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Attualità

Roma città più sicura, secondo la ricetta Alemanno.

da il messaggero.it

ROMA (26 marzo) – «Siamo nazional socialisti», «Siamo noi la razza ariana» e giù botte contro un francese di 45 anni ricoverato al Gemelli e giudicato guaribile in 40 giorni (tibia e perone fratturati). In manette sono finiti due italiani di 25 e 27 anni con l’accusa di lesioni gravi. La rissa è scoppiata la notte scorsa davanti a un pub di Ponte Milvio tra due gruppi di tre ragazzi. A riferire le frasi razziste alcuni testimoni.(Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia

La Cina è vicina (alla ripresa economica)?

Pechino, segnali di ripresa
e riparte l’export dei vicini

di Federico Rampini da repubblica.it

A Pechino già si intravvede la luce in fondo al tunnel della crisi. Questo almeno è il messaggio reiterato in questi giorni dai più importanti esponenti della Repubblica Popolare. Il governatore della banca centrale Zhou Xiaochuan (lo stesso che ha fatto notizia all’inizio della settimana con la proposta di una “valuta globale” per sostituire il dollaro) annuncia che vi sono già chiari segnali di una ripresa economica. “Gli indicatori più importanti – sostiene Zhou in un articolo pubblicato oggi sul sito online della banca centrale – concordano nell’annunciare una ripresa della crescita”.

Per la prima volta in modo così diretto, la tenuta dell’economia cinese viene usata per dimostrare la superiorità del sistema politico autoritario e dirigista. Il banchiere centrale infatti attribuisce esplicitamente la ripresa economica alla “azione decisiva del governo”, che mette in contrasto con i ritardi di altre nazioni. “Il nostro governo – scrive Zhou – ha varato misure di politica economica tempestive, energiche ed efficaci, dimostrando così la superiorità di questo sistema quando si tratta di prendre deicisioni politiche di vitale importanza”.

Qualche elemento di conferma sulla tenuta dell’economia cinese sembra venire anche da un paese vicino: la Corea del Sud ha visto rallentare il tracollo delle sue esportazioni. Dopo la pesantissima caduta del 34% a gennaio, a febbraio la discesa è stata del 18% e a marzo del 13%. Non sono certo cifre positive ma sembrano indicare che il crollo delle esportazioni incontra un “pavimento”. Molti esperti individuano questo pavimento nella domanda cinese. Dopo un ultimo trimestre 2008 in cui le imprese cinesi spaventate dalla crisi mondiale hanno drasticamente ridotto i loro acquisti, la necessità di ricostituire le loro scorte di magazzino ora sta rianimando gli investimenti. E i paesi vicini, molto dipendenti dal traino cinese, cominciano a risentirne qualche beneficio.

A Pechino intanto si conferma l’anomalia di un sistema bancario che gode di una salute eccezionale, se paragonata al resto del mondo. La Industrial & Commercial Bank of China Ltd., la più grande azienda di credito del paese, ha annunciato che i suoi profitti nel 2008 sono cresciuti del 35,2%. Unico segno della crisi è il rallentamento del tasso di crescita, visto che gli utili dell’istituto nel 2007 erano cresciuti del 65%. ICBC ha anche raggiunto un accordo con la Goldman Sachs per rinviare la cessione della partecipazione detenuta dal gruppo bancario americano nel suo capitale.

L’inflazione indiana rallenta allo 0,27%, un dato che offre alla banca centrale di New Delhi la possibilità di ulteriori riduzioni nei tassi d’interesse. Il rallentamento dell’indice dei prezzi è spettacolare, tenuto conto che un anno fa l’India era minacciata da una iperinflazione, e ancora a gennaio il carovita per i consumatori aveva segnato un rialzo del 10%. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Che cosa è e cosa non è la “quarta crisi”.

Le tesi di Beppe Grillo sulla crisi della carta stampata hanno provocato un dibattito tra i lettori di megachip.info, dibattito al quale ho partecipato. Quello che segue è in parte quello che ho scritto per megachip.info, che qui ho poi meglio sviluppato nella seconda parte.

Prima parte.
«Il problema non è che i giornali non sono più attraenti per i loro lettori, è che non sono più capaci di trasformare quell’interesse in ricavi.» Lo ha detto James V. DeLong, vice presidente e analista senior del Convergence Law Institute, in un saggio pubblicato da American.com, versione on line del magazine American.

La qual cosa appare come una risposta ad alcune polemiche di scarso rilievo, come quella recentemente agitata da Beppe Grillo, circa la malattia terminale della carta stampata.
Malattia che permetterebbe l’acquisizione di una sovranità di internet, inteso come luogo ideale alla libertà di espressione. Il fatto è che questo dato non è dato.

Sarebbe come dire che l’invenzione della ruota abbia modificato lo stare in piedi e il camminare degli esseri umani. Balle. Il sonoro non ha fatto fuori il cinema. La tv non ha fatto fuori il cinema. Dunque, internet non farà fuori la carta stampata. Anzi, è proprio la carta stampata, per la sua innata capacità di fornire una lettura condivisa, una sintesi, una connessione ragionata della realtà che è riuscita a consacrare il primato di alcune esperienze di comunicazione, come per esempio il blog di Beppe Grillo.
Se non lo avesse detto il giornale, il fatto non ci sarebbe stato.

L’estremismo è la malattia infantile della comunicazione, tanto per parafrase uno che di rivoluzioni se ne intendeva. Allora, non c’è davvero bisogno di complicare una realtà che è semplice da capire.

Seconda parte.
La crisi dell’informazione ha connotati chiari: essi sono nel perimetro del rapporto tra le notizie e la pubblicità, nella relazione tra informazione e intrattenimento, tra la società dei consumi e il conusmo di informazioni. Questo perimetro contiene gli stessi elementi che ha internet. Solo che attualmente internet costa meno della stampa ma ricava meno dal punto di vista della raccolta pubblicitari. Quando gli editori italiani avranno risolto i problemi di diffusione e di raccolta pubblicitaria la stampa avrà una nuova vita. Molti giornalisti cambieranno mestiere, come hanno dovuto farlo molti operai metalmeccanici, di fronte alle ristrutturazioni del ciclo dell’auto, o gli stessi poligrafici con l’avvento dell’informatica

La quarta crisi, dunque non sta nella supremazia di un media (internet) a spese di un altro media (la stampa): sta nel rapporto tra l’industria dell’editoria e l’industria della pubblicità.

La battaglia democratica per una informazione pluralistica e una comunicazione commerciale compatibile si gioca su due schieramenti contrapposti: da una lato c’è chi vuole “catturare” l’attenzione del pubblico, dall’altro c’è chi vuole “liberare” l’attenzione dell’opinione pubblica. Il pubblico è consumatore, ha bisogno di intrattenimento. L’opinione pubblica è cittadinanza, ha diritto a saper che succede e cosa significa quello che succede. Perché la libertà dell’informazione è un bene comune. (Beh, buona giornata)

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Quello che pensa Beppe Grillo della “quarta crisi”.

Buone notizie dalla carta stampata. da Il Blog di Beppe Grillo.

La crisi è piena di buone notizie. Una tra le migliori è la fine dei giornali. Il 30/40% della pubblicità li ha abbandonati da inizio anno. I lettori sono sempre più rari. I dati ufficiosi stimano tra il 10 e il 20% in meno le copie vendute nell’ultimo anno per molte testate. Rimane la carità del Governo e molti editori sono con il cappello in mano nelle sale d’aspetto a Palazzo Chigi. Per vivere grazie alle nostre tasse.

La discesa dei titoli dei gruppi editoriali è da infarto per chi li possiede. Nei primi due mesi e mezzo del 2009 Rizzoli Corriere della Sera ha perso il 43%, Mondadori il 33% e il Gruppo L’Espresso il 42%. In soli due mesi e mezzo! Indovinate quanto possono perdere in 12 mesi. Se si confrontano i valori minimi e massimi delle azioni nel 2008/2009 si può arrivare a prefissi telefonici. Il valore del Gruppo L’Espresso è sceso da 3,026 euro a 0,599, quello di RCS da 2,980 a 0,499, Mondadori da 5,790 a 2,305.

Entro il 2009 molti giornali ci lasceranno per sempre. Il problema occupazionale esploderà per i professionisti della balla stampata. Battista, Mauro, Mieli, Giordano, Feltri, Belpietro, Romano, Scalfari, Merlo, Giannini. Cosa faranno? Che futuro li aspetta? Potrebbero verificare la loro popolarità con un blog. Tanti accessi, altrettanta pubblicità on line e soldi. Negli Stati Uniti con 100.000 accessi unici al mese puoi vivere. Rendono fino a 75.000 dollari all’anno. Metti la tua credibilità e competenza in Rete e chi ti paga, anche se indirettamente, è il lettore. Scalfari guadagnerebbe 10 dollari al mese e Giordano dovrebbe pagare lui.

I giornalisti attuali diventeranno dei disadattati. Un conto è raccontare balle dietro alla scrivania di un ufficio, altro è confrontarsi con la Rete. L’editore, l’impresario degli azionisti alla Tronchetti e alla Geronzi, diventerà una figura romantica. Di un’altra epoca. Negli Stati Uniti, che precedono spesso l’economia mondiale, la pubblicità sui giornali è in calo dal 2004, è una curva che precipita verso lo zero assoluto. Le copie in circolazione dei giornali sono diminuite dal 1990 in modo lineare. Il San Francisco Chronicle -40%, il Los Angeles Times -36.3%, il Whashington Post -22,3%, il Chicago Tribune -29,3%. il Boston Globe – 37,6%.
Uno degli obiettivi del V2 day era la fine dei finanziamenti ai giornali.Il referendum è stato respinto da Carnevale, ma finiranno prima i giornali dei finanziamenti. Non è un’eccellente notizia?
Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure. (Beh, buona giornata).

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Popoli e politiche

L’operazione Piombo Fuso e quelle maledette magliette.

Le magliette che mostrano la disposizione mentale che ha portato ai crimini di Guerra a Gaza – 24/03/09
di Adam Horowitz – da Mondoweiss (Fonte: megachip.info).

«Ha’aretz» prosegue con la pubblicazione delle testimonianze dei soldati impiegati a Gaza. L’articolo completo si trova qui. È interessante perché mostra senza riserve il fervore messianico che alimentava la politica di punizione collettiva perseguita dal governo israeliano durante l’Operazione Piombo Fuso. Non lo commenterò ulteriormente, andate a leggerlo.

Voglio parlare di un altro articolo, pubblicato proprio oggi da «Ha’aretz». Il pezzo è firmato da Uri Blau ed è intitolato “Se non lasciate vergini non ci saranno attentati”. Si incentra sull’abitudine dei soldati israeliani di farsi stampare maglie personalizzate che recano il logo della loro unità insieme a slogan di vario tipo. Di seguito, potete vedere qualche esempio di queste magliette e della grafica che le adorna. Queste immagini sono comparse solo sull’edizione in lingua ebraica del sito di «Ha’aretz»:

– Una T-shirt per cecchini di fanteria reca la frase “Meglio usare Durex” vicino al disegno di un bambino palestinese morto, con accanto sua madre in lacrime ed un orsacchiotto.
– Un’altra maglietta per cecchini della Brigata Givati mostra una donna palestinese incinta con un mirino stampato sul ventre e lo slogan, scritto in inglese, “1 proiettile, 2 morti.”
– Dopo l’Operazione Piombo Fuso, i soldati dello stesso battaglione hanno incominciato ad indossare una maglia che mostra il primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh, che viene penetrato per via anale da un avvoltoio.
– Una T-shirt dedicata ai soldati che hanno completato il corso di cecchino: si vede un bimbo palestinese che cresce fino a diventare un teenager aggressivo e poi un adulto armato. Lo slogan: “Non importa come comincia, noi lo concluderemo.”
– Ci sono anche magliette dal contenuto spodoratamente sessuale. Il battaglione Lavi, ad esempio, ha diffuso una T-shirt che mostra un soldato con accanto una ragazza contusa e la frase: “Scommetto che ti hanno stuprata!”
– Alcune delle immagini sottolineano azioni che l’esercito ha ufficialmente negato, come la pratica di “confermare i morti” (sparare in testa ai cadaveri, per assicurarsi della loro effettiva dipartita), o quella di danneggiare i luoghi di culto, o di uccidere donne e bambini.

La maglietta con lo slogan “Fai sì che ogni madre araba sappia che il futuro di suo figlio è nelle mie mani!” è stata recentemente bandita. Comunque, un soldato della Brigata Givati ha dichiarato che, negli ultimi mesi dell’anno scorso, il suo plotone ha fatto stampare dozzine di magliette, felpe e pantaloni con questa dicitura.
“Vi era disegnato un soldato come fosse l’Angelo della Morte, con accanto una città araba ed un’arma da fuoco.” dice un soldato “Il messaggio era molto forte. La cosa più divertente è che quando uno dei nostri è andato a ritirare le magliette, l’uomo che le aveva stampate era un arabo. Il soldato si è sentito in colpa ed ha chiesto ad una ragazzina al bancone di portargliele.”
Nel 2006, i soldati che avevano partecipato al corso “Carmon Team” per cecchini d’elite hanno stampato una T-shirt che mostrava il disegno di un arabo armato di coltello e la frase “Dovrai correre molto, molto, molto veloce prima che sia finita”. Sotto, il disegno di una donna araba che piange su una lapide e lo slogan: “E dopo piangerai, piangerai.” [Queste frasi sono prese dal testo di una canzone pop.]
Un’altra maglia per cecchini mostra un ennesimo arabo nel mirino e l’annuncio: “Lo facciamo con le migliori intenzioni.”
Una T-shirt stampata dopo l’Operazione Piombo Fuso per il Battaglione 890 dei paracadutisti mostra un soldato con le fattezze di King Kong in una città sotto attacco. Il messaggio non lascia spazio ad ambiguità: “Se credi che si possa aggiustare, allora convinciti che si può distruggere!”

Queste magliette, prima di essere stampate, devono essere approvate dai comandanti dell’esercito. Sono una tradizione militare, anche se la loro natura esplicita è per certi versi nuova. Orna Sasson-Levy, sociologo dell’Università di Bar-Ilan, afferma che le T-shirt “fanno parte di una radicalizzazione del processo che l’intera nazione sta attraversando: i soldati sono solo l’avanguardia”. L’attivista israeliano Sergeiy Sandler, impegnato da anni in campagne contro il militarismo insieme all’associazione New Profile, ci ha mandato questo articolo via mail, spiegandoci che le magliette sono “una duratura tradizione delle unità militari israeliane; si possono trovare ovunque, sulle bancarelle, anche se generalmente hanno slogan meno oltraggiosi. Un immagine vale mille parole, non trovi?”

Non credo che questo tipo di T-shirt siano un’esclusiva di Israele. Scommetto che ne sono state create anche per i soldati statunitensi in Iraq. Ma le maglie indicano un ambiente in cui è permesso, se non incoraggiato, il compiere crimini di guerra. Riflettono una mentalità in cui la vita palestinese è vista con disdegno e spesso non è neanche riconosciuta come tale. Uno dei soldati lo ha spiegato chiaramente, durante la testimonianza in cui ha descritto l’omicidio di una madre e dei suoi due bambini: “…l’atmosfera generale, per quello che ho capito dalla gran parte dei colleghi con cui ho parlato… non so come descriverla… diciamo che le vite dei palestinesi hanno molta, molta meno importanza delle vite dei nostri soldati. Per quello che li riguarda, giustificano in questo modo ogni loro azione.” (Beh, buona giornata).

Articolo originale: http://www.philipweiss.org/mondoweiss/2009/03/racist-and-sexist-military-shirts-show-the-fruits-of-israeli-militarism.html
Traduzione a cura di Massimo Spiga per Megachip

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche

Ecco come la legge sul testamento biologico appena votata dal Senato viola i nostri diritti civili.

(Fonte: ilmessaggero.it)

Approvato al Senato il ddl sul testamento biologico passa alla Camera. Il testo mantiene il principio dell’obbligatorietà dei trattamenti di nutrizione e idratazione, considerati «sostegno vitale» e dunque non sospendibili (come già previsto nella versione originaria del ddl). Le dat, per effetto dell’approvazione di un emendamento dell’Udc, diventano però non vincolanti.

Questi i contenuti del ddl:

Tutela della vita e della salute, articolo 1 – Si stabiliscono i principi generali della legge, ovvero che la vita umana è «inviolabile e indisponibile» e che «nessun trattamento sanitario può essere attivato a prescindere dall’espressione del consenso informato». Si vieta «ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio». A tal riguardo, si fa riferimento agli articoli 575, 579 e 580 del Codice penale, che prevedono il carcere per il medico che attui eutanasia o suicidio assistito. Rispetto alla versione originaria dell’art.1, nel testo approvato dal Senato si annulla la partecipazione del paziente all’identificazione delle cure. In pratica, un emendamento per prevenire il rischio di contenziosi nei confronti dei medici. Scompare inoltre il riferimento all’accanimento terapeutico.

Consenso informato, articolo 2 – Si definisce il concetto di consenso informato ai fini dell’attivazione dei trattamenti sanitari. Con l’approvazione di un emendamento a prima firma Rutelli, si riconosce, rispetto alla versione originaria, il diritto di parola ai minorenni nell’espressione del consenso.

Contenuti e limiti delle Dat, articolo 3 – È l’articolo che affronta il nodo della nutrizione e idratazione artificiale. Come nella versione originaria del ddl, si afferma (comma 6) che «alimentazione e idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Esse non possono formare oggetto di Dichiarazione anticipata di trattamento». Sono stati invece cancellati dall’articolo due riferimenti lessicali all’accanimento terapeutico, con l’obiettivo di fatto di delineare in maniera più precisa il ‘nò ad ogni eventuale rischio di apertura all’eutanasia. Nella versione dell’articolo 3 approvata dal Senato viene inoltre semplificata la composizione del collegio di medici chiamato a valutare lo stato clinico del paziente: gli specialisti passano da cinque a tre (un medico legale, un anestesista-rianimatore ed un neurologo, sentiti medico curante e medico specialista).

Forma e durata delle Dat, articolo 4 – Le dat non sono obbligatorie. Nella versione approvata dal Senato, le dat diventano inoltre non vincolanti. Esse hanno validità per 5 anni, termine oltre il quale perdono «ogni efficacia».

Assistenza ai soggetti in stato vegetativo, articolo 5 – Si stabilisce che il ministro del Welfare «adotta le linee guida cui le regioni si conformano nell’assicurare l’assistenza domiciliare per i soggetti in stato vegetativo permanente».

Fiduciario, articolo 6 – Nella versione approvata, la figura del fiduciario viene inserita all’interno di limiti precisi: dal testo scompaiono infatti i riferimenti al ruolo del fiduciario nel promuovere e far rispettare le Dat espresse del soggetto.

Ruolo del medico – Prevede che le volontà espresse dal soggetto nelle dat «sono prese in considerazione dal medico curante». Il medico «non può prendere in considerazione indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente» e «non è tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologico».

Autorizzazione giudiziaria, articolo 8 – Prescrive l’autorizzazione giudiziaria in caso di assenza del fiduciario ad esprimere il consenso al trattamento sanitario.

Disposizioni finali, articolo 9 – Si istituisce il Registro delle dat nell’ambito di un archivio unico nazionale informatico. Il titolare è il ministero del Welfare. (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto Popoli e politiche Salute e benessere Società e costume

Il Senato approva la legge sul testamento biologico che voleva il Card. Bagnasco.

L’ EGEMONIA PERDUTA
di Stefano Rodotà. (da Repubblica — 24 marzo 2009)

UN MONDO vastissimo, compresi molti cattolici, è rimasto sbalordito di fronte ad alcune affermazioni del Papa, governo e istituzioni internazionali hanno protestato e i vescovi italiani, invece di interrogarsi seriamente e criticamente su una vicenda così grave, la trasformano in un pretesto per lanciare un proclama intimidatorio, un vero e proprio diktat al quale Parlamento e politica italiana dovrebbero inchinarsi. Non è nuova l’ arroganza di una politica vaticana che, debole nel mondo, cerca occasioni di rivincita nel giardino di casa, in questa povera Italia che, presentata come il luogo dal quale doveva partire la riconquista cattolica del mondo, appare sempre di più come un fortilizio dove una gerarchia disorientata cerca di rassicurare se stessa alzando la voce.

Con parole forti si vuole imporre l’ approvazione di una legge sul testamento biologico sgangherata e incostituzionale, lesiva dei diritti delle persone. Si urla contro una deriva verso l’ eutanasia mentre il Senato sta discutendo un disegno di legge lontanissimo dall’ apertura che, su questo tema, hanno mostrato le conferenze episcopali di Germania e Spagna. Siamo di fronte ad una prova di forza, alla volontà vaticana di sottomettere il Parlamento. Sono in gioco proprio la sovranità parlamentare e, con essa, l’ autonomia dello Stato. Una inerzia colpevole, una pavidità delle istituzioni lascerebbero oggi un segno profondo sulla stessa democrazia. E un intervento così diretto può addirittura far venire il sospetto che si voglia incidere sulle dinamiche interne del nascente Pdl, chiudendo ogni spiraglio di laicità e autonomia

I governi di Francia e Germania, l’ Unione europea, il Fondo monetario internazionale avevano criticato le parole del Papa sull’ uso del preservativo, con una presa di distanza che metteva in discussione il ruolo internazionale della Chiesa. Il governo tedescoè guidato da una donna cattolica, Benedetto XVI aveva compiuto un viaggio in Francia accompagnato da parole imp e g n a t i v e d e l p r e s i d e n t e Sarkozy sulla necessità di passare ad una laicità “positiva”, parole che lo stesso presidente aveva già pronunciato in occasione della sua visita ufficiale a Roma. Assume grande significato, allora, la decisione di governi “amici” di non riconoscersi nelle posizioni della Chiesa. A ciò dev’ essere aggiunta la decisione di Obama di firmare la dichiarazione sui diritti degli omosessuali, proposta all’ Onu proprio dalla Francia e che aveva suscitato una durissima reazione del Vaticano.

Viene così respinta la pretesa vaticana di dettare al mondo la linea etica su grandi temi della vita, ed emerge un isolamento che non è solo diplomatico, ma rivela una perdita di egemonia culturale. Ora il tema del conflitto è costituito dalla legge sul testamento biologico. Tardivamente ci si è accorti di quanto fosse saggia la richiesta di moratoria, di un tempo di riflessione che allontanasse emozioni e strumentalizzazioni nell’ affrontare un tema che riguarda la libertà stessa delle persone.

Forse anche i cento “ribelli” del Pdl che hanno firmato contro i medici-spia dovrebbero rendersi conto che quella legge è anch’ essa profondamente negatrice di diritti e che è necessaria una riflessione più profonda sui rischi di un uso sbrigativo e autoritario dello strumento giuridico. Riflessione, peraltro, che dovrebbe essere estesa ad altre materie, anch’ esse affrontate finora in modo sbrigativo. Non ci si è accorti dei rischi dello stillicidio di norme che riducono la tutela della privacy, della pericolosità di proposte che vogliono introdurre controlli e censure per Internet, della disinvoltura con la quale sono state approvate in prima lettura le norme sulla banca del Dna.

Se la nuova sensibilità per la dimensione dei diritti non è solo una fiammata, di tutto questo è bene che si cominci a discutere seriamente e fino in fondo. Moratoria o non moratoria, è indispensabile ribadire in ogni momento che il testo della maggioranza sul testamento biologicoè un ammasso di incostituzionalità, di regressioni normative, di piccoli deliri burocratici e linguistici, di procedure che produrranno nuove contraddizioni e nuove angosce. Non vi sono astuzie parlamentari che possano redimere quel testo dai suoi peccati. Ricordiamo che appena ieri, a fine dicembre dunque già nel fuoco della polemica sul caso Englaro, la sentenza 438 della Corte costituzionale ha riconosciuto che l’ autodeterminazione costituisce un “diritto fondamentale” della persona. Come si concilia con questo diritto la pratica cancellazione del consenso informato, la sua degradazione da manifestazione di volontà a semplice “orientamento”, come fa il testo di maggioranza? Come non vedere che, dietro una versione assai fumosa della formula dell’ “alleanza terapeutica” tra medico e paziente, il potere sul morire viene consegnato ai medici, facendo enormemente e impropriamente crescere la loro responsabilità? Come non vedere che il rifiuto da parte del medico di dare attuazione alle direttive anticipate creerà nuovi drammi, nuove rappresentazioni pubbliche del dolore e ricorsi che trasferiranno al giudice la decisione finale sul morire, cioè esattamente quello su cui si è tanto polemizzato?

Sono interrogativi provocati da pervicacia politica e incultura, dal fatto che la dimensione costituzionale non appartiene a questo governo e questa maggioranza, che vogliono cogliere ogni occasione per cercar di liberarsene. Proprio per questo si cerca di costruire una Costituzione abusiva, dove la possibilità di imporre per legge trattamenti obbligatori è svincolata dall’ unica sua premessa costituzionalmente corretta, il rischio per la salute pubblica, come hanno sempre messo in evidenza gli studiosi (venerata ombra di Costantino Mortati, grande costituente cattolico, manifestati!); dove si propongono indecorosi pasticci tra rifiuto delle cure e vendita di organi; dove il rispetto della dignità è convertito in strumento per imporre una misura della dignità in conflitto con la libertà di scelta della persona. Una vigile attenzione per i diritti dovrebbe segnare la discussione politica, il primo passo dovrebbe essere appunto il ritorno pieno nella dimensione costituzionale. E, insieme ad esso, i legislatori dovrebbero interrogarsi sui limiti della legge, su quanto si addica alla vita “l’ ipotesi del non diritto”, che attribuisce alla norma giuridica non un illimitato potere di ingerenza, ma la funzione di costruire le condizioni necessarie perché ciascuno possa decidere liberamente. – (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Lavoro

Gli operai della Continental in Francia: «Hanno avuto il nostro sudore, vogliono il nostro sangue, non avranno il nostro culo».

Rabbia operaia
di Alessandro Cisilin – da «Galatea European Magazine» (fonte: megachip.info)

Per l’Europa l’11 marzo evoca l’incubo del più grave attentato terroristico del dopoguerra, cinque anni fa a Madrid. Per la Francia la stessa data rimarrà probabilmente nella storia come l’emblema del cataclisma economico e dell’esplosione della rabbia sociale. In quel giorno i vertici della tedesca Continental annunciavano la chiusura dello stabilimento di Clairoix, nel nord-ovest della Francia, ossia il licenziamento entro un anno di tutti i suoi millecentoventi lavoratori, che si aggiungeranno ai settecentottanta messi in strada ad Hannover. La risposta operaia è stata di una virulenza inedita, espressione del resto prevedibile di chi versa nell’assoluta disperazione.

Molti di loro sono giovani, sotto i quarant’anni, e la maggioranza rifiuta etichette ideologiche. Tutti sono arrabbiati, e “pronti a tutto”. Perfino a impiccare i manichini di due dirigenti, quelli del capo della fabbrica e della società, non senza il rogo di decine di pneumatici – di cui la multinazionale è il quarto produttore mondiale – e copiosi lanci di scarpe e di uova. Le stesse uova sono state anche protagoniste di assalti verso dirigenti in carne e ossa.
In un caso gli operai hanno così messo in fuga il direttore dello stabilimento nell’atto del terribile annuncio. In un altro, qualche giorno più tardi, si sono recati in trasferta nella vicina Reims, riuscendo a penetrare nell’albergo dove i delegati della società stavano a colloquio coi rappresentanti dell’amministrazione locale.

La rabbia tra i “Conti” (così apostrofati i dipendenti Continental) è alimentata anche dal senso del tradimento. Solo pochi mesi fa avevano accettato un compromesso che prevedeva l’allungamento dell’orario lavorativo e altri sacrifici contrattuali in cambio della rassicurazione scritta del mantenimento del posto almeno fino al 2012. L’impresa si difende illustrando il calo del trenta per cento della domanda nei primi due mesi dell’anno, correlata al crollo del settore auto.

Il vicepresidente della Continental Bernhard Trilken aggiunge poi che «la sovrapproduzione è arrivata alla fine del 2008 a sette milioni e mezzo di pneumatici» e che Clairoix è «la fabbrica meno competitiva al mondo», in quanto eroga salari da almeno millesettecento euro, superiori a quelli degli altri stabilimenti. Cifre rilevanti, non meno tuttavia di quella, riferita da «Le Monde», di un utile netto, generato l’anno scorso da Clairoix stessa, di ben ventisette milioni.

La solidarietà verbale agli operai sembra essere quasi unanime, ma raramente è gradita. Gelida è stata la risposta alle dichiarazioni in ordine sparso dei socialisti. Peggio ancora nei confronti di alcuni deputati dell’Ump, il partito di Sarkozy (“il presidente del potere d’acquisto”), allontanati a spintoni dalla fabbrica, dove si erano presentati per esprimere la loro vicinanza.

La novità dell’azione dei ‘Conti’ sta in effetti proprio nella loro esplicita minaccia di un “conflitto violento”. «Non abbiamo nulla da perdere, e la polizia lo sappia: non siamo infermiere, non ci faremo fregare», ha detto ai media un operaio anziano, nonostante la prossimità della pensione. I sindacati, offesi dal dietrofront della multinazionale, stavolta appoggiano. «Hanno avuto il nostro sudore, vogliono il nostro sangue, non avranno il nostro culo», è il colorito monito di Xavier Mathieu, vertice della Cgt. E secondo il segretario di Force Ouvrière Jean-Claude Mailly «questa violenza è legittima difesa». Una violenza che esce dai confini di Clairoix.

A Pontnox-sur-l’Adour, l’amministratore delegato di Sony France Serge Foucher è stato trattenuto in ostaggio per una notte all’interno dell’impianto, anch’esso prossimo alla chiusura, e rilasciato solo dopo aver accettato riaprire la trattativa sulla cassa integrazione.

Ed è un paese intero a schierarsi a fianco degli operai. Lo si è visto nello sciopero generale del 19 marzo scorso, indetto per protesta contro il piano anticrisi dell’Eliseo – sbilanciato sulle banche e paragonabile per esiguità, nei paesi industrializzati, solo alle misure del governo italiano – con una partecipazione quasi senza precedenti dei lavoratori privati. E col sostegno, secondo i sondaggi, di tre francesi su quattro. (Beh, buona giornata).

acisilin@yahoo.it

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Finanza - Economia Lavoro

Confindustria lancia un urlo di dolore, il Governo si tappa le orecchie.

Tra la metà del 2008 e la metà del 2010 in Italia verranno persi 507 mila posti di lavoro, il 2,2% dell’occupazione totale. La stima è del Centro Studi della Confindustria. Gli analisti spiegano che nel 2010 il tasso di occupazione salirà al 9%, un valore analogo a quello del 2001 (6,1% il minimo del 2007). Se si considerano anche le persone in cassa integrazione che quindi conservano formalmente il rapporto d’impiego, i posti persi sarebbero 867 mila, cioè il 2,8%.

C’è qualcuno “che si esercita nel piacere del peggio”, ha commentato il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La crisi fa male anche al Biscione.

E’ stato Fedele Confalonieri presidente Mediaset, ad aprire i lavori all’incontro con gli analisti finanziari organizzato il 18 marzo, a Cologno Monzese, per presentare il bilancio 2008 del Gruppo.

Dopo una riflessione generale sulla crisi che ha investito il mercato nel corso del 2008, Confalonieri ha affermato: “Noi di Mediaset questo momento storico lo viviamo in quanto soggetto economico, ma anche come editori. Ciò significa che ci sentiamo responsabili di come viene vissuta e percepita la crisi dagli italiani. Le notizie vanno date. Ma il catastrofismo, che tanto attrae il mondo dell’informazione e che una cattiva politica usa strumentalmente senza tanti problemi, è un moltiplicatore di crisi. Noi abbiamo fiducia nelle imprese italiane. Viviamo di pubblicità e sappiamo che da una crisi si esce sempre e si esce più forti di prima. Per questo chiediamo ai nostri clienti di investire: farlo oggi significa difendere le quote di mercato e farsi trovare più competitivi al momento della ripresa. E noi abbiamo molta fiducia anche nel sistema Italia. Abbiamo investito ad oggi oltre 1 miliardo e 700 milioni di euro nel digitale terrestre. Abbiamo con questo enorme sforzo modernizzato il Paese nel settore strategico della comunicazione, facendo dell’Italia un esempio guida in Europa”.

In merito alla strategia del Gruppo per il futuro, il presidente l’ha sintetizzata in tre punti. Il primo è ‘continuare a investire nel core business’, rappresentato dalla televisione generalista. Il secondo è ‘continuare a investire in asset strategici per il futuro’, come ad esempio il digitale terrestre: “Mediaset Premium ci ha fatto entrare in un mercato molto interessante – ha spiegato Confalonieri – stimato a ritmi di crescita del 20% l’anno. La risposta alla nostra offerta pay è molto positiva e non sembra risentire della crisi economica”. Infine Mediaset si propone di ‘mantenere una solida struttura finanziaria’: “L’attuale esposizione finanziaria del Gruppo ci tiene al riparo dalla crisi finanziaria e l’indebitamento di Mediaset è fisiologico ed è significativamente minore rispetto all’indebitamento medio dei concorrenti europei. Non sottostimiamio la crisi – ha detto il presidente – Però non sottostimiamo neanche le nostre risorse”.

Interrogato dai giornalisti presenti in merito alla nuova piattaforma Tivù Sat, Confalonieri ha affermato: “Non nasce dalla volontà di fare la guerra a Sky ma semplicemente dall’incontro di due necessità: quella della Rai che, in quanto servizio pubblico, nel passaggio dall’analogico al digitale deve coprire tutto il territorio italiano; e quella di Mediaset che, in quanto servizio commerciale, ha il dovere di garantire a Publitalia e agli investitori il maggior numero di contatti possibile”.

Niente guerra, dunque, anche se sta di fatto che Sky continua a lanciare sfide ai canali generalisti attingendo a piene mani dal loro bacino di volti noti. Dopo Fiorello, il 9 aprile debutterà su Sky Vivo Lorella Cuccarini con lo show ‘Vuoi ballare con me?’ e pare siano in corso trattative anche con Panariello .

La concorrenza della tv di Murdoch però non sembra spaventare Mediaset: “Non basta certo il ‘trasferimento’ di Fiorello e della Cuccarini per dare vita a un’altra tv generalista!”, ha detto Confalonieri, che ha risposto in modo colorito anche a chi gli ha chiesto un parere sulla proposta del ministro per i Beni Culturali, Sandro Bondi, di dare vita a una rete Rai priva di spot pubblicitari: “A pelle direi che è una cavolata – ha dichiarato Confalonieri – In Francia è stato inutile, non ha portato nulla in più alle altre emittenti. Penso che succederebbe la stessa cosa anche in Italia”.

Dunque nessun cambiamento di strategia in vista per Mediaset. Il gruppo non smetterà di investire nel core business, la tv generalista, anche dopo lo switch-off al digitale terrestre. “La sfida – ha spiegato Confalonieri – è trasferire la nostra supremazia in termini di ascolti e raccolta pubblicitaria in un mondo popolato da centinaia di canali tv, free e pay. Per fare questo occorre controllare i contenuti tv. Ideare e realizzare contenuti e costruire palinsesti è un mestiere per pochi operatori, noi lo facciamo da sempre, con un certo successo”. (Beh, buona giornata).

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La quarta crisi colpisce anche Mondadori.

Il Consiglio di Amministrazione di Arnoldo Mondadori Editore, riunitosi oggi, 25 marzo, sotto la presidenza di Marina Berlusconi , ha esaminato e approvato il progetto di bilancio e il bilancio consolidato al 31 dicembre 2008 presentati dal vice presidente e amministratore delegato Maurizio Costa .

Come noto il quadro macroeconomico ha subìto nell’ultimo trimestre dell’esercizio 2008 un ulteriore peggioramento, di entità superiore alle già pessimistiche previsioni: la crisi che ha investito il settore finanziario a livello internazionale ha prodotto gravi effetti sui settori produttivi, sui livelli di impiego e sui consumi nei Paesi industrializzati, frenando la crescita anche dei Paesi in via di sviluppo.

Per quanto riguarda Mondadori e i suoi mercati di riferimento, si evidenziano i seguenti fenomeni:
– in Italia la contrazione delle diffusioni e dei prodotti collaterali non ha avuto particolari accelerazioni e in questo contesto la quota di mercato del Gruppo Mondadori è rimasta sostanzialmente invariata; sul fronte pubblicitario, gli investimenti hanno registrato una decisa flessione nell’ultima parte dell’esercizio. In sostanziale tenuta il volume d’affari nel settore libri, in cui il Gruppo Mondadori ha consolidato la propria posizione di leadership;
– in Francia è proseguita la tendenza alla riduzione degli investimenti pubblicitari, mentre la diffusione dei periodici in edicola e in abbonamento è risultata in linea con l’anno precedente.

Il fatturato consolidato nell’anno è stato di 1.819,2 milioni di euro (-7,1% rispetto ai 1.958,6 milioni di euro del 2007). A perimetro omogeneo la flessione è del 6%; al netto anche dell’attività sui collaterali, il giro d’affari ha registrato un decremento del 2,5%. Il margine operativo lordo consolidato è risultato di 249,2 milioni di euro (-7,3% rispetto ai 268,9 milioni di euro dell’esercizio precedente).

L’incidenza sul fatturato è stata del 13,7%, in linea rispetto al 2007. Escludendo il risultato dell’attività di Mondadori Printing, di cui, come già comunicato al mercato nell’ottobre 2008, Mondadori ha ceduto l’80% del capitale al Gruppo Pozzoni, il differenziale del margine operativo è negativo per 2,7 milioni di euro (-1,2%), per effetto essenzialmente di: buon andamento dei business (+6,5 milioni di euro); minore attività sui prodotti collaterali (-13,3 milioni di euro); maggiori investimenti per business in sviluppo (-7,9 milioni di euro); maggiori costi di ristrutturazione organizzativa (-4,7 milioni di euro) e maggiori plusvalenze (+16,7 milioni di euro).

Il risultato operativo consolidato nel 2008 è stato di 203,5 milioni di euro (-9,6% rispetto ai 225,2 milioni di euro del 2007). L’utile netto consolidato al 31 dicembre 2008 è risultato di 97,1 milioni di euro (-13,8% rispetto ai 112,6 milioni di euro dell’esercizio precedente). Il cash flow lordo è stato di 142,8 milioni di euro rispetto ai 156,3 milioni di euro del 2007.

La posizione finanziaria netta è passata da -535,3 milioni di euro di fine 2007 a -490,3 milioni di euro al 31 dicembre 2008.

Libri
In un quadro economico generale di contrazione dei consumi, l’andamento del comparto trade del mercato librario italiano nel 2008 è stato sostanzialmente in linea rispetto al 2007 (-0,6% a valore, relativo alle librerie medio-grandi: fonte Nielsen Bookscan). In questo contesto la Divisione Libri Mondadori ha ampiamente confermato la propria leadership, con una quota di mercato del 28,8%; i ricavi complessivi sono stati di 434,3 milioni di euro (-2,4% rispetto ai 445 milioni dell’esercizio precedente).

Tra le case editrici del Gruppo, Edizioni Mondadori ha registrato nel 2008 ricavi per 144 milioni di euro (+4,7% rispetto ai 137,6 milioni di euro all’anno precedente). Einaudi ha registrato nell’anno ricavi netti per 51,7 milioni di euro, in crescita del 3,6% rispetto ai 49,9 milioni di euro del 2007. Tale incremento è stato determinato dall’ottimo andamento delle vendite nei 3 canali libreria e grande distribuzione, grazie all’esito molto positivo di numerosi libri a media e alta tiratura. Con il 13,4% di quota di mercato, Mondadori Education ha mantenuto nel 2008 una posizione di rilievo nel mercato scolastico e la leadership nel settore dell’editoria per la scuola primaria: i ricavi netti di vendita realizzati dalla casa editrice nel periodo sono stati di 86,1 milioni di euro (-1,1% rispetto agli 87,1 milioni di euro dell’esercizio precedente).

Periodici
La Divisione Periodici ha registrato nel 2008 ricavi consolidati per 949,8 milioni di euro (-9,3% rispetto ai 1.047,7 milioni di euro del 2007).
Italia
Mondadori ha mantenuto nel 2008 la propria posizione di preminenza, registrando in Italia un fatturato di 575,7 milioni di euro (-12,5% rispetto ai 657,8 milioni di euro del 2007); al netto delle vendite congiunte il calo è stato del 4,4%. L’andamento dell’esercizio è stato caratterizzato dai seguenti fenomeni: ricavi diffusionali in riduzione del 5,1%, in linea con il mercato di riferimento; ricavi da vendite congiunte in forte flessione (-28,6%), in linea con il settore, ma con buoni livelli di redditività; ricavi pubblicitari in calo del 5,3%, in un mercato in flessione del 7,1%: si tratta di un decremento fortemente accentuatosi nel secondo semestre dell’anno.

Tra i femminili, Donna Moderna ha consolidato la propria leadership; nel settore dei newsmagazine, Economy ha incrementato in modo significativo i propri ricavi da edicola. Per quanto riguarda il settore dei televisivi, interessato da un calo diffusionale generalizzato, TV Sorrisi e Canzoni si è contraddistinto per aver mantenuto vendite settimanali superiori al milione di copie. Nell’area delle testate dedicate all’entertainment, Chi si è confermato il magazine più vivace con ricavi in linea con il 2007. L’area dell’up market femminile, in cui operano Grazia e Flair, ha registrato diffusioni più limitate ma in linea con l’anno precedente e con una forte penetrazione pubblicitaria; buoni, infine, gli andamenti dei periodici di cucina e dell’area design.

Francia
Nel 2008 Mondadori France ha conseguito un fatturato complessivo di 374,1 milioni di euro (-4,1% rispetto ai 389,9 milioni di euro del corrispondente periodo del 2007). I ricavi da diffusione di Mondadori France, che rappresentano circa il 70% del totale, si sono confermati sui livelli del precedente esercizio (+0,6% a perimetro omogeneo, al netto della cessione delle testate specializzate del polo Sport e Loisirs), grazie anche al buon andamento delle testate leader, tra cui Closer che ha confermato la propria leadership nel comparto.

I ricavi di Mondadori France derivanti dalla vendita di spazi pubblicitari hanno evidenziato nel 2008 un decremento del 14,5%, in linea con un mercato pubblicitario in forte difficoltà; a perimetro omogeneo la flessione è del 12,3%. La società, penalizzata anche dalla scarsa presenza nell’alto di gamma, unico settore in crescita rispetto all’anno precedente, ha comunque salvaguardato la propria quota di mercato.

A livello reddituale Mondadori France ha mostrato nel 2008 un’incidenza del margine operativo lordo sul fatturato del 10,5% (12,5% al netto delle vendite congiunte), grazie anche a una costante attività di controllo e riduzione costi che ha garantito economie sui costi industriali, di distribuzione e del personale.

Attività internazionali
Il 2008 è stato caratterizzato da un’intensa attività di lancio delle testate del Gruppo Mondadori sui mercati esteri, tra i quali Flair in Austria, Casaviva in Grecia, Bulgaria e Serbia, Sale e Pepe in Romania, Grazia Casa in Croazia. Il network di Grazia si è arricchito nel periodo di nuove edizioni in India e Australia, che hanno conseguito risultati molto positivi fin dai primi mesi.

Nel corso dell’esercizio sono inoltre state poste le basi per i lanci di Grazia in Cina e di Casaviva in India, avvenuti nel primo trimestre del 2009. Complessivamente, a fine esercizio, le edizioni dei periodici Mondadori presenti nel mondo hanno raggiunto le 19 unità, con ricavi da licensing e da commissioni derivanti dalla vendita di spazi delle testate in licenza in crescita del 30% rispetto al 2007. Positivi i risultati della consociata Attica, leader in Grecia nelle diffusioni e nella raccolta pubblicitaria, con una buona presenza anche in Romania e Bulgaria.

Pubblicità
Mondadori Pubblicità ha chiuso l’anno con ricavi per 331 milioni di euro (-5,3% rispetto ai 349,5 milioni di euro del 2007). Grazie al buon andamento del primo semestre, la società è riuscita a contenere almeno parzialmente il forte rallentamento manifestatosi sul mercato nella seconda parte dell’anno. In particolare, in un mercato dei periodici che ha perso il 7,3%, la concessionaria ha registrato una raccolta sul proprio portafoglio testate di 242,6 milioni di euro (-4,8%). Per quanto riguarda invece il mercato radiofonico che ha segnato un +2,3% a livello complessivo, R101 ha registrato ricavi pubblicitari in aumento del 23,9%. Significativo anche l’incremento registrato sui siti del Gruppo (+27%), in un mercato cresciuto del 13,9%.

Direct marketing
Nel 2008 Cemit Interactive Media ha registrato un fatturato di 22,3 milioni di euro, in calo del 6,7% rispetto ai 23,9 milioni di euro del precedente esercizio, mantenendo comunque un ottimo livello di redditività (+18,4%).

Retail
Il fatturato complessivo della Divisione Retail nel 2008 è stato di 194,5 milioni di euro (+6,2% rispetto ai 183,2 milioni di euro del 2007). Nel periodo la rete di negozi del Gruppo ha raggiunto le 434 unità diventando per numero di punti vendita il network di prodotti editoriali più esteso in Italia. Mondadori Retail ha conseguito nel 2008 un fatturato di 128 milioni di euro (+2,7% rispetto ai 124,6 milioni di euro del 2007).

Radio
Nel 2008 R101 ha registrato un fatturato netto di 14,8 milioni di euro (+ 31% rispetto agli 11,3 milioni di euro nel 2007), corrispondente a ricavi pubblicitari lordi per 21,8 milioni di euro (+23,9% rispetto ai 16 milioni di euro del 2007), a fronte di un mercato cresciuto del 2,3%. Sul fronte degli ascolti, la radio del Gruppo Mondadori ha raggiunto quota 2,1 milioni nel giorno medio, incrementando del 7% la propria audience, confermandosi tra le prime sei radio commerciali italiane, con circa 8,4 milioni di ascoltatori nei 7 giorni.

Il bilancio della Capogruppo Arnoldo Mondadori Editore al 31 dicembre 2008 presenta un utile netto pari a 66,2 milioni di euro (90 milioni al 31 dicembre 2007).

Evoluzione prevedibile della gestione
Come è noto i dati relativi ai consumi dei primi mesi dell’anno in corso mostrano, in tutti i principali settori dell’economia, valori in ulteriore riduzione rispetto alla fine del 2008. Il Gruppo Mondadori, a fronte di un 2009 già pesantemente influenzato dalle conseguenze della situazione generale sul settore editoriale e dalle accelerazioni imposte dalle discontinuità tecnologiche, proseguirà nel taglio dei costi, nella semplificazione organizzativa e nella reingegnerizzazione dei processi, anche con una specifica allocazione di investimenti dedicati.

L’andamento dei volumi di fatturato dei primi mesi dell’anno e l’oggettiva difficoltà di previsione degli scenari e dell’evoluzione dei consumi e degli investimenti, soprattutto pubblicitari, nei prossimi mesi, suggeriscono prudenza nella stima delle performance reddituali per il 2009, che non si prevedono comunque al livello dello scorso esercizio. (Beh, buona giornata),

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La quarta crisi: “Dopo una lunga battaglia con pubblicità in declino, età anagrafica dei lettori troppo avanzata, concorrenza di Internet, sconsiderati livelli di indebitamento, costi inflessibili, ambizioni esagerate e crisi di nervi, l’industria dei giornali è passata a miglior vita”

da repubblica.it
Il necrologio è sormontato da due date: 1764-2009. “Dopo una lunga battaglia con pubblicità in declino, età anagrafica dei lettori troppo avanzata, concorrenza di Internet, sconsiderati livelli di indebitamento, costi inflessibili, ambizioni esagerate e crisi di nervi, l’industria dei giornali è passata a miglior vita”, annuncia il testo. Humour nero, specie se stampato su un giornale: il Financial Times, che ieri ha aperto a questo modo un’inchiesta sulla crisi dell’informazione quotidiana. Dal New York Times alle gazzette di provincia, la carta stampata è in declino: alla sua crisi strutturale, provocata dall’avvento del web, si è aggiunta la mazzata della crisi ciclica, la peggiore recessione economica a memoria d’uomo. Negli Stati Uniti, grandi giornali vanno in bancarotta uno dopo l’altro; ovunque, tutti perdono copie e profitti, e cercano di sopravvivere riducendo le spese.

Eppure la stampa quotidiana non ha mai avuto tanti lettori come oggi: grazie alle edizioni online, che tuttavia nella maggior parte dei casi sono gratuite e generano entrate pubblicitarie ancora troppo basse. “Dacci oggi il nostro giornale quotidiano”, continuano a dire i cittadini del mondo, però si sono abituati a leggerlo sullo schermo di un computer o di un telefonino, senza sborsare un soldo.

Ma è proprio vero che il quotidiano è morto, come suggerisce l’articolo del Financial Times (2,5 per cento di copie in meno, rispetto a un anno fa)? Il New York Times ha venduto la nuova sede, disegnata da Renzo Piano, per pagare i debiti; il Philadelphia Enquirer, 180 anni di vita, è fallito; il San Francisco Chronicle è sull’orlo della chiusura; il Los Angeles Times ha ridotto i giornalisti da 1.300 a 700. E nel vecchio continente la musica non è diversa. Il paradosso, osserva Timothy Egan, esperto di media dell’Herald Tribune (l’edizione internazionale del New York Times), è che la crisi dei giornali arriva mentre la loro audience globale sta crescendo più velocemente che mai.

I siti dei quotidiani americani hanno attirato nell’ultimo trimestre del 2008 più di 66 milioni di visitatori, un record e un aumento del 12 per cento sull’anno precedente. Il 40 per cento di coloro che navigano su Internet si trovano sul sito di un giornale. In Europa, la tendenza è simile. “È in crisi il formato dei quotidiani, non la sostanza”, avverte Egan.
“Occorre solo aspettare che emerga un nuovo modello”.
Purché non si debba attendere troppo. Due economisti di Yale, David Swensen e Michael Schmidt, osservano che la libertà di informazione è un bene troppo importante per lasciarlo alla mercé del mercato: perciò propongono che siano filantropi illuminati a salvare i giornali.

Il Nieman Journalism Lab di Harvard ha calcolato quanto ci vorrebbe, soltanto per i quotidiani americani: 114 miliardi di dollari. Un po’ tanto, anche per i filantropi, e non tutti i giornalisti si fiderebbero di avere poi mano libera. In Francia, di questo si fa parzialmente carico lo Stato, che ha iniettato 600 milioni di euro in tre anni nella carta stampata, raddoppiando la pubblicità messa sui giornali. Ma non tutti gli Stati sarebbero disposti a farlo, e non è detto che basti. Una diversa proposta viene da Walter Isaacson, ex-direttore del settimanale Time, il quale dice che continuare a dare gratis informazioni agli utenti, su Internet, è una scelta suicida per i giornali.
Una soluzione è offrire abbonamenti digitali, come fanno in tanti, ma i guadagni così ottenuti sono stati finora modesti. Isaacson pensa a un altro sistema: un metodo di “micropagamenti”, di semplice uso, per permettere di scaricare sull’esempio di iTunes non l’intero giornale ma anche un solo articolo. “Viviamo in un mondo in cui qualunque adolescente non ci pensa due volte a pagare per inviare un messaggino”, ragiona l’ex-direttore di Time, “non dovrebbe essere tecnologicamente e psicologicamente impossibile convincere la gente a pagare 10 centesimi per ricevere informazioni”.

Nella fase di transizione che stiamo vivendo tra vecchio e nuovo (qualunque sarà) modello di giornale, Isaacson prevede che alcuni quotidiani abbandoneranno del tutto la carta, passando in blocco al digitale, altri usciranno in edicola solo il sabato o la domenica, come ha fatto il Christian Science Monitor di Boston, altri ancora tenteranno semplicemente di contenere i costi. Ma su questo punto la discussione si infervora. “Non si produce buon giornalismo a basso prezzo”, s’arrabbia Bill Keller, premio Pulitzer e direttore del New York Times, “non troverete tanti blogger che vanno per proprio conto ad aprire un ufficio di corrispondenza a Bagdad”. Non tutti i media, ovviamente, hanno e continueranno ad avere i mezzi per mantenere uffici di corrispondenza in mezzo mondo, e più in generale per spendere i soldi necessari a dare un’informazione ricca e approfondita.
“Ma se diminuisci il valore del tuo prodotto, diminuisci le tue possibilità di avere successo, nel giornalismo online come in quello cartaceo”, ammonisce John Morton, un altro analista di media. “Nel lungo termine, questo danneggia il brand di un giornale, che è la cosa più importante che un giornale ha. È un circolo vizioso: i giornali soffrono per calo delle copie e della pubblicità, rispondono offrendo ai lettori un giornale più povero per tagliare i costi e cercare di mantenere margini di profitto irrealistici, e in tal modo accelerano il processo di declino. È una strategia di graduale chiusura”.

Qualcosa d’altra parte bisogna pur fare, quando calano copie e pubblicità, e nessuno nega che ci siano aree dove è possibile, anzi necessario, tagliare i costi. Una è la necessità di ridurre il debito accumulato, un debito che si porta via ogni anno un’ingente quota di ricavi.
Uno studio dell’agenzia Moody ha scoperto che il debito della Gannett, catena di decine di giornali americani, è quattro volte superiore ai guadagni, prima di interessi, tasse, deprezzamento e ammortizzazione. Quello della Tribune, un’altra catena, è dodici volte più alto. Le cure variano e alcune sono forse ancora da scoprire, ma si potrebbe concludere, parafrasando Mark Twain, che le notizie sulla morte dei quotidiani sono esageratamente premature.

“Per me i giornali”, afferma Timothy Egan, il columnist dell’Herald Tribune, “restano il migliore diario quotidiano per informare e interpretare la realtà che ci circonda, uno strumento che sarà sempre più necessario in un mondo in cui l’economia della conoscenza diventa sempre più importante per decidere chi guadagna e chi ha il potere nel mondo”. Perciò, a suo parere, rimane valida la massima di Thomas Jefferson: “Se spettasse a me decidere tra avere un governo senza giornali e giornali senza un governo, non esiterei un secondo a preferire la seconda opzione”. (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia Lavoro

La crisi fa rabbia.

(Fonte: repubblica.it)

Non è un buon momento per manager e banchieri. Buone uscite miliardarie e privilegi che appaiono intoccabili attirano ora come non mai indignazione e malcontento, che portano a gesti forti, come la vandalizzazione di proprietà private o addirittura al sequestro.

In Scozia, la scorsa notte la casa di Edimburgo di Sir Fred Goodwin, il discusso ex amministratore delegato del Royal Bank of Scotland da lui ridotta sull’orlo del lastrico, è stata attaccata da alcuni vandali che hanno sfondato i vetri delle finestre e distrutto un’automobile. L’attacco è stato rivendicato da un gruppo sinora sconosciuto, ma dal nome eloquente “Bank bosses are criminals” che in una e-mail minaccia: “L’attacco Goodwin è solo l’inizio”. L’ex numero uno dell’Istituto finanziario crollato è al centro di aspre polemiche, dopo aver lasciato l’incarico con in tasca una pensione d’oro da quasi 17 milioni di sterline. Fu lui a pilotare le operazioni di acquisizione di quote dell’olandese Abn Amro nel 2007 che contribuirono a far crollare la banca scozzese.

In Francia è stato sequestrato in ufficio Luc Rousselet, il direttore della filiale dell’americana 3m a Pithiviers (a sud di Parigi). L’azienda produttrice di articoli di cancelleria ha annunciato un piano di tagli aziendali nelle 13 filiali francesi, dove lavorano complessivamente 2.700 persone. I sindacati chiedono una mediazione e pongono condizioni per liberarlo.

Neanche due settimane fa un caso analogo si era verificato nella filiale Sony di Pontonx-sur-l’Ardour, a sud di Bordeaux. L’amministratore delegato della Sony è stato ostaggio per una notte, insieme al capo delle risorse umane, dopo l’annuncio dell’azienda del taglio di 8mila posti di lavoro, equivalente all’8 per cento degli impiegati Sony in tutte le sedi del mondo, e la chiusura della filiale di Bordeaux dove lavorano 311 dipendenti.

La tattica dei sequestri di alti dirigenti era già stata sperimentata in Francia un anno fa nella fabbrica della Michelin di Toul in Meurthe-et-Moselle. Già nel 2007, in campagna elettorale per le presidenziali, l’attuale capo dello Stato Sarkozy martellava sulla necessità di limitare i cosiddetti paracaduti d’oro, gli scivoli milionari ai manager licenziati (e ritenuti a torto o ragione incapaci). Se nel 2007 pareva ancora un tema dagli accenti demagogici, adesso la crisi lo rende di bruciante attualità. (Beh, buona giornata).

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Nasce Cometa: “Proprio allo stato dell’informazione italiana, definita ‘la quarta crisi’, è dedicato il primo numero della rivista.”

Nasce “COMETA”,
trimestrale di critica della comunicazione
Verrà presentata venerdì 27 nell’ambito del Forum della Comunicazione

Dalla collaborazione delle associazioni Megachip e Pentapolis che da anni promuovono rispettivamente la democrazia della comunicazione e la responsabilità sociale nasce Cometa, un trimestrale che da aprile sarà disponibile nelle librerie italiane.
Già il nome dichiara l’anima del progetto editoriale: Cometa infatti è l’acronimo di: 1) comunicazione come bene-diritto comune; 2) etica, perché è necessario ripartire dai valori fondamentali; 3) ambiente, e la sua tutela, come unica possibilità di garantire, alla presente e alle generazioni future, il diritto alla vita.
“È arrivata l’ora della ‘responsabilità’. – scrivono nell’editoriale di presentazione Giulietto Chiesa e Massimiliano Pontillo – assistiamo oggi, sostanzialmente indifesi, all’espandersi e intrecciarsi simultaneo, di quattro crisi: finanziario-economica, sociale, climatico-energetica, informativo-comunicativa.”
E proprio allo stato dell’informazione italiana, definita appunto “la quarta crisi”, è dedicato il primo numero della rivista, che comprende anche un ampio dossier sul diritto all’acqua e uno speciale sul convegno che il World Political Forum ha organizzato a San Servolo (Venezia) lo scorso ottobre, intitolato “Dagli allarmi globali all’allerta dei media”.
Tra le firme più autorevoli, quelle di Mikail Gorbaciov, Riccardo Petrella, Don Ciotti, Guido Viale, David Riondino e tanti altri esperti di comunicazione e ambiente.

Presentazione di Cometa – Trimestrale di Critica della Comunicazione
Conferenza stampa venerdì 27 marzo
Palazzo dei Congressi – Piazza John Kennedy, 1 – 00144 Roma
Per accrediti: redazione@megachip.info
(Beh, buona giornata)

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«Permettere a qualcuno di curiosare sul vostro traffico internet sarebbe come permettere ad una società di installare una telecamera nella vostra stanza, con la differenza che direbbe loro molto di più».

di Sean Poulter – «Daily Mail»

L’inventore del World Wide Web ha sferrato un attacco infuocato contro i piani volti a spiare le abitudini domestiche di navigazione di milioni di utenti.
Sir Thomas Berners-Lee mette in guardia sul fatto che tali tecnologie risulterebbero ancor più minacciose del permettere alle compagnie di installare telecamere nelle nostre case, e sostiene che i dettagli rivelati potrebbero essere utilizzati da persecutori o da servizi segreti stranieri che volessero ricattare politici britannici.

Gli internet provider BT, TalkTalk e Virgin Media stanno tutti prendendo in considerazione un sistema chiamato Phorm, che potrebbe lasciar traccia delle 11 milioni di pagine che i loro utenti visitano. Questo sistema potenzialmente profittevole crea un profilo anonimo con un ventaglio di interessi che è poi utilizzato dai venditori per inviare pubblicità mirate.
Phorm assicura di essere molto meno intrusivo dei sistemi per tracciare e schedare gli utenti usati da motori di ricerca del calibro di Yahoo e Google. Sostiene che non ci sia nulla che colleghi un nome o indirizzo al profilo e i clienti possono anche starsene fuori.
Ad ogni modo Sir Tim, 53, ha indetto un riunione dei vertici parlamentari per discutere una legge sulla Privacy: “É molto importante che possiamo utilizzare internet senza il pensiero che, quando clicchiamo, una terza parte saprà su cosa abbiamo cliccato in modo che questo influisca negativamente sul cambio del nostro premio assicurativo, sulla nostra possibilità di stipulare una polizza vita o di trovare un altro lavoro”.
“Pacchetto di Investigazione Profonda” è il termine tecnico utilizzato per il monitoraggio della navigazione di un individuo.
Sir Tim ha affermato che questo genere di attività fornisce informazioni sull’individuo mai fornite prima.
«Rivela enormi quantità di informazioni sulla vita delle persone, ciò che amano, ciò che odiano e ciò che temono. Le persone utilizzano la rete quando sono in crisi».
«È molto importante che possiamo utilizzare internet senza il pensiero che, quando clicchiamo, una terza parte saprà su cosa abbiamo cliccato tanto da poter avere effetti negativi sul cambio del nostro premio assicurativo, sulla nostra possibilità di stipulare una polizza vita o trovare un altro lavoro».
Ha affermato: «Permettere a qualcuno di curiosare sul vostro traffico internet sarebbe come permettere ad una società di installare una telecamera nella vostra stanza, con la differenza che direbbe loro molto di più». «Credo che l’atto di utilizzare internet sia qualcosa che deve esserci permesso di fare senza alcuna interferenza o controllo ispettivo».
Sir Tim ha aggiunto: «Una volta che l’informazione è stata raccolta può essere utilizzata sia dalla società che da un infiltrato. Potrebbe trattarsi di informazioni su navigazioni registrate di un membro del parlamento, potrebbero essere utilizzate da un potere straniero per attaccare la Gran Bretagna intercettando personalità chiave, scoprendo ciò che hanno fatto e ricattandole». «Potrebbero accadere molte brutte cose. Persino un manico .sessuale potrebbe utilizzarle per perseguitare una vittima con dettagli incredibili».
Sir Thomas ha descritto aziende che vogliono sviluppare ed utilizzare questo sistema come «spioni nel bel mezzo della rete».
Ha anche affermato: «Sono imbarazzato come cittadino britannico che stia accadendo questo mentre negli Stati Uniti si è tracciata una netta linea di demarcazione per impedirlo.»
Il guru di internet si è così espresso durante un evento tenuto nella sede del Parlamento a cui erano presenti i membri della Camera dei Comuni e della Camera dei Lord che stanno valutando se siano necessari cambiamenti alla Leggi sulla Privacy. Questi giudizi accentueranno la pressione su BT, TalkTalk e Virgin affinché abbandonino i piani di utilizzo del sistema Phom.
Dame Wendy Hall, professore di scienze informatiche presso l’ Università di Southampton durante la seduta ha detto: «Se ci spiano su internet è come se aprissero la corrispondenza privata» . «Il monitorare le nostre conversazioni su internet, in social network ed altri siti, è come se intercettassero i nostri telefoni»
«Tutto questo ha a che vedere con chi siamo e con che cosa sia privato nell’ Era Digitale. Il Governo deve riflettere su come prendersi cura di ciò».
Nel 2006 BT ha condotto 3 test preliminari d’acquisto col sistema Phom, che hanno compreso la creazione di migliaia di profili di navigazione di propri utenti. Il test pilota segreto è stato effettuato senza il consenso degli utenti, quindi per le leggi dell’ Unione Europea sarebbe illegale.
Phorm insiste di essere molto meno invadente degli altri sistemi di registrazione della navigazione casuale di altri motori di ricerca come Yahoo e Google. Afferma che non c’è nulla che connetta il profilo a un nome o un indirizzo, inoltre il cliente può scegliere di non aderire.
L’amministratore delegato di Phorm, Kent Ertugrul, ha respinto le accuse dei Neo Luddisti sostenendo che Sir Tim e gli altri critici non avrebbero capito come funziona la tecnologia.
Ertugrul sostiene: «Hanno insinuato che abbiamo utilizzato qualcosa di oscuro e malefico che ha svelato ciò che tutti fanno, ma questo è esattamente quello che il nostro sistema non fa.
«Abbiamo creato qualcosa che riconcilia il bisogno di privacy e quello del guadagno.
Ertugrul ha affermato che la sua tecnologia permette ai siti internet di diventare un mezzo commerciale fornendo pubblicità mirata.
Phorm sostiene che il suo sistema sia molto più sicuro di quello utilizzato dai più popolari motori di ricerca.
Il signor Ertugrul ha aggiunto: «Sono d’accordo che al giorno d’oggi esista un problema relativo alla privacy, ma la risposta non è quella di entrare in una sorta di taglio Neo-Luddista bensì quella di creare una soluzione tecnologica al problema esistente. Questo è quanto crediamo di aver fatto». (Beh, buona giornata).

Articolo originale: Internet ad tracking system will put a ‘spy camera’ in the homes of millions, warns founder of the web

Traduzione a cura di Romina Chiari per Megachip

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Attualità

La memoria a 335°.

di Massimiliano Smeriglio da massimilianosmeriglio.info

Sotto un cielo severo si è consumato il dolore più grande. Sgomenti, i familiari e i compagni delle Ardeatine, hanno assistito alla rappresentazione più dura della sconfitta. Tina singhiozzava ben oltre il suo austero senso del pudore, Carlo si è accasciato al suolo, i brividi, le punture di spillo ripetute sei volte sul ricordo della strage dei Di Consiglio. Chiusa dentro un recinto la comunità di dolore invecchiata e stanca ha assistito alla commemorazione istituzionale presenziata da Fini, La Russa e il sindaco Alemanno. Una distanza siderale tra le ragioni, le paure, i tormenti e le ambizioni dei 335 e l’omaggio formale e militare dei rappresentanti dello Stato e della città.

Ancora più palese la contraddizione tra il ricordo senza pace e la militarizzazione della memoria. Questa odiosa invasione del campo civile da parte militare valeva ieri e vale oggi.

Ma oggi il colpo allo stomaco arriva dalla nostra inadeguatezza, dalla nostra superficialità, il colpo che fa male, che riga il volto di lacrime lente, arriva dall’incapacità tutta nostra di non essere riusciti a mettere in salvo la memoria più preziosa, di non essere stati capaci di preservare con cura e determinazione la storia dei padri. Abbiamo consegnato il nostro onore ai nemici di un tempo, gli abbiamo consegnato le nostre storie, il coraggio e le parole e siamo qui a pregare affinché ne facciano buon uso.

La sinistra si ritrova sgomenta e muta sul prato delle Ardeatine. Plurale, divisa, distorta e malconcia si specchia nel suo fallimento nel luogo più sacro, nel posto dell’anima, principio e fine di ogni liberazione.

Provo dolore ma anche vergogna, provo disgusto per le modalità sguaiate con cui spesso abbiamo calpestato le memorie più care, magari in nome dell’innovazione o dell’identità.

Che vergogna compagni, appesi al buonsenso del Presidente della Camera e all’onore delle armi che non si nega agli sconfitti.

Il 24 marzo è inciso nella mia memoria famigliare e in quella politica, ho imparato a camminare, a correre, ad odiare e ad avere paura frequentando con mia nonna le cave, ho visto piangere e lottare i famigliari delle vittime che hanno resistito alle provocazioni, alle leggende metropolitane, alle contrapposizioni, alla fuga di Kappler e all’oblio della memoria.

Il 24 marzo 2009 è per me, per noi, il giorno più triste, abbiamo giocato a palla con la giara dei mali, contribuendo alla diffusioni dei suoi umori più neri senza nemmeno sentire il dovere di mostrare le stigmate della responsabilità. Che brutta sinistra, la storia consegna il conto a noi che non eravamo pronti neanche a far di conto con la cronaca.

Ieri, 23 marzo, c’era il sole e il cielo si è colorato di tanti palloncini con i nomi dei martiri grazie alla volontà di insegnanti e ragazzi di una comunità resistente come quella del municipio XI e del suo Presidente.

Ieri Sara, 7 anni a giugno, mi ha insegnato che la memoria può avere un colore diverso dal rosso, può avere la dignità di una rosa bianca, gomitolo di essenzialità, appoggiata con cura accanto alla foto di Enrico Mancini, partigiano dal volto gentile, sangue del nostro sangue. Mi ha spiegato che bianco è meglio del rosso e che una carezza capace di accompagnare la foto è meglio di un saluto militare e di un pugno chiuso. Ho fatto fatica ma ho deciso di farmi guidare da mia figlia, ha il cuore più grande del mio e nutre il suo ricordo per il gusto di farlo senza concedere nulla al nemico, neanche il suo odio. E forse proprio per questo il suo viaggio sarà più fortunato del nostro. (Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Di che cosa parliamo quando parliamo di “quarta crisi”.

Editoria, pubblicità e informazione:
un matrimonio in crisi

di Marco Ferri da ilmessaggero.it
ROMA (23 marzo) – Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente di Upa, l’associazione degli investitori pubblicitari, a conclusione del Summit della pubblicità che si è svolto a Roma recentemente, ha detto «La comunicazione è e resta driver competitivo, posto di lavoro per talenti, stimolo all’innovazione e libertà di scelta per il consumatore».

Editoria e pubblicità, rapporto in crisi. Se c’è un merito che va riconosciuto a Upa è di aver messo al centro dell’attenzione del mondo dei media e della pubblicità la grave crisi di quel rapporto che ha costruito il successo di molte marche commerciali e ha fatto la fortuna di molte testate giornalistiche. In realtà, come per le altre tre crisi (ambientale, energetica e finanziario-economica) la crisi dell’informazione viene prima della “tempesta perfetta”: tanto che non ha saputo prevederla. Schiacciata dall’insorgenza dei new media (internet in testa) e dalla invadenza della tv (sia generalista che tematica, vale a dire sia analogica che digitale) la stampa ha perso colpi, per poi perdere copie, diffusione, lettori e pubblicità.

Come se non bastassero la crisi ambientale, la crisi energetica e la crisi finanziaria, che ha subito tracimato sulla crisi economica, ecco allora la quarta crisi: la crisi dell’informazione sta attraversando tutto il mondo occidentale. A prima vista sembrerebbe che la crisi dei giornali sia la diretta conseguenza della crisi della pubblicità, che da anni foraggia tutti i mass media. In realtà, come per le altre tre crisi (ambientale, energetica e finanziario-economica) la crisi dell’informazione viene prima della “tempesta perfetta”: tanto che non ha saputo prevederla. Schiacciata dall’insorgenza dei new media (internet in testa) e dalla invadenza della tv (sia generalista che tematica, vale a dire sia analogica che digitale) la stampa ha perso colpi, per poi perdere copie, diffusione, lettori e pubblicità.

Futuro difficile da prevedere. Difficile immaginare cosa accadrà nel prossimo futuro, in particolare alla carta stampata, soprattutto negli Usa. Sono preoccupanti le previsioni per i grandi giornali, dal New York Times (che, per ripianare i bilanci in rosso ha dovuto vendere il grattacielo, disegnato da Renzo Piano, che ospita la redazione a New York), per non parlare del Wall Street Journal (che ha annunciato tagli e licenziamenti pari al 50 per cento degli addetti): questi eventi fanno pensare a una discesa più ampia della stampa americana. Anche il Washington Post ha annunciato di tagliare dal prossimo 30 Marzo l’inserto dedicato al business, compresa le pagine quotidiane dedicate ai listini di Borsa.

Comunque, l’ipotesi di uno scenario futuro del rapporto tra pubblicità e media è fosco. Per Martin Sorrell, capo di uno dei più grandi colossi della comunicazione globale nei paesi sviluppati la tv rimarrà ancora dominante, ma dall’attuale quota di mercato attorno al 30-35% scenderà al 20-25%. Internet, oggi attorno al 12% salirà anch’ essa al 20-25%. E quanto alla carta stampata, si vedrà anche qui una riduzione al 20-25%. Insomma, giornali e riviste saranno i più esposti alla concorrenza dei media via internet. Un fatto è certo: il totale degli introiti derivanti dalla pubblicità commerciale in Italia scende nel 2008 da 8 miliardi e 172 milioni di euro a 7 miliardi e 978 milioni, secondo dati di Nielsen Media Research, azienda specializzata nel monitoraggio degli investimenti pubblicitari. Il che ha spinto gli operatori della comunicazione commerciale a interrogarsi, alla ricerca di soluzioni possibili e realizzabili nei prossimi anni. Dice ancora Lorenzo Sassoli di Upa: «La sfida è quella di riuscire a cogliere umori e valori dei consumatori per realizzare l’incrocio perfetto tra esposizione ai mezzi e consumi, nella consapevolezza che oggi la stessa persona che guarda uno spot, scrive della mia marca su un blog e riceve un mio invito sul cellulare».

L’incognita web. Eccola, allora tutta intera l’esplicitazione della “quarta crisi”, quella che lega pubblicità e informazione: la spasmodica ricerca di un nuovo paradigma tra informazione e pubblicità che perpetui la società dei consumi, oltre la crisi dei consumi. Se questo è il pensiero di chi spende i soldi per la pubblicità nell’informazione, emblematica è la sinergia del ragionamento con chi sta sperimentando, per altro con successo, forme alternative di informazione sul web. Arianna Huffington, co-fondatrice ed editrice dell’Huffington Post, attualmente il sito più famoso d’America, lei, indicata da Time tra i 100 personaggi più influenti degli Stati Uniti, partecipando al Summit della pubblicità, organizzato appunto da Upa ha tracciato tre tendenze in atto: a) i giovani vivono online; b) di crescente importanza è la fase d’ascolto del proprio pubblico da parte di ogni testata giornalistica; c) centrali i contenuti generati dagli utenti. In particolare, secondo Arianna Huffington, intervistata da Kara Swisher del Wall Street Journal, il futuro vedrà giornali, TV e internet alimentarsi a vicenda.

La domanda è: è pronto il mercato italiano a questo profondo cambiamento? «Questo è il momento della transizione, ovvero il peggiore. Gli editori si ritrovano con un vecchio apparato dai costi sproporzionati alle diffusioni e alla raccolta pubblicitaria», ha detto Marco Benedetto, che ha appena fondato blitzquotidiano.it, sito emulo di Haffington Post.
Forse la quarta crisi è solo un momento di transizione verso la convergenza di stampa, tv e internet. Oppure, come per la crisi ambientale, la crisi energetica e la crisi finanziario-economica, anche la crisi del rapporto tra pubblicità e informazione è una crisi strutturale, che rimanda alle contraddizioni della società dei consumi.

Per dirla come la dice Zygmunt Bauman «in veste di compratori siamo stati adeguatamente preparati dagli uomini di marketing e dai copywriter pubblicitari a svolgere il ruolo di soggetto: finzione vissuta come verità di vita, parte recitata come “vita reale” che col passare del tempo spinge da parte la vera vita reale, privandola di ogni possibilità di ritorno» (“Consumo, dunque sono”, Editori Laterza, Roma-Bari 2009). Il che fa pensare che dalla “quarta crisi” non si esce solo riorganizzando il sistema dei media, perché sia più flessibile alle esigenze della comunicazione commerciale. Ma ripensando il ruolo del cittadino-consumatore, nei nuovi scenari sociali nei quali ci troveremo a vivere, quando le crisi attuali avranno portato a termine l’opera di sconvolgimento che stanno provocando. «Assistiamo alla selezione della specie – ha detto Enrico Finzi, presidente di Astra Ricerche, una delle più importanti aziende italiane di ricerche di mercato -. Ma la crisi comporta anche la nascita di una società parzialmente nuova dove ci saranno più professionalità, integrazione, e una comunicazione più veritiera e creativa». E’ probabile che all’interno delle aziende, il marketing ingloberà la comunicazione perché produzione, ricerca, distribuzione, comunicazione e politiche di prezzo saranno più variegati e avranno una regia centralizzata. Dice ancora Finzi: «Avremo quindi “markettari” con una forte competenza di comunicazione, ma non avremo più due funzioni distaccate. La regia dei registi sarà all’interno dell’azienda, la regia della realizzazione esternalizzata, ma con forte controllo dell’azienda».
E’ probabile che le cose vadano così, vale a dire che alla fine le aziende saranno più forti e decisioniste nei processi di comunicazione commerciale e che di conseguenza i media diventeranno perfettamente compatibili a queste nuove regole. Fosse questa la via d’uscita, significherebbe rimandare ancora la madre di tutte le questioni: chi è al centro del processo di comunicazione, l’azienda che produce o il cittadino che consuma?

Si dovrà per forza di cose verificare l’amara profezia di Zygmunt Bauman, secondo cui «consumiamo ogni giorno senza pensare, senza accorgerci che il consumo sta consumando noi e la sostanza dei nostri desideri. E’ una guerra silenziosa, e la stiamo perdendo?». (“Consumo, dunque sono”, Editori Laterza, Roma-Bari 2009).
Ai “posters” l’ardua sentenza, come ha detto una volta Pasquale Barbella, uno dei più brillanti copywriter della pubblicità italiana. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La brutta stagione della carta stampata.

da blitzquitidiano.it
Sembra ormai un bollettino di ospedale durante un’epidemia. In America chiudono giornali importanti, il New York Times prevede ancora chiusure, alcuni hanno abbandonato la carta, optando per l’on line only.

Leggendo dell’America, e non solo per i giornali, bisogna fare attenzione alle abissali differenze, sia nella flessibilità della forza lavoro, cioè la possibilità di licenziamento; sia nella crisi, che da loro ha preso una piega molto più brutta, ameno per ora, che da noi.

Molti dei giornali che chiudono sono giornali della sera, travolti non solo dal crollo della pubblicità ma anche dal cambiamento delle abitudini di vita degli americani che vivono fuori dei grandi centri urbani (causa la smisurata offerta tv degli ultimi anni); da noi i giornali della sera hanno chiuso da decenni.

Ora c’è anche chi parla di affidare i giornali in fondazioni. L’ex direttore del Wall Street Journal, Paul Steiger, ha trovato finanziatori per un suo sito dedicato al reporting investigativo, uno dei tipi di giornalismo messi più a rischio dal crollo dei ricavi e quindi delle disponibilità economiche dei giornali per investire nel prodotto.

Sono idee molto affascinanti. C’è da dubitare che in Italia possano funzionare delle fondazioni che controllano dei giornali, specie se il capitale è pubblico o si tratta di una fondazione con diversi finanziatori.

In Europa c’è un modello che funziona, quello della fondazione che controlla il quotidiano inglese the Guardian. Ma la fondazione, costituita negli anni trenta da un ricco industriale di Manchester per impedire che i suoi eredi vendessero il giornale, con tutti i vantaggi fiscali connessi, è un’istituzione privatissima, dove comandano solo i discendenti del fondatore, non entrano altri padroni e meno che mai i partiti.

In Italia una legge speciale per l’editoria prevede particolari vantaggi per fondazioni che posseggano giornali. Ma non si tratta di iniziative destinate a stare sul mercato, bensì a far affluire soldi pubblici in modo diverso. (Beh, buona giornata).

FONTI INFORMATIVE
new york times
the american

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: “Il problema non è che i giornali non sono più attraenti per i loro lettori, è che non sono più capaci di trasformare quell’interesse in ricavi.”

da blitzquitidiano.it
Il futuro dell’informazione, e dei giornali in particolare, è molto cupo e, se non saranno capaci di sviluppare un modello a pagamento, cosa sulla cui possibilità ormai ci sono forti dubbi, il loro destino è affidato ai sussidi statali o a fondazioni benefiche.

La tesi è esposta con un lungo articolo, molto ben scritto e argomentato, da James V. DeLong, vice presidente e analista senior del Convergence Law Institute. Il saggio è stato pubblicato da American.com, versione on line del magazine American. È stato proposto in Italia dal sito Wittgenstein in cui si criticavano, con una certa veemenza, i concetti espressi da Marco Benedetto, direttore di Blitzquotidiano.it, in un’intervista al Sole 24 Ore. Su DeLong Wittgenstein ha ragione.

L’analisi è pienamente condivisibile, anche se bisogna sempre tenere presente il fatto che il mercato dei quotidiani in America presenta caratteristiche molto diverse dall’Italia. Dice infatti DeLong: è vero che la diffusione ha raggiunto nel 1984 un picco di 63,3 milioni di copie e da allora è stato, continuo calo, fino ai 54 milioni del 2007, ma di quel calo, 20,4 milioni di copie sono venuti da giornali della sera, uccisi dalle notizie in tv (e forse, viene da aggiungere, da qualcosa di più: il fatto che lo smisurato aumento dell’offerta televisiva portato dalla tv via cavo ha profondamente cambiato le abitudini serali degli americani).

Nello stesso periodo, continua DeLong, la diffusione dei quotidiani del mattino è dalita a 44,5 milioni di copie nel 2007 dai 35,7 del 1984.

Anche sul fronte della pubblicità le cose non sono andate così male nel ventennio, anche se il fatturato complessivo dei giornali è raddoppiato mentre il mercato è triplicato. Ma, si può aggiungere, quando il mercato cresce, tutti sono contenti di crescere, anche se gli altri crescono di più.

Qui il terreno dell’analisi in cui si avventura DeLong è più complesso, perché passa per la crescita del materiale prodotto dai giornali in uno sforzo continuo di rappresentare un’offerta alternativa alla tv e soprattutto per una serie di passaggi di mano dei pacchetti di controllo, che hanno portato, a prezzi fuori del mondo, alla formazione di mega gruppi editoriali e all’uscita di scena delle vecchie famiglie proprietarie, ultimi i Bancroft del Wall Street Journal. Resistono ancora i Sulzberger del New York Times, ma per quanto?

L’effetto di questi fattori estranei alla intrinseca natura del giornale porta i un primo momento DeLong a affermare che, se uno guarda allo stato patrimoniale dei giornali depurandolo di voci non peculiari all’attività editoriale, come l’ammortamento dei vari goowill, e trasformando i debiti in capitale attraverso la purga del fallimento, un futuro appare possibile, una volta che i giornali siano stati ricostruiti come un’operazione combinata fra carta e internet.

Il problema non è che i giornali non sono più attraenti per i loro lettori, è che non sono più capaci di trasformare quell’interesse in ricavi.

Per tutte queste ragioni, si può prevedere che dei giornali che ci sono oggi pochi ci saranno ancora in futuro. A meno che, sostiene DeLong, non siano capaci di reinventare un modello economico che ridia valora ai contenuti, così come, fino a poco tempo fa, nessuno obiettava sul fatto che che leggere un giornale lo si dovess comprare. (Beh, buona giornata).

FONTI INFORMATIVE
American.com
Wittgenstein

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La stampa italiana ai tempi della quarta crisi, quella dell’informazione.

di Peter Gomez – da voglioscendere.ilcannocchiale.it

Brutti, conformisti, omertosi e per molti versi inutili. Non è un bel periodo quello che stanno vivendo i giornali italiani. Travolti dalla crisi economica, che riduce anche del 40 per cento gli introiti pubblicitari, i quotidiani annaspano e, dopo essere sopravvissuti per anni drogando i dati di vendita e di diffusione, si trovano di fronte a un bivio: o chiudere, o tentare di far passare la nottata espellendo centinaia di giornalisti e riducendo, di molto, i costi.

La soluzione, insomma, è la solita: la cura da cavallo. Solo che questa volta tagliare le spese e cercare di innovarsi almeno un po’ investendo nell’on-line non basta. O meglio, può bastare solo per allungare un’agonia cominciata nel 2000, ben prima dell’esplosione della bolla finanziaria.
Che fare, allora? Ricominciare dai fondamentali: ricordarsi cioè che un giornale trova dei lettori quando è in grado di raccontare loro (con autorevolezza) qualcosa che non sanno. Solo così ci saranno persone disposte a comprarlo.

Se devo pagare per avere delle informazioni (e delle opinioni) è ovvio che pretenda di avere informazioni (e opinioni) diverse da quelle che posso avere gratuitamente dalla tv, dalla free press o dalla rete.

Nessuno, o quasi, tra gli attempati manager e direttori che siedono ai vertici della maggioranza delle testate italiane sembra però in grado di capirlo. Raccontare cose diverse vuol dire infatti faticare molto, rompere schemi mentali, abitudini consolidate e, soprattutto, andare contro corrente. Vuol dire cioè non rinunciare a raccontare il Potere, un Potere di cui anche molti editori,direttori e giornalisti fanno parte, o dal quale attendono qualcosa.

Pensate a ciò che sta accadendo in questi mesi. Le aziende editoriali per salvarsi sperano di ottenere degli aiuti dal Governo. A Palazzo Chigi si studiano diverse soluzioni: dalla cassa integrazione, fino agli scivoli per i prepensionamenti pagati non dagli editori, ma dagli enti previdenziali. Non è ancora chiaro che cosa verrà deciso. È chiaro invece che cosa accade nell’informazione: si viaggia sotto traccia, si sta tranquilli, si cerca di non irritare troppo il manovratore.

Un esempio? Marco Lillo da le colonne de “L’espresso” racconta, dati segreti alla mano, come solo Publitalia riesca a non risentire della crisi della pubblicità. Gli investitori infatti, per tenersi buono Berlusconi, tendono a dirottare sulle sue reti le loro campagne. È una notizia, non vi pare? E lo dovrebbe essere anche per i grandi giornali che la pubblicità non riescono più a trovarla. E invece Lillo scrive e tutti gli altri tacciono. O al massimo registrano e non commentano. Pensano, così, di potersi salvare, poverini. Contano su un occhio di riguardo. E sempre più soli, con sempre meno lettori, corrono veloci e a schiena curva, verso la fine che si meritano. La chiusura. (Beh, buona giornata).

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