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L’Ocse dice che il teorema Tremonti è sbagliato. Con buona pace del governo Berlusconi.

L’Ocse: per l’Italia “lunga recessione”, di Galapagos-Il Manifesto

Il giudizio dell’Ocse è da brivido: “L’Italia ha di fronte una profonda e prolungata recessione”. E facendo seguire i numeri alle parole, l’organizzazione parigina – nell’ultimo rapporto dedicato all’Italia – sostiene che quest’anno il Pil crollerà del 5,3% e il tasso di disoccupazione potrebbe salire al 10%. Cifre che peggiorano le previsioni formulate il 31 marzo quando l’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico – di cui sono soci i 30 paesi più industrializzati del mondo – indicò per l’Italia una caduta del Pil del 4,3% e una disoccupazione intorno al 9,2%. Commenta l’Ocse: quello che “ha colpito della recessione italiana è la sua ampiezza”.

Che quasi sicuramente deriva dalla scarsa domanda interna e dalla eccessiva dipendenza della domanda globale in forte caduta come conseguenza della crisi.
Ugualmente negativo il giudizio sull’andamento dei conti pubblici: il deficit pubblico (rispetto al Pil) per quest’anno è prospettato al 6%, accompagnato da una crescita del debito “oltre il 115%”, “vicino al 120% entro la fine” dell’anno prossimo. Un po’ meno pessimista, invece, l’Ocse è sull’andamento del Pil nel 2010: c’è una piccola inversione rispetto alla previsione di fine marzo. Ora per il prossimo anno è prevista una crescita dello 0,4%, invece di una caduta dello 0,4%. Negli ani successivi, invece, “grazie alla relativa solidità dei bilanci delle famiglie e delle imprese, la ripresa potrebbe essere più robusta che altrove”.

Altri dati negativi rigurdano i consumi: nel 2009 accuseranno un calo del 2,4% per restare poi fermi nel 2010. Gli investimenti fissi a fine 2009 crolleranno del 16% (-20,2% per macchinari ed equipaggiamenti) per tornare a crescere di appena l’1,3% nel 2010. Particolarmente negativo anche l’andamento del commercio estero: le esportazioni scenderanno del 21,5% (-0,7% nel 2010) e le importazioni del 20,2% (-0,2% nel 2010).

A fronte di questa situazione, il governo come si comporta? “Il debito italiano è troppo alto per permettere al governo di fare di più” per sostenere la domanda interna, scrive l’Ocse, apprezzando la cautela delle autorità. Ulteriore problema legato al debito pubblico: “Circa 300 miliardi di euro del debito maturano nel 2009″ e dovranno essere rinnovati. E un ammontare simile è previsto per il 2010. Inoltre, il deficit di bilancio necessiterà di nuovi prestiti per 80 miliardi di euro”.

Per l’Ocse il governo nel varare le misure anticrisi ha avuto a disposizione un “limitato spazio di manovra” nel quale si è mosso abbastanza bene. Per il futuro, tuttavia, l’Organizzazione sostiene che “nel lungo periodo la performance economica può essere migliorata con riforme macroeconomiche e strutturali”. E ritiene utili le iniziative che vanno a sostegno dei nuovi disoccupati che mettono in luce “una certa debolezza nel sistema italiano di welfare”, molto sbilanciato nella spesa pensionistica. E sono proprio le pensioni e la sanità le due aree su cui l’intervento del governo è giudicato prioritario da parte dell’Ocse. Perplessità, invece, vengono rinnovate nei confronti delle misure di sostegno all’industria dell’auto, che “rischiano di falsare l’allocazione delle risorse”. Il settore auto – secondo gli esperti di Parigi – non riveste importanza sistemica e anche se le misure adottate hanno stimolato le vendite di auto a breve termine, è poco probabile che un tale sostegno costituisca il miglior utilizzo delle risorse pubbliche. Ma l’Ocse non dice che gli incentivi alla rottamazione in pratica si autofinanziano con le maggiori vendite. Senza contare che una caduta della produzione e delle immatricolazioni sarebbe costata moltissimo in termini di cassa integrazione e licenziamenti nell’indotto.

Per quanto riguarda il sistema bancario, si sottolinea che “le caratteristiche che hanno protetto le nostre banche sono le stesse che ora possono esporle alle conseguenze della recessione”. E avverte che “gli sforzi di ricapitalizzazione devono continuare, preferibilmente attraverso interventi privati, nazionali ed esteri, ma senza escludere il ricorso al capitale pubblico. Nel rapporto è anche scritto che l’esposizione delle banche italiane nell’Europa centrale e dell’Est supera i 140 miliardi di euro alla fine del 2008. L’esposizione italiana nei paesi in via di sviluppo, che includono quelli dell’Est Europa, nel 2007 “era inferiore a quella delle banche di Germania, Francia, Spagna e Olanda”. “In termine assoluti – si legge nel rapporto – le banche italiane sono più esposte verso Polonia, Croazia, Ungheria e Russia”. L’esposizione con la Polonia è di 35 miliardi di euro, quella con la Croazia di 22 miliardi, quella con l’Ungheria di 18 miliardi e quella con la Russia di 16 miliardi.

Non poteva, ovviamente, mancare la reiterazione della richiesta di rilancio delle liberalizzazioni, estendendo ad altri settori (come trasporti e servizi locali) quelle già compiute, per aumentare la concorrenza e migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione. L’Ocse fa un esercizio di quantificazione dei benefici delle liberalizzazioni: se l’Italia adeguasse la sua normativa nei settori non-manifatturieri alla “best practice” internazionale, ricaverebbe un aumento del 14,1% della produttività su 10 anni. Se si limitasse a raggiungere i livelli migliori della Ue il miglioramento sarebbe del 13,7%. Nella simulazione dell’Ocse, l’incremento deriverebbe da un +2,6% nel settore dell’elettricità e del gas, dal 4,9% nel retail e dal 7,4% nei servizi professionali. Sarebbero quindi “benefici elevati”, soprattutto nel caso dei servizi professionali, dove l’attuale contesto normativo è particolarmente “scadente se paragonato a quelli di altri paesi”.

Un capitolo è dedicato al federalismo fiscale, che “potrebbe essere difficile da perseguire”. “È importante che abbia un forte sostegno politico e regionale”. Secondo l’Ocse “una nuova tassa locale, in parte basata sul valore delle proprietà di case, sarebbe altamente desiderabile dal punto di vista del federalismo fiscale”. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Finanza - Economia Lavoro

A Confindustria non piace più il governo Berlusconi.

Confindustria: pil 2009 a -4,9% ripresa “faticosa” nel 2010
Emma Marcegaglia: “Senza un cambiamento strutturale nessuna ripresa per 5 anni”
Confindustria: pil 2009 a -4,9% ripresa “faticosa” nel 2010-Repubblica

Nel 2009 il prodotto interno lordo in Italia si contrarrà del 4,9%. E’ la stima del centro studi di Confindustria che ha tagliato le precedenti previsioni che, a marzo, parlavano di un calo del 3,5%. Un quadro in cui l’occupazione continua a calare. L’economia dovrebbe tornare a crescere dello 0,7% nel 2010 ma la ripresa sarà “ripida” e l’Italia “vi si inerpicherà faticosamente”. Quanto al debito pubblico, crescerà dal 105,7% del pil nel 2008 al 114,7% nel 2009, fino a toccare nel 2010 il 117,5%. Sulla questione interviene anche il presidente Emma Marcegaglia: “Ci sono timidi segnali di ripresa, ma davanti abbiamo mesi molto difficili ed è assolutamente necessario varare le riforme strutturali altrimenti usciremo dalla crisi con un tasso di crescita molto basso e ci vorranno 5 anni per tornare ai livelli di prima”.

Il calo dei consumi. Nel 2009 i consumi si ridurranno dell’1,9%, accelerando il calo dello 0,9% che si è avuto nel 2008. Torneranno a crescere nel 2010 ( 0,7%) grazie a “una maggiore fiducia sostenuta dalla ripresa economica e a un reddito disponibile reale in aumento dell’1,2% dopo la riduzione dell’1,6% subita nel 2009”.

L’uscita dalla crisi. “Indicare ‘exit strategy’ dalla crisi con troppo anticipo – avverte Confindustria – rischia di ottenere l’effetto opposto a quello desiderato di stabilizzazione delle aspettative”.

Allarme occupazione. Nei due anni tra il primo trimestre del 2008 e il primo del 2010, la recessione causerà la perdita di circa un milione di unità di lavoro (tra posti di lavoro e cassa integrazione). Il Centro studi di Confindustria sottolinea che il tasso di disoccupazione arriverà quest’anno all’8,6% e nel 2010 al 9,3%, “livello che non veniva più toccato dal 2000”.

Le mancate riforme. Secondo Confindustria, “lo stato sociale è insostenibile”. Nel presentare i dati, il direttore del Centro studi, Luca Paolazzi, ha rimarcato che “le mancate riforme hanno costi enormi e al contempo offrono gigantesche opportunità: facendo leva su infrastrutture, istruzione, pubblica amministrazione e liberalizzazioni il pil italiano può guadagnare almeno il 30% nei prossimi 20 anni”.

Le “cura” Marcegaglia. Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ribadisce la necessità di agire subito per permettere al paese di tornare a crescere. Gli ambiti da riformare indicati dal numero uno di viale dell’Astronomia sono l’istruzione, le infrastrutture e la giustizia. Ma anche il sistema finanziario necessita di una rivoluzione, dando attuazione al Sace, il fondo di garanzia e la cassa depositi e prestiti, e spingendo sulle liberalizzazioni: “Ci sono ancora interi settori dove il mercato non ha spazio sufficiente e c’è tutt’ora una concorrenza sleale”

Le reazioni. Dure le critiche dell’opposizione. “Le stime di Confindustria smentiscono le bufale propinate dal governo Berlusconi e confermano ciò che il partito democratico ripete da mesi: sulla crisi l’esecutivo non ha mai avuto il polso della situazione”. Lo afferma Sergio D’Antoni, responsabile per il Mezzogiorno del Pd e vicepresidente della commissione Finanze della Camera. “Con l’alibi del debito pubblico, il ministro Giulio Tremonti non ha fatto assolutamente nulla per sciogliere i nodi strutturali che impediscono la ripresa del paese”. Interventi a sostegno delle zone deboli, infrastrutture, aiuti alle piccole e medie imprese, più tutela ai precari. Queste, per D’Antoni, “le priorità disattese dal governo”. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

“È soltanto malinconico il tentativo del presidente del Consiglio e degli obbedienti corifei di liquidare questo affare come “spazzatura”, come violazione della privacy presidenziale.”

L’utilizzatore finale di GIUSEPPE D’AVANZO-la Repubblica.

UNA vita disordinata spinge sempre di più e sempre più in basso la leadership di Silvio Berlusconi. In un tunnel da cui il premier non riesce a venir fuori con decoro. Nel caleidoscopio delle verità rovesciate le ugole obbedienti accennano al consueto e oggi inefficace gioco mimetico. Creano “in vitro” un nuovo “caso” nella speranza che possa oscurare la realtà. S’inventano così artificialmente un “affare D’Alema” per alzare il polverone che confonda la vista. Complice il telegiornale più visto della Rai che, con la nuova direzione di un dipendente di Berlusconi, ha sostituito alle pulsioni gregarie di sempre una funzione più schiettamente servile.

Dicono i corifei e il Tg1: è stato lui, D’Alema, a parlare di possibili “scosse” in arrivo per il governo, come sapeva dell’inchiesta di Bari? Il ragionamento di D’Alema era con tutta evidenza soltanto politico. Chiunque peraltro avrebbe potuto cogliere lo stato di incertezza e vulnerabilità in cui è precipitata la leadership di Berlusconi che vede diminuire la fiducia che lo circonda a petto del maggiore consenso che raccoglie non lui personalmente – come ci ha abituato da quindici anni a questa parte – ma l’offerta politica della destra.

Legittimo attendersi che quel nuovo equilibrio – inatteso fino a sette settimane fa, fino alla sua visita a Casoria – avrebbe prodotto ai vertici di quel campo un disordine, quindi un riassestamento. In una formula, sussulti, tensioni, una nuova stabilità che avrebbe ridimensionato il gusto del plebiscito, un cesarismo amorfo che, come è stato scritto qui, ha creduto di sostituire “lo Stato con un uomo, il governo con il comando, la politica con il potere assoluto e carismatico”.

Era questa idea di politica, questa fenomenologia del potere che, suggeriva D’Alema, riceverà presto delle “scosse” e gli esiti potrebbero essere drammatici.

Vediamo come questa storia trasmuta nella propaganda che manipola e distrae, ora che salta fuori come a Palazzo Grazioli, dove garrisce al vento il tricolore degli edifici di Stato, siano invitate per le cene e le feste di Berlusconi donne a pagamento, prostitute. Le maschere salmodiano la solita litania: l’opposizione, e il suo leader, più le immarcescibili toghe rosse di Magistratura democratica aggrediscono ancora il presidente del Consiglio. Ma è così?

I fatti fluttuano soltanto se la memoria deperisce. Se si ha a mente che è stato il ministro Raffaele Fitto, per primo, a suggerire che Berlusconi poteva essere coinvolto a Bari in un’inchiesta giudiziaria, si può concludere che non D’Alema, ma il governo sapeva del pericolo che incombeva sul premier e oggi lo rovescia in arma contro l’opposizione e, quel che conta di più, in nebbia per abbuiare quel che tutti hanno dinanzi agli occhi: Berlusconi è pericolosamente – per il Paese, per il governo, per le istituzioni, per i nostri alleati – vulnerabile. Le sue abitudini di vita e ossessioni personali (qual è il suo stato di salute?) lo espongono a pressioni e tensioni. A ricatti che il capo del governo è ormai palesemente incapace di prevedere e controllare, come ha fatto sempre in passato immaginando per se stesso un’eterna impunità.

È soltanto malinconico il tentativo del presidente del Consiglio e degli obbedienti corifei di liquidare questo affare come “spazzatura”, come violazione della privacy presidenziale. Se il presidente riceve prostitute nelle sue residenze private diventate sedi del governo (è così per Villa Certosa e Palazzo Grazioli), la faccenda è pubblica, il “caso” è politico. Non lo si può più nascondere sotto il tappeto come fosse trascurabile polvere fino a quando ci sarà un giornalismo in grado di informare con decenza il Paese. Di raccontare che la vulnerabilità di Berlusconi è ormai una questione che interpella la credibilità delle istituzioni e minaccia la sicurezza nazionale.

Quante sono le ragazze che possono umiliare pubblicamente il capo del governo? Dove finiscono o dove possono finire le informazioni – e magari le registrazioni e le immagini – in loro possesso?

Da sette settimane (e a tre dal G8) non accade altro che un lento e progressivo disvelamento della vita disordinata del premier e della sua fragilità privata che si fa debolezza e indegnità della sfera pubblica. La festa di Casoria; le rivelazioni degli incontri con Noemi allora minorenne che lo costringono a mentire in tv; i book fotografici che gli vengono consegnati per scegliere i “volti angelici”; la cerchia di prosseneti che gli riempie palazzi e ville di donne a pagamento; migliaia di foto che lo ritraggono, solo, circondato da decine di ragazze di volta in volta diverse; i ricordi imbarazzati e imbarazzanti di capi di Stato che gli hanno fatto visita.

E ora, svelata dal Corriere della Sera, anche la confessione di una donna che è stata pagata per una cena e per una notte con in più la promessa di una candidatura alle Europee e poi in consiglio comunale. La storia può essere liquidata, come fa l’avvocato Ghedini, dicendo Berlusconi comunque non colpevole e in ogni caso soltanto “utilizzatore finale” come se una donna fosse sempre e soltanto un corpo e mai una persona?

Che cosa deve ancora accadere perché la politica, a cominciare da chi ha sempre sostenuto la leadership di Berlusconi, prenda atto che il capo del governo è vittima soltanto di se stesso? Che il suo silenzio non potrà durare in eterno? Che presto il capo del governo, trasformatosi in una sola notte da cigno in anatra zoppa, non è più la soluzione della crisi italiana, ma un problema in più per il Paese. Forse, il dilemma più grave e più drammatico se non si riuscirà a evitare che la crisi personale di una leadership divenga la tragedia di una nazione. (Beh, buona giornata).

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Attualità

L’inchiesta di Bari che coinvolge il premier: ecco l’imbarazzante intervista alla candidata alle comunali di Bari.

«Incontri e candidatura.Ecco la mia verità» Patrizia D’Addario in lista alle Comunali di Fiorenza Sarzanini-corriere.it

Patrizia D’Addario è candidata nelle li­ste di «La Puglia prima di tutto», schieramento inse­rito nel Popolo della Libertà alle ultime elezioni co­munali a Bari. Ha partecipato alle prime settimane di campagna elettorale al fianco del ministro per i Rapporti con le Regioni Raffaele Fitto e degli altri politici in corsa per il Pdl. Ma adesso ha deciso di rinunciare perché vuole raccontare un’altra verità. La D’Addario ha cercato il Corriere e registriamo, con la massima cautela e il beneficio d’inventario, la sua versione, trattandosi di una candidata alle am­ministrative.

«Mi hanno messo in lista — afferma — perché ho partecipato a due feste a palazzo Grazioli. Ho le prove di quello che dico e voglio raccontare che co­sa è successo prima che decidessi di tirarmi indie­tro. Il mio nome è ancora lì, ma io non ci sono più».

Cominciamo dall’inizio. Quando sarebbe anda­ta a palazzo Grazioli?
«La prima volta è stato a metà dello scorso otto­bre ».

Chi l’ha invitata?
«Un mio amico di Bari mi ha detto che voleva far­mi parlare con una persona che conosceva, per par­tecipare a una cena che si sarebbe svolta a Roma. Io gli ho spiegato che per muovermi avrebbero dovu­to pagarmi e ci siamo accordati per 2.000 euro. Allo­ra mi ha presentato un certo Giampaolo».

Qual era la proposta?
«Avrei dovuto prendere un aereo per Roma e lì mi avrebbe aspettato un autista. Mi dissero subito che si trattava di una festa organizzata da Silvio Ber­lusconi ».

E lei non ha pensato a uno scherzo?
«Il mio amico è una persona di cui mi fido cieca­mente. Ho capito che era vero quando mi hanno consegnato il biglietto dell’aereo».

Quindi è partita?
«Sì. Sono arrivata a Roma e sono andata in taxi in un albergo di via Margutta, come concordato. Un au­tista è venuto a prendermi e mi ha portato all’Hotel de Russie da Giampaolo. Con lui e altre due ragazze siamo entrati a palazzo Grazioli in una macchina con i vetri oscurati. Mi avevano detto che il mio no­me era Alessia».

E poi?
«Siamo state portate in un grande salone e lì ab­biamo trovato altre ragazze. Saranno state una venti­na. Come antipasto c’erano pezzi di pizza e champa­gne. Dopo poco è arrivato Silvio Berlusconi».

Lei lo aveva mai incontrato prima?
«No, mai. Ha salutato tutte e poi si è fermato a parlare con me. Ho capito di averlo colpito perché mi ha chiesto che lavoro facessi e io gli ho parlato subito di un residence che voglio costruire su un terreno della mia famiglia. Ci ha mostrato i video del suo incontro con Bush, le foto delle sue ville, ha cantato e raccontato barzellette.

Lei è tornata subito a Bari?
«Era notte, quindi sono andata in albergo e Giam­paolo mi ha detto che mi avrebbe dato soltanto mil­le euro perché non ero rimasta».

C’è qualcuno che può confermare questa sto­ria?
«Io ho le prove».

Che vuole dire?
«Che quella non è stata l’unica volta. Sono torna­ta a palazzo Grazioli dopo un paio di settimane, esat­tamente la sera dell’elezione di Barack Obama».

Vuol dire che la notte delle presidenziali degli Stati Uniti lei era con Berlusconi?
«Sì. Nessuno potrà smentirmi. Ci sono i biglietti aerei. Anche quella volta sono stata in un albergo, il Valadier. Con me c’erano altre due ragazze. Una la conoscevo bene. È stato sempre Giampaolo a orga­nizzare tutto».

E che cosa è accaduto?
«Con l’autista ci ha portato nella residenza del presidente, ma quella sera non c’erano altre ospiti. Abbiamo trovato un buffet di dolci e il solito piani­sta. Quando mi ha visto, Berlusconi si è ricordato subito del progetto edilizio che volevo realizzare. Poi mi ha chiesto di rimanere».

Si rende conto che lei sostiene di aver trascor­so una notte a palazzo Grazioli?
«Ho le registrazioni dei due incontri».

E come fa a dimostrare che siano reali?
«Si sente la sua voce e poi c’erano molti testimo­ni, persone che non potranno negare di avermi vi­sta ».

Scusi, ma lei va agli incontri con il registrato­re?
«In passato ho avuto problemi seri con un uomo e da allora quando vado a incontri importanti lo por­to sempre con me».

E lei vuol far credere che non è stata controlla­ta prima di entrare nella residenza romana del premier?
«È così, forse sono stata abile. Ma posso assicura­re che è così».

E può anche provarlo?
«Berlusconi mi ha telefonato la sera stessa, appe­na sono arrivata a Bari. E qualche giorno dopo Giam­paolo mi ha invitata a tornare. Ma io ho rifiutato».

A noi la sua versione sembra poco credibile…
«Lo dicono i fatti. Berlusconi mi aveva promesso che avrebbe mandato due persone di sua fiducia a Bari per sbloccare la mia pratica. Non ha mantenuto i patti ed è da quel momento che non sono più volu­ta andare a Roma, nonostante i ripetuti inviti da par­te di Giampaolo. Loro sapevano che avevo le prove dei miei due precedenti viaggi».

E non si rende conto che questo è un ricatto?
«Lei dice? Io posso dire che qualche giorno dopo Giampaolo ha voluto il mio curriculum perché mi disse che volevano candidarmi alle Europee».

Però lei non era in quella lista?
«Quando sono cominciate le polemiche sulle veli­ne, il segretario di Giampaolo mi ha chiamata per dirmi che non era più possibile».

Quindi la candidatura alle Comunali è stata un ripiego?
«A fine marzo mi ha cercato Tato Greco, il nipote di Matarrese che conosco da tanto tempo. Mi ha chiesto un incontro e mi ha proposto la lista ‘La Pu­glia prima di tutto’ di cui era capolista lo zio. Io ho accettato subito, ma pochi giorni dopo ho capito che forse avevo commesso un errore».

Perché?
«La mia casa è stata completamente svaligiata. Mi hanno portato via cd, computer, vestiti, bianche­ria intima. È stato un furto molto strano».

Addirittura? Ma ha presentato denuncia?
«Certamente. Ma ho continuato la campagna elet­torale. È andato tutto bene fino al giorno in cui Ber­lusconi è arrivato a Bari per la presentazione dei can­didati del Pdl. Io lo aspettavo all’ingresso dell’Hotel Palace. Lui mi ha guardata, mi ha stretto la mano ed è entrato nella sala piena. Io ero in lista, quindi l’ho seguito. Ma all’ingresso della sala sono stata blocca­ta dagli uomini della sicurezza e del partito che mi hanno impedito di partecipare all’evento».

È il motivo che adesso la spinge a raccontare questa storia?
«No, avrei potuto continuare a fare campagna elettorale e trattare con loro nell’ombra. La racconto perché ho capito che mi hanno ingannata. Avevo chiesto soltanto un aiuto per un progetto al quale tengo molto e invece mi hanno usata».

Fiorenza Sarzanini

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: l’intreccio politica-pubblicità fa bene al mercato italiano della comunicazione commerciale?

LE MINACCE DI BERLUSCONI, LA SORTITA DI D’ALEMA
Elezioni anticipate: «possibili» per le concessionarie di pubblicità,di Fr.Pi-Il Manifesto

«Una campagna pubblicitaria “ottimista” sarebbe smentita in un attimo
dallo stesso media che la veicola». Marco Ferri, copywriter e creativo tra
i più noti in Italia, sintetizza a suo modo le difficoltà di rapporto tra
gli inviti del premier e la realtà desolante del settore che pure lo ha
avuto come dominus dagli anni ’70 in poi. Come se non bastasse, è lo
stesso premier a evocare lo spettro di elezioni anticipate per «mettere a
posto» i suoi alleati, resi inquieti dal brusco stop elettorale delle
europee. Un’eventualità che i pubblicitari considerano una iattura, ma che
viene già metabolizzata nelle relazioni commerciali. «Ho chiesto a una
concessionaria – racconta Ferri – la pianificazione di una campagna su 12
mesi per conto di un cliente. Mi hanno risposto: “ma come, un anno? E se
poi ci sono elezioni anticipate e il cliente ci ripensa?”». Parliamo di un
settore produttivo, che segue i boatos della politica per dovere
professionale, anche per calcolare il possibile intasamento degli spazi e
le variazioni di prezzo. E «che però sente tutte le incertezze che la
crisi economica sta provocando nei consumi, naviga a vista, e quindi trova
incredibili le pianificazioni a lungo termine». Sull’editoria la crisi sta
picchiando duro. «Siamo in epoca di semestrali, dopo relazioni trimestrali
drammatiche, dove le principali holding della pubblicità hanno lasciato
sul campo perdite che vanno dal 5% alla doppia cifra», e che
consolideranno questi risultati negativi. L’istituto Nielsen Global
Research calcola una flessione complessiva del 18% nei confronti del primo
quadrimestre 2008 (-15,3% per la Televisione, -22,7% per i quotidiani).
Un quadro di minori risorse per tutti, dove Berlusconi – capo del governo
e proprietario di Publitalia – ha più volte invitato gli imprenditori a
«non investire sui media catastrofisti». L’ultima volta lo ha fatto dallo
stesso palco dove poco prima la presidente di Confindustria, Emma
Marcegaglia, aveva chiesto «100 giorni di azioni». Lo aveva già fatto a
Villa Madama, mesi fa; lo ha ripetuto poi a Porta a porta. E’ una minaccia
esplicita rivolta in primo luogo agli imprenditori, ovvero a quel «potere
forte» che – se non venissero accolte le richieste nei prossimi 100 giorni
– potrebbe girargli le spalle. Sembra quasi che, dopo 15 anni da
«fenomeno» politico, Berlusconi sia regredito a capo di Publitalia,
convinto di poter trattare i capi di stato come clienti un po’
sprovveduti. (Beh, buona giornata).

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Popoli e politiche

Berlusconi è stato all’altezza dell’agognato incontro con Obama?

Il vecchio clown alla Casa bianca, di Giovanna Pajetta-Il Manifesto

Silvio Berlusconi è arrivato a un passo dal colpo grosso, essere inquadrato alla Casa bianca nel momento, atteso per tutta la giornata di lunedì, in cui Barak Obama finalmente commentava la situazione iraniana. Ma le telecamere, impietose, hanno evitato in ogni modo di far vedere chi fosse l’ospite straniero. E così, mentre il presidente americano spiegava compreso “non posso rimanere in silenzio davanti alle immagini che vedo in televisione… al di là del risultato delle elezioni, gli iraniani devono poter decidere del futuro del loro paese “, l’unica altra voce che si è sentita (bruscamente zittita dallo stesso Obama) è stata quella dell’interprete italiano.
Schiacciato tra la grande battaglia per la riforma sanitaria e gli eventi, sempre più preoccupanti, di Teheran, il primo incontro di Silvio Berlusconi con il nuovo presidente egli Stati uniti, è stato in realtà molto formale. Il premier italiano ha portato in dono l’invio di altri 200 o 300 soldati italiani (probabilmente spostandoli, temporaneamente, dai Balcani) e soprattutto l’offerta di ospitare (incarcerare?) nella penisola almeno 3 ex detenuti di Guantanamo. Barak Obama ha apprezzato e ha risposto con un classico, e stereotipato “Piacere di vederti, amico mio”, sorridendo composto anche quando Berlusconi l’ha praticamente abbracciato, o con l’altrettanto classica affermazione “L’Italia è un alleato cruciale”.
Organizzato in vista del G8 di luglio all’Aquila, al centro di buona parte dei colloqui (a cui ha partecipato anche Hillary Clinton) l’incontro del resto era stato voluto fortemente da Silvio Berlusconi. Dopo gli anni della “grande amicizia” con George Bush, la distanza tra Italia e Stati uniti è cresciuta a dismisura, fino a far maturare le voci di un vero e proprio fastidio americano nei confronti di un premier più vicino a Vladimir Putin che alla Casa bianca. Poi è arrivato lo scandalo Veronica, Silvio Berlusconi è stato sbeffeggiato su tutta la stampa straniera e, come notava James Walston, professore dell’Accademia americana di Roma, il viaggio a Washington serviva per cercare di dimostrare che il nostro premier è “uno statista e non solo un vecchio clown”.
In realtà le televisioni americane hanno non hanno dato nessun rilievo alla visita, giusto qualche accenno su siti come “Politico.com”, e un benvenuto decisamente velenoso da parte della “National public radio”. La cui corrispondente da Roma ha annunciato l’arrivo “dello screditato premier italiano che, come si sa, dichiara che la crisi economica è un’invenzione dei media”. Ma del resto di questi tempi qualsiasi articolo, o servizio, sul nostro paese è impietoso. Speriamo che almeno una volta entrato nella stanza del caminetto, seduto a fianco di Barak Obama, il nostro premier si sia un po’ trattenuto, evitando quantomeno di spiegare come anche il New York Times (l’Economist, il Finacial Times…) sia in realtà un giornale che complotta contro di lui.

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Attualità

La BBC: “Riuscirà il premier italiano a non offendere nessuno, durante la sua visita negli Stati Uniti?”

da repubblica.it
Il titolo, apparso sull’homepage della Bbc, è eloquente: “Oh no, Silvio!”. Ed è seguito da una domanda, per nulla retorica: “Riuscirà il premier italiano a non offendere nessuno, durante la sua visita negli Stati Uniti?”.

E’ attorno a questo interrogativo che ruota l’articolo firmato da Stephen Mulvey, e pubblicato sul sito che fa capo alla tv britannica oggi alle 15 (le 16 italiane). Tutto dedicato alle incognite della trasferta in terra americana del nostro presidente del Consiglio. Con una preoccupazione di fondo sul modo di esprimersi spesso politicamente scorretto di Berlusconi, al momento del suo sbarco nella patria mondiale del politically correct.

In particolare, il sito della Bbc ricorda la doppia gaffe del Cavaliere sul colore della pelle di Obama. La prima risale al novembre scorso, quando il capo del governo italiano definì il neopresidente Usa “giovane, bello e abbronzato”. Con conseguenti polemiche in mezzo mondo, e con decine di lettere di scuse inviate dai nostri concittadini al New York Times, imbarazzati dal siscutibile modo di scherzare del premier. Un episodio che lo stesso Berlusconi ha rievocato ieri, alla vigilia del suo imbarco per Washington, in una sorta di autocitazione: “Parto bello e abbronzato”, ha detto.

A partire da questo, l’articolo si interroga – riportando anche il parere di professori universitari e giornalisti italiani – sull’eventuale razzismo del presidente del Consiglio, sulla sua propensione alle gaffe (viene ricordata anche quella con la Regina Elisabetta a Londra), e sulla differenza abissale del suo temperamento rispetto a quello, attentissimo e controllatissimo, di Barack Obama.

E non mancano nemmeno i riferimenti alle recenti bufere che hanno coinvolto Berlusconi: l’inchiesta su eventuali suoi abusi dei voli di Stato; le foto (definite “seminude”) di Villa Certosa; le accuse della moglie di frequentare minorenni. Tutte circostanze che, almeno secondo l’autorevole sito britannico, bastano a giustificare quell’invocazione iniziale: “On ho, Silvio!”. (Beh, buona giornata).

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democrazia Finanza - Economia Lavoro

La crisi economica “complotta” contro il governo.

(fonte: Ansa).
La teoria del complotto del presidente Berlusconi è una “scorciatoia” che serve a coprire la “debolezza” dell’azione di Governo. Lo ha detto l’ex presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, interpellato su questo punto in un collegamento del Tg3 con ‘In mezz’orà dove é ospite.

“Non c’é nessun complotto, naturalmente”, ha detto D’Alema. “C’é la condizione del presidente del Consiglio che unisce a una notevole arroganza e violenza verbale una grande debolezza; una debolezza sostanziale, una incapacità di governare il Paese e anche una grande debolezza di immagine, soprattutto sulla scena internazionale”. “E’ chiaro – conclude – che quando ci si trova in una condizione così debole, la tentazione di dare la colpa a qualche oscuro complotto diventa la scorciatoia anziché fare i conti con le ragioni di questa debolezza che sono nella fragilità e nei comportamenti del presidente del Consiglio”.

“Nel centrodestra c’é un malessere evidente” e a comandare è “la guardia pretoriana, che è Bossi”, ha detto ancora D’Alema ed ha aggiunto che d’altra parte si tratta di una condizione tipica da fine impero “quando le guardie pretoriane hanno sempre più potere dei senatori”.

OPPOSIZIONE SIA PRONTA IN CASO SCOSSE – “La vicenda italiana portà avere delle scosse, dei momenti di conflitto, di difficoltà il che richiede una opposizione in grado di assumersi le sua responsabilità con forza e nella pienezza delle sue funzioni e spero che saremo presto in grado di farlo”, ha sottolineato l’ex presidente del Consiglio. (Beh, buona giornata).

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Chi ha vinto e chi ha perso la partita epocale che si è giocata con le elezioni europee.

Se Marx seduce la destra di BARBARA SPINELLI-La Stampa.

Anche le destre – forse soprattutto le destre – guardano d’un tratto a Karl Marx in altro modo: l’odierna crisi economica somiglia non poco al «continuo stravolgimento dei rapporti consolidati», alla «continua evaporazione di quel che è solido», descritti dal filosofo nel 1848. Il padre del comunismo fantasticò il riscatto di una sola classe, e fu funesto, ma la descrizione era realista, tutt’altro che fantasiosa. È vero che la borghesia tende a rispondere alle crisi «provocando crisi sempre più generalizzate, più distruttive, e riducendo i mezzi necessari a prevenirle». È vero che «la moderna società borghese è come l’apprendista stregone, incapace di controllare le potenze sotterranee da lui stesso evocate». È vero che essa «ha spietatamente strappato tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l’uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo “pagamento in contanti”. Ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell’esaltazione devota, dell’entusiasmo cavalleresco, della malinconia piccolo-borghese. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli». È vero infine che il capitalismo sormonta spesso i mali coi veleni che li scatenano: tra essi, «l’epidemia della sovrapproduzione». Il Capitale è di moda da qualche tempo.

A prima vista può apparire stupefacente quel che è accaduto alle elezioni europee. Marx e Keynes tornano in auge, ma per le sinistre socialiste o radicali è catastrofe: sono crollate in 16 paesi su 27, con punte massime in Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Spagna. Al momento sono come istupidite, e non sapendo spiegare a se stesse il disastro si rifugiano nella denegazione. Il capo dei socialdemocratici tedeschi Müntefering fa finta di nulla e giudica assurdo l’esito, «visto che abbiamo spiegato così bene l’Europa sociale». I compagni francesi balbettano. Franceschini, in Italia, emette il verdetto, consolatorio e falso: «Abbiamo perso perché il vento della destra soffia così forte in Europa».

In realtà non ha vinto un vento di destra ma un vento ben contraddittorio: il vento di una destra pragmatica, spregiudicata, non più ideologica, che pur di mantenere il potere agguanta ogni utensile a disposizione. Soprattutto gli utensili della socialdemocrazia: lo Stato che protegge i deboli, e se necessario governa estesamente l’economia. Quel che la destra ha fatto in pochi mesi è impressionante: è stata lei a chiudere l’era Thatcher, sorpassando una sinistra paralizzata dai complessi di colpa, allergica a una conflittualità di cui si vergogna, ammaliata per 13 anni dal Nuovo Labour di Blair e dal suo mimetismo thatcheriano. Senza patemi la destra europea ha smesso l’antistatalismo, la lotta alla spesa pubblica, il dogma delle privatizzazioni. Con sotterfugi linguistici esalta perfino il Welfare: dice «stabilizzatori automatici» per non dire Stato Provvidenza. Uomini come Tremonti scoprono l’anticapitalismo, chiamandolo anti-mercatismo. Qualche tempo fa, in una manifestazione della sinistra estrema a Parigi, ho incontrato un militante che mi ha detto: «Beati voi che avete Tremonti!».

Niente vento di destra dunque, ma un’usurpazione più o meno cinica di idee socialdemocratiche e anche marxiste che devasta le sinistre classiche. Se in Europa si riapre la questione sociale saranno Sarkozy, Tremonti, Angela Merkel a gestirla, nazionalizzando o stampando moneta. Essenziale è traversare il torrente con ogni mezzo, e sperare che si torni allo status quo ante senza mutare il modo di sviluppo produttivistico. Marx e Keynes sono usati non per cambiare modello, ma per perpetuarlo con l’ambulanza del Welfare. È un modello che socialisti e sindacati condividono, quando accusano la destra di ultraliberismo o si limitano a chiedere aumenti salariali e tutela dei posti fissi. Per questo sono oggi ombre di se stessi.

Le elezioni europee non dicono tuttavia solo questo. Le sinistre defraudate sono aggrappate allo status quo ma nuove forze emergono, che pensano la crisi con sguardo più profondo e lungo. Che seguono con estrema attenzione Obama e presentono, in quel che annuncia, la possibilità di una trasformazione, di un ricominciamento. È il caso dei Verdi in Francia, Germania, Inghilterra, Svezia, Belgio, Grecia, Finlandia. È il caso dei liberali-legalitari di Di Pietro, e perfino di forze inedite come i Pirati in Svezia. Quattro consapevolezze accomunano questi gruppi. Primo, la crisi presente è tettonica, e non si esaurisce nella questione sociale. Secondo: il capitalismo di Stato che ovunque risorge accresce i poteri dello Stato censore sulle libertà cittadine. Terzo: la corruzione che ha accompagnato la crisi può perdurare, perché le urgenze governative sono altre. Quarto: il ricominciamento dovrà accadere in Europa, non negli Stati-nazione.

Daniel Cohn-Bendit è precursore in questo campo, e il suo successo è significativo. La questione sociale non è negata, ma egli la vede in connessione stretta con il clima: dunque con una crescita alternativa, e come ha detto Obama al vertice dei G-20, con un «mercato dei consumi meno vorace». A suo avviso sia la destra che la sinistra difendono lo status quo: la crescita dei consumi e di vecchie produzioni, la lotta sul clima rinviata al dopo-crisi, come nei desideri di governanti e imprenditori italiani. «È come se le sinistre avessero nel computer un software inadatto», dice: un «software produttivistico» sorpassato e nocivo. Il carisma del leader verde non è senza legami con quello di Di Pietro, De Magistris, Arlacchi. Anche i francesi di Europa-Ecologia hanno schierato giudici: Eva Joly, numero due nella lista, ha indagato sulla corruzione dei potenti (incriminando il faccendiere Tapie o – nell’affare Elf – l’ex ministro degli Esteri Roland Dumas) ed è esperta in delinquenza finanziaria internazionale. Anche lei è cittadina d’Europa: come Cohn-Bendit è franco-tedesco, lei è franco-norvegese.

Infine c’è il Partito dei Pirati: una formazione che ha raccolto il 7 per cento ed è il terzo partito svedese per numero di iscritti. La sua battaglia per il libero e completo accesso a internet è emblematico segno dei tempi: con il dissesto dei giornali e l’estendersi del capitalismo di Stato, si è visto negli ultimi giorni quanto sia prezioso lo spazio internet e dei blog. È prezioso in Francia, dove la Corte costituzionale ha appena invalidato una legge che vieta lo scaricamento di programmi, affermando che solo il giudice può emettere sanzioni e non l’autorità amministrativa. È prezioso in Italia, dove la libertà internet è minacciata dalla nuova legge sulle intercettazioni: lo spiega molto bene Giuseppe Giulietti sul quotidiano online per la libertà d’espressione (Articolo21.info).

L’impotenza dello Stato-nazione accelera le cose. Sono cresciuti i partiti concentrati sull’Europa, per respingerla o approvarla. I Verdi sono i soli, nel voto di giugno, ad aver appreso la dimensione sovranazionale delle politiche europee. Cohn-Bendit è l’unico ad aver parlato in nome d’un partito non nazionale: il che vuol dire che non siamo giunti, con la crisi delle sinistre tradizionali e del modello produttivistico, alla fine del progetto europeo pensato dai fondatori. Sono sfibrate le forze dimentiche dell’Europa, non quelle che investono su essa e reinventano. L’analisi di Cohn-Bendit è giusta: «Una forza politica moderna deve avere oggi dimensioni europee. E la crisi della socialdemocrazia la si risolverà solo formulando, contro le alternative nazionali, alternative europee. È qui che il socialismo ha fallito: aveva davanti a sé un boulevard in Europa, e ha dato risposte solo sul piano nazionale». (Beh, buona giornata).

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Berlusconi e le “quattro calunnie”.

Le menzogne del Cavaliere da Noemi al caso Mills di GIUSEPPE D’AVANZO-Repubblica.

Dice Berlusconi a Santa Margherita Ligure: “Su quattro calunnie messe in fila – veline, minorenni, Mills e voli di Stato – è stata fatta una campagna che è stata molto negativa per l’immagine all’estero dell’Italia”. Il significato di calunnia è “diceria o imputazione, coscientemente falsa e diretta ad offendere l’integrità o la reputazione altrui” (Devoto e Oli). Per comprendere meglio quali siano, per il premier, le “dicerie o imputazioni coscientemente false” raccolte contro la sua reputazione bisogna leggere il Corriere della sera di ieri.

Nel colloquio il Cavaliere spiega quali sono le quattro menzogne, strumenti del fantasioso “progetto eversivo”. Qui si vuole verificare, con qualche fatto utile e ostinato, se la lamentazione del Cavaliere ha fondamento e chi alla fine mente, se Berlusconi o chi oppone dei rilievi alla “verità” del capo del governo.

1 “Hanno iniziato scrivendo che c’erano “veline” nelle liste del Pdl alle Europee. Non erano “veline” e sono state tutte elette”. (Berlusconi al Corriere, 13 giugno, pagina 9)

I ricordi del Cavaliere truccano quel che è accaduto e banalizzano una questione che, fin dall’inizio, è stata esclusivamente politica, per di più sollevata nel suo campo. Sono i quotidiani della destra, e quindi da lui controllati direttamente o indirettamente influenzati, a dar conto dell’affollamento delle “veline” nelle liste europee del Popolo della Libertà. Comincia il Giornale della famiglia Berlusconi, il 31 marzo. Ma è il 22 aprile, con il titolo “Gesto da Cavaliere. Le veline azzurre candidate in pectore” – sommario, “Silvio porta a Strasburgo una truppa di showgirl” – che Libero rivela i nomi del cast in partenza per Strasburgo: Angela Sozio, Elisa Alloro, Emanuela Romano, Rachele Restivo, Eleonora Gaggioli, Camilla Ferranti, Barbara Matera, Ginevra Crescenzi, Antonia Ruggiero, Lara Comi, Adriana Verdirosi, Cristina Ravot, Giovanna Del Giudice, Chiara Sgarbossa, Silvia Travaini, Assunta Petron, Letizia Cioffi, Albertina Carraro. Eleonora e Imma De Vivo e “una misteriosa signorina” lituana, Giada Martirosianaite.

Contro queste candidature muove la fondazione Farefuturo, presieduta da Gianfranco Fini. Il pensatoio, diretto dal professor Alessandro Campi, denuncia l'”impoverimento della qualità democratica del paese” e, con un’analisi della politologa Silvia Ventura, avverte che “l’uso strumentale del corpo femminile (…) denota uno scarso rispetto (…) per le istituzioni e per la sovranità popolare che le legittima” (www.ffwebmagazine. it).

Queste scelte sono censurate, infine, anche da Veronica Lario che le definisce “ciarpame senza pudore del potere” (Ansa, 29 aprile). Il “fuoco amico” consiglierà Berlusconi a gettare la spugna, nella notte del 29 aprile. In una telefonata da Varsavia alle 22,30 in viva voce con i tre coordinatori del Pdl, La Russa, Bondi e Verdini, il premier dice: “E va bene, bloccate tutto. Togliete quei nomi. Sostituitele”. Molte “veline”, in interviste pubbliche, diranno della loro amarezza per l’esclusione.

2 “Poi hanno tirato in ballo Noemi Letizia, come se fossi una persona che va con le minorenni. In realtà sono solo andato a una festa di compleanno, e per me – che vivo tra la gente – è una cosa normale”. (Berlusconi al Corriere, 13 giugno, pagina 9).

Non c’è un grano di “normalità” nei rapporti tra il Cavaliere e i Letizia. Dopo 31 giorni, è ancora oscuro (e senza risposta) come sia nato il legame tra Berlusconi e la famiglia di Noemi. L’ultima versione ascoltata è contraddittoria come le precedenti. Elio Letizia sostiene di aver presentato la figlia al capo del governo in un luogo privato, nel suo studio a Palazzo Grazioli, alla vigilia del Natale del 2001. Berlusconi, nello stesso giorno, ha ricordato di averla conosciuta in un luogo pubblico, “a una sfilata”. Ma la “diceria” che il capo del governo denuncia è di “andare con minorenni”. E’ stata Veronica Lario per prima a svelare che il marito “frequenta minorenni” (Repubblica, 3 maggio). La circostanza è stata confermata dall’ex-fidanzato di Noemi (Gino Flaminio) che colloca il primo contatto telefonico tra il capo del governo e la ragazza nell’autunno del 2008. Le parole di Gino costringono Berlusconi – contrariamente a quanto fino a quel momento aveva detto (“Ho visto sempre Noemi alla presenza dei genitori”) – ad ammettere di aver avuto Noemi ospite a Villa Certosa per dieci giorni a cavallo del Capodanno 2009, accompagnata da un’amica (Roberta O.) e senza i genitori. Nel gennaio del 2009, Noemi come Roberta, era minorenne. Dunque, è corretto sostenere che Berlusconi frequenti minorenni.

3 “Nel frattempo si sono scatenati sul “caso Mills”, un avvocato che non conosco di persona” (Berlusconi al Corriere, 13 giugno, pagina 9)

Negli atti del processo contro David Mills (teste corrotto, condannato a 4 anni e 6 mesi di carcere) e Silvio Berlusconi (corruttore, ma immune per legge ad personam), sono dimostrati con documenti autografi, per ammissione dell’imputato, con le parole di testimoni indipendenti, gli incontri del Cavaliere con l’avvocato inglese che gli ha progettato e amministrato l’arcipelago delle società off-shore All Iberian, il “gruppo B di Fininvest very secret”. Un documento scovato a Londra dà conto di un incontro al Garrick Club di Garrick Street (discutono delle società estere e Berlusconi autorizza Mills a trattenere 2 milioni e mezzo di sterline parcheggiati sul conto dell’Horizon Limited). Un altro documento sequestrato a Mills fa riferimento a una “telefonata dell’altra notte con Berlusconi”. Mills, interrogato, ammette di aver parlato con il Cavaliere la notte del 23 novembre 1995. Ancora Mills, il 13 aprile 2007, conferma di aver incontrato Berlusconi ad Arcore. L’avvocato “descrive anche la villa” (dalla sentenza del tribunale di Milano).

Due soci di Mills nello studio Withers, ascoltati da una corte inglese, così rispondono alla domanda: “C’è stata mai una riunione tra Mills e Berlusconi?”. Jeremy LeM. Scott dice: “So che c’è stato un incontro per mettersi d’accordo sul dividendo”. A Virginia Rylatt “torna in mente che lui [Mills] era ritornato dal signor Berlusconi”. E’ una menzogna, forse la più spudorata, che il capo del governo non abbia mai conosciuto David Mills.

4 “Infine hanno montato un caso sui voli di Stato che uso solo per esigenze di servizio” (Berlusconi al Corriere, 13 giugno, pagina 9).

In una fotografia scattata dal fotografo Antonello Zappadu si vede lo stornellatore del Cavaliere, Mariano Apicella, scendere da un aereo di Stato. Dietro di lui, una ballerina di flamenco. Il fotoreporter sostiene che l’immagine è stata scattata il 24 maggio 2008. In quel giorno era ancora in vigore un decreto del governo Prodi che limitava l’uso degli aerei di Stato “esclusivamente alle personalità e ai componenti della delegazione della missione istituzionale”. Si può sostenere che Apicella e la ballerina facevano parte di una “missione istituzionale”? E’ quanto dovrà accertare il Tribunale dei ministri sollecitato dalla Procura di Roma a verificare, per il capo del governo, l’ipotesi di abuso d’ufficio. Infatti soltanto due mesi dopo, il 25 luglio 2008, il presidente del consiglio ha cambiato le regole per i “voli di Stato” prevedendo “l’imbarco di personale estraneo alla delegazione”, ma “accreditato su indicazione dell’Autorità in relazione alla natura del viaggio, al rango rivestito dalle personalità trasportate, alle esigenze protocollari e alla consuetudini anche di carattere internazionale”. Il caso sui “voli di Stato”, che è poi un’inchiesta giudiziaria dovrà accertare se musici, ballerine, giovani ospiti del presidente viaggiano in sua compagnia (con quale rango?) o addirittura in autonomia, nel qual caso l’abuso d’ufficio può essere evidente.

Quindi, quattro “calunnie” o quattro menzogne presidenziali? Si può concludere che Berlusconi, a Santa Margherita Ligure, ancora una volta ha precipitato coscientemente la vita pubblica nella menzogna nella presunzione di abolire l’idea stessa di verità. (Beh, buona giornata).

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democrazia Leggi e diritto

“In realtà Berlusconi minaccia soprattutto se stesso, rivelando questa sua instabilità, questa paura.”

Il Cavaliere e il suo fantasma di EZIO MAURO-Repubblica.

Dunque siamo giunti al punto in cui il Presidente del Consiglio denuncia pubblicamente un vero e proprio progetto eversivo per farlo cadere e sostituirlo con “un non eletto dal popolo”. Un golpe, insomma, nel cuore dell’Europa democratica, come epilogo dell’avventura berlusconiana, dopo un quindicennio di tensioni continue introdotte a forza nel discorso pubblico italiano: per tenere questo sventurato Paese nella temperatura emotiva più adatta al populismo che può dominare le istituzioni solo sfidandole, fino a evocare il martirio politico.

È proprio questa l’immagine drammatica dell’Italia che l’uomo più ricco e più potente del Paese porta oggi con sé in America, all’incontro con Obama.

Solo Berlusconi sa perché dice queste cose, perché solo lui conosce la verità, che non può rivelare in pubblico, della sciagura che lo incalza. Noi osserviamo il dramma di un leader prigioniero di un clima di sconfitta anche quando vince perché da quindici anni non riesce a trasformarsi in uomo di Stato nemmeno dopo aver conquistato per tre volte il favore del Paese.
Quest’uomo ha con sé il consenso, i voti, i numeri, i fedeli. Ma non ha pace, la sicurezza della leadership, la tranquillità che trasforma il potere in responsabilità. Lo insegue l’altra metà di se stesso, da cui tenta di fuggire, sentendosi ghermito dal fondo oscuro della sua stessa storia. E’ una tragedia del potere teatrale e eccessiva, perché tutto è titanico in una vicenda in cui i destini personali vengono portati a coincidere col destino dell’Italia. Una tragedia di cui Berlusconi, come se lo leggesse in Shakespeare, sembra conoscere l’esito, sino al punto da evocare la sua fine davanti al Paese.

In realtà, come è evidente ad ogni italiano di buon senso, non c’è e non ci sarà nessun golpe. C’è invece un rapido disfacimento di una leadership che non ha saputo diventare cultura politica ma si è chiusa nella contemplazione del suo dominio, credendo di sostituire lo Stato con un uomo, il governo con il comando, la politica con il potere assoluto e carismatico.

Oggi quel potere sente il limite della sua autosufficienza. Ciò che angoscia Berlusconi è il nuovo scetticismo istituzionale che avverte intorno a sé, il distacco internazionale, il disorientamento delle élite europee, le critiche della stampa occidentale, la freddezza delle cancellerie (esclusi Putin e Gheddafi), lo sbigottimento del suo stesso campo: dove la regolarità istituzionale di Fini risalta ogni giorno di più per contrasto.

Il Cavaliere sente di aver perso il tocco, che aveva quando trasformava ogni atto in evento, mentre lo spettacolo tragicomico dei tre giorni italo-libici dimostra al contrario che le leggi della politica non sono quelle di uno show sgangherato.

Soprattutto, Berlusconi capisce che la fiaba interrotta di un’avventura sempre vittoriosa e incontaminata si è spezzata, semplicemente perché gli italiani improvvisamente lo vedono invece di guardarlo soltanto, lo giudicano e non lo ascoltano solamente. E’ in atto un disvelamento. Questa è la crepa che il voto ha aperto dentro la sua vittoria, e che è abitata oggi da queste precise inquietudini.

Il Cavaliere ha infatti ragione quando indica i quattro pilastri che perimetrano il campo della sua recente disgrazia: le veline, le minorenni, lo scandalo Mills e gli aerei di Stato. Giuseppe D’Avanzo, che su questi temi indaga da tempo con risultati che Berlusconi conosce benissimo, spiega oggi perché siano tutt’altro che calunnie come dice il premier. Sono quattro casi che il Cavaliere si è costruito con le sue mani, che lo perseguitano perché non può spiegarli, che lui evoca ormai quotidianamente mentre tenta di fuggirli, e che formano insieme uno scandalo pubblico, tutt’altro che privato: perché dimostrano, l’uno insieme con l’altro, l’abuso di potere come l’opinione pubblica comprende ogni giorno di più.

E’ proprio questo il sentimento del pericolo che domina oggi Berlusconi. Incapace di parlare davvero al Paese, di confrontarsi con chi gli pone domande, di assumersi la responsabilità dei suoi comportamenti, reagisce alzando la posta per trascinare tutto – le istituzioni, lo Stato – dentro la sua personale tragedia: di cui lui solo (insieme con la moglie che di questo lo ha avvertito, pochi giorni fa) conosce il fondo e la portata. Reagisce minacciando: l’imprenditore campione del mercato invita addirittura gli industriali italiani a non fare pubblicità sui giornali “disfattisti”, quelli che cioè lo criticano, perché la sua sorte coincide col Paese. Poi si corregge dicendo che voleva invitare a non dar spazio a Franceschini, come se non gli bastasse il controllo di sei canali televisivi ma avesse bisogno di un vero e proprio editto. E’ qualcosa che non si è mai visto nel mondo occidentale, anche se la stampa italiana prigioniera del nuovo conformismo preferisce parlar d’altro, come se non fosse in gioco la libertà del discorso pubblico, che forma l’opinione di ogni democrazia.

In realtà Berlusconi minaccia soprattutto se stesso, rivelando questa sua instabilità, questa paura. Se sarà coerente con le sue parole, c’è da temere il peggio. Cosa viene infatti dopo la denuncia del golpe? Quale sarà il prossimo passo? E se c’è una minaccia eversiva, allora tutto è lecito: dunque come userà i servizi e gli altri apparati il Cavaliere, contro i presunti “eversori”? Come li sta già usando? Chi controlla e chi garantisce in tempi che il premier trasforma in emergenza?

Attendiamo risposte. Per quanto ci riguarda, continueremo a comportarci come se fossimo in un Paese normale, dove la dialettica e anche lo scontro tra la libera stampa e il potere legittimo del Paese fanno parte del gioco democratico. Poi, ognuno giudicherà dove saprà fermarsi e dove potrà arrivare questo uso privato e già violento del potere statale da parte di un uomo che sappiamo pronto a tutto, anche a trasformare la crisi della sua leadership in una tragedia del Paese. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Leggi e diritto

Italia,10 giugno 2009:”così muore la giustizia penale”, avvertono i giudici.

La Camera dice sì alla fiducia al ddl intercettazioni: 325 i favorevoli, 246 i contrari, due gli astenuti. Ma intanto è scontro con l’opposizione che, unita, scrive al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Pd, Udc e Idv insieme contestano sia il ricorso al voto di fiducia, sia i contenuti del provvedimento. a ancora più duro è l’attacco al disegno di legge che arriva dall’associazione nazionale magistrati: così, avvertono i giudici, “muore la giustizia penale”. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

Pd, ultima fermata. Parola di Romano Prodi.

di Romano Prodi-Il Messaggero
Due sono le lezioni che arrivano ai partiti di centrosinistra dalle recenti elezioni: una lezione per l’Europa ed una per l’Italia. Riguardo all’Europa la batosta complessiva dei socialisti è stata troppo ampia e diffusa per non obbligare a ripensare al semplice interrogativo se essi siano in grado di fare avanzare da soli il complesso compito del riformismo europeo.

I dubbi nascono anche dal fatto che questa diffusa disfatta avviene in un momento di grave crisi economica con profondi disagi concentrati soprattutto nelle categorie tradizionalmente rappresentate dagli stessi partiti socialisti, a partire dai lavoratori di più basso livello e dai precari.

Qualche anno fa l’idea di pensare ad una nuova alleanza fra i progressisti (chiamata forse troppo pomposamente ulivo mondiale) era stata scartata come una proposta fuori dalla storia. Ho paura che quest’idea nella storia ci debba ritornare, almeno per aiutare a rielaborare le proposte che i diversi partiti socialisti hanno presentato ai loro elettori. E ci debba ritornare con una forte e coraggiosa politica europea. Abbiamo infatti assistito ad elezioni europee nelle quali le tesi degli euroscettici erano chiarissime, mentre le voci dei filo-europei erano flebili e non si concretizzavano in proposte precise.

La lezione per il centrosinistra italiano è altrettanto chiara, anche se maggiormente scontata in quanto i danni della frammentazione si erano già resi evidenti nelle precedenti contese elettorali.

Per il Partito Democratico in particolare il risultato, soprattutto mettendolo a confronto con le cattive previsioni e con il relativo flop del Pdl,è stato abbastanza buono da garantire la durata del partito stesso. Ma è stato abbastanza cattivo per obbligare a quel grande dibattito ideologico e programmatico di cui un nuovo partito ha assolutamente bisogno. E che è finora mancato. Insomma la lezione europea e la lezione italiana si intrecciano fra di loro e rendono necessario un rinnovamento radicale. /Beh, buona giornata).

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Il referendum di cui tutti parlano, ma nessuno sa di che si tratta.

Le tre proposte abrogative tendono alle riforma della legge elettorale del 2005-Legge elettorale, i tre quesiti referendari di Saverio De Laura-kataweb.it
I referendum abrogativi del 2009 presentano tre quesiti, ideati per riformare la legge elettorale in vigore da dicembre 2005.

Il sistema attuale – L’attuale sistema proporzionale è corretto con premio di maggioranza, conseguibile da una singola lista o da una coalizione di liste. La lista o la coalizione più votata possono così raggiungere il 55% dei seggi della Camera. Al Senato lo stesso premio è però attribuito su base regionale. Inoltre, la legge elettorale permette l’elezione contemporanea dei candidati in più di una circoscrizione elettorale.
L’eventuale riforma – Con i primi due quesiti (modulo verde per la Camera e modulo bianco per il Senato), il comitato referendario propone di abrogare il collegamento tra liste e la possibilità di attribuire un premio di maggioranza alle coalizioni di liste. In caso di esito positivo, il premio di maggioranza verrebbe quindi attribuito alla lista singola che abbia ottenuto il maggior numero di seggi. I promotori del referendum auspicano che ciò abbia l’effetto di spingere i partiti politici verso delle aggregazioni forti, sia da un punto di vista dinamico (alleanze in previsione delle elezioni), sia in termini assoluti (bipartitismo). In pratica, sulle schede per le votazioni politiche comparirebbe un solo simbolo, un solo nome (il candidato premier) ed una sola lista per ciascuna aggregazione candidata ad ottenere il premio di maggioranza.
Il terzo quesito (modulo rosso) propone l’abrogazione delle candidature multiple. L’attuale legge elettorale consente, sia per la Camera che per il Senato, che un unico soggetto si possa candidare in più di una circoscrizione elettorale. Se l’interessato risulta eletto in più circoscrizioni, può assegnare i seggi ai quali rinuncia ai primi dei candidati “non eletti” nelle liste circoscrizionali che ha rifiutato. Di fatto questa possibilità attribuisce a pochi eletti la capacità di gestire un enorme potere discrezionale da grandi elettori, scegliendo personalmente chi andrà in Parlamento. (17 aprile 2009)
I tre quesiti referendari sulla legge elettorale I Quesito – modulo colore verde: Premio di maggioranza alla lista più votata – CAMERA DEI DEPUTATI
Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 30marzo 1957, n. 361 [1], nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, titolato “Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei Deputati”, limitatamente alle seguenti parti:

art. 14-bis, comma 1: “I partiti o i gruppi politici organizzati possono effettuare il collegamento in una coalizione delle liste da essi rispettivamente presentate. Le dichiarazioni di collegamento debbono essere reciproche.”;

art. 14-bis, comma 2: “La dichiarazione di collegamento è effettuata contestualmente al deposito del contrassegno di cui all’articolo 14. Le dichiarazioni di collegamento hanno effetto per tutte le liste aventi lo stesso contrassegno.”;

art. 14-bis, comma 3, limitatamente alle parole: “I partiti o i gruppi politici organizzati tra loro collegati in coalizione che si candidano a governare depositano un unico programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come unico capo della coalizione.”;

art. 14-bis, comma 4, limitatamente alle parole “1, 2 e”;

art. 14-bis, comma 5, limitatamente alle parole: “dei collegamenti ammessi”;

art. 18-bis, comma 2, limitatamente alle parole: “Nessuna sottoscrizione è altresì richiesta per i partiti o gruppi politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di collegamento ai sensi dell’art. 14-bis, comma 1, con almeno due partiti o gruppi politici di cui al primo periodo e abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo, con contrassegno identico a quello depositato ai sensi dell’art. 14.”;

art. 24, numero 2), limitatamente alle parole: “alle coalizioni e”;

art. 24, numero 2), limitatamente alle parole: “non collegate”;

art. 24, numero 2), limitatamente alle parole: “, nonché per ciascuna coalizione, l’ordine dei contrassegni delle liste della coalizione”;

art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “delle liste collegate appartenenti alla stessa coalizione”;

art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “di seguito, in linea orizzontale, uno accanto all’altro, su un’unica riga”;

art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “delle coalizioni e”;

art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “non collegate”;

art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “di ciascuna coalizione”;

art. 83, comma 1, numero 2): “2) determina poi la cifra elettorale nazionale di ciascuna coalizione di liste collegate, data dalla somma delle cifre elettorali nazionali di tutte le liste che compongono la coalizione stessa, nonché la cifra elettorale nazionale delle liste non collegate ed individua quindi la coalizione di liste o la lista non collegata che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi;”;

art. 83, comma 1, numero 3), lettera a): “a) le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 10 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano nazionale almeno il 2 per cento dei voti validi espressi ovvero una lista collegata rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute, presentata esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbia conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione;”;

art. 83, comma 1, numero 3), lettera b), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “non collegate”;

art. 83, comma 1, numero 3), lettera b), limitatamente alle parole: “, nonché le liste delle coalizioni che non hanno superato la percentuale di cui alla lettera a) ma che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi ovvero che siano rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione”;

art. 83, comma 1, numero 4), limitatamente alle parole: “le coalizioni di liste di cui al numero 3), lettera a), e”;

art. 83, comma 1, numero 4), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;

art. 83, comma 1, numero 4), limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;

art. 83, comma 1, numero 5), limitatamente alle parole: “la coalizione di liste o”;

art. 83, comma l, numero 6): “6) individua quindi, nell’àmbito di ciascuna coalizione di liste collegate di cui al numero 3), lettera a), le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 2 per cento dei voti validi espressi e le liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione, nonché la lista che abbia ottenuto la maggiore cifra elettorale nazionale tra quelle che non hanno conseguito sul piano nazionale almeno il 2 per cento dei voti validi espressi;”;

art. 83, comma 1, numero 7): “7) qualora la verifica di cui al numero 5) abbia dato esito positivo, procede, per ciascuna coalizione di liste, al riparto dei seggi in base alla cifra elettorale nazionale di ciascuna lista di cui al numero 6). A tale fine, per ciascuna coalizione di liste, divide la somma delle cifre elettorali nazionali delle liste ammesse al riparto di cui al numero 6) per il numero di seggi già individuato ai sensi del numero 4). Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente così ottenuto. Divide poi la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista ammessa al riparto per tale quoziente. La parte intera del quoziente così ottenuta rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali queste ultime divisioni hanno dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, alle liste che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale nazionale; a parità di quest’ultima si procede a sorteggio. A ciascuna lista di cui al numero 3), lettera b), sono attribuiti i seggi già determinati ai sensi del numero 4);”;

art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole: “varie coalizioni di liste o”;

art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole: “per ciascuna coalizione di liste, divide il totale delle cifre elettorali circoscrizionali di tutte le liste che la compongono per il quoziente elettorale nazionale di cui al numero 4), ottenendo così l’indice relativo ai seggi da attribuire nella circoscrizione alle liste della coalizione medesima. Analogamente,”;

art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;

art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizioni di liste o”;

art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole: “coalizioni o”;

art. 83, comma 1, numero 9): “9) salvo quanto disposto dal comma 2, l’Ufficio procede quindi all’attribuzione nelle singole circoscrizioni dei seggi spettanti alle liste di ciascuna coalizione. A tale fine, determina il quoziente circoscrizionale di ciascuna coalizione di liste dividendo il totale delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste di cui al numero 6) per il numero di seggi assegnati alla coalizione nella circoscrizione ai sensi del numero 8). Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente. Divide quindi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista della coalizione per tale quoziente circoscrizionale. La parte intera del quoziente così ottenuta rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono assegnati alle liste seguendo la graduatoria decrescente delle parti decimali dei quozienti così ottenuti; in caso di parità, sono attribuiti alle liste con la maggiore cifra elettorale circoscrizionale; a parità di quest’ultima, si procede a sorteggio. Successivamente l’Ufficio accerta se il numero dei seggi assegnati in tutte le circoscrizioni a ciascuna lista corrisponda al numero dei seggi ad essa attribuito ai sensi del numero 7). In caso negativo, procede alle seguenti operazioni, iniziando dalla lista che abbia il maggior numero di seggi eccedenti, e, in caso di parità di seggi eccedenti da parte di più liste, da quella che abbia ottenuto la maggiore cifra elettorale nazionale, proseguendo poi con le altre liste, in ordine decrescente di seggi eccedenti: sottrae i seggi eccedenti alla lista in quelle circoscrizioni nelle quali essa li ha ottenuti con le parti decimali dei quozienti, secondo il loro ordine crescente e nelle quali inoltre le liste, che non abbiano ottenuto il numero di seggi spettanti, abbiano parti decimali dei quozienti non utilizzate. Conseguentemente, assegna i seggi a tali liste. Qualora nella medesima circoscrizione due o più liste abbiano le parti decimali dei quozienti non utilizzate, il seggio è attribuito alla lista con la più alta parte decimale del quoziente non utilizzata. Nel caso in cui non sia possibile fare riferimento alla medesima circoscrizione ai fini del completamento delle operazioni precedenti, fino a concorrenza dei seggi ancora da cedere, alla lista eccedentaria vengono sottratti i seggi in quelle circoscrizioni nelle quali li ha ottenuti con le minori parti decimali del quoziente di attribuzione e alle liste deficitarie sono conseguentemente attribuiti seggi in quelle altre circoscrizioni nelle quali abbiano le maggiori parti decimali del quoziente di attribuzione non utilizzate.”;

art. 83, comma 2, limitatamente alle parole: “la coalizione di liste o”;

art. 83, comma 2, limitatamente alle parole: “coalizione di liste o”;

art. 83, comma 2, limitatamente alle parole: “di tutte le liste della coalizione o”;

art. 83, comma 3, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste e”;

art. 83, comma 3, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;

art. 83, comma 3, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;

art. 83, comma 4: “L’Ufficio procede poi, per ciascuna coalizione di liste, al riparto dei seggi ad essa spettanti tra le relative liste ammesse al riparto. A tale fine procede ai sensi del comma 1, numero 7), periodi secondo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo.”;

art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “numero 6),”;

art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “e 9)”;

art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “coalizione di liste o”;

art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;

art. 84, comma 3: “Qualora al termine delle operazioni di cui al comma 2, residuino ancora seggi da assegnare alla lista in una circoscrizione, questi sono attribuiti, nell’àmbito della circoscrizione originaria, alla lista facente parte della medesima coalizione della lista deficitaria che abbia la maggiore parte decimale del quoziente non utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente. Qualora al termine di detta operazione residuino ancora seggi da assegnare alla lista, questi sono attribuiti, nelle altre circoscrizioni, alla lista facente parte della medesima coalizione della lista deficitaria che abbia la maggiore parte decimale del quoziente già utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente.”;

art. 84, comma 4, limitatamente alle parole: “e 3”;

art. 86, comma 2, limitatamente alle parole: “, 3”?».

II Quesito – modulo colore bianco:

Premio di maggioranza alla lista più votata – SENATO

Volete voi che sia abrogato il Decreto legislativo 20 dicembre 1993, n.533 [2], nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, titolato “Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica”, limitatamente alle seguenti parti:

art. 1, comma 2, limitatamente alle parole: “di coalizione”;

art. 9, comma 3, limitatamente alle parole: “Nessuna sottoscrizione è altresì richiesta per i partiti o gruppi politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di collegamento ai sensi dell’art. 14-bis, comma 1, del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, con almeno due partiti o gruppi politici di cui al primo periodo del presente comma e abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo, con contrassegno identico a quello depositato ai sensi dell’art. 14 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957.”;

art. 11, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: “alle coalizioni e”;

art. 11, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: “non collegate”;

art. 11, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: “, nonché, per ciascuna coalizione, l’ordine dei contrassegni delle liste della coalizione”;

art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: “delle liste collegate appartenenti alla stessa coalizione”;

art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: “di seguito, in linea orizzontale, uno accanto all’altro, su un’unica riga”;

art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: “delle coalizioni e”;

art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: “non collegate”;

art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: “di ciascuna coalizione”;

art. 16, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: “. Determina inoltre la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna coalizione di liste, data dalla somma delle cifre elettorali circoscrizionali di tutte le liste che la compongono”;

art. 16, comma 1, lettera b), numero 1): “1) le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano regionale almeno il 20 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano regionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi;”;

art. 16, comma 1, lettera b), numero 2), limitatamente alle parole: “non collegate”;

art. 16, comma 1, lettera b), numero 2), limitatamente alle parole: “nonché le liste che, pur appartenendo a coalizioni che non hanno superato la percentuale di cui al numero 1), abbiano conseguito sul piano regionale almeno l’8 per cento dei voti validi espressi”;

art. 17, comma 1, limitatamente alle parole: “le coalizioni di liste e”;

art. 17, comma 1, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;

art. 17, comma 1, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;

art. 17, comma 2, limitatamente alle parole: “la coalizione di liste o”;

art. 17, comma 3: “Nel caso in cui la verifica di cui al comma 2 abbia dato esito positivo, l’ufficio elettorale regionale individua, nell’àmbito di ciascuna coalizione di liste collegate di cui all’articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1), le liste che abbiano conseguito sul piano circoscrizionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi. Procede quindi, per ciascuna coalizione di liste, al riparto, tra le liste ammesse, dei seggi determinati ai sensi del comma 1. A tale fine, per ciascuna coalizione di liste, divide la somma delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste ammesse al riparto per il numero di seggi già individuato ai sensi del comma 1, ottenendo così il relativo quoziente elettorale di coalizione. Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente. Divide poi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista ammessa al riparto per il quoziente elettorale di coalizione. La parte intera del quoziente così ottenuta rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali queste ultime divisioni hanno dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, alle liste che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale circoscrizionale; a parità di quest’ultima si procede a sorteggio. A ciascuna lista di cui all’articolo 16, comma 1, lettera b), numero 2), sono attribuiti i seggi già determinati ai sensi del comma 1.”;

art. 17, comma 4, limitatamente alle parole: “alla coalizione di liste o”;

art. 17, comma 5, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizioni di liste o”;

art. 17, comma 5, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;

art. 17, comma 5, limitatamente alle parole: “alle coalizioni di liste e”;

art. 17, comma 6: “Per ciascuna coalizione l’ufficio procede al riparto dei seggi ad essa spettanti ai sensi dei commi 4 e 5. A tale fine, per ciascuna coalizione di liste, divide il totale delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste ammesse al riparto ai sensi dell’articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1), per il numero dei seggi ad essa spettanti. Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente così ottenuto. Divide poi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista per quest’ultimo quoziente. La parte intera del risultato così ottenuto rappresenta il numero dei seggi da attribuire a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alla lista per la quale queste ultime divisioni abbiano dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelle che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale circoscrizionale.”;

art. 17, comma 8: “Qualora una lista abbia esaurito il numero dei candidati presentati nella circoscrizione regionale e non sia quindi possibile attribuire tutti i seggi ad essa spettanti, l’ufficio elettorale regionale assegna i seggi alla lista facente parte della medesima coalizione della lista deficitaria che abbia la maggiore parte decimale del quoziente non utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente. Qualora due o più liste abbiano una uguale parte decimale del quoziente, si procede mediante sorteggio.”;

art. 17-bis, limitatamente alle parole: “e 6”;

art. 19, comma 2: “Qualora la lista abbia esaurito il numero dei candidati presentati in una circoscrizione e non sia quindi possibile attribuirle il seggio rimasto vacante, questo è attribuito, nell’àmbito della stessa circoscrizione, ai sensi dell’articolo 17, comma 8.”».

III Quesito – modulo colore rosso:

Abrogazione candidature multiple

Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 30marzo 1957, n. 361 [3], nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, titolato “Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei Deputati”, limitatamente alle seguenti parti:

art. 19, limitatamente alle parole: “nella stessa”,

art. 85.

(Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Lavoro Popoli e politiche

Mentre l’Europa va a destra, l’economia va a fondo.

Quali prospettive per l’economia mondiale? – Economiadi Stefano Sylos Labini – da eticaeconomia.it/megachip.info

Oggi ci troviamo in un momento cruciale nell’evoluzione dell’economia mondiale. Da un lato il sistema capitalistico è precipitato in una gigantesca crisi di sovrapproduzione la quale è scoppiata per effetto del crollo della domanda aggregata.

Dall’altro lato le politiche keynesiane di spesa in deficit, che in questo periodo sono affiancate da una fortissima espansione monetaria attuata dalle Banche Centrali di tutto il mondo, rappresentano nel breve periodo l’unico sistema di intervento in grado di trainare la ripresa della domanda, della produzione e dell’occupazione. Così l’espansione del debito può far crescere il Pil e il gettito fiscale esercitando una spinta verso il contenimento del rapporto tra debito e reddito. La ripresa dell’economia a sua volta è una condizione fondamentale per riattivare il credito bancario e più in generale la creazione di moneta (potere di acquisto) da parte del mercato.

Nel modello di sviluppo che ha prevalso a partire dagli anni di Reagan e della Thatcher (inizio degli anni ’80) e che ci ha fatto precipitare nell’attuale crisi finanziaria ed economica, la crescita dei salari, della spesa sociale e dell’offerta di moneta pubblica (base monetaria) è stata sostituita con un’espansione eclatante dell’indebitamento privato . Così la domanda di beni di consumo, di abitazioni e di attività finanziarie è stata alimentata in larga misura dal credito bancario e da strumenti derivati[1].

Oggi il modello di sviluppo fondato su una crescente divaricazione nella distribuzione della ricchezza mostra tutti i suoi limiti perché l’eccesso di indebitamento privato può avere degli effetti nefasti nel momento in cui la crescita dell’economia tende a rallentare, si creano delle aspettative negative ed inizia a ridursi il prezzo degli immobili e delle azioni che garantivano i debiti privati. Nel settembre del 2008 tali fenomeni hanno provocato il crollo della fiducia nella capacità di rispettare gli impegni di pagamento e la paralisi del credito bancario all’economia. Si è determinata così una violentissima restrizione monetaria che ha prodotto un’enorme vuoto di domanda e quindi la caduta della produzione e dell’occupazione.

Si tratta perciò di rivedere il modello di sviluppo che si è imposto negli ultimi 30 anni perché senza un nuovo consumatore che prenda il posto del consumatore americano iper-indebitato, il mondo rischia di andare incontro ad un periodo prolungato di rallentamento economico.

In altri termini, la crisi che il mondo attraversa non è ciclica ma strutturale ed è legata all’eccessiva dipendenza dal consumatore americano. Il pianeta ha bisogno di maggior consumo in India, Cina ed Europa altrimenti, sarà difficile che ci sia una domanda adeguata in grado di assorbire le enormi potenzialità produttive che oggi esistono nei paesi avanzati e nei paesi di recente industrializzazione come Cina e India. E una maggiore domanda la si può ottenere solo puntando sull’espansione dell’occupazione e sulla crescita dei salari di centinaia di milioni di persone. Ciò significa che gli interventi pubblici attuati nel breve periodo vanno accompagnati con politiche per la redistribuzione del reddito che si devono fondare su una decisa lotta all’evasione fiscale e su una maggiore tassazione dei redditi alti, dei beni patrimoniali e delle attività finanziarie.

Nei paesi avanzati la creazione di occupazione e l’aumento dei salari rappresentano delle condizioni fondamentali non solo per il sostegno dei consumi, ma anche per la riduzione del lavoro precario e per eventuali riforme volte ad innalzare l’età pensionabile. Quest’ultima è una richiesta che proviene in primo luogo dalle Associazioni degli Industriali, le quali durante le fasi di crisi si comportano esattamente al contrario poiché ricorrono alla cassa integrazione e ai pensionamenti anticipati delle unità di lavoro più anziane con i livelli retributivi più alti.

L’eccesso di offerta in rapporto alla domanda e la disponibilità di forza lavoro abbondante e a basso costo a livello mondiale hanno determinato la continua perdita di forza contrattuale dei lavoratori sul piano economico e la crisi delle forze di sinistra sul piano politico. I salari dei lavoratori dei paesi avanzati con il procedere della globalizzazione e con la comparsa di nuove aree produttive sulla scena mondiale hanno subito una concorrenza fortissima da parte dei lavoratori immigrati a basso costo in patria e dei prodotti a basso costo realizzati nei paesi in via di sviluppo. A questo si aggiunge una tendenza verso la frantumazione delle attività produttive determinata dai fenomeni di esternalizzazione e del sub-appalto oltre ad un abnorme espansione del lavoro precario e ad un aumento rilevante della disoccupazione. Per tali motivi oggi è molto difficile mettere in pratica politiche redistributive in grado di far crescere i redditi più bassi nei paesi avanzati.

Per cercare di rompere questa situazione negativa la prima cosa da fare sarebbe quella di creare un salario minimo al di sotto del quale non si può scendere. E’ vero che questo intervento potrebbe determinare il ricorso al lavoro nero, per questo il salario minimo deve essere composto da una quota che viene pagata dall’impresa a cui si aggiunge una quota che deve essere corrisposta dallo Stato sottoforma di affitti agevolati, tariffe elettriche, telefoniche e del gas scontate, detassazioni sui beni di prima necessità, servizi a prezzo sociale (scuola, spese mediche, ecc.).

Ma come fare se i paesi avanzati hanno un deficit pubblico e delle spese per interessi sul debito molto elevate ? Probabilmente un intervento di sostegno potrebbe essere effettuato attraverso la creazione di base monetaria per assorbire quote rilevanti di debito pubblico. Ciò significa che anche le Banche Centrali dovrebbero svolgere un ruolo attivo nello sviluppo dell’economia, un ruolo che non deve essere solo difensivo e rivolto principalmente a sostenere il sistema bancario come sta avvenendo nel periodo attuale. Come abbiamo visto, in questi mesi la Federal Reserve ha prodotto un’eclatante espansione della base monetaria per cercare di arginare il crollo della domanda, della produzione e dell’occupazione e per evitare il fallimento di gran parte del sistema finanziario americano. E allora perché gli interventi delle Banche Centrali devono essere limitati solo ai periodi di crisi violenta e non devono proseguire sino a che non si raggiungono livelli di piena occupazione e di salari dignitosi per tutti ?

Secondo le concezioni dominanti una tale linea di intervento alimenterebbe l’inflazione, ma se i salari corrisposti dalle imprese crescono con la stessa velocità della produttività non si produce alcuna tensione sui prezzi al consumo, e se esiste capacità produttiva inutilizzata difficilmente si avrà un eccesso di domanda sulla produzione. In effetti oggi l’unico rischio di inflazione proviene dalla crescita del prezzo del petrolio per un aumento troppo rapido dei consumi rispetto all’offerta, per le tensioni geopolitiche e per i fenomeni di speculazione finanziaria. La possibilità di scongiurare l’“inflazione da petrolio” dipende in primo luogo dalla capacità del pianeta di riuscire a sviluppare nel lungo periodo fonti energetiche diverse rispetto ai combustibili fossili. Cioè dipende dalle strategie di politica energetica e industriale che saranno perseguite per aumentare le spese in ricerca, gli investimenti e la produzione di nuove tecnologie energetiche.

Accanto ad un sostegno immediato dei salari e delle fasce sociali più deboli, è augurabile anche un intervento per la creazione di occupazione attraverso grandi progetti tecnologici e infrastrutturali, come sta già avvenendo negli Stati Uniti. In Europa questi progetti potrebbero essere finanziati con gli “eurobonds”. La riduzione della disoccupazione oltre ad alimentare i consumi permetterebbe di far ottenere ai lavoratori un maggiore potere contrattuale e quindi consentirebbe di portare avanti politiche incisive per la redistribuzione del reddito, condizione fondamentale per garantire uno sviluppo sostenibile nel lungo periodo.

Inoltre, è necessario che il settore bancario, in cui vi sono gigantesche concentrazioni di potere, sia messo sotto un controllo politico e sociale molto più stringente di quanto possano fare oggi le autorità antitrust e gli organismi di regolazione internazionali proprio per canalizzare le risorse finanziarie verso gli investimenti produttivi e le spese sociali.

Per concludere, i paesi avanzati hanno altre grandi responsabilità oltre a quelle di offrire salari dignitosi e un’occupazione per tutti i cittadini residenti nei propri territori. Come detto, devono trainare una rivoluzione energetica per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e l’impatto ambientale della produzione e dei consumi sul clima del pianeta. Inoltre, è nell’interesse dei paesi avanzati promuovere lo sviluppo dei paesi poveri. Si tratta di decisioni non più rinviabili per ridurre i fenomeni migratori che stanno mettendo sempre più a rischio la coesione sociale nei paesi avanzati e che non sono moralmente accettabili per le popolazioni povere le quali vengono sradicate dai loro territori e sono costrette ad emigrare in ambienti ostili con dei costi umani altissimi. (Beh, buona giornata).

________________________________________

[1] E’ importante sottolineare che l’enorme espansione della massa monetaria creata dal mercato sino alla crisi di settembre del 2008 non ha determinato una crescita significativa dei prezzi dei beni di consumo, mentre ha alimentato l’inflazione dei prezzi degli immobili e delle quotazioni azionarie. L’inflazione immobiliare e finanziaria a sua volta attraeva masse sempre più grandi di capitali in questi settori finché i prezzi non hanno iniziato a diminuire.

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Attualità democrazia

“Questa è una sconfitta che non tocca, non fa neanche un graffio al governo Berlusconi premier ma che è uno schiaffo, neanche tanto dolce, a Berlusconi uomo pubblico, guida e oracolo degli italiani.”

Elezioni/ Berlusconi primo ma non vince: il 35 per cento non sconfigge il governo ma smentita il leader, ed è colpa sua. Le vittorie della Lega e Di Pietro, il Pd salva la pelle, la sinistra suicida, il miracolo di Casini. In Europa il giorno nero dei socialisti, il vento di destra. E quel seggio che si inchina a Noemi. di Lucio Fero-blitzquotidiano.it

La sorpresa c’è stata: Berlusconi arriva primo ma non vince. Quel 35 per cento è più di quanto abbia raccolto ogni altro partito, ma è poco. E che sia per tutti, lui compreso, poco, proprio poco, è scelta, responsabilità e colpa proprio sua, di Berlusconi.

Tecnicamente è andata così: agli astenuti per stanchezza e sfinimento, malattie tipiche e in certa misura ormai croniche dell’elettorato di centro sinistra, stavolta si sono aggiunti gli astenuti per indigestione e inappetenza. Due malesseri, due indisposizioni forse momentanee e forse no che hanno colto un bel po’ di elettorato di centro destra. Indigestione da premier troppo pimpante, troppo narrante, troppo promettente, troppo tutto… E inappetenza, voglia un po’ calcolata e un po’ casuale di metterlo a moderata dieta di consensi questo premier già autoproclamatosi “santo” e non normale uomo della politica e della storia.

Tecnicamente dunque Berlusconi è stato fermato dall’astensione, stavolta dall’astensione anche della sua gente. Un danno, ma niente di più grave di un’ammaccattura. Se non fosse che altro e più grave danno ha subito Berlusconi: la smentita. I risultati infatti smentiscono non la sua forza ma la sua narrazione. Aveva narrato non solo di altre percentuali, 40 e passa per cento, aveva narrato di un’Italia pronta a risarcirlo in massa delle offese subite. Di un’Italia che faceva ressa ansiosa non per confermarlo premier ma per innalzarlo più in alto, sempre più in alto. Aveva chiesto più voti contro il Parlamento lento e inutile, contro la stampa, i giudici, contro tutto ciò che fa ragine alla sua azione salvifica del paese. Li aveva chiesti questi voti e non li ha avuti, alla sua potente narrazione crede un italiano su tre. Questa è una sconfitta che non tocca, non fa neanche un graffio al governo Berlusconi premier ma che è uno schiaffo, neanche tanto dolce, a Berlusconi uomo pubblico, guida e oracolo degli italiani. La sua insomma è la voce più forte che c’è, ma non è la voce narrante dell’Italia.

C’è stata la vittoria, anzi ce ne sono state due. Quella della Lega e quella di Di Pietro. Sommandole, se ne deduce che il 20 per cento degli elettori vogliono, fortemente vogliono cose impossibili, sognano e chiedono choc sociali. Vogliono la fine dell’immigrazione, l’esenzione non solo dalla crisi economica ma anche dalla riconversione di abitudini sociali ed economiche senza le quali dalla crisi non si esce, l’abolizione per decreto o per frontiera della globalizzazione…Oppure la defenestrazione, l’impeachement giudiziario di Berlusconi, un “Grande Processo” che purifichi l’Italia…E’ la volontà e la voglia di un bel pezzo, anzi di due pezzi crescenti di elettorato, sono due voglie entrambe “matte”. Cioè tanto incontenibili quanto pericolose.

Non c’è stato il funerale, anzi il Pd ha salvato la pelle. Niente di più della pelle, ma tra il restare in vita e chiudere bottega c’è un mare, anzi un oceano di differenza. Sono ancora in tempo a disperderlo quel 26 per cento, quelli che guidano il Pd sono capaci anche di questo. Sarebbero anche in tempo, incredibilmente l’elettorato glielo ha dato ancora il tempo, di diventare una forza riformista davvero. Insomma hanno avuto tempo, che in politica è una forma di “denaro”.

C’è stata la sentenza: hanno disperso e buttato via il 6,5 per cento dei voti. Le due liste di sinistra si sono suicidate non per caso e non per sbaglio. La sentenza è di inaffidabilità politica e culturale, oltre che organizzativa.

C’è stata la conferma: l’Udc di Casini esiste e resiste, anzi avanza. Il centro destra non se la mangia, il centro sinistra non la scalfisce.

Dunque un’Italia alquanto diversa da come lei stessa si aspettava di essere, diversa almeno un po’, più complicata di come veniva narrata dalla versione ufficiale.

E l’Europa? Stanca, illusa, nervosa. Ai governi e ai partiti socialdemocratici non crede più e anzi di loro non sa più tanto bene che farsene. Paga dazio Zapatero, anche se in fondo resiste, l’Spd tedesca si avvia a mollare il governo, il Labour inglese è annichilito, i socialisti francesi sembrano un vecchio partito comunista. Tengono invece i governi di centro destra nei paesi sociallmente più solidi. In quelli di fragile e recente democrazia invece avanza la destra estrema. Ci si soprende che i ceti popolari e anche il ceto medio sotto la pressione della crisi economica guardino a destra. Non è però un fenomeno nuovo, anzi è una costante della storia. E’ un’Europa stanca di dover cambiare, infinitamente stanca di dover correre il rischio che invece gli americani accettano. Illusa di poter restare come sta. Nervosa perchè in realtà non sa a chi chiedere la garanzia dell’immobilità.

Ultima nota, marginale, casalinga e mortificante: quel seggio dove Noemi arriva scortata dai vigili urbani e dalle forze dell’ordine, l’energumeno che spinge via gli altri elettori in attesa, il presidente di seggio che chiude la porta in faccia ai comuni cittadini perchè i vip stanno votando. Piccola, grande scena di un’Italia servile per vocazione, civilmente ignorante e cafona. Una scena triste e avvilente, ma questa, almeno questa, non è certo colpa di Berlusconi. In quel seggio un’Italia eticamente “meridionale” si è mostrata com’è, al naturale. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Lavoro Media e tecnologia Popoli e politiche Pubblicità e mass media

Crisi economica globale: a picco gli indici della fiducia dei consumatori in tutto il mondo.

(fonte: advexpress.it)

Negli ultimi sei mesi, la fiducia dei consumatori a livello globale è precipitata ad un minimo record, perdendo sette punti, da 84 a 77, secondo il “Nielsen Global Consumer Confidence Index”. L’ultima indagine Nielsen sulla fiducia dei consumatori a livello globale, condotta ad aprile 2009 in 50 Paesi, ha mostrato che i mercati emergenti di Russia, EAU (Emirati Arabi Uniti) e Brasile hanno accusato un enorme calo di fiducia da parte dei consumatori negli ultimi sei mesi a causa della svalutazione monetaria, dell’indebolimento dei mercati di esportazione e della caduta dei prezzi delle merci a livello globale.

“Mentre l’Europa e i mercati sviluppati hanno visto precipitare drammaticamente la fiducia dei consumatori tra maggio e ottobre 2008, i mercati emergenti di Russia e America Latina hanno accusato maggiormente il colpo negli ultimi mesi”, ha dichiarato James Russo, Vice President, Global Consumer Insights, The Nielsen Company. In Russia la fiducia dei consumatori è scesa di 29 punti (arrivando a 75 punti rispetto ai 104 di settembre ’08), dando prova del maggior calo registrato da Nielsen a livello globale. Nei principali mercati emergenti invece la fiducia di EAU e Brasile è scesa di 21 punti. L’America Latina ha dimostrato il maggior calo di fiducia dei consumatori, con una diminuzione di 15 punti (da 97 a 82), mentre in Europa e Asia-Pacifico è scesa in entrambi i casi di sette punti.

“Sei mesi fa, mentre i mercati sviluppati procedevano spediti verso l’epicentro di una recessione globale, l’America Latina rappresentava l’area geografica più ottimista del mondo – tuttavia i lunghi tentacoli della recessione globale non hanno tardato a raggiungerla”, ha aggiunto Russo. Secondo l’indagine Nielsen, la fiducia dei consumatori in Brasile è scesa da 108 a 87 punti, mentre in Argentina è scesa da 94 a 78 punti. “Sebbene sia improbabile che gli effetti della crisi globale abbiano un impatto sui consumatori dei paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) e Latam (America Latina) simile a quello registrato nei paesi sviluppati, questi mercati stanno attualmente sperimentando un notevole rallentamento rispetto al boom e alla crescita degli ultimi anni”, ha affermato Russo.

“Verso la fine dello scorso anno, i consumatori russi hanno assunto un atteggiamento di ‘attesa’ nei confronti della difficile situazione economica globale, che da allora ha intrapreso un’inesorabile oscillazione verso il basso. La continua riduzione del prezzo del petrolio, la svalutazione monetaria e il rallentamento locale verificatosi in diversi settori hanno riportato alla memoria la crisi russa del 1998”, ha aggiunto Dwight Watson, Managing Director, The Nielsen Company, Russia.

L’Indonesia è in testa alla classifica Nielsen della fiducia dei consumatori a livello globale con 104 punti, seguita dalla Danimarca (102 punti) e dall’India (99 punti). I Paesi più pessimisti a livello mondiale secondo l’indice Nielsen sono la Corea (31 punti), seguita da Portogallo e Lettonia con 48 punti. La fiducia è precipitata in 49 Paesi su 50 – Taiwan è stato l’unico Paese a contrastare la tendenza globale, rialzando l’indice da 60 a 63 punti, ma pur sempre 14 punti sotto la media globale.

“Comunicazioni quotidiane di tagli di posti di lavoro e di calo dei profitti aziendali, fallimenti e pignoramenti, riduzione delle previsioni di PIL e di produzione hanno contribuito a diminuire la fiducia e il potere d’acquisto dei consumatori, portandoli ai livelli minimi dal dopoguerra. Negli ultimi sei mesi, la fiducia dei consumatori in Medio Oriente, Africa e Nord America è diminuita rispettivamente di due e tre punti. Tuttavia, l’assenza di un’ulteriore diminuzione della fiducia dei consumatori nordamericani potrebbe dar prova dei primi cauti segnali di speranza che la recessione stia finalmente per giungere al termine.” ha dichiarato Russo.

“I risultati che stiamo osservando secondo l’ultimo indice Nielsen della fiducia dei consumatori indicano che siamo giunti, o che stiamo per giungere, verso la fine di questo ciclo economico. In particolare negli Stati Uniti, dove si stanno chiaramente ritoccando spese e risparmi e dove il 40% dei consumatori dichiara di aver quasi terminato di pagare i debiti e di iniziare a risparmiare, si sta sviluppando un atteggiamento di ottimismo dovuto alla percezione del fatto che la fine del tunnel sia vicina, e quasi il 20% prevede una ripresa entro i prossimi 12 mesi”, ha commentato Russo.

L’Europa rimane l’area geografica più pessimista con 70 punti, sette sotto la media globale; chiara indicazione del fatto che la ripresa economica in Europa avrà luogo più lentamente. Secondo l’indagine Nielsen, il 77% dei consumatori online ritiene che la propria economia sia in recessione, rispetto al 63% di sei mesi fa.

“In generale, i consumatori hanno attraversato un periodo difficile alla fine del 2008 e si sono preparati ad affrontare un periodo altrettanto arduo nella prima metà del 2009, cosa che sta puntualmente accadendo. L’unica eccezione a livello globale è la Cina, dove il 65% dei consumatori su internet non ritiene che la propria economia sia in recessione”, ha dichiarato Russo.

Tra i consumatori online a livello globale che ritengono di essere attualmente in recessione, il 52% dichiara di essersi preparato ad una recessione globale che durerà 12 mesi o più. “Un consumatore su due non è in attesa di un miracolo per una rapida ripresa; probabilmente il miglior approccio auspicabile è di rimanere fermi ma stabili”, ha dichiarato Russo. Tuttavia, non tutti sono preparati a sopportare una recessione prolungata – alcuni consumatori stanno già pianificando il loro party post-recessione. Tra i recessionisti attuali, quasi un consumatore online su cinque (23%) ritiene che il proprio Paese uscirà dalla recessione entro i prossimi 12 mesi; tale classifica è capeggiata da vietnamiti (60%) e indiani (56%).

Due consumatori danesi e olandesi su cinque ritengono anch’essi di uscire dalla recessione entro un anno, insieme ad un consumatore su tre con sede in Austria, Svezia, Norvegia, Russia, Indonesia, Israele, Messico e EAU.

Mentre la fiducia dei consumatori a livello globale è precipitata ad un nuovo livello minimo, la paura della disoccupazione e l’incertezza del lavoro hanno raggiunto massimi storici. La certezza del lavoro è stata menzionata come principale preoccupazione tra i consumatori su internet in 31 dei 50 Paesi oggetto dell’indagine. La preoccupazione globale relativa alla certezza del lavoro è salita al 22% rispetto al 9% rilevato in occasione dell’ultima indagine.

“Per la prima volta in questa ricerca, il posto di lavoro è diventato una delle preoccupazioni principali della vita”, ha affermato Russo. Sei mesi fa i consumatori globali menzionavano l’economia e l’equilibrio tra vita privata e vita professionale tra le principali preoccupazioni, ma a seguito del peggioramento delle condizioni economiche, le priorità dei consumatori sono cambiate rapidamente”, ha dichiarato Russo.

“Dato il numero record di licenziamenti per esubero a livello globale in tutti i settori, la preoccupazione economica e quella sulla certezza del lavoro hanno superato ogni altra preoccupazione della vita quotidiana”, ha affermato Russo. I consumatori che hanno indicato il lavoro quale preoccupazione principale nella vita quotidiana sono situati in Cina (29%), Hong Kong (33%), India (29%), Singapore (32%), Vietnam (36%), Italia (24%), Spagna (34%), Ungheria (31%) e Messico (29%). “Questi numeri riflettono il livello di crescente preoccupazione a fronte di un mercato del lavoro in crisi in tutte le aree geografiche”, ha continuato Russo. L’incertezza del lavoro rimane una preoccupazione anche per il prossimo futuro. Un consumatore globale su cinque (26%) ha delineato prospettive di lavoro negative per i prossimi 12 mesi rispetto al 17% del mese di ottobre 2008. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi arriva in profondità: ora tocca agli edicolanti.

Edicole/ A Roma ne sono a rischio chiusura 140. Le cause: crisi editoria, affitti salati, tasse
di Giancarlo Usai*-blitzquotidiano.it

Le edicole romane sono in crisi. E non solo per il crollo delle vendite dei giornali. Soprattutto nel centro storico, la situazione dell’ultimo anno è drammatica. Secondo le stime sindacali, in 140 edicolanti sono a rischio chiusura, con un calo del fatturato in media del 35 per cento. L’ultimo degli storici “chioschi” a terminare la sua attività è stato quello di Via del Corso, accanto alla Cassa di risparmio. Ma se non è solo la crisi dell’editoria il motivo di queste chiusure, quali sono le altre cause? Prima di tutto, gli affitti saliti alle stelle nel I municipio, con prezzi compresi tra i 600 e i 1200 euro al mese. Il centro storico è anche zona critica per le spese di occupazione del suolo pubblico, circa 115 euro a metro quadro.

Se a tutte queste uscite si sommano incassi medi sotto ai duecento euro al giorno, ecco spiegato il perché i rivenditori storici di giornali stanno rischiando di diventare un semplice ricordo del passato.

Poi, come sostiene la Fieg, ci sono problemi legati alla cattiva distribuzione delle licenze concesse dal Comune di Roma. Nei quartieri centrali c’è un esubero di almeno 350 edicole, mentre nelle nuove zone periferiche l’obiettivo di un’edicola ogni mille abitanti è lontano dall’essere realizzato. Ora, con molti edicolanti storici che saranno costretti ad abbassare la saracinesca, la richiesta dei sindacati è di trasferire ai nuovi punti vendita in periferia i titolari di licenze rimasti senza lavoro. (Beh, buona giornata).

*Scuola di Giornalismo Luiss

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Attualità democrazia

Elezioni europee: i voti veri tradiscono i risultati percentuali. Chi ha perso, chi non ha vinto, chi ha vinto ma non ce l’ha fatta.

(fonte corriere.it)

Il calo dei votanti è stato brutale: 65,04% degli aventi diritto al voto alle Europee 2009 rispetto all’80,5% alla Camera dei deputati alle politiche dell’aprile 2008. Un crollo di oltre di oltre 15 punti percentuali, che si è tramutato in un calo secco dei voti effettivi ottenuti dai vari partiti. Con alcune eccezioni, che riguardano Lega Nord, Italia dei valori e, soprattutto, le due liste della sinistra radicale che, proprio a causa del fatto di presentarsi divise non sono riuscite a raggiungere la soglia minima del 4% che permetteva di eleggere deputato all’Europarlamento.

CHI PERDE – Il Popolo delle libertà ha avuto 3.100.000 voti in meno rispetto alle Politiche 2008.
Peggio per il Partito democratico: un calo di 4.420.000 voti, che scendono però a -3.700.000 voti se si scorpora il risultato ottenuto dai radicali, che nel 2008 si presentavano all’interno del Pd
Un calo limitato (130 mila voti in meno) anche per l’Udc.

CHI VINCE – Chi ottiene il maggiore balzo in avanti sono le sinistre radicali: 840 mila voti in più sommando i voti di Rifondazione comunista e Comunisti italiani con quelli di Sinistra e libertà (che raggruppo gli scissionisti di Vendola, i Verdi e i socialisti). Queste liste si erano presentate insieme nel 2008 ottenendo in tutto 1,15 milioni di voti.
Grande balzo in avanti dell’Italia dei valori, che incrementa i voti di 820 mila unità.
La Lega Nord, che ottiene un grande successo in termini percentuali alle Europee, aumenta in realtà solo di 100 mila unità i voti ottenuti alle Politiche. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

Berlusconi, l’unico vero sconfitto. Diffidate delle imitazioni.

Tra i credenti perso il 20% in un mese. Crisi di immagine. E il premier ora teme uno choc sul G8
di Federico Verderami-corriere.it

È allarme rosso nel Pdl. Altro che 25 aprile, al­tro che pacificazione naziona­le, altro che dialogo e riforme condivise. Da domani maggio­ranza e opposizione contribui­ranno ognuna per la propria parte a rendere ancora più alto il muro che le tiene separate. Perché ormai è chiaro quale te­ma terrà banco in Parlamento fino all’estate, è sulla giustizia che si sfideranno i due schiera­menti. Berlusconi ha invitato il suo Guardasigilli a prepararsi per uscire allo scoperto, sapen­do che Bossi si comporterà da «alleato leale», dopo aver otte­nuto quanto chiedeva: la legge delega sul federalismo fiscale. E siccome al momento non ci sono le condizioni per un ta­volo bipartisan dove discutere sulle modifiche alla Carta costi­tuzionale, il Cavaliere vorreb­be sfruttare questi due mesi di lavoro parlamentare per porta­re a casa il nuovo testo sulle in­tercettazioni e la riforma del processo penale. Era questo il piano prima delle elezioni, ma il risultato delle urne lo conse­gna indebolito e sarà più com­plicato in questo modo dar bat­taglia.

Eppure lo scontro inizierà già domani alla Camera, dove si voterà la mozione del Pd che chiede l’abolizione del «lodo Alfano». Per l’ennesima volta sarà come ripiombare in un passato che non è mai alle spal­le, se è vero che si intravedono le ombre di ulteriori e clamoro­si colpi di scena giudiziari. Da tempo voci preoccupate ali­mentano i colloqui riservati dell’inner circle berlusconia­no, nuovi fantasmi si muove­rebbero nel triangolo delle pro­cure di Milano, Napoli e Paler­mo, con il Cavaliere — e non solo lui — nel mirino. È un’ipoteca politica che gra­va anche sul G8 dell’Aquila, do­ve Berlusconi teme «una sgra­devole sorpresa» come quella del ’94. È una questione che co­munque ieri sera è rimasta ai margini delle prime analisi sul voto.

A preoccupare i dirigenti del Pdl, semmai, è stato l’azzar­do del premier, che tenendo al­tissima l’asticella del risultato in campagna elettorale aveva prodotto un’aspettativa molto ambiziosa. Anche troppo. «Quota 40» era la soglia, inve­ce non solo è sceso sotto quel limite, ha ripiegato anche ri­spetto alle Politiche. Una scon­fitta. Nessuno lo immaginava nel Pdl, dove si è avvertito un sen­so di smarrimento, più di quanto ne avesse prodotto la sfuriata di Berlusconi qualche ora prima, irritato per la «pessi­ma organizzazione» dell’ulti­ma manifestazione a Milano: «C’era pochissima gente». Quella convention è stata em­blematica perché ha dato l’idea di un partito che stenta a decollare. In fondo, quando il premier sostiene di esser stato «forzato» a candidarsi, disvela la fragilità del Pdl.

Il punto è che Berlusconi re­sta l’unico attaccante, l’uomo panino, il collettore di consen­si. Fino al 25 aprile, infatti, quando ancora macinava gli avversari, quando si sentiva ed era «il presidente di tutti gli ita­liani », il Pdl veleggiava tra il 43-45%. Il Cavaliere appariva un dominus della politica ita­liana capace di proiettare la sua forza anche a livello inter­nazionale, prefigurando il Pdl come primo partito del Ppe e ipotecando persino la presiden­za dell’Europarlamento. Poi è cambiato tutto.

La crisi d’immagine è iniziata cinque settimane fa, il tarlo del sospet­to su Noemi, la ragazza di Caso­ria che lo chiama «papi», ha iniziato a minare il suo rappor­to con l’opinione pubblica, che aveva toccato il suo picco stori­co nel giorno della festa della Liberazione, quel «76%» di fi­ducia che lo stesso premier aveva definito «imbarazzan­te». Da allora è precipitato nei numeri personali. Una crepa si è aperta soprattutto con l’elet­torato cattolico: per i sondaggi­sti, in meno di un mese, c’è sta­to un crollo di venti punti per­centuali, concentrati sui cre­denti praticanti. E con lui ha preso a calare anche il Pdl. Berlusconi a quel punto ha capito di essere in affanno e do­po aver giocato la competizio­ne con la Lega si è aggrappato a Bossi. Nel Pdl c’è chi contesta le sue ultime sortite, perché non si possono cedere Kakà al Real e il Veneto alla Lega a po­chi giorni dal voto.

La sconfit­ta si fa cocente, paradossal­mente passa in secondo piano il fatto che si sia allargata la for­bice con il Pd. Resta la botta. È tutto da vedere se cambie­rà la strategia del Cavaliere, è certo che già prima delle urne il premier si era preparato a ri­solvere i casi politici aperti, riannodando i rapporti con il governatore siciliano Lombar­do e anticipando di voler lascia­re a un leghista la candidatura in Veneto alle prossime regio­nali. Berlusconi mirava (e mi­ra) a spegnere i focolai d’incen­dio per garantirsi un percorso parlamentare sicuro sui prov­vedimenti che gli stanno più a cuore, in modo poi da concen­trarsi su un G8 che non sarà fa­cile, vista la freddezza con cui la Casa Bianca tiene i rapporti con l’Europa intera. Immagi­narsi con l’Italia di un Cavalie­re che si è indebolito.

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