”. Già, il quantum. Politicamente dovrebbe pagarlo Berlusconi Silvio. Nei fatti Berlusconi Paolo, il fratello del grande fratello. Ma Frattini, che non vorrebbe che lo pagasse Mediaset e il suo digitale terrestre, vorrebbe accollare la spesa ai distributori.

E bravo Frattini, amico dei due fratellini. E a tutti quelli che hanno comprato il decoder, col contributo statale, anche se nella loro zona il segnale non è mai arrivato? E quelli a cui nelle Finanziarie del passato sono stati tolti soldi per finanziare i decoder, che oggi verranno dichiarati illegali, perché aiuti di stato, camuffati dalla legge Gasparri?

A proposito di Gasparri: hai visto che succede quando le leggi uno se la fa scrivere da quelli di Mediaset? Ecco a chi chiedere il quantum: proprio a Gasparri. Come dire, il Fini giustifica i mezzi. Beh, buona giornata.

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Siamo pacifisti o caporali?

Le baruffe chiggiotte all’interno della maggioranza di governo non servono. Quelle sui temi della pace ancora meno. Chi dice che il governo Prodi è un governo di guerra lo dice Not in My Name.

La vicenda di Vicenza è stata organizzata ad arte dal centro-destra. C’è cascata la sinistra, proprio a Vicenza.

La storia del rifinanziamente alla missione in Afghanistan è stata sollevata con un paio di mesi di anticipo sul dibattito parlamentare. A che gioco stiamo giocando?

Qui la pace sembra essere solo un pretesto delle componenti di minoranza del governo, alla ricerca di un inutile protagonismo in vista delle prossime amministrative. Chi vi ha chiesto di essere i paladini della battaglia pacifista?

Lo state facendo per conto vostro e a modo vostro. Mentre a Nairobi, al World Social Forum giungevano più di cinquecento italiani per discutere in Africa di un altro mondo possibile, unica condizione politica perché si realizzi la pace, a Roma meno di cento persone hanno manifestato contro Prodi e D’Alema, giusto per far scendere dal Palazzo una dozzina di parlamentari “della sinistra radicale” a criticare la politica estera del Governo.

C’è una sproporzione gigantesca: a Nairobi il movimento no global, anima e motore del pacifismo mondiale, a Roma i “caporali”, quelli che della bandiera arcobaleno fanno solo un pretesto di scontro all’interno della compagine governativa.

E’ il momento di rimettere le cose a posto.

Il governo italiano, eletto dagli elettori del centro-sinistra sta facendo quello che un governo di centro sinistra deve fare: agire in ambito europeo per battere l’unilateralismo made in Usa. Senza se e senza ma. Questi sono i modi e i tempi della politica internazionale e della diplomazia europea. Sulla sponda istituzionale questa azione di governo non ha bisogno di essere appoggiata, perché è nella coscienza collettiva, oltre che nel programma dell’Unione. Ma proprio per questo, a nulla giova venga contrastata.

Chi vuole di più, e anche a me farebbe piacere di più, deve cercare un vero e proprio legame con la società civile, col movimento, con la creatività politica e sociale di cui è ricco il nostro Paese.

Che è cosa diversa, molto diversa che cercare di strumentalizzare la pace, ai fini del piccolo cabotaggio politico.

Così si è annichilito un forte movimento d’opinione, che si era fortemente schierato contro il governo Berlusconi, colpevole di aver trascinato l’Italia “che ripudia la guerra”, come recita la Costituzione, nelle avventure belliche in Afghanistan e in Iraq. Le sciocche chimiche di allora sono riuscite a far scolorire due milioni e mezzo di bandiere della pace, che sventolavano dai balconi di tutta Italia.

Ora ognuno deve fare la sua parte: Prodi non deve cadere, la pace deve vincere.

I terreni sono diversi: c’è una partita che si gioca sul tavolo istituzionale, ce n’è un’altra che si gioca sul terreno della politica del cambiamento, nell’universo pratico e ideale di “un altro mondo possibile”. Chi fa finta di non capirlo, ciurla nel manico della bandiera arcobaleno.

Stavolta sbagliare è diabolico, perseverare è umano. Beh, buona giornata.

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Il boomerang della Qantas.

A un passeggero australiano, la Qantas, compagnia aerea australiana ha vietato l’ingresso a bordo di un volo interno perché indossava un t-shirt sulla quale c’era un’immagine del presidente degli Usa George W. Bush con sotto la scritta: ‘Terrorista numero uno’.

Il passeggero australiano ha dichiarato che intende fare causa alla compagnia aerea. “A dire il vero- ha dichiarato l’uomo- la Qantas mi ha proposto di prendere un altro volo a patto che mi togliessi quella maglietta. Ma non ho voluto farlo”.

La compagnia si è giustificata dicendo che quella scritta offendeva i passeggeri. Siamo al parossismo delle misure antiterrorismo: non basta più dover mostrare i documenti al check in e poi anche prima dell’imbarco, dover passare sotto il metal-detector, essere perquisiti, doversi spogliare, togliere le scarpe, non basta neanche mostrare in un sacchetto trasparente il dentifricio, la crema e l’acqua di colonia.

Ora arriviamo a dover essere selezionati per le opinioni: se la pensi come la compagnia, sali, se no ciccia. L’opinione scritta sulla t-shirt è opinabile, come lo sono le opinioni. Chi decide che una opinione sia offensiva? La Qantas conosceva preventivamente le opinioni degli altri passeggeri?

In un paese libero e democratico, come abbiamo sempre reputato essere l’Australia, che sia un’azienda commerciale, cioè un vettore, a decidere quale opinioni siano lecite a un suo cliente, cioè un passeggero, appare surreale, riconducibile a un episodio degno di un libro di fantascienza, tipo 1984 di Orwell.

Per cui, uno fa una prenotazione per un volo e la signorina del call center chiede: a che ora? Paga con la carta? Finestrino o corridoio? Favorevole o contrario alla guerra in Iraq?

E’ proprio vero che la realtà supera la fantasia: la politica commerciale della Qantas sembrerebbe di gran lunga più demenziale del mitico “Aereo più pazzo del mondo”. Beh, buona giornata.

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Il Calone dello share.

“Nonostante la flessione registrata dagli ascolti, la puntata di venerdì sera di ‘Tutte donne tranne me’ è stata bella”, commenta Massimo Ranieri, dopo il flop.

Secondo di dati Auditel, infatti, la puntata non ha superato i 4 milioni 619 mila ascolti. Battuta da Dr Hause e da Scherzi a Parte. Ma che cosa è successo durante la puntata in questione? E’successo che Ranieri ha presentato al pubblico la sua figlia “segreta”, ignorata da anni e anni, secondo i ben informati dai rotocalchi. Una roba che ricorda altri programmi, “Carramba che sorpresa”, o “C’è posta per te”, programmi lacrimosi a comando, anzi a telecomando.

Ma, evidentemente, il pubblico non ha gradito questo outing, questo episodio di auto-violazione della privacy. E’ stata data in pasto all’Auditel la signora Cristiana Calone, figlia di Massimo Calone, in arte Ranieri. “Avevo 19 anni e ero un cantante famoso, non ho voluto sapere niente di Cristiana perché poteva essere un danno alla mia immagine. L’unico alibi che ho che ero giovanissimo e inesperto”, ha detto, con le lacrimucce di rito Ranieri alle telecamere.

Ma adesso che è un uomo navigato e consumato, eccolo utilizzare Cristiana per qualche centesimo di share in più. Che, a quanto pare, non è servito a fare alzare gli ascolti. E’ vero che si tratta di una storia tra adulti consenzienti, essendo la figliola più che maggiorenne. Ma il Calone delle share non ha premiato questo trucchetto da guitto. Che tocca fa’ pe’ campà, verrebbe da dire.

L’ostinazione all’ascolto più alto a tutti i costi, anche al costo di mettere al pubblico ludibrio vicende personali non è esattamente degna del servizio televisivo pubblico. “Sono contento – ha detto Ranieri, al quale è stata promessa una nuova puntata – perché faccio la tv che mi piace fare, uno spettacolo curato con lunghe prove, una tv elegante che richiama quella dei tempi di ‘Studio uno”. Ma per favore.

Questa è la sindrome di Tafazzi, quel personaggio che si dava felici bottigliate su i propri ammennicoli. Che non sentissimo il bisogno di scene melense e ipocritelle lo dimostrano proprio i dati di ascolto, che come la legge del Contrappasso hanno punito il programma e il suo conduttore-protagonista. Ranieri è stato un grande cantante e un famoso attore di cinema e teatro.
A volte la tv scema non fa male solo a quelli che la vedono, ma anche a chi la fa. Beh, buona giornata.

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Il partito dei furbi e quello dei polli.

Tra reminiscenze missine, prosopopea da ex governanti, in via della Scrofa, a Roma, sede dei più furbi del bigonzo, cioè quelli di An, ex movimento sociale, al secolo Il Secolo, si fanno le strategie dell’opposizione: quelle che poi Fini va raccontando a Berlusconi, per fare bella figura e candidarsi alla guida della Cdl del dopo-Berlusconi.

Robe del tipo guidiamo la protesta dei tassisti, facciamo una bella marcia su Roma contro la Finanziaria, mandiamo i nostri ragazzetti a fare il saluto romano a Romano, alla Cattolica di Milano.

In realtà, Fini, memore degli insegnamenti di Almirante, produce solo piccole tattiche: fare incazzare la sinistra radicale contro il governo Prodi. Magari il governo casca. E la “sinistra radicale”, neologismo giornalistico, che pare non dispiaccia affatto ai nostri, ci casca ben volentieri.

L’ultima trovata è stata la vicenda della base Usa di Vicenza. Dai, diciamo che il governo Prodi è antiamericano, diciamolo un paio di giorni prima che la notizia venga fuori. Dai, Berlusconi, fidati, dillo pure tu, così ci cascano tutti. E infatti è successo. Tomo tomo, cacchio cacchio, come diceva un illustre comico napoletano, D’Alema va a Ballarò e dice: non c’è nessun pezzo di carta scritto che dica che l’Italia avesse preso un impegno per ampliare la base Usa vicino a Vicenza. Però, dice sornione D’Alema il consiglio comunale di Vicenza ha votato a maggioranza. Il governo attuale, dice ancora D’Alema aveva anche proposto un altro sito, ma quelli di Vicenza vogliono la base nel loro comune. Il governo, dice ancora D’Alema non può mica imporre un referendum d’autorità ai cittadini di Vicenza, quello semmai spetta al Comune: il problema è locale, solo locale, tutto locale.

Prodi dirà nelle stesse ore che il problema è semplicemente di autorizzazioni edilizie, non è un problema politico. Per la cronaca il comune di Vicenza è retto dal centro-destra.

Però, tutta la sinistra insorge, non contro l’ex governo Berlusconi, che ha fatto accordi sottobanco con gli Usa, prova ne è l’aver riesumato in video l’ex ministro della Difesa, Martino, che conferma, tardivamente, l’impegno preso dal governo Berlusconi. Neanche contro l’amministrazione comunale di Vicenza, che spera di prosperare nei lavori edilizi di ampliamento, che spera di ricevere benefici economici, diventando il fornitore ufficiale di beni e servizi degli americani, in puro stampo di vassallaggio medievale, nei confronti del castello del Signore.

Pecoraro Scanio, Diliberto, Giordano e lo stesso Bertinotti dicono che così non va, che l’Italia si deve smarcare dalla guerra voluta dagli Usa in Afghanistan e in Iraq. Ullalà. E si incazzano, proprio come si voleva dimostrare. Risultato: i furbetti di via della Scrofa avevano calcolato le giuste dosi della polpetta avvelenata. Avevano preso un appuntamento nell’agenda politica italiana, che i nostri eroi hanno puntualmente onorato.

Per tutta la sua durata, il governo Berlusconi ha iscritto l’opposizione nella sua agenda. Ora dall’opposizione, la Cdl, Fini “in prima persona” continua a fare lo stesso. Siamo nel 2007, ma l’agenda è quella del 2006, ferma alla data delle scorse elezioni politiche.

Nella vicenda di Vicenza la politica estera del governo Prodi c’entra come un fico secco. Sono le scorie del vecchio governo che continuano a essere radioattive, come uranio arricchito dalla esigua differenza di voti tra le due coalizioni, come uranio impoverito dalla scarsa rappresentatività al Senato, combinato disposto del trucco di aver cambiate le regole delle elezioni, che come una forma di leucemia, si è inoculata nel corpo della nostra democrazia.

Possibile che temi seri e importanti come il ruolo politico e diplomatico dell’Italia, nell’ambito della politica estera Europea, che è il perimetro della differenza con le scelte della Casa Bianca, proprio non si riesce a metterli in agenda?

Possibile che Fini riesca ad agire sul “senso di colpa”della sinistra, per aver mandato al governo uomini che in realtà non riescono a fare quello che avevano promesso agli elettori, molto semplicemente perché sono l’espressione di oligarchie d’apparato?

Questo è il trucchetto. Fino a quando durerà? Perlomeno fin quando si andrà a cianciare di politica nei talk show, come fanno i nostri eroi della “sinistra radicale”, invece di dedicarsi seriamente al governo delle cose: quelle giuste che ancora bisogna fare, quelle sbagliate che ancora non sono state rimesse a posto. La storia di Vicenza rappresenta tutte e due gli aspetti della questione.

Con rara lucidità politica, il ministro Ferrero, in un convegno sindacale a Roma domenica scorsa ha detto che il governo Prodi non è “amico” dei lavoratori, dei giovani, della pace.

Il governo Prodi è un “terreno” di scontro politico tra esigenze sociali diverse e a volte contrapposte. Ma il governo Prodi, ha detto Ferrero, è “permeabile” alle tensioni sociali.

Prendiamone atto una buona volta: cerchiamo di essere “permeabili” ai problemi sociali e politici, e “impermeabili” all’agenda politica della destra, sconfitta alle elezioni, ma soprattutto sconfitta nel ruolo che ha assunto nella vicenda politica italiana ed europea.

Forse dovremmo concentrarci molto di più su questo secondo aspetto, invece che subire la loro vecchia agenda. Beh, buona giornata.

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Benzina sul fuoco.

I benzinai hanno proclamato uno sciopero di 48 ore annunciando che il calendario della serrata sarà deciso lunedì prossimo. Perché? Perché i gestori delle pompe di benzina si oppongono alla liberalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti in Italia.

Infatti, l’Antitrust ha segnalato a Parlamento, governo e regioni la necessità di “rimuovere tutti i vincoli che bloccano l’evoluzione del mercato della distribuzione dei carburanti per aumentare la competitività del settore e ridurre il prezzo industriale, in Italia costantemente più elevato della media di 15 paesi UE”. L’ipotesi è che i supermercati e gli ipermercati e i grandi centri commerciali possano vendere benzina.

Secondo Carlo Rienzi del Codacons, l’associazione dei consumatori, questo semplice fatto farebbe calare subito il costo al litro di 7 centesimi.

Dopo i tassisti, i commercialisti, i panettieri e gli avvocati e i farmacisti adesso anche i benzinai si mettono contro la libera concorrenza, magari con la scusa che non erano stati avvertiti prima. O magari con l’ausilio di qualche parlamentare di destra: ‘sti ragazzi perdono il pelo ma non il vizio, quando gli pare sono liberisti, ma le tentazioni corporative riemergono, nostalgicamente.

Ma stavolta c’è poco da buttare benzina sul fuoco: i prezzi al litro di benzina sono sotto gli occhi di tutti, basta guardarli attentamente sulle colonnine dei 25 mila distributori in Italia. La stessa pubblicità fatica a fare campagne convincenti, per creare fedeltà alle marche di benzina: ai voglia a fare promozioni, raccolta punti e promettere premi.

Siccome quando uno va a fare benzina è come se gli facessero una trasfusione, sarebbe come preferire di farsi succhiare da Dracula o da Nosferatu. Beh, buona giornata.

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I feroci guerrieri della seconda serata.

Dalle tracce di sangue sul pigiamino del piccolo di Cogne, alle tracce di saliva sull’intimo di Simonetta Cesaroni: ogni sera va in onda un incubo targato Auditel.

Enrico Mentana e altri suoi collaboratori sono stati iscritti nel registro degli indagati della procura di Roma nell’ambito dell’inchiesta sulla fuga di notizie diffuse nel corso della puntata di “Matrix” del 10 gennaio scorso, sull’omicidio di Simonetta Cesaroni.

I reati presi in considerazione sono quelli di rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio (articolo 326 del codice penale) e pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento (684 cp). Dopo le prodezze di Vespa che del delitto di Cogne ha fatto il suo cavallo di battaglia per due anni, ecco che anche Matrix si dedica con dovizia di particolari alla necrofilia da Auditel.

Nel caso di Cogne abbiamo saputo fin nei minimi particolari di schizzi di cervello e macchie di sangue su pantofole e pigiami. Nel caso di Simonetta Cesaroni non bastarono le chiose attorno alle tracce ematiche sugli indumenti intimi del portiere di allora. Siamo arrivati alla presenza della saliva di un ex fidanzato, da cui presunte tracce di Dna trovate, pare, sul reggiseno della povera Cesaroni, reperto custodito negli archivi della procura di Roma.

Questo horror da tinello, questi thriller da seconda serata sono disgustosi. Svelare i particolari intimi, le ipotesi probatorie fai-da-te, giusto per far fibrillare il telecomando è semplicemente rivoltante.

Non solo perché è cosa diversa dalla ricerca della verità, che spetta ai magistrati e ai poliziotti, compresi quelli della scientifica. Non solo perché non è un buon servizio al giornalismo: giocare a fare inchieste e investigazioni tra un spot pubblicitario e l’altro è quanto di più lontano sia possibile dalla verità, dall’informazione. Neanche per la sistematica violazione di quel minimo di rispetto che si dovrebbe alle vittime e ai loro parenti.

Ma perché, anche solo dal punto di vista dello spettacolo, dell’intrattenimento sono la brutta, volgarina, e perniciosa copia dei telefilm dedicati alle investigazioni sui reati sessuali. Alla fine di ogni puntata di Law&Order, Unità Speciale o di CSIA, tanto per fare un paio si esempi,c’è sempre scritto che è tutto finto.

Per Porta a Porta o per Matrix invece dovrebbe essere scritto all’inizio delle puntate che è tutto finto, taroccato, noioso e anche un bel po’ cinico e ipocrita, serve solo a far salire la curva dell’Auditel. Perché trattare così i delitti è il vero delitto. Beh, buona giornata.

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La famiglia italiana è un romanzo criminale?

Secondo Eurer-Ansa, il 91,6 per cento degli omicidi avviene in famiglia. Napoli è la capitale del caro-ammazzato, a Milano si uccide come a Caserta. Le donne sono le vittime designate.

C’è qualcosa di macabro e di diabolicamente bizzarro nell’ossessione tutta mediatica del fare sondaggi su tutto, su tutti, sempre, che siano vivi o che siano morti. Ma il colmo del sondaggio-shock si è raggiunto con la pubblicazione de “L’omicidio volontario in Italia, a cura dei Eures-Ansa.

Il morto ammazzato fa cassetta al cinema, audience in tv, vende giornali e libri. Cosa dice la ricerca sul “vammoriammazzato” in Italia? Un morto ogni due giorni, 1.200 vittime in cinque anni: la famiglia italiana uccide più della mafia, della criminalità organizzata straniera e di quella comune.

E quello che dovrebbe essere il luogo più sicuro, la casa, si trasforma invece nel posto a più elevato rischio: su dieci omicidi avvenuti nel 2005 nella sfera familiare, sei sono stati commessi tra le mura domestiche. E’ quanto emerge dal rapporto Eures-Ansa 2006 ”L’omicidio volontario in Italia”.

Come per ogni sondaggio che si rispetti, ci sono anche i dati positivi, cioè “la morte sua” di ogni rilevazione statistica: nel nostro Paese il numero di omicidi volontari è calato del 65% negli ultimi 15 anni passando dai 1.695 del 1990 ai 601 del 2005.

E se Napoli resta la capitale dei delitti, nel nord Europa e negli Stati Uniti si uccide molto più che nel nostro Paese. E noi che morivamo di paura. Meno male. Però c’è un però inquietante, soprattutto per la nostra cultura, che crede nella famiglia come istituzione fondante.

Infatti, scopriamo che è proprio la famiglia il luogo, fisico e ideologico nel quale l’omicidio si muove con più confidenza: è nella famiglia che avviene il 91,6%. La maggior parte degli omicidi in famiglia avviene al Nord Italia. Ad armare la mano degli assassini è una volta su quattro il movente passionale e se su dieci donne uccise in Italia ben sette sono state ammazzate dal partner o da un familiare, cresce anche il numero di uomini vittime della famiglia: nel 2005 l’incremento è stato del 28,8%.

La morte violenta in famiglia ha i suoi capisaldi: il record di omicidi in Campania, con 128 vittime. Una regione che da 10 anni conserva il primato negativo. Seguono Sicilia (70 vittime), Calabria (69), Lombardia (65) e Lazio (46). L’indice di rischio più elevato si registra invece in Calabria (3,4 omicidi), seguita da Campania (2,2), Sardegna (1,5) e Sicilia (1,4).

A Caserta si ammazza come a Milano: 28 omicidi. Napoli è la capitale degli omicidi con 88 vittime, seguita da Reggio Calabria con 39, Roma con 36 morti ammazzati. Dice, la città è violenta? No. Infatti, i dati ci dicono che più della metà degli omicidi, vale a dire il 58% avviene nei piccoli e medi comuni italiani. Tanto per non fare torto a nessuno.

E siccome stiamo per diventare una società multi-etnica, anche il morto ammazzato è multi etnico: su 601 persone uccise nel 2005, 111 erano stranieri, il 18,6% del totale. La Romania è il paese straniero con il più alto numero di vittime in Italia (19), seguita da Marocco (11), Albania (10) e Polonia (9). Il dato macroscopico è che la famiglia produce il 91,6% dei morti ammazzati.

Se la famiglia italiana sembra essere diventata un romanzo criminale, ne sono vittime i più deboli componenti i del nucleo famigliare, donne soprattutto. Sono cifre da guerra civile, dovrebbero provocare allarme sociale.

Ma c’è da scommettere daranno il pretesto per qualche talk-show in più, un qualche fiumiciattolo di parole, tra un break-pubblicitario e un tele-promozione. Il crimine segna il passo dello sviluppo della società, ecco perché l’omicidio genera sempre grande fascinazione, stimola la finzione, la letteratura, il cinema, il folleton, il vojerismo, alimenta la cronaca nera.

E’ un modo per prenderne le distanza, senza rinunciare a prendere parte allo spettacolo. Come quando guardiamo l’incidente stradale sull’altra carreggiata. E poi, riprendiamo il nostro viaggio, dimenticandoci molto presto quello di cui siamo stati partecipi. Non vedendo l’ora di tornare in famiglia. Beh, buona giornata.

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Avanti, o popolo rock.

Torna la chitarra. Lo strumento musicale che ha liberato le menti di milioni di giovani in tutto il mondo. Uno strumento di vita e di creatività., strumento di pace e di fratellanza, da sempre contrapposto a chi vorrebbe che i giovani imbracciassero il fucile, come ai tempi di “C’era un ragazzo che come me”. Torna la chitarra, torna il rock.

Torna la chitarra, vaccino contro la musica in scatola, tipo iPod. Contro la musica come intrattenimento fesso e fracassone, tipo discoteca. E’ boom per la vendita di chitarre nel Regno Unito, un segnale che per il Times potrebbe indicare che la cultura del rap e dell’hip hop, con i dj che hanno sostituito i musicisti, sta forse tramontando.

Un milione di chitarre sono state vendute nel 2006 in Gran Bretagna – 470.000 chitarre e bassi elettrici e 520.000 acustiche – secondo la Music Industry Association.

Si tratta di un numero doppio rispetto al 1999, e oggi il valore del mercato delle chitarre viene stimato a 110 milione di sterline, 165 milioni di euro, all’anno. Un boom che è stato aiutato anche dal calo dei prezzi degli strumenti, -25% negli ultimi due anni: oggi una chitarra ha un costo medio di 150 sterline, circa 225 euro.

La corsa alla sei corde è guidata dagli adolescenti, indicano le statistiche, un segmento della popolazione dove suonare il rock è tornato di moda grazie alla popolarità di gruppi come The Kooks o Artic Monkeys.

Ma, dato interessante, ai molti teenager si affiancano numerosi anche quarantenni e cinquantenni, tra i quali sembra forte il desiderio di rinverdire l’amore per la chitarra, abbandonato – ma mai dimenticato – qualche decennio fa. Torna la chitarra. E non importa se questa notizia sia piccola o grande. Importa che è un bella notizia. Torna il rock. Suona bene, no? Beh, buona giornata.

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Quando guardiamo il presente siamo ciechi, quando guardiamo al futuro siamo strabici.

L’Europa occidentale è la regione più pessimista del pianeta. Lo rivela un sondaggio del World economic forum (Wef) di Davos.

I risultati “mostrano una crescente mancanza di fiducia nei leader per migliorare le nostre vite”, sottolinea il Wef. Per quanto riguarda la prosperità economica invece, il 40% delle persone intervistate pensa che la generazione futura vivrà in un mondo molto o un po’ più prospero.

Complessivamente, secondo il Wef, il 48% della popolazione mondiale prevede un mondo meno sicuro in futuro: ecco il frutto un poco amaro della globalizzazione economica.

Infatti, abituati come siamo stati ad aderire all’idea della libera circolazione delle merci, temiamo fortemente la libera circolazione delle persone. Va bene consumare prodotti fabbricati in paesi lontani, perché arrivano nei nostri mercati a prezzi più bassi. Ma non abbiamo nessuna voglia di vedere le facce di quelli che quei prodotti fanno per essere venduti a noi.

E allora la loro presenza nelle nostre città, conseguenza delle emigrazioni nei nostri mercati del lavoro, ci infastidisce, ci crea allarme, dà la stura ad atteggiamenti di repulsa.

Gli xenofobi sono pochi, ma la maggioranza tollera le loro gesta, spesso infami, perché ci siamo fatti l’idea che siano un pericolo per la nostra sicurezza. Ed ecco come è possibile mettere insieme due sentimenti contradditori, cos’ come li ha appunto fotografati il Wef: pessimismo per la sicurezza e ottimismo per la prosperità. Quando guardiamo il presente siamo ciechi, quando guardiamo al futuro siamo strabici. Beh, buona giornata.

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Erba cattiva.

Non era “Porta a Porta”, in cui Vespa per aumentare l’audience parla volentieri di delitti, dopo aver sperimentato con successo, timbrato Auditel, le tante puntate dedicate al delitto di Cogne.

“Scusaci Azouz – ha detto una signora bionda con le lacrime agli occhi, al termine dei funerali a Erba – scusaci per tutto quello che abbiamo pensato di te”.

Monsignor Molinari, nell’omelia funebre di Erba ha evocato lo spettro di Caino. Non so. Ad Abu Ghraib il comandante della prigione era una donna, la generale Karpinsky. Tra i torturatori c’era una donna, caporale dell’Us Army. Si faceva fotografare in pose sconce, sui corpi nudi e umiliati, sorridendo alla macchina fotografica.

C’è stata una donna a Erba che ha sgozzato un bambino. Il professor Andreoli, con la voce rotta dallo sgomento, ha detto: pensavamo che i maschi potessero essere ignari della procreazione, nella loro ferocia assassina, e scopriamo che invece, proprio una donna sgozza per odio il bambino di una vicina di casa.

I coniugi assassini pensavano che Azouz fosse nient’altro che un arabo spacciatore e pregiudicato, venuto a rubare il lavoro e la tranquillità, a mettere in discussione la loro sicurezza sociale. Che sua moglie fosse una poco di buono, che si era data, senza ritegno, alle brame di un musulmano, diventando lei stessa una non cristiana, una senza di timore di Dio. E il piccolo Youssuf? Il figlio bastardo di una coppia meticcia. Il meticciato, minaccia epocale evocata dalla prosopopea di un filosofo di nome Marcello Pera, ai tempi terza carica dello Stato.

Bisogna accettare l’orribile verità del nostro interiore razzismo, la convivenza con la paura della diversità, con la pulsione omicida contro i fastidi che ci recano la presenza, i suoni e i rumori di quelli che non consideriamo altri da noi, ma sottospecie, inferiori, la cui vita non ha alcuna importanza etica, religiosa, sociale, umana?

Il fatto è che abbiamo tollerato l’intolleranza. La domanda è: chi ha soffiato sul fuoco in tutti questi anni? Gli assassini di Erba hanno risolto una volta per tutte la loro superiorità: schiacciando nel sangue l’inferiorità molesta di quella famiglia, che a loro modo di vedere era indecente. Si erano pure permessi di rivolgersi a un Giudice di pace, quelli, per denunciare le molestie ricevute. E allora, semplicemente, essi si sono fatti da loro giustizia di uno scontro di civiltà, abitudini sociali, costumi culturali. Erano esseri insignificanti, potevano essere eliminati senza troppi scrupoli.

Per quanto non esistono prove provate del meccanismo di causa effetto tra la propaganda anti-islamica in atto nel centri urbani del Nord Italia, che qualcuno ha proditoriamente ribattezzato Padania, e la strage degli innocenti consumatasi a Erba, archiviarlo come un semplice tragico episodio di cronaca nera è facile, frettoloso. Consolatorio è parlare di un Caino che alberga tra noi, con rispetto parlando di Monsignor Molinari, parroco di Erba.

Ci sono precise responsabilità culturali e politiche nell’aver avvelenato sistematicamente il clima sociale, i rapporti umani, nell’aver osteggiato il rispetto della religione altrui, negandogli fin anche un luogo di preghiera, come spesso succede in quelle cittadine, o ostacolando l’apertura di una scuola, come è successo nella civilissima città di Milano?

Ci sono precise responsabilità nell’aver sostenuto, magari solo per vile compiacenza allo stomaco di certo elettorato, la supremazia della razza, del reddito, dello stile vita, della civiltà e della religione. Ci sono state parole in questi anni che hanno fatto venire i brividi: italianità, radici e valori italici.

Ci sono meccanismi che quando si mettono in moto non si controllano, sfuggono di mano anche a chi, credendosi politicamente furbo, fa cose e dice parole che servono alla convenienza politica, per qualche voto in più, per qualche eletto in più, infischiandosene delle conseguenze sociali, che derivano dai loro comportamenti.

Ci pensino bene, d’ora in poi, quelli che vanno in tv a mostrare magliette della salute con le vignette contro Maometto. Ma anche quelli che si presentano davanti alle telecamere col maglione con su scritto Lombardia.

Riflettano quelli che apostrofano gli immigrati con l’epiteto “bongo-bongo”. E smettiamola noi tutti di essere ingenui con quegli episodi, amplificati dai media, che a torto consideriamo mattane goliardiche.

E smettiamola una buona volta di far finta di non vedere bandiere nere, teste rasate e saluti al Duce e inni alla pulizia della razza ai comizi di Berlusconi, in diretta tv.

Ormai non saremo più in tempo per ridare la vita a chi l’ha persa come in un pogrom fai-da-te .

Ma tutti coloro che hanno a cuore la democrazia, la giustizia sociale, la tolleranza religiosa, la convivenza civile, o più semplicemente il buonsenso non possono più far finta di niente.

Non è vero che l’erba cattiva non muore mai.

Erba ci ha chiamato alle nostre responsabilità di cittadini di un Paese civile, in una Europa culla della civiltà. Tutto dipende da noi.

Volenti o nolenti, quei morti ci riguardano. Ma ci riguardano anche gli esecutori materiali della strage. Non si può più girare la testa da un’altra parte.

Quello che è successo è successo davvero, maledizione, non è stato un reality, non era una fiction. dopo non mandano qualche minuto di pubblicità.

La realtà è questa, non si può cambiarla a nostro piacimento, come si cambierebbe canale, pigiando un tasto del telecomando della tv. Beh, buona giornata.

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Veltroni, sindaco tour operetor.

A Roma nel 2006 si è registrato un boom per il turismo con 23.620.813 presenze: ad annunciarlo e’ stato il sindaco Walter Veltroni. Sono 18.262.339 i visitatori che hanno alloggiato negli alberghi e 5.358.474 quelli che si sono fermati nelle strutture extra-alberghiere come bed and breakfast o ostelli. Veltroni ha sottolineato che si e’ passati dai 13.476.205 di presenze negli alberghi del ’97 ai 18.262.339 del 2006 e l’obiettivo e’ “arrivare entro la fine del mandato a 20 mln”.

Il numero dei visitatori di una città è il termometro della sua vitalità. L’aumento della capacità di accoglienza è stata una delle felici intuizioni del Campidoglio.

L’ offerta di cultura e di intrattenimento è uno degli obiettivi strategici che il Comune di Roma ha saputo cogliere. E’ stata una politica che ha saputo offrire ospitalità turistica modulandola in diverse fasce di prezzo, dunque di età.

Lo slogan di una città della cultura e dell’accoglienze ha avuto la sua realizzazione. Con il vantaggio di aver spostato l’attenzione dei cittadini, e dunque degli elettori, al netto degli schieramenti partitici, dai mali cronici della città, verso un crescente orgoglio di appartenenza alla Capitale, capace di essere attrattiva di nuove energie. Non è stata solo un’operazione di facciata, le cifre parlano chiaro. Di questa politica ne ha beneficiato anche la qualità della vita dei romani.

C’è da augurarsi che questo circuito virtuoso contagi anche il modo di produrre e lavorare negli altri settori economici della Capitale. E che Roma, oltre che di turismo, possa presto essere meta preferita di capitali, di persone, di idee e di creatività, nell’impresa ma anche nelle idee.

Le nostre città devono, e certamente possono diventare luoghi effervescenti di cultura, di stimoli, di voglia di fare e di pensare. I dati resi noti dal Sindaco di Roma sono una importante buona notizia, dicono che il declino del Paese può essere arrestato e può svilupparsi l’idea stessa di una vigorosa controtendenza.

E’ un vantaggio competitivo che altri non hanno, neppure in Europa. Non sarebbe male imitare la Capitale, da parte delle altre città italiane, prima che lo facciano le altre città europee. Beh, buona giornata.

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Non tornare a casa, Lassie.

Secondo una inchiesta svolta negli Usa, sembrerebbe che la maggior parte dei possessori di animali domestici diano abitualmente il Prozac ai loro beniamini.

Costretti a una vita stressata nelle grandi città, pare che cani e gatti assumano gli atteggiamenti tipici degli esseri umani: stress, aggressività, inappetenza, svogliatezza sessuale, apatia. Insomma, uno si piglia un cane per non vivere solo come un cane e lo droga perché gli rompe le palle. Un’idea bestiale. Che è, in entrambi i casi un atteggiamento psicotico.

D’altronde, se nel mondo 121 milioni di persone, secondo i dati diffusi dall’ Organizzazione mondiale della sanità nel 2006, sono affette dal male oscuro, la depressione, perché dovrebbero esserne immuni quegli esseri che a tutti i costi cerchiamo di plasmare a nostra immagine e somiglianza? Che poi è, a ben vedere, l’immagine peggiore che possiamo dare di noi esseri umani.

Gli americani la chiamano la “New Prozac Nation”, un piccolo esercito silenzioso di bestiole sconquassate che a un certo punto mostrano, a modo loro, di aver bisogno d’aiuto. In questi casi, la nuova frontiera della veterinaria si chiama Prozac, Buspar, amitriptilina, clomipramina.

L’ossessione umano-centrica che dimostriamo ogni giorni nel nostro agire nel pianeta, con le gravi e forse irreparabili conseguenze per la vita stessa del pianeta, si scatena nei confronti degli animali domestici, tingendo di grottesco il dramma di vite in balia dell’andamento del mercato, dell’accumulazione di reddito, della schiavitù dei consumi.

Con l’aggravante che i tranquillanti sono costosi, spesso richiedono la ricetta medica, e quindi ci danno l’idea di essere molto premurosi nei confronti degli animali. Tipico dei picchiatelli, che credono che quelli strani sono sempre gli altri. E si danno un gran da fare per peggiorare le cose.

Se il cane è il migliore amico dell’uomo, l’uomo è diventato il peggiore nemico del cane, del gatto, del cavallo, e anche del canarino. Col cavolo che i piccoli della carica dei 101 tornerebbero a casa, se sapessero che gli aspetta.

Quanto a Lassie, per favore, non tornare a casa, che quelli ti drogano. Beh, buona giornata.

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Gli indesiderabili.

Margherita Hack, astrofisica, Edoardo Sanguineti, scrittore e poeta, Alda Merini, poetessa e il premio Nobel Rita Levi Montalcini, sono stati esclusi dal Festival di Sanremo.

Dj Francesco, il figlio di uno dei Pooh è stato ammesso col padre Roby. Il figlio di Al Bano è stato ammesso, insieme a papà. Forse perché si chiama Yari, come un famoso modello di automobile giapponese.

Insomma, la fotografia del Festival è identica a un certo modello di Paese: i figli di papà fanno carriera, gli altri se la devono sudare. Certo lascia perplessi che quattro famose personalità della scienza e della cultura si siano dedicate, sia pur per l’occasione, alle canzonette. Ma se è vero, come sostiene Baudo, che il Festival è un episodio della cultura popolare italiana, non si capisce perché non sia lecito cimentarsi con le note.

Ma è veramente strano e singolare che due scienziati e due poeti non siano all’altezza della tv nazional popolare. La qual cosa è ancora più strana, se si pensa che si tratta di una manifestazione canora, allestita da Rai Uno, l’ammiraglia della tv pubblica. Sbattere la porta in faccia a uomini e donne di scienza e di cultura è un pessimo segnale. Si parla tanto di come dovrebbe essere la tv pubblica prossima ventura e nel frattempo la si ricaccia nel passato.

E’ come quelle decalcomanie che si mettono nelle vetrine, in cui c’è scritto “io non posso entrare”. Anche, se sembrerebbe essere tutto il contrario: qualche cane è pur stato ammesso.

Il giudizio della commissione è inappellabile, anche perché non ci è dato di sapere, o meglio di sentire, le canzoni escluse. Non ci rimane che prendere atto che la cultura e gli uomini di cultura è meglio stiano alla larga dalla tv.

A meno che non vengano invitati a “Sottovoce” o, meglio a “Cinematografo”, i programmi televisivi condotti dal capo della cultura della Rai, il signor Gigi Marzullo. Beh, buona giornata.

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