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Attualità democrazia

Spiacenti caro Pannella, non ci freghi più.

Marco Pannella rivendica giustamente il diritto a una campagna elettorale che non oscuri i radicali e tutte le forze minori in campagna elettorale. Lo fa alla sua maniera, lo sciopero della fame. Con la quale forma estrema va puntualmente in tv a dire che a lui in tv non lo invitano mai. Ormai è una rubrica, puntuale ad ogni elezione. Va bene, è giusto, dobbiamo appoggiarti.

A meno che non ci dobbiamo ricordare dei Capezzone, Vito, Taradasch, Della Vedova, Roccella, Quagliarello. A parte Rutelli, ci dimentiamo qualcun’altro uscito dalla tua scuola? Cioè: noi appoggiamo il diritto dei radicali e loro partoriscono dei mostri? Stavolta lascerei perdere: Giacinto detto Marco, stavolta saltiamo un turno. Tu fa pure lo sciopero della fame, noi lo sciopero dei rospi da mandare giù. Beh, buona giornata.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Per uscire dalla quarta crisi Murdoch ha deciso di far pagare le news su internet. Gli editori italiani ci stanno facendo un pensierino.

di G.Bal.-sole24ore.com
L’era delle news online come commodity gratuita è finita. «Finalmente i grandi editori hanno capito che non tutto può essere gratis», dice Andrea Riffeser Monti, a.d. del gruppo Poligrafici Editoriale. Il dibattito sul futuro della stampa su internet è partito con l’annuncio del magnate Rupert Murdoch: «In futuro i giornali online si pagheranno».

Una riflessione continuata giovedì sulle pagine del Sole 24 Ore con l’intervento del presidente del gruppo L’Espresso, Carlo De Benedetti che ha sottolineato come per i giornali esista «certamente uno spazio per conquistare utenti web disposti a pagare i contenuti giornalistici». A patto però che siano contenuti ad «elevato tasso di esclusività e di valore aggiunto », un aspetto che mette in prima fila i giornali di settore, dallo sport all’economia, e locali, perché più legati al territorio. In serata poi la presa di posizione di Google. Dopo aver riflettuto sulla possibilità di entrare nel capitale del New York Times, il gruppo ha annunciato di voler abbandonare le ambizioni editoriali e l’a.d. Eric Schmidt ha confessato a Financial Times di essere scettico sulle proposte di Murdoch. Di certo la questione sarà all’ordine del giorno del convegno “Crescere tra le righe” (al via oggi a Borgo La Bagnaia in provincia di Siena) organizzato dall’Osservatorio Permanente Giovani-Editori, guidato da Andrea Ceccherini. Il futuro dell’editoria online sarà uno dei punti centrali della relazione d’apertura del presidente Ceccherini, così come in quelle di Giancarlo Cerutti e Claudio Calabi, presidente e a.d. del Gruppo 24 Ore, e di Maurizio Costa, a.d. di Mondadori.

«La prospettiva è complicata, bisogna capire come fare», spiega Alessandro Zegler, a.d. di Athesis, il gruppo editoriale dei quotidiani locali L’Arena, Il Giornale di Vicenza e BresciaOggi, che aggiunge: «Abbiamo lavorato molto per essere pronti al grande passo, ma si devono trovare le giuste modalità. Finora abbiamo scoperto che tra i nostri lettori c’è una bassa sovrapposizione tra carta e online». Scommette sui giornali locali anche Repubblica che ha lanciato,solo su internet, l’edizione di Parma non disponibile in cartaceo: «Con l’abbonamento – spiega il gruppo –si può accedere ai contenuti premium, dall’archivio storico al giornale in formato pdf», una formula proposta anche da Athesis, ma che – almeno per il momento – non raccoglie molti consensi: «Gli abbonati online – dice Zegler – sono alcune centinaia, per lo più studi professionali ». Più scettico il d.g. di Avvenire, Paolo Nusiner che dice: «La chiave di volta è il consumatore, dobbiamo assecondare i nostri lettori». A dicembre il gruppo editoriale ha terminato il restyling del sito, «ma non abbiamo ancora una linea definita».

Sul futuro dell’informazione su internet si divide anche il Parlamento. Per Maurizio Gasparri (Pdl) «alcuni contenuti internet saranno a pagamento, ma ci sarà sempre una grande offerta free»; così l’ex premier Massimo D’Alema (Pd): «Dato che i giornalisti andranno sempre pagati, forse bisognerà pagare i giornali online, soprattutto se dobbiamo pensare che il cartaceo tenderà a scomparire ». Assolutamente contrario Massimo Donadi (Idv): «La libera circolazione delle notizia è un’enorme ricchezza». «Di certo –dice l’a.d.di Microsoft Italia, Pietro Scott Jovane – non si può cambiare di punto in bianco senza offrire qualcosa di diverso, di nuovo e di speciale ». Un ragionamento condiviso da Riffeser Monti che parla di una transizione lunga almeno 3- 4 anni durante la quale si lavorerà a contenuti speciali, «ma finché non si muoveranno i grandi gruppi internazionali – conclude – non cambierà nulla». (G.Bal.)

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Attualità democrazia

L’Observer di Londra:”Per essere un uomo che controlla quasi metà delle stazioni televisive italiane, Silvio Berlusconi è diventato insolitamente preoccupato dalle attività di un singolo giornale quotidiano”.

di ENRICO FRANCESCHINI-repubblica.it
LONDRA – “Per essere un uomo che controlla quasi metà delle stazioni televisive italiane, Silvio Berlusconi è diventato insolitamente preoccupato dalle attività di un singolo giornale quotidiano”. Comincia così il lungo articolo pubblicato oggi dall’Observer, in pratica l’edizione domenicale del Guardian di Londra, sul presidente del Consiglio italiano e il suo rifiuto di rispondere alle dieci domande che gli sono state poste da “la Repubblica”. Titolo a tutta pagina: “Come le ‘vergognose domande’ di un giornale”, citazione tra virgolette del modo in cui le ha definite il premier, “hanno innervosito Berlusconi”. (Beh, buona giornata).

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Attualità

Il premier ha deciso: faccio campagna elettorale per le europee. Allarme sondaggi?

AGI-Roma, 21:21

EUROPEE: BERLUSCONI, VOTO A PICCOLI SPRECATO; A PD E’ AL BUIO
Silvio Berlusconi, dagli schermi di E’Tv, fa un appello ai cittadini a votare per il Pdl alle elezioni europee di giugno. Perche’, spiega, se il Pdl otterra’ molti consensi potra’ “incidere sulle decisioni” assunte a Bruxelles. Quindi, “serve un voto compatto per il Pdl – insiste – mentre tutti i voti dati ai piccoli partiti sono voti sprecati perche’ non raggiungeranno lo sbarramento del 4%”. Ma non bisogna votare nemmeno la sinistra, “perche’ i voti a sinistra sono voti al buio” in quanto “la sinistra e’ divisa su tutto, e’ senza una guida e senza un programma”. E poi, “la dice tutta il fatto che il Pd non ha nemmeno ancora deciso in quale gruppo si siedera’. Quindi, ha gia’ deciso che non contera’ nulla in Europa”. Per questo, ribadisce Berlusconi, “anche il voto a sinistra non avra’ seguito, non arrivera’ a difendere gli interessi degli italiani”.(Beh, buona giornata).

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Lavoro Leggi e diritto

Italia 2009: un morto sul lavoro ogni 7 ore.

http://tv.repubblica.it/copertina/morti-sul-lavoro-spot-shock/33053?video

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Società e costume Sport

A Berlusconi non gliene va bene una.”Sono anni che compri bidoni e figurine, quest’anno chi compri … le veline?”

Nel giorno della festa di Maldini, settantamila persone con una sciarpa celebrativa in mano, lo stadio di San Siro ha messo in scena anche una contestazione alla società e a Berlusconi, arrivato allo stadio proprio per festeggiare l’addio al Meazza del capitano rossonero. Ma ha trovato un clima molto diverso da quello che si aspettava. Dal secondo anello della curva sud dello stadio, dove risiede il tifo ultrà rossonero, sono arrivati anche fischi indirizzati alla società e al presidente del Milan. E soprattutto sono stati esposti pesanti striscion di contestazione. Il più pesante questo: “Sono anni che compri bidoni e figurine, quest’anno chi compri … le veline?”. Beh, buona giornata.

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Attualità Popoli e politiche

Roma capitale del razzismo. Complimenti al Sindaco.

di Beatrice Picchi-ilmessaggero.it
ROMA (24 maggio) – La signora coi capelli bianchi e due nipoti che giocano a calcio sulla terra di Villa Gordiani ha già trovato i colpevoli dell’aggressione dell’altra notte: «Dei cretini. E pure razzisti, chissà se a casa qualcuno gli ha mai spiegato che il futuro sarà vivere tutti insieme, e tutti di tante culture». L’odore di cipolla e zenzero si mescola a quello di pizza e di pane cotti al forno. C’è fila davanti a una gelateria a pochi metri del parco: un cono al limone sulla panchina di un sabato pomeriggio che sembra già estate, la città un po’ più silenziosa. La voce del bengalese Bachu arriva tra i palazzi di Roma, ma quasi nessuno sa del raid razzista avvenuto sotto le loro case al grido: «Andate via, bastardi». «E allora la festa non la fanno più?»,

No signora, il Capodanno bengalese sarà festeggiato proprio qui. Eppoi tante altre volte il parco ha ospitato i festeggiamenti della comunità, nemmeno un mese fa gli anziano del circolo bocciofilo ricorda di odore di fritto e musica tra quegli alberi. «E menomale, perché gli indiani, i bengalesi, insomma quelli asiatici sono tanti, è vero, ma sono pacifici». «Qui lavorano soprattutto nei negozi di frutta e verdura, ma anche piccoli negozi di alimentari pieni di spezie e di colori». «Sa cosa mi dice sempre mia nonna: una, due, dieci formiche non danno fastidio a nessuno, a quando ne arrivano a centinaia allora si prende l’insetticida… Io sono sposato da cinque anni con una polacca, abbiamo due figlie meravigliose, ma quando gli extracomunitari sono tanti l’integrazione si fa più difficile e le istituzioni dovrebbero aiutare tutti».

Sono circa ventimila i bengalesi che vivono e lavorano a Roma, per la maggior parte uomini, spesso le donne li raggiungono dopo qualche anno e qui cominciano a crescere figli e nipoti. Il corteo organizzato dalla comunità bengalese Dhuum attraversa piazza Agosta, via Sabaudia, via Alatri, via Olevano Romano. Lo striscione bianco scritto con lo spray rosso lavoratori italiani e immigrati uniti contro il razzismo apre il corteo e occupa tutto il marciapiede, i funzionari della polizia li seguono da lontano.

«Siamo stati costretti dal comune a organizzare la festa a villa Gordiani – urla al megafono Bachu – volevamo il parco di Centocelle. Ma la loro strategia è quella di metterci in un luogo vicino alle case per dare a voi residenti l’idea che noi immigrati siamo rumorosi e roviniamo il verde, ma noi siamo con voi, non siamo nemici. Vi invitiamo a partecipare alla nostra festa». Gli anziani si affacciano alle finestre e la festa comincia. Perché il Capodanno sarebbe dovuta iniziare oggi e proseguire per altri nove giorni, ma i gazebo sono già stati montati eppoi la carne, le verdure, e il riso è già tutto sui furgoni, «mica ci faremo fermare da quei razzisti», dice Bachu. «E’ tornato anche Monsi, uno dei ragazzi aggrediti, ha dormito qualche ora a casa, ma ora siamo di nuovo tutti insieme. La paura si combatte anche così».

Qualche brace accesa, lo striscione del corteo è steso sotto i platani, sui tavolini sono già serviti riso, limone e spezie, «ora così arriveranno anche quelli della Asl. Lo sa che abbiamo già subito undici processi per questo Capodanno? E non so quanti soldi spesi per pagare multe e bollette. Ma alle altre feste perché fila sempre tutto liscio? – racconta il leader dell’associazione Dhuumcat che è un fiume in piena – perché questa è l’ennesima aggressione e ora siamo pronti a difenderci da soli». Villa Gordiani è già piena, il raid sembra lontano, alcuni giovani continuano a distribuire i volantini che raccontano dell’aggressione, dei diritti dei lavoratori immigrati, del razzismo che cresce e fa paura. Un anziano del circolo bocciofilo si ferma davanti a un gazebo per comprare a un euro «questo strano cartoccio di carne e spezie. Però, è buono». (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: sciopero delle maestranze Mediaset, ma nessuno lo dice.

Mediaset in sciopero bella notizia (oscurata)-il manifesto.it

Udite udite. E diffondete. Forse è l’unico modo per permettere a questa notizia di raggiungere più orecchie possibile: i lavoratori di Mediaset sono in sciopero. Difendono i loro salari e chiedono che vengano ripristinate le “normali relazioni sindacali”. Ma oggi devono prima di tutto lottare contro il silenzio. La loro astensione dal lavoro, infatti, sembra non interessare a nessuno.

Di loro non parlano neanche le agenzie di stampa. Paradossale ma vero: accade “qualcosa” – qualcosa di inedito, c’è da dire – nella più grande azienda di comunicazione italiana, e i protagonisti faticano a bucare lo schermo. Ma tant’è, a Berluscolandia.
I fatti: Cgil, Cisl e Uil hanno indetto per oggi uno sciopero dei lavoratori della Videotime di Roma. La Videotime è la società licenziataria di Mediaset-Rti che lavora nei centri di produzione “Palatino” e “Elios”. Qui vengono registrati programmi molto seguiti: dal Tg5 a Matrix a Forum. I lavoratori della Videotime si occupano anche del programma “Uomini e Donne” di Maria De Filippi, che però viene registrato a Cinecittà. Si tratta dei tecnici, della parte di produzione, dei parrucchieri, dei truccatori, dei sarti. Insomma, di tutto il personale che serve per mettere in piedi un programma.

Ebbene, dall’anno scorso sono tempi di magra. Mediaset dice di essere in crisi (ricavi netti nell’anno 2008: +9%, utile netto: +14,3%) e per questo stringe la cinghia: niente più diaria per gli esterni, fermi i passaggi di livello, diminuzione dei premi di produzione, azzeramento della politica retributiva. Questo è quanto denunciano i sindacati: “Un esempio – spiega Roberto Crescentini, delegato fistel-Cisl della Rsu di Videotime – sabato registriamo Matrix. I lavoratori hanno chiesto di lavorare in straordinario. Ma l’azienda ha chiesto ai parrucchieri solo quattro ore di lavoro, e non sette. Alla domanda: perché? La risposta è stata: l’azienda è in crisi. Figurarsi – dice Crescentini – noi siamo i primi a non voler affossare l’azienda e a capire che è in corso una grave crisi economica e finanziaria. Ma Mediaset è in crisi?”. La domanda è pertinente, visto che, racconta Crescentini: “Alla puntata di Forum in cui era ospite Barbara D’Urso, Mediaset ha pagato un parrucchiere 1.300 euro. Come anche viene pagato tutti i giorni un parrucchiere per la conduttrice Rita Dalla Chiesa, ad un prezzo che ci pare esorbitante, visto il momento: 700 euro”. Insomma, dicono i lavoratori, se bisogna fare sacrifici che li facciano tutti.

Secondo il dato dei sidnacati lo sciopero è andato benissimo: l’adesione ha sfiorato il tetto del 95%. Ultima chicca: il Comitato di redazione del Tg5 ha inviato un comunicato di solidarietà ai lavoratori di Videotime. Il comunicato, a quanto pare, doveva essere letto durante l’edizione odierna. Ma è stato stoppato. Ci sono notizie più importanti. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

“Berlusconi mente nelle vicende private come in quelle pubbliche.”

“Berlusconi mente nelle vicende private come in quelle pubbliche. Questo non è accettabile. Decideranno
gli italiani se a loro questo comportamento piace o no. Nei paesi civili, di solito, un presidente del Consiglio che mente non piace agli elettori…”. Massimo D’Alema dixit. Beh, buona giornata.

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democrazia

C’è chi paragona Berlusconi a Chavez. Ma il ddl di iniziativa popolare ha tutta l’aria di un coniglietto dal cilindro, per distogliere l’attenzione sui casi Mills e Noemi.

Berlusconi e l’appello al popolo sulla testa del parlamento. Una deriva populista, da comunista alla Chavez-blitzquotidiano.it

I siti internet di Repubblica e del Corriere della Sera hanno aperto la loro edizione domenicale con una notizia uguale: l’intervoista di Silvio Berlusconiu a una radio commerciale in cui rilancia la sua idea di una legge di iniziativa popolare che ridurre il numero dei parlamentari e aumentare i poteri del primo ministro. Un po’ è per polemica col suo vice politico Gianfranco Fini, un po’ però ci crede davvero.

Leggendo l’intervista nel contesto di una serie di altre dichiarazioni molto aggressive nei confronti di giornali e magistratura vengono i brividi e viene anche da pensare a un paese dell’America Latina dove Berlusconi potrebbe avere trovato un modello: il Venezuela di Hugo Chavez. Chavez, non dimentichiamolo, è un dittatore di matrice comunista che basa il suo potere su un rapporto diretto e quasi viscerale col popolo.

Il paragone è impressionante. (Beh, buona giornata).

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Attualità Società e costume

Il padre della fanciulla che chiama papi il premier annuncia querele.

Il padre di Noemi annuncia la querela “Il racconto di Flaminio è diffamatorio”-repubblica.it

ROMA – Benedetto Elio Letizia, padre di Noemi, annuncia, in un comunicato dettato all’agenzia Ansa dal suo legale, l’avvocato Giulio Costanzo, la decisione di querelare Repubblica e l’ex fidanzato della figlia Gino Flaminio. Il giovane nell’intervista rilasciata a Repubblica racconta come il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha conosciuto Noemi.

Secondo Letizia, “il racconto reso dal signor Flaminio, apparso oggi sul quotidiano la Repubblica e relativo a mia figlia Noemi, è gravemente diffamatorio, perché le attribuisce cose mai fatte nè dette nè pensate. Ciò che si legge è un nuovo momento di mera notorietà che il quotidiano la Repubblica, strumentalizzando, ha voluto concedere al signor Flaminio, a danno nuovamente dell’immagine di mia figlia Noemi”.

“Ovvio – conclude Letizia – che il signor Flaminio, nonché il quotidiano la Repubblica, dovranno rispondere di tutto in tribunale. Abbiamo già chiesto, infatti, ai nostri legali di redigere e sporgere querela. Naturalmente saranno chiamati a rispondere anche tutti coloro che dovessero riprendere in tutto o in parte questa incredibile narrazione”. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Società e costume

L’intervista all’ex fidanzato della fanciulla che chiama papi il premier: un colpo durissimo al consenso in vista delle elezioni.

Parla Gino, l’ex fidanzato della ragazza di Portici. La prima telefonata del Cavaliere: “Sono colpito dal tuo viso angelico”. “Così papi Berlusconi entrò nella vita di Noemi” di GIUSEPPE D’AVANZO e CONCHITA SANNINO-la Repubblica

NAPOLI – Il 14 maggio Repubblica ha rivolto al presidente del consiglio dieci domande che apparivano necessarie dinanzi alle incoerenze di un “caso politico”. Veronica Lario, infatti, ha proposto all’opinione pubblica e alle élites dirigenti del Paese due affermazioni e una domanda che hanno rimosso dal discreto perimetro privato un “affare di famiglia” per farne “affare pubblico”. Le due, allarmanti certezze della moglie del premier – lo ricordiamo – descrivono i comportamenti del presidente del Consiglio: “Mio marito frequenta minorenni”; “Mio marito non sta bene”.

Al contrario, la domanda posta dalla signora Lario – se ne può convenire – è crudamente politica e mostra le pratiche del “potere” di Silvio Berlusconi, pericolosamente degradate quando a rappresentare la sovranità popolare vengono chiamate “veline” senza altro merito che un bell’aspetto e l’amicizia con il premier, legami nati non si sa quando, non si sa come. “Ciarpame politico” dice la moglie del premier.
Silvio Berlusconi non ha ritenuto di rispondere ad alcuna delle domande di Repubblica.

E, dopo dieci giorni, Repubblica prova qui a offrire qualche traccia e testimonianza per risolvere almeno alcuni dei quesiti proposti. Per farlo bisogna raggiungere Napoli, una piccola fabbrica di corso San Giovanni e poi un appartamento, allegramente affollato di amici, nel popolare quartiere del Vasto a ridosso dei grattacieli del Centro Direzionale. Sono i luoghi di vita e di lavoro di Gino Flaminio.

Gino, 22 anni, operaio, una passione per la kickboxing, è stato per sedici mesi (dal 28 agosto del 2007 al 10 gennaio del 2009) l'”amore” di Noemi Letizia, la minorenne di cui il premier ha voluto festeggiare il diciottesimo anno in un ristorante di Casoria, il 26 aprile. Gino e Noemi si sono divisi, per quel breve, intenso, felice periodo le ore, i sogni, il fiato, le promesse. “Quando non dormivo da lei a Portici – è capitato una ventina di volte – o quando lei non dormiva qui da me, il sabato che non lavoravo mi tiravo su alle sei del mattino per portarle la colazione a letto; poi l’accompagnavo a scuola e ci tornavo poi per riportarla indietro con la mia Yamaha. Lei qualche volta veniva a prendermi in fabbrica, la sera, quando poteva”.

Gino Flaminio è in grado di dire quando e come Silvio Berlusconi è entrato nella vita di Noemi. Come quel “miracolo” (così Gino definisce l’inatteso irrompere del premier) ha cambiato – di Noemi – la vita, i desideri, le ambizioni e più tangibilmente anche il corpo, il volto, le labbra, gli zigomi; in una parola, dice Gino, “i valori”. Il ragazzo può raccontare come quell’ospite inaspettato dal nome così importante che faceva paura anche soltanto a pronunciarlo nel piccolo mondo di gente che duramente si fatica la giornata e un piatto caldo, ha deviato anche la sua di vita. Quieto come chi si è ormai pacificato con quanto è avvenuto, Gino ricorda: “Mi è stato quasi subito chiaro che tra me e la mia memi non poteva andare avanti. Era come pretendere che Britney Spears stesse con il macellaio giù all’angolo…”.

È utile ricordare, a questo punto, che il primo degli enigmi del “caso politico” è proprio questo: come Berlusconi ha conosciuto Noemi, la sua famiglia, il padre Benedetto “Elio” Letizia, la madre Anna Palumbo?
A Berlusconi è capitato di essere inequivocabile con la Stampa (4 maggio): “Io sono amico del padre, punto e basta. Lo giuro!”. Con France2 (6 maggio), il capo del governo è stato ancora più definitivo. Ricordando l’antica amicizia di natura politica con il padre Elio, Berlusconi chiarisce: “Ho avuto l’occasione di conoscere [Noemi] tramite i suoi genitori. Questo è tutto”.

Un affetto che il presidente del consiglio ha ripetuto ancor più recentemente quando ha presentato Noemi “in società”, per così dire, durante la cena che il governo ha offerto alle “grandi firme” del made in Italy a Villa Madama, il 19 novembre 2008: “È la figlia di miei cari amici di Napoli, è qui a Roma per uno stage” (Repubblica, 21 maggio). All’antico vincolo politico, accenna anche la madre di Noemi, Anna: “[Berlusconi] ha conosciuto mio marito ai tempi del partito socialista”.

Berlusconi, qualche giorno dopo (e prima di essere smentito da Bobo Craxi), conferma. “[Elio] lo conosco da anni, è un vecchio socialista ed era l’autista di Craxi”. (Ansa, 29 aprile, ore 16,34). Più evasiva Noemi: “[Di come è nato il contatto familiare] non ricordo i particolari, queste cose ai miei genitori non le ho chieste”. (Repubblica, 29 aprile). Decisamente inafferrabile e chiuso come un riccio, il padre Elio (ha rifiutato di prendere visione di quest’ultima ricostruzione di Repubblica). Chiedono a Letizia: ci spiega come ha conosciuto Berlusconi? “Non ho alcuna intenzione di farlo” (Oggi, 13 maggio).

Gino ascolta questa noiosa tiritera con un sorriso storto sulle labbra, che non si sa se definire avvilito o sardonico. C’è un attimo di silenzio nella stanza al Vasto, un silenzio lungo, pesante come d’ovatta, rispettato dagli amici che gli stanno accanto; dalla sorella Arianna; dal padre Antonio; dalla madre Anna. È un silenzio che si fa opprimente in quella cucina, fino a un attimo prima rumorosa di risate e grida. La madre, Anna, si incarica di spezzarlo: “Quando un giorno Gino tornò a casa e mi disse che Noemi aveva conosciuto Berlusconi, lo presi in giro, non volli chiedergli nemmeno perché e per come. Mi sembrava ridicolo. Berlusconi dalle nostre parti? E che ci faceva, Berlusconi qui? Ripetevo a Gino: Berlusconi, Berlusconi! (gonfia le guance con sarcasmo). Un po’ ne ridevo, mi sembrava una buffonata di ragazzi”.

Gino la guarda, l’ascolta paziente e finalmente si decide a raccontare:
“I genitori di Noemi non c’entrano niente. Il legame era proprio con lei. È nato tra Berlusconi e Noemi. Mai Noemi mi ha detto che lui, papi Silvio parlava di politica con suo padre, Elio. Non mi risulta proprio. Mai, assolutamente. Vi dico come è cominciata questa storia e dovete sapere che almeno per l’inizio – perché poi quattro, cinque volte ho ascoltato anch’io le telefonate – vi dirò quel che mi ha raccontato Noemi. Il rapporto tra Noemi e il presidente comincia più o meno intorno all’ottobre 2008. Noemi mi ha raccontato di aver fatto alcune foto per un “book” di moda. Lo aveva consegnato a un’agenzia romana, importante – no, il nome non me lo ricordo – di quelle che fanno lavorare le modelle, le ballerine, insomma le agenzie a cui si devono rivolgere le ragazze che vogliono fare spettacolo. Noemi mi dice che, in quell’agenzia di Roma, va Emilio Fede e si porta via questi “book”, mica soltanto quello di Noemi. Non lo so, forse gli servono per i casting delle meteorine. Il fatto è – ripeto, è quello che mi dice Noemi – che, proprio quel giorno, Emilio Fede è a pranzo o a cena – non me lo ricordo – da Berlusconi. Finisce che Fede dimentica quelle foto sul tavolo del presidente. È così che Berlusconi chiama Noemi. Quattro, cinque mesi dopo che il “book” era nelle mani dell’agenzia, dice Noemi. È stato un miracolo, dico sempre. Dunque, dice Noemi che Berlusconi la chiama al telefono. Proprio lui, direttamente. Nessuna segretaria. Nessun centralino. Lui, direttamente. Era pomeriggio, le cinque o le sei del pomeriggio, Noemi stava studiando. Berlusconi le dice che ha visto le foto; le dice che è stato colpito dal suo “viso angelico”, dalla sua “purezza”; le dice che deve conservarsi così com’è, “pura”. Questa fu la prima telefonata, io non c’ero e vi sto dicendo quel che poi mi riferì Noemi, ma le credo. Le cose andarono così perché in altre occasioni io c’ero e Noemi, così per gioco o per convincermi che davvero parlava con Berlusconi, m’allungava il cellulare all’orecchio e anch’io sentii dalla sua voce quella cosa della “purezza”, della “faccia d’angelo”. E poi, una volta, ha aggiunto un’altra cosa del tipo: “Sei una ragazza divina”. Berlusconi, all’inizio, non ha detto a Noemi chi era. In quella prima telefonata, le ha fatto tante domande: quanti anni hai, cosa ti piacerebbe fare, che cosa fanno tua madre e tuo padre? Studi? Che scuola fai? Una lunga telefonata. Ma normale, tranquilla. E poi, quando Noemi si è decisa a chiedergli: “Scusi, ma con tutte queste domande, lei chi è?”, lui prima le ha risposto: “Se te lo dico, non ci credi”. E poi: “Ma non si sente chi sono?”. Quando Noemi me lo raccontò, vi dico la verità, io non ci credevo. Poi, quando ho sentito le altre telefonate e ho potuto ascoltare la sua voce, proprio la sua, di Berlusconi, come potevo non crederci? Noemi mi diceva che era sempre il presidente a chiamarla. Poi, non so se chiamava anche di suo, non me lo diceva e io non lo so. Lei al telefono lo chiamava papi tranquillamente. Anche davanti a me. Magari stavamo insieme, Noemi rispondeva, diceva papi e io capivo che si trattava del presidente. Quando ho assistito ad alcune telefonate tra Berlusconi e Noemi, ho pensato che fosse un rapporto come tra padre e figlia. Una sera, Emilio Fede e Berlusconi – insieme – hanno chiamato Noemi. Lo so perché ero accanto a lei, in auto. Ora non saprei dire perché il presidente le ha passato Emilio Fede, non lo so. Pensai che Fede dovesse preparare dei “provini” per le meteorine, quelle robe lì”. (Ieri, a tarda sera, durante Studio Aperto, Fede ha affermato di aver conosciuto la nonna di Noemi. Repubblica ha chiesto a Gino se, in qualche occasione, Noemi avesse fatto cenno a questa circostanza. “Mai, assolutamente”, è stata la risposta del ragazzo).

“Comunque, quella sera, sentii prima la voce del presidente e poi quella di Emilio Fede – continua Gino – Non voglio essere frainteso o creare confusione in questa tarantella, da cui voglio star lontano. Nelle telefonate che ho sentito io, Berlusconi aveva con Noemi un atteggiamento paterno. Le chiedeva come era andata a scuola, se studiava con impegno, questa roba qui. Io però ho cominciato a fuggire da questa situazione. Non mi piaceva. Non mi piaceva più tutto l’andazzo. Non vedevo più le cose alla luce del giorno, come piacevano a me. Mi sentivo il macellaio giù all’angolo che si era fidanzato con Britney Spears. Come potevo pensare di farcela? Gliel’ho detto a Noemi: questo mondo non mi piace, non credo che da quelle parti ci sia una grande pulizia o rispetto. Mi dispiaceva dirglielo perché io so che Noemi è una ragazza sana, ancora infantile che non si separa mai dal suo orsacchiotto, piccolo, blu, con una croce al collo, “il suo teddy”. Una ragazza tranquilla, semplice, con dei valori. Con i miei stessi valori, almeno fino a un certo punto della nostra storia”.

Intorno a Gino, questo racconto devono averlo già sentito più d’una volta perché ora che il ragazzo ha deciso di raccontare a degli estranei la storia, la tensione è caduta come se la famiglia, i vicini di casa, gli amici già l’avessero sentita in altre occasioni o magari a spizzichi e bocconi. C’è chi si distrae, chi parlotta d’altro, chi parla al telefono, chi si prepara a uscire per il venerdì notte. Gino sembra non accorgersene. Non perde il filo e a tratti pare ricordare, ancora una volta, a se stesso come sono andate le cose.

“Ho cominciato a distaccarmi da Noemi già a dicembre. Però la cosa che proprio non ho mandato giù è stata la lunga vacanza di Capodanno in Sardegna, nella villa di lui. Noemi me lo disse a dicembre che papi l’aveva invitata là. Mi disse: “Posso portare un’amica, un’amica qualunque, non gli importa. Ci saranno altre ragazze”. E lei si è portata Roberta. E poi è rimasta con Roberta per tutto il periodo. Io le ho fatto capire che non mi faceva piacere, ma lei da quell’orecchio non ci sentiva. Così è partita verso il 26-27 dicembre ed è ritornata verso il 4-5 gennaio. Quando è tornata mi ha raccontato tante cose. Che Berlusconi l’aveva trattata bene, a lei e alle amiche. Hanno scherzato, hanno riso… C’erano tante ragazze. Tra trenta e quaranta. Le ragazze alloggiavano in questi bungalow che stavano nel parco. E nel bungalow di Noemi erano in quattro: oltre a lei e a Roberta, c’erano le “gemelline”, ma voi sapete chi sono queste “gemelline”? Penso anche che lei mi abbia detto tante bugie. Lei dice che Berlusconi era stato con loro solo la notte di Capodanno. Vi dico la verità, io non ci credo. Sono successe cose troppo strane. Io chiamavo Noemi sul cellulare e non mi rispondeva mai. Provavo e riprovavo, poi alla fine mi arrendevo e chiamavo Roberta, la sua amica, e diventavo pazzo quando Roberta mi diceva: no, non te la posso passare, è di là – di là dove? – o sta mangiando: e allora?, dicevo io, ma non c’era risposta. Per quella vacanza di fine anno, i genitori accompagnarono Noemi a Roma. Noemi e Roberta si fermarono prima in una villa lì, come mi dissero poi, e fecero in tempo a vedere davanti a quella villa tanta gente – giornalisti, fotografi? – , poi le misero sull’aereo privato del presidente insieme alle altre ragazze, per quello che mi ha detto Noemi… Al ritorno, Noemi non è stata più la mia Noemi, la mia alicella (acciuga, ndr), la ragazza semplice che amavo, la ragazza che non si vergognava di venirmi a prendere alla sera al capannone. A gennaio ci siamo lasciati. Eravamo andati insieme, prima di Natale, a prenotare per la sua festa di compleanno il ristorante “Villa Santa Chiara” a Casoria, la “sala Miami” – lo avevo suggerito io – e già ci si aspettava una “sorpresa” di Berlusconi, ma nessuno credeva che la sorpresa fosse proprio lui, Berlusconi in carne e ossa. Ci siamo lasciati a gennaio e alla festa non ci sono andato. L’ho incontrata qualche altra volta, per riprendermi un oggetto di poco prezzo ma, per me, di gran valore che era rimasto nelle sue mani. Abbiamo avuto il tempo, un’altra volta, di avere un colloquio un po’ brusco. Le ho restituito quasi tutte le lettere e le foto. Le ho restituito tutto – ho conservato poche cose, questa lettera che mi scrisse prima di Natale, qualche foto – perché non volevo che lei e la sua famiglia pensassero che, diventata Noemi Sophia Loren, io potessi sputtanarla. Oggi ho la mia vita, la mia Manuela, il mio lavoro, mille euro al mese e va bene così ché non mi manca niente. Certo, leggo di questo nuovo fidanzato di Noemi, come si chiama?, che non s’era mai visto da nessuna parte anche se dice di conoscerla da due anni e penso che Noemi stia dicendo un sacco di bugie. Quante bugie mi avrà detto sui viaggi. A me diceva che andava a Roma sempre con la madre. Per dire, per quella cena del 19 novembre 2008 a Villa Madama mi raccontò: “Siamo stati a cena con il presidente, io, papà e mamma allo stesso tavolo”. Non c’erano i genitori seduti a quel tavolo? Allora mi ha detto un’altra balla. Quella sera le sono stati regalati una collana e un bracciale, ma non di grosso valore. E il presidente ha fatto un regalo anche a sua madre. Sento tante bugie, sì, e comunque sono fatti di Noemi, dei suoi genitori, di Berlusconi, io che c’entro?”.

Le parole di Gino Flaminio appaiono genuine, confortate dalle foto, dalla memoria degli amici (che hanno le immagini di Noemi e Gino sui loro computer), da qualche lettera, dai ricordi dei vicini e dei genitori, ma soprattutto dall’ostinazione con cui il ragazzo per settimane si è nascosto diventando una presenza invisibile nella vita di Noemi. Repubblica lo ha rintracciato con fatica, molta pazienza e tanta fortuna nella fabbrica di corso San Giovanni dove tutti i suoi compagni di lavoro conoscono Noemi, la storia dell’amore perduto di Gino. Compagni di lavoro che – fino alla fine – hanno provato a proteggerlo: “Gino? E chi è ‘sto Gino Flaminio?” e Gino se ne stava nascosto dietro un muro.

La testimonianza del ragazzo consente di liquidare almeno cinque domande dalla lista di dieci che abbiamo proposto al capo del governo. La ricostruzione di Gino permette di giungere a un primo esito: Silvio Berlusconi ha mentito all’opinione pubblica in ogni passaggio delle sue interviste. Nei giorni scorsi, come quando disse a France2 di aver “avuto l’occasione di conoscere [Noemi] tramite i suoi genitori”. O ancora ieri a Radio Montecarlo dove ha sostenuto di essersi addirittura “divertito a dire alla famiglia, di cui sono amico da molti anni, che non desse risposte su quella che è stata la nostra frequentazione in questi anni”. Come di cartapesta è la scena – del tutto artefatta – disegnata dalle testate (Chi) della berlusconiana Mondadori.

Il fatto è che Berlusconi non ha mai conosciuto Elio Letizia né negli “anni passati”, né negli “ambienti socialisti”. Mai Berlusconi ha discusso con Elio Letizia di politica e tantomeno delle candidature delle Europee (Porta a porta, 5 maggio). Berlusconi ha conosciuto Noemi. Le ha telefonato direttamente, dopo averne ammirato le foto e aver letto il numero di cellulare su un “book” lasciatogli da Emilio Fede. Poi, nel corso del tempo, l’ha invitata a Roma, in Sardegna, a Milano.
Le evidenti falsità, diffuse dal premier, gli sarebbero costate nel mondo anglosassone, se non una richiesta di impeachment, concrete difficoltà politiche e istituzionali. Nell’Italia assuefatta di oggi, quella menzogna gli vale un’altra domanda: perché è stato costretto a mentire? Che cosa lo costringe a negare ciò che è evidente? È vero, come sostiene Noemi, che Berlusconi ha promesso o le ha lasciato credere di poter favorire la sua carriera nello spettacolo o, in alternativa, l’accesso alla scena politica (Corriere del Mezzogiorno, 28 aprile)? Dieci giorni dopo, ci sono altre ragionevoli certezze. È confermato quel che Veronica Lario ha rivelato a Repubblica (3 maggio): il premier “frequenta minorenni”. Noemi, nell’ottobre del 2008, quando riceve la prima, improvvisa telefonata di Berlusconi ha diciassette anni, come Roberta, l’amica che l’ha accompagnata a Villa Certosa. La circostanza rinnova l’ultima domanda: quali sono le condizioni di salute del presidente del Consiglio? (Beh, buona giornata).

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La crisi economica, il convitato di pietra delle elezioni europee.

DOVE MORDE LA CRISI IN EUROPA di Jean Pisani-Ferry -lavoce.info
Col passare dei mesi la crisi nata negli Stati Uniti è diventata sempre più europea. Basta guardare i dati. Eppure, le risposte sono scarse, come se si faticasse a prendere coscienza dell’enormità del disastro. Gli Stati Uniti hanno intrapreso un programma di rilancio dell’economia che per ampiezza supera di gran lunga i piani europei. In gioco c’è la credibilità dell’Unione Europea. Le elezioni per il Parlamento europeo avrebbero potuto essere la buona occasione per un dibattito approfondito su molti temi cruciali. Peccato non sia stata colta in nessun paese.

Diciotto mesi fa, la crisi nata dai mutui subprime sembrava essere solo americana e si discuteva degli effetti che avrebbe avuto sul resto del mondo. Ma, col passare dei mesi, è divenuta sempre più europea. Basta osservare alcuni dati.

UN CONFRONTO DI DATI

1. La produzione industriale è diminuita, rispetto ai massimi livelli raggiunti, del 18 per cento nella zona euro contro il 13 per cento negli Usa. Nell’aprile 2008, il Fmi prevedeva, per il 2009, un tasso di crescita dello 0,6 negli Stati Uniti e dell’1,2 nella zona euro. Oggi, prevede un calo del Pil del 2,8 negli Usa e del 4,2 in Europa. Altre previsioni sono dello stesso tenore. Anche se gli indicatori avanzati suggeriscono che la ripresa è prossima in Francia, in Italia e nel Regno Unito, la recessione rischia di essere più forte in Europa.

2. Nell’ambito della zona euro, Spagna e Irlanda sono alle prese con una depressione immobiliare che, nel caso dell’Irlanda, è ulteriormente aggravata dal tracollo bancario. L’anno prossimo il tasso di disoccupazione spagnolo toccherà il 20 per cento. I tassi di interesse sui titoli di Stato, che fino all’anno scorso erano ovunque quasi gli stessi, sono ora molto diversi gli uni dagli altri. La Grecia, conosciuta per la sua negligenza in fatto di finanze pubbliche, e l’Irlanda, il cui debito pubblico triplicherà in tre anni, chiedono prestiti a due punti percentuali di tasso di interesse in più rispetto alla Germania.In queste condizioni, non c’è più solo da chiedersi se possa avvenire una crisi finanziaria in uno Stato della zona euro, ma di chi – tra Fmi e i suoi partner – potrà soccorrerlo al bisogno

3. L’Europa centrale e orientale vive una violenta crisi, probabilmente della stessa portata di quella asiatica del 1998. A parte la Polonia, che probabilmente soffrirà solo di una moderata recessione, gli altri Stati della regione, la cui crescita si basava principalmente sul risparmio straniero, sono colpiti in pieno dal mancato afflusso di capitali esteri. I paesi baltici, quest’anno, vedranno una caduta della produzione del 10 per cento, l’Ungheria e la Romania del 5 per cento. La Lettonia, seguendo il programma del Fmi, si è impegnata a ridurre i salari e la spesa pubblica, con intervento rispetto al quale la politica deflazionistica di Laval – nella Francia degli anni Trenta – era all’acqua di ros

4. Il Fmi ha appeno rivisto le sue stime sulle perdite delle banche e sulla necessità di capitali freschi. Stima che, nel periodo 2007-2010, le banche europee (zona euro e Gran Bretagna) subiranno perdite per 1.200 miliardi di dollari dei loro attivi, contro i 1.050 negli Stati Uniti. Ma soprattuto, rispetto a questo ammontare, le banche europee hanno accertato a oggi perdite per 260 miliardi di dollari (meno di un quarto) contro i 510 miliardi degli Stati Uniti. Le banche europee, dunque, dovrebbero ricapitalizzare per 500 miliardi di dollari, quelle statunitensi per 275 miliardi. In poche parole, le banche europeee hanno ancora due terzi del cammino di fronte a loro, mentre quelle americane sono sono già a metà strada. Alcuni ministeri del Tesoro europei contestano tali cifre, ma non hanno finora saputo darne altre. Del resto quello che le valutazioni dell’Fmi sottolineano è proprio la totale assenza di valutazioni comuni sulla situazione, da parte degli europei. I mercati finanziari ne hanno ovviamente tratto le conseguenze: i titoli delle banche europee sono scesi in borsa molto più di quelli delle banche americane.

Tutti questi fattori sono, del resto, interdipendenti. Se l’Europa va peggio degli Stati Uniti, ciò dipende sia dal fatto di essere maggiormente esposta al commercio mondiale, sia dal fatto che alla crisi mondiale si aggiungono le sue crisi interne, sia infine dalla brutta situazione delle sue banche. Se l’Europa dell’Est è in crisi è perché i suoi sbocchi europei si sono chiusi e le banche occidentali non le fanno più credito. Se l’Austria è in allarme per le sue banche, dipende dalla sua forte esposizione in Europa centrale. E così via. La difficoltà consiste non nello sbrogliare la matassa delle cause, cosa in fondo facile, bensì nel trovare risposte e soluzioni.

MANCANO LE RISPOSTE

Tuttavia, le risposte europee sono scarse, come se si faticasse a prendere coscienza dell’enormità del disastro. Gli Stati Uniti hanno intrapreso un programma di rilancio dell’economia su due anni, la cui ampiezza supera di gran lunga i piani europei, anche tenendo conto della differenza di misura dei sistemi pubblici e dei loro effetti di stabizzazione automatica. La Federal Reserve americana, da parte sua, ha azzerato i tassi di interesse e si è lanciata in un programma d’acquisto di attivi finanziari pubblici e privati. In Europa, ci si muove con maggiore cautela e in maniera esitante, sia da parte degli Stati, sia da parte della Bce, che ha abbassato i suoi tassi col contagocce ed è solo parzialmente impegnata nelle operazioni di “alleggerimento quantitativo”. Persino nel settore in cui la sua politica è meno convincente, vale a dire quello della crisi bancaria, Barack Obama ha perlomeno sottoposto tutte le grandi banche al medesimo stress test. In Europa, ogni paese si affanna a dichiarare che le proprie banche sono in condizioni migliori di quelle degli Stati vicini.

Difficile spiegare questa differenza di atteggiamento. Infatti, non solo in Europa la congiuntura è più negativa e il bisogno di capitali da parte delle banche più forte, ma l’economia è assai più dipendente dal settore bancario. Per ogni dieci euro di indebitamento delle aziende non-finanziarie, nove euro sono rappresentati da prestiti bancari nella zona euro, contro i sette del Regno Unito e i sei degli Stati Uniti. In altri termini, molte aziende americane riescono ad aggirare un sistema bancario deficitario, emettendo titoli di debito sul mercato dei capitali (anche a costo che sia la Fed stessa ad acquistare quei titoli), mentre in Europa, soprattutto nella zona euro, ciò è permesso solo alle grandi aziende.

UNA SFIDA ESISTENZIALE

Sostanzialmente, l’Unione Europea è sottoposta a una sfida esistenziale, sfida che invece non si pone per gli Stati Uniti. Sono in gioco infatti sia la sua credibilità in quanto istituzione sia quella coesione costruita con un faticoso processo di integrazione.

È in gioco la sua credibilità, perché è proprio in situazioni come queste che i cittadini valutano la qualità di un sistema politico. Gli europei si ricorderanno sicuramente, per decenni, ciò che avranno appreso durante questa crisi acuta e il loro atteggiamento futuro nei confronti dell’istituzione dipenderà da come essa ha reagito. Ora, se è vero che nell’ottobre 2008, di fronte al rischio di crollo del sistema finanziario, i paesi della zona euro e la Gran Bretagna si sono coordinatiper fornire una risposta comune e che qualche settimana più tardi, con il pericolo incombente della recessione, hanno convenuto di lanciare programmi comuni di risanamento finanziario, è anche vero che l’attuazione dei programmi è stata a dir poco disomogenea. In generale, resta il dubbio se un sistema edificato per tempi “di pace”sia altrettanto valido per quelli “di guerra”. Come è chiaro dal Patto di Stabilità stesso, il sistema di governo europeo si basa proprio sull’idea che una politica comune prudente serva a evitare le crisi, ma non prevede una capacità istituzionale di gestirle, qualora sopravvengano.

Persino due pilastri dell’integrazione europea, quali il mercato unico e l’allargamento ad altri Stati membri, ne risultano scossi. Come ha detto Charles Goodhart, sappiamo adesso che le banche “vivono globali, ma muoiono nazionali”, perché solo gli Stati-nazione possiedono i mezzi per intervenire, onde evitare il loro fallimento. E quando gli Stati forniscono il loro appoggio alle banche, si aspettano in contropartita che esse concedano crediti alle famiglie e alle aziende nazionali, non a quelle dei paesi vicini. Ciò mina le fondamenta di un mercato unico costruito sull’ipotesi che le banche del futuro ignorino le frontiere. Per quanto riguarda l’allargamento dell’Unione, se ne rimette in questione l’opportunità per via della battuta d’arresto di un modello di crescita che, in molti paesi dell’Est, si basava sulla domanda di capitali esteri per finanziare gli investimenti. Ma la richiesta di sicurezza che oggigiorno si è impossessata dei mercati internazionali dei capitali minaccia la stabilità dei nuovi paesi membri e fa dubitare che, in un prossimo futuro, possano convergere ai livelli di benessere dei paesi occidentali. Come risposta, l’Unione ha incrementato le risorse disponibili per il sostegno finanziario dell’Europa centro-orientale, ma è contraria a intraprendere strategie regionali ed esita sull’allargamento della zona euro.

La posta in gioco è quindi altissima. Tuttavia, con una presidenza attualmente tenuta da un paese in cui è caduto il governo e una Commissione che presa tra i due fuochi del Trattato attuale e quello in corso di ratifica, termina il suo mandato senza sapere quando sarà sostituita, la guida dell’Unione Europea è semi-vacante.Quanto alle elezioni per il Parlamento europeo, che avrebbero potuto essere la buona occasione per dibattere su tutti questi problemi, si presentano come un avvenimento di debole intensità politica. È un vero peccato. Il 2009 passerà alla storia come l’anno delle occasioni perdute? (Beh, buona giornata).

Traduzione dal francese di Daniela Crocco

* Il testo in lingua originale è pubblicato su Telos.

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: è vero che Google voleva comprare il New York Times.

Google voleva comprare il New York Times, parola di Ceo di Gianni Rusconi -sole24ore.com

Non erano speculazioni ma indiscrezioni fondate. Quando nei mesi scorsi i media americani parlavano spesso e volentieri delle intenzioni di Google di investire direttamente nell’editoria non stavano arrampicandosi alla notizia dell’anno. Che il gigante dei motori di ricerca stesse realmente valutando l’opportunità di acquisire una grande quotidiano – il nome più gettonato era il New York Times – l’ha confessato in una lunga intervista al Financial Times il Ceo della società di Mountain View, Eric Schmidt. L’ammissione è stata però accompagnata da un’importante precisazione: Google, oggi, non è più interessata ad investire in alcun media cartaceo per via dei rischi collegati a un’operazione particolarmente dispendiosa. Niente acquisti e nemmeno l’ipotesi di una quota azionaria (per la storica testata si vociferava una possibile cessione del 20% del pacchetto azionario, offerto dal fondo Harbinger Capital Partners) dunque. Il mestiere della compagnia, ha detto in sostanza Schmidt, è quello di sviluppare e vendere tecnologia e non contenuti e quanto al rapporto con i grandi editori (che vivono una fase di grande difficoltà) le collaborazioni sono le benvenute con l’unico obiettivo di fare funzionare bene la pubblicità sui siti Web di questi ultimi (con il Washington Post e altri la partnership è già avviata da tempo).

Arrivata quindi l’ufficiale conferma del passo indietro, molto analisti si sono chiesti cosa sarebbe potuto cambiare per Google se avesse portati avanti il progetto di scalata al New York Times. Non è stata infatti la casa californiana a contribuire alla picchiata delle vendite delle copie stampate dei più grandi giornali d’America? Buttarsi nel mercato dei contenuti, oltretutto con un modello non profit (Google.org, avrebbe sconfessato la missione tecnologica della società e sconvolto i già precari equilibri del settore media? Sarebbe stata solo un’azione speculativa, dettata dalla possibilità di accaparrarsi “a prezzi di saldo”, una quota importante di uno dei giornali più importanti del mondo? O una precisa strategia per fare il botto nell’advertising on line?
Domande a cui ora non ha più senso dare risposte. Google rimane al suo (in fluentissimo) posto e Schmidt pure. Al Financial Times il top manager, che è membro del team economico voluto da Barak Obama, ha confermato che non correrà per un ruolo politico, perché “non c’è una seconda vita dopo Google…”. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Lavoro

Fiat-Opel, Marchionne scopre difficoltà politiche: “Forse ci avrebbe pensato prima, se non fosse stato un po’ troppo coccolato dal silenzio e dalla acquiescenza di politici e sindacati italiani. Morale, la mancanza di dissenso fa male, non solo alla democrazia. Fa proprio male e basta.”

Fiat, Opel e l’auto europea. Una occasione perduta sul calcolo elettorale
di Marco Benedetto-blitzquotidiano.it

Sergio Marchionne, dopo avere risollevato la Fiat dall’abisso in cui era precipitata alcuni anni fa (come sempre la sconfitta è orfana) ha giocato due carte ambiziose e coerenti con un ragionamento strategico semplice e fondamentale: un’azienda che produce poco più di un milione di auto all’anno e perde quote di anche nel suo mercato di casa non può andare molto distante.

L’idea non è nuova, perché la perseguì il grande risanatore (in condizioni politico – ambientali molto peggiori di Marchionne) della Fiat, Vittorio Ghidella. Quella volta il discorso era con la Ford. Finì male, per le divergenze tra i vertici della Fiat che si manifestarono allora. Ma il concetto è sempre quello.

Marchionne ha giocato con coraggio, abilità e una durezza poco italiane. Con una carta, quella americana, ha vinto; con l’altra, quella tedesca, appare di ora in ora sempre meno probabile che ce la faccia. Lo stesso Marchionne ha cominciato realisticamente a ricooscere le difficoltà del percorso che ha davanti.

Non c’è nulla che sorprenda nella divergente evoluzione sui due lati dell’Atlantico, anzi, in un certo senso, sono speculari nelle ragioni che ne sono alla base. In entrmbi i casi, c’è da dire, che i governi americano e tedesco hanno agito secondo una pura logica elettorale, del tipo: navigazione a vista, senza alcun riguardo per l’interesse di più lungo respiro dell’industria dell’auto nei due continenti.

Il presidente americano Barack Obama ha scelto Fiat come partner per Chrysler per le stesse ragioni per le quali qalla fine i politici tedeschi sceglieranno Magna: perchè le due scelte sono quelle che costano meno in termini occupazionali. Obama include nella sua base elettorale i lavoratori dell’auto, che si era parzialmente alienato all’inizio della vicenda General Motors e Chrysler per l’approccio troppo in stile Wall Street dei suoi interventi pubblici in materia. La logica industriale, l’interesse di lungo periodo dell’America portavano a una fusione tra GM e Chrysler, con la nascita di un gigante americano capace di competere da pari con i giapponesi. Ha scelto gli italiani, perché limitate, al di là dei discorsi, sono le sinergie possibili, soprattutto quelle che possono portare a tagli di occupazione a Detroit e dintorni. Questo in futuro potrebbe portare a interrogarsi, parlando in italiano, sulla convenienza per Fiat dell’operazione senza gli altri elementi del puzzle disegnato da Marchionne.

Obama avrebbe forse potuto seguire un’altra linea, quella di compensare i tagli all’occupazione derivanti dal colosso dell’auto all- american con interventi di aiuto sociale, versione americana della casaa integrazione o del prepensionamento. Ci sono i precedenti. Quando agli inizi degli anni ‘80 i giornali passarono alle nuove tecnologie di composizione “a freddo”, ottennero il consenso alla drastica riduzione di organici che ne conseguiva garantendo l’impiego a vita ai lavoratori in esubero. Ma i giornali lo fecero con i propri denari, scommettendo sullo sviluppo che ne sarebbe venuto.

L’industria dell’auto americana, però, è in fallimento e non può quindi finanziare garanzie ai lavoratori; né lo può lo Stato, perché i soldi, e sono tanti, servono anche per altre emergenze e l’emergenza più grossa, secondo il governo americano, è garantire la salvezza del sistema bancario. Di qui la necessità per Obama di trovare qualcuno che, per un complesso di ragioni, anche industrali, potesse prestarsi al gioco.

Le stesse identiche ragioni sono quelle che muovono Angela Merkel, cancelliere tedesco, e i suoi colleghi, di destra come di sinistra. La crisi è profonda, c’è da rimettere in moto tutta l’industria tedesca, a cominciare dall’ex Germania dell’est che è un po’ come il Meridione per l’Italia del dopoguerra, non ci sono soldi per garantire il posto di lavoro ai lavoratori dell’auto, che sono certamente una minioranza privilegiata nella classe operaia tedesca. Con l’aggravante che, mentre Obama è di sinistra e interventi di tipo sociale possono trovare collocazione nella sua ideologia, la Merkel è anche di destra e fin dall’inizio della crisi Opel, mesi fa, ha sempre detto che a salvare la casa automobilistica non ci pensava nemmeno (salvare la Opel con intervento pubblico avrebbe avuto poi un’altra conseguenza: quella di aiutare un azionista americano, essendo Opel posseduta da GM).

Nel caso di Opel, la strada proposta da Marchionne era quella giusta, se si voleva ragionare in termini di interesse europeo complessivo: sarebbe nato un colossetto dell’auto, che avrebbe fatto fare ad entrambe le case quel salto di dimensione di cui hanno disperatamente bisogno). Certo ci sarebbero stati forti tagli all’occupazione e infatti i primi in Germania a schierarsi contro la proposta Fiat sono stati i sindacati.

Poi i dubbi hanno guadagnato momento in Italia come in Germania. Data la situazione delle finanze pubbliche dei due paesi, non si poteva nemmeno pensare, non parlare, di contributi o interventi sociali. E poi ci sono le elezioni: e non a caso ai sindacati tedeschi si sono accodati i politici, in Germania tutti, in Italia quelli al governo. Finalmente anche i sindacati italiani, prima troppo impegnati a fare politica e a scimmiottare Berlusconi sul palcoscenico dell’Abruzzo, hanno parlato.

E qui viene una considerazione: senza volere ridurre il valore di Marchionne, nessuno che fosse in età adulta e consapevole negli anni di piombo, prima della svolta impressa alla Fiat e all’Italia dalla gestione di Ghidella, può ignorare le diverse condizioni ambientali in cui operò il management Fiat negli anni ‘70 e quelle in cui opera adesso (vero è che nei vent’anni dopo Ghidella, pur operando in una condizione di strapotere rispetto al sindacato, la gestione della Fiat non impedì che l’azienda scivolasse nel precipizio).

In Italia, però, la posizione di politici e sindacati può essere solo difensiva. Il pallino in mano ce l’hanno i tedeschi: il Governo centrale, le varie regioni che pesano molto più che da noi, essendo la Germania un vero stato federale fin dal 1870, e i sindacati, il cui peso è maggiore che in Italia perché sono organici alla gestione delle imprese.

E qui entra in scena Magna, l’alternativa a Fiat: è un’azienda di componentistica, non produce auto, le sinergie possibili sono minime. Ai politici interessa il consenso, perché il consenso si traduce in voti; e i politici tedeschi non fanno eccezione. La loro scelta era scritta nel muro. Marchionne ha combattuto a testa bassa, con la determinazione di chi crede, con ragione, alla bontà del suo progetto. Ma venerdì sera ha cominciato a guardare in faccia la realtà, riconoscendo che si tratta di una partita complessa e che in Germania ci sono le elezioni, che possono influire sulle scelte. L’onestà di queste parole fa onore a Marchionne. Forse ci avrebbe pensato prima, se non fosse stato un po’ troppo coccolato dal silenzio e dalla acquiescenza di politici e sindacati italiani. Morale, la mancanza di dissenso fa male, non solo alla democrazia. Fa proprio male e basta. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Scuola

I soldi finti del governo: la scuola.

di SALVO INTRAVAIA-repubblica.it

Per salvare la scuola pubblica dalla bancarotta i genitori devono mettere mano al portafogli. Più di 250 dirigenti scolastici dell’Asal (l’Associazione scuole autonome del Lazio) hanno consegnato ai genitori una lettera sulla “grave situazione finanziaria”. Faremo “di tutto per garantire il diritto allo studio e, nello stesso tempo, il contenimento della spesa – scrivono – Ma nelle attuali condizioni le due cose non sono più conciliabili e diventa indispensabile il versamento del contributo deliberato dal Consiglio d’istituto per contribuire alla sopravvivenza”. Insomma: senza l’intervento dei genitori la scuola pubblica si ferma. “Non è una situazione nuova – spiega Paolo Mazzoli, presidente dell’Asal – ma ora è diventata grave e, per il prossimo anno, è giusto che l’opinione pubblica conosca la realtà”.

La situazione è critica ovunque. Le scuole italiane, in questi cinque mesi del 2009, non hanno ricevuto neppure un centesimo per le cosiddette spese di Funzionamento didattico-amministrativo (toner, fotocopie, cancelleria, detersivi), i fondi per le supplenze sono stati ridotti del 40 per cento e per le visite fiscali, obbligatorie col decreto Brunetta anche per un giorno d’assenza, non ci sono fondi. Mancano, inoltre, i soldi per i corsi di recupero estivi nella scuola superiore che coinvolgeranno mezzo milione di studenti. Finora, gli istituti hanno tamponato con i cosiddetti residui di bilancio che sono presto svaniti. “Le scuole – segnala Francesco Scrima, leader della Cisl scuola – vantano un credito nei confronti dello Stato per un miliardo di euro”. Dal 2007 il budget per le supplenze è stato ridotto di 250 milioni. E da ottobre le scuole sono costrette ad richiedere, e pagare, alle Asl le visite fiscali anche per un solo giorno di malattia.

“Abbiamo calcolato – spiega Mazzoli – che la spesa complessiva nazionale per pagare i medici di controllo si aggira attorno ai 100 milioni”. Ma non è dato sapere se il calo delle assenze di questi mesi compensa questa spesa aggiuntiva. Così le scuole sono costrette a richiedere “contributi volontari” alle famiglie che oscillano tra i 20 ai 120 euro l’anno. Il ministero sa perfettamente che la scuola sta per crollare sotto il peso dei debiti. Basta vedere le tante interpellanze presentate in aula e in commissione. Le ultime sono del 21 e del 12 maggio, dell’8 aprile e del 5 marzo. Il grido d’allarme arriva dalle scuole di Parma, Piacenza, Settimo milanese, Crema, Bologna, Firenze, Palermo. E qualche settimana prima da Lecco, Ancona, Bergamo e dalla Sardegna. “Istituti costretti ad elemosinare la carta igienica, alunni che restano senza docente per molte ore, forte riduzione del recupero scolastico, annullamento dell’ora alternativa alla Religione, aule chiuse perché inagibili e aumento del rischio”. “Le misure di contenimento della spesa – ha risposto due giorni fa il sottosegretario all’Istruzione, Giuseppe Pizza – hanno comportato, come in altri settori pubblici, una riduzione delle risorse finanziarie determinando le note difficoltà”. (Beh, buona giornata).

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Attualità Finanza - Economia

I soldi finti del governo: terremoto in Abruzzo.

Il sindaco Cialente (Pd): “Tra 15 giorni l’Aquila sarà come Napoli per l’emergenza rifiuti”-da blitzquotidiano.it

«Tra 15 giorni avremo un’emergenza rifiuti come quella napoletana, perché il Comune non ha i soldi per poter pagare l’azienda municipalizzata che si occupa della raccolta». È l’allarme lanciato dal sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, che ha partecipato a un incontro sulla Sanità abruzzese tra il viceministro Ferruccio Fazio e i medici. Sarà emergenza, ha sottolineato Cialente, «anche per il ciclo delle acque, visto che nessuno ovviamente paga più la bolletta. Faremo venire il G8 in questa situazione?».

La situazione finanziaria del Comune, ha ribadito il sindaco, è drammatica: «Non abbiamo più l’entrata dell’Ici, né la Tarsu. Non abbiamo più i soldi. Tra due mesi non potrò più pagare gli stipendi».(Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: segnali di non ripresa.

“Nonostante i piccoli segnali di miglioramento di aprile, le prospettive non cambiano, anche il secondo trimestre si preannuncia molto difficile”, Maurizio Costa, amministratore delegato della Mondadori dixit.

Per far fronte alla crisi, secondo Costa intervenire sui costi è necessario ma non sufficiente, dal momento che gli editori devono confrontarsi allo stesso tempo con la forte flessione degli investimenti pubblicitari e la necessità di cambiare modello di business per l’avvento delle nuove tecnologie. Beh, buona giornata.

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democrazia Media e tecnologia

Le 10 domande di Repubblica:”Nessun altro leader democratico avrebbe potuto ignorare i quesiti su questa amicizia nel modo in cui lo ha fatto Berlusconi”, scrive The Guardian.

“In praise of La Repubblica” (A elogio de la Repubblica) è l’editoriale pubblicato da The Guardian. Ecco il testo.

“Nonostante rumori minacciosi da parte di Silvio Berlusconi, il principale quotidiano italiano di centro-sinistra si è rifiutato di smettere di chiedere risposte alle 10 domande poste al premier circa la sua relazione con una adolescente napoletana, Noemi Letizia. Nessun altro leader democratico avrebbe potuto ignorare i quesiti su questa amicizia nel modo in cui lo ha fatto Berlusconi. La sua spiegazione di come ha conosciuto la famiglia Letizia non regge. Egli non ha spiegato l’affermazione della sua giovane amica sul fatto che il premier le avrebbe aperto la strada in politica o nello show business. Né ci sono state spiegazioni sulle nuove rivelazioni secondo cui la 18enne signorina Letizia è proprietaria di quattro case. Questa è molto più che curiosità della stampa. Sua moglie ha detto che non può più stare con un uomo che “frequenta minorenni” e che egli “non sta bene”. Repubblica ha fatto notare che le dichiarazioni della signorina Letizia sui regali di compleanno ricevuti dall’uomo che lei chiama ‘papi’ lasciano intendere che erano amici da quando lei aveva 15 anni. La stampa rimane una delle poche forze critiche in una società in cui quasi tutti i canali televisivi rispondono a Mr. Berlusconi. Finora, il suo solo gesto per dare spiegazioni è stato di apparire in un talk show il cui ossequioso presentatore gli ha lasciato pronunciare un monologo autogiustificativo. Ma quando un giornalista di Repubblica ha provato a fargli una domanda questa settimana, Mr. Berlusconi ha perso le staffe. “Che diritto ha di fare domande?”, ha gridato. La risposta, in una società democratica, deve essere: “Tutti i diritti del mondo”. Repubblica sta combattendo una battaglia solitaria e merita sostegno”. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Lavoro

Ma quale ottimismo, ma quale fine del peggio: la crisi uccide.

Tra Treviso e Padova, le storie di artigiani e manager travolti dall’incubo della crisi. E che dinanzi alle dure conseguenze hanno preferito togliersi la vita.Terzo imprenditore suicida in Veneto.Ossessionati dal dover licenziare
TREVISO – Temevano di dover licenziare. Per questo si sono uccisi. Sotto il treno, con una corda al collo o un colpo di pistola al cuore: hanno voluto cancellare l’incubo che non sopportavano più. In tre, da ottobre a oggi, tra Treviso e Padova, piccoli imprenditori, artigiani o manager. Dinanzi alll’imperativo di dover cacciare i loro dipendenti travolti dalla crisi economica, hanno preferito scomparire piuttosto che affrontare quello che ai loro occhi era un vero e proprio disonore, un tradimento della fiducia che le maestranze gli avevano concesso.

L’ultima vittima nel Veneto, è un dirigente d’azienda di 43 anni di Villorba, in provincia di Treviso. Stamane si è gettato sotto un treno in viaggio sulla linea Venezia-Bassano del Grappa, a Castello di Godego. A giorni avrebbe dovuto convocare i sindacati per annunciare la cassa integrazione. Non ha lasciato scritti per spiegare il suo gesto il manager, ma chi lo conosce bene non ha dubbi: lo ha ucciso lo stress di queste settimane, le trattative infinite con i rappresentanti sindacali, l’angoscia che la crisi avrebbe annullato l’azienda in cui lavorava.

Come è capitato ieri al titolare di una falegnameria a Lutrano, un paese non lontano da Treviso.
Cinquantotto anni, titolare di un’azienda di famiglia che porta il nome di suo padre e dei suoi fratelli, Walter Ongaro si è impiccato in un capannone della ditta. Era ossessionato dall’idea che la crisi che aveva colpito il settore, lo costringesse a dover lasciare a casa alcuni dei suoi otto dipendenti. Da gennaio gli ordini erano diminuiti e Walter aveva perso il sonno e l’angoscia di non avere alternative ai licenziamenti, lo ha spinto al suicidio.

La depressione per la crisi economica aveva gettato nel baratro anche un altro imprenditore padovano di 60 anni morto il 13 ottobre scorso con un colpo di pistola al petto. Corrado Ossana era preoccupato che qualcuno, con cui aveva contratto debiti, potesse far del male ai suoi figli. Vedovo da tempo, iscritto all’albo dei geometri, era riuscito a costruire un’attività affermata. Ma la crisi di questi mesi aveva peggiorato i suoi affari e dopo una domenica pomeriggio trascorsa chino sui conti che non riusciva più a far quadrare, ha puntato la canna della sua Smith&Wesson calibro 40 contro il cuore, e ha fatto fuoco. (Beh, buona giornata).

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