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Il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica. Si è dimenticato le comunità religiose diverse dalla Chiesa Cattolica. Ha fatto sociologia, invece che politica sul vero grande problema del 2010: la disoccupazione, il nocciolo della crisi. Ma si è ricordato di fare eccessive aperture al berlusconismo. Peccato.

IL TESTO INTEGRALE
Messaggio di fine anno del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Roma, 31 dicembre 2009

Buona sera a voi che siete in ascolto.

Nel rivolgervi, mentre sta per concludersi il 2009, il più cordiale e affettuoso augurio, vorrei provarmi a condividere con voi qualche riflessione sul difficile periodo che abbiamo vissuto e su quel che ci attende.

Un anno fa, molto forte era la nostra preoccupazione per la crisi finanziaria ed economica da cui tutto il mondo era stato investito. La questione non riguardava solo l’Italia, ma avevamo motivi particolari di inquietudine per il nostro paese.

Oggi, a un anno di distanza, possiamo dire che un grande sforzo è stato compiuto e che risultati importanti sono stati raggiunti al livello mondiale : non era mai accaduto nel passato, in situazioni simili, che i rappresentanti degli Stati più importanti, di tutti i continenti, si incontrassero così di frequente, discutessero e lavorassero insieme per cercare delle vie d’uscita nel comune interesse, e per concordare le decisioni necessarie.

Proprio questo è invece accaduto nel corso dell’ultimo anno. L’Italia – sempre restando ancorata all’Europa – ha dato il suo apprezzato contributo, con il grande incontro del luglio scorso a L’Aquila, e ha per suo conto compiuto un serio sforzo.

Dico questo, vedete, guardando a quel che si è mosso nel profondo del nostro paese. Perché, lo so bene, abbiamo vissuto mesi molto agitati sul piano politico, ma ciò non deve impedirci di vedere come si sia operato in concreto da parte di tutte le istituzioni, realizzandosi, nonostante i forti contrasti, anche momenti di impegno comune e di positiva convergenza. Nello stesso tempo, nel tessuto più ampio e profondo della società si è reagito alla crisi con intelligenza, duttilità, senso di responsabilità, da parte delle imprese, delle famiglie, del mondo del lavoro.

Perciò guardiamo con fiducia, con più fiducia del 31 dicembre scorso, al nuovo anno.

Non posso tuttavia fare a meno di parlare del prezzo che da noi, in Italia, si è pagato alla crisi e di quello che ancora si rischia di pagare, specialmente in termini sociali e umani.

C’è stata una pesante caduta della produzione e dei consumi; ce ne stiamo sollevando; si è confermata la vocazione e intraprendenza industriale dell’Italia; ma ci sono state aziende, soprattutto piccole e medie imprese, che hanno subìto colpi non lievi; e a rischio, nel 2010, è soprattutto l’occupazione. Si è fatto non poco per salvaguardare il capitale umano, per mantenere al lavoro forze preziose anche nelle aziende in difficoltà, e si è allargata la rete delle misure di protezione e di sostegno; ma hanno pagato, in centinaia di migliaia, i lavoratori a tempo determinato i cui contratti non sono stati rinnovati e le cui tutele sono rimaste deboli o inesistenti; e indubbia è oggi la tendenza a un aumento della disoccupazione, soprattutto di quella giovanile.

Vengono così in primo piano antiche contraddizioni, caratteristiche dell’economia e della società italiana. Dissi da questi schermi un anno fa: affrontiamo la crisi come grande prova e occasione per aprire al Paese nuove prospettive di sviluppo, facendo i conti con le insufficienze e i problemi che ci portiamo dietro da troppo tempo – dalla crisi deve e può uscire un’Italia più giusta. Ebbene, questo è il discorso che resta ancora interamente aperto, questo è l’impegno di fondo che dobbiamo assumere insieme noi italiani.

Ma come riuscirvi? Guardando con coraggio alla realtà nei suoi aspetti più critici, ponendo mano a quelle riforme e a quelle scelte che non possono più essere rinviate, e facendoci guidare da grandi valori: solidarietà umana, coesione sociale, unità nazionale.

Parto dalla realtà delle famiglie che hanno avuto maggiori problemi: le coppie con più figli minori, le famiglie con anziani, le famiglie in cui solo una persona è occupata ed è un operaio. Le indagini condotte anche in Parlamento ci dicono che nel confronto internazionale, elevato è in Italia il livello della disuguaglianza e della povertà. Le retribuzioni dei lavoratori dipendenti hanno continuato ad essere penalizzate da un’alta pressione fiscale e contributiva; più basso è il reddito delle famiglie in cui ci sono occupati in impieghi “atipici”, comunque temporanei.

Le condizioni più critiche si riscontrano nel Mezzogiorno e tra i giovani. Sono queste le questioni che richiedono di essere poste al centro dell’attenzione politica e sociale, e quindi dell’azione pubblica. L’economia italiana deve crescere di più e meglio che negli ultimi quindici anni: ecco il nostro obbiettivo fondamentale. E perché cresca in modo più sostenuto l’Italia, deve crescere il Mezzogiorno, molto più fortemente il Mezzogiorno. Solo così, crescendo tutta insieme l’Italia, si può dare una risposta ai giovani che s’interrogano sul loro futuro.

C’è una cosa che non ci possiamo permettere: correre il rischio che i giovani si scoraggino, non vedano la possibilità di realizzarsi, di avere un’occupazione e una vita degna nel loro, nel nostro paese. Ci sono nelle nuove generazioni riserve magnifiche di energia, di talento, di volontà: ci credo non retoricamente, ma perché ho visto di persona come si manifestino in concreto quando se ne creino le condizioni.

Ho visto la motivazione, ho visto la passione di giovani, tra i quali molte donne, che quest’anno mi è accaduto di incontrare nei laboratori di ricerca; la motivazione e l’orgoglio dei giovani specializzati che sono il punto di forza di aziende di alta tecnologia; la passione e l’impegno che si esprimono nelle giovani orchestre concepite e guidate da generosi maestri. E penso alla motivazione e alla qualità dei giovani che si preparano alle selezioni più difficili per entrare in carriere pubbliche come la magistratura.

Certo, sono queste le energie giovanili che hanno potuto prendere le strade migliori; e tante sono purtroppo quelle che ancora si dibattono in una ricerca vana. Ma ho fiducia nell’insieme delle nuove generazioni che stanno crescendo; a tutti i giovani la società e i poteri pubblici debbono dare delle occasioni, e in primo luogo debbono garantire l’opportunità decisiva di formarsi grazie a un sistema di istruzione più moderno ed efficiente, capace di far emergere i talenti e di premiare il merito.

Più crescita, più sviluppo nel Mezzogiorno, più futuro per i giovani, più equità sociale. Sappiamo che a tal fine ci sono riforme e scelte da non rinviare: proprio negli scorsi giorni il governo ne ha annunciato due su temi molto impegnativi, la riforma degli ammortizzatori sociali e la riforma fiscale. La prima è chiamata in particolare a dare finalmente risposte di sicurezza e tutela a coloro che lavorano in condizioni di estrema flessibilità e precarietà.

La riforma annunciata per il fisco, è poi assolutamente cruciale; in quel campo, è vero, non si può più procedere con “rattoppi”, vanno presentate e dibattute un’analisi e una proposta d’insieme. E in quel dibattito si misurerà anche una rinnovata presa di coscienza del problema durissimo del debito dello Stato. Intanto, il Parlamento si è impegnato a riordinare la finanza pubblica con la legge sul federalismo fiscale e a regolarla con un nuovo sistema di leggi e procedure di bilancio. Due riforme già votate, su cui il Parlamento è stato largamente unito.

E vengo alle riforme istituzionali, e alla riforma della giustizia, delle quali tanto si parla. Ho detto più volte quale sia il mio pensiero; sulla base di valutazioni ispirate solo all’interesse generale, ho sostenuto che anche queste riforme non possono essere ancora tenute in sospeso, perché da esse dipende un più efficace funzionamento dello Stato al servizio dei cittadini e dello sviluppo del paese. Esse dunque non sono seconde alle riforme economiche e sociali e non possono essere bloccate da un clima di sospetto tra le forze politiche, e da opposte pregiudiziali.

La Costituzione può essere rivista – come d’altronde si propone da diverse sponde politiche – nella sua Seconda Parte. Può essere modificata, secondo le procedure che essa stessa prevede. L’essenziale è che – in un rinnovato ancoraggio a quei principi che sono la base del nostro stare insieme come nazione – siano sempre garantiti equilibri fondamentali tra governo e Parlamento, tra potere esecutivo, potere legislativo e istituzioni di garanzia, e che ci siano regole in cui debbano riconoscersi gli schieramenti sia di governo sia di opposizione.

Ho consigliato misura, realismo e ricerca dell’intesa, per giungere a una condivisione quanto più larga possibile, come ha di recente e concordemente suggerito anche il Senato. Voglio esprimere fiducia che in questo senso si andrà avanti, che non ci si bloccherà in sterili recriminazioni e contrapposizioni.

Il nuovo slancio di cui ha bisogno l’Italia, per andare oltre la crisi, verso un futuro più sicuro, richiede riforme, richiede convinzione e partecipazione diffuse in tutte le sfere sociali, richiede recupero di valori condivisi. Valori di solidarietà: e il paese, in effetti, se ne è mostrato ricco in quest’anno segnato da eventi tragici e dolorosi, da ultimo sconvolgenti alluvioni. Se ne è mostrato ricco stringendosi con animo fraterno alle popolazioni dell’Aquila e dell’Abruzzo colpite dal terremoto, o raccogliendosi commosso attorno alle famiglie dei caduti in Afganistan, e come sempre impegnandosi generosamente in molte buone cause, quelle del volontariato, della fattiva e affettuosa vicinanza ai portatori di handicap, ai più poveri, agli anziani soli, e del sostegno alla lotta contro le malattie più insidiose di cui soffrono anche tanti bambini.

E’ necessario essere vicini a tutte le realtà in cui si soffre anche perché ci si sente privati di diritti elementari: penso ai detenuti in carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi, e di certo non ci si rieduca.
Solidarietà significa anche comprensione e accoglienza verso gli stranieri che vengono in Italia, nei modi e nei limiti stabiliti, per svolgere un onesto lavoro o per trovare rifugio da guerre e da persecuzioni: le politiche volte ad affermare la legalità, e a garantire la sicurezza, pur nella loro severità, non possono far abbassare la guardia contro razzismo e xenofobia, non possono essere fraintese e prese a pretesto da chi nega ogni spirito di accoglienza con odiose preclusioni. Anche su questo versante va tutelata la coesione, e la qualità civile, della società italiana.

Qualità civile, qualità della vita: aspetti, questi, da considerare essenziali per valutare la condizione di una società, il benessere e il progresso umano. Contano sempre di più fattori non solo di ordine materiale ma di ordine morale, che danno senso alla vita delle persone e della collettività e ne costituiscono il tessuto connettivo.

E’ necessario che si riscoprano e si riaffermino valori troppo largamente ignorati e negati negli ultimi tempi. Più rispetto dei propri doveri verso la comunità, più sobrietà negli stili di vita, più attenzione e fraternità nei rapporti con gli altri, rifiuto intransigente della violenza e di ogni altra suggestione fatale che si insinua tra i giovani.

Considero importante il fatto che nel richiamo alla solidarietà e ai valori morali incontriamo la voce e l’impegno di religiosi e di laici, della Chiesa e del mondo cattolico. Così come nel discorso su una nuova concezione dello sviluppo – che tenga conto delle lezioni della crisi recente e dell’allarme per il clima e per l’ambiente – ritroviamo l’ispirazione e il pensiero del Pontefice. Vedo egualmente sentita da quel mondo l’esigenza dell’unità della nazione italiana.

In realtà, non è vero che il nostro paese sia diviso su tutto: esso è più unito di quanto appaia se si guarda solo alle tensioni della politica. Tensioni che è mio dovere sforzarmi di attenuare. E’ uno sforzo che mi auguro possa dare dei frutti, come è sembrato dinanzi a un episodio grave, quello dell’aggressione al Presidente del Consiglio: si dovrebbero ormai, da parte di tutti, contenere anche nel linguaggio pericolose esasperazioni polemiche, si dovrebbe contribuire a un ritorno di lucidità e di misura nel confronto politico.
Io posso assicurarvi che sono deciso a perseverare nel mio impegno per una maggiore unità della nazione : un impegno che richiede ancora tempo e pazienza, ma da cui non desisterò.

Anche perché nulla è per me come Presidente di tutti gli italiani più confortante che contribuire alla serenità di tutti voi. Mi hanno toccato le parole del comandante di un contingente dei nostri cari militari impegnati in missioni all’estero. Mi ha detto – dieci giorni fa in videoconferenza per gli auguri di Natale – che lui e i suoi “ragazzi” traggono serenità dai miei messaggi quando gli giungono attraverso la televisione.

Sì, hanno bisogno di maggiore serenità tutti i cittadini in tempi difficili come quelli attuali, lavoratori, disoccupati, giovani alle prese con problemi assillanti, quanti sono all’opera per rilanciare la nostra economia, e quanti servono con scrupolo lo Stato, in particolare le forze armate chiamate a tutelare la pace e la stabilità internazionale, o le forze dell’ordine che combattono con crescente successo le organizzazioni criminali.

E a questo bisogno debbono corrispondere tutti coloro che hanno responsabilità elevate nella politica e nella società.

Serenità e speranza sento di potervi trasmettere oggi. Speranza guardando all’Italia che ha mostrato di volere e saper reagire alle difficoltà. Speranza guardando al mondo, per quanto turbato e sconvolto da conflitti e minacce, tra le quali si rinnova, sempre inquietante, quella del terrorismo. Speranza perché nuove luci per il nostro comune futuro sono venute dall’America e dal suo giovane Presidente, sono venute da tutti i paesi che si sono impegnati in un grande processo di cooperazione e riconciliazione, sono venute dalla nostra Europa, che ha scelto di rafforzare, con nuove istituzioni, la sua unità e rilanciare il suo ruolo, offrendo l’esempio della nostra pace nella libertà.

Questo è il mio messaggio e il mio augurio per il 2010, a voi italiane e italiani di ogni generazione e provenienza che salutate il nuovo anno con coloro che vi sono cari o lo salutate lontano dall’Italia ma con l’Italia nel cuore.

Ancora buon anno a tutti.

(Beh, buona giornata)

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Finanza - Economia Lavoro

Il 2010 sarà l’anno della disoccupazione.

L’occupazione e’ calata ad ottobre, su base annua, dell’1,9% mentre nei primi 10 mesi di quest’anno il decremento e’ stato dell’1,4%. Lo segnala l’Istat. Sempre ad ottobre, rispetto a settembre, non c’e’ stata invece alcuna variazione. Tornando invece al confronto con il mese di ottobre 2008, l’Istat evidenzia che il calo dell’1,9% e’ da intendersi al lordo della cig. Al netto, infatti, il calo e’ ancora piu’ accentuato e nell’ordine del 3,7%.
(Beh, buona giornata).

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Attualità

Berlusconi a Roma è molesto.

Palazzo Grazioli, via fermata bus. E la rivolta arriva su Facebook -roma.repubblica.it
Rimossa la paletta Atac di fronte alla residenza del premier e scoppia la rivolta popolare. Piovono critiche da cittadini, commercianti e utenti dei mezzi pubblici dirottati su altre fermate in centro. La decisione è stata presa per “fluidificare il traffico per ragioni di sicurezza, legate alla vicinanza del Presidente del Consiglio”, a pochi passi da piazza Venezia
I cittadini non ci stanno. Il plebiscito, quello vero, ha votato no. A scatenare la rabbia in strada è la soppressione della fermata dell’autobus in via del Plebiscito, voluta dall’Atac, a partire da oggi, per “fluidificare il traffico per ragioni di sicurezza, legate alla vicinanza della residenza del Presidente del Consiglio”. E, immancabilmente, su Facebook nasce un gruppo dal nome chiaro e forte: “Raccolta firme ripristino fermata bus a via del Plebiscito”.

Come era stato annunciato due giorni fa, questa mattina sono state rimosse le palette che si trovavano di fronte a Palazzo Grazioli, a un passo da piazza Venezia, e il coro degli utenti del servizio pubblico, ma soprattutto dei commercianti è stato unanime: quella fermata non andava tolta.

I primi ad accorgersene questa mattina sono stati i cittadini che da sempre aspettavano l’autobus sulla banchina. Al posto delle palette hanno trovato alcuni funzionari dell’Atac che pazientemente hanno spiegato loro la novità, indicando le fermate dove andare a prendere l’autobus.

Immediata la reazione dei romani dirottati sulle altre fermate del centro. “Per me è un guaio serio ora come faccio? – si lamenta Daniela, impiegata – mi tocca andare a largo Argentina, o di fronte ai carabinieri di piazza Venezia oppure addirittura a via del Corso”.

Imbufaliti, i cittadini non risparmiano critiche nei confronti del premier, in nome del quale è stato preso il provvedimento. “Quel signore – dice Gianfranco, perito del tribunale, riferendosi al premier – pensa solo agli affari suoi”. Un’altra cittadina chiede invece “che benefici per la sicurezza possa portare questa idea: se uno vuole fare un attentato lo fa anche senza autobus”. Si lamenta anche il portinaio dello stabile al 107, Gianluca Rossi, preoccupato “per i circa 200 anziani che abitano qui”.

Ma i più furiosi sono i commercianti di via del Plebiscito che all’apertura delle saracinesche hanno trovato la sorpresa.”Dovevano avvertirci – dice Luciano Zoppo, titolare della profumeria al 108 – ho paura per i miei affari”. Un commesso del grande negozio di casalinghi spiega perché: “la fermata era proprio davanti alle vetrine, un richiamo per questo negozio”.
Massimo Barbieri, che gestisce il negozio di calzature ‘Punto Zero’ è convinto che ci saranno molte ripercussioni: “questo è un punto di passaggio – spiega – se si toglie la fermata chi si ferma più? Magari, tra qualche mese quando registreremo un calo del fatturato, potremmo anche chiedere i danni. E poi, ci potevano avvertire, lo abbiamo letto sul giornale”.
Furibondo anche Angelo, che i giornali li vende: sua è la storica edicola all’angolo di piazza Venezia, “la prima di Roma” spiega mostrando una stampa del 1870: “già anni fa hanno tolto il doppio senso di marcia, hanno tolto la fermata sul lato di palazzo Venezia: dove arriveremo?”.

Tutti scontenti, dunque. E tutti uniti nel denunciaere il sopruso attraverso una nota dell’associazione Abitanti del Centro Storico. “La politica al servizio del
cittadino, questo lo sentiamo annunciare da tempo – si legge nel documento -, ma come pensare di togliere un servizio, come accade in via del Plebiscito dove sono soppresse le fermate del trasporto pubblico? Una fermata strategica, per lavoratori, impiegati e studenti, turisti e come non pensare a invalidi e portatori di handicap. Tutti usano il mezzo pubblico che deve essere potenziato per rendere sempre più efficiente un servizio pubblico al cittadino”.

“Non possiamo pensare che l’incolumità del Premier – prosegue la nota – dipenda essenzialmente dal non permettere ai mezzi di trasporto di fermarsi in via del Plebiscito, ma chi si è così solertemente adoperato conosce la viabilità della zona?”. E ancora: “Si sono allontanate le auto private dei residenti da piazza Grazioli, da Palazzo Grazioli dove un bel portone super protetto può essere l’esclusiva entrata della residenza. Quindi accontentarsi sarebbe il minimo, e non invadere la sfera della vita e della mobilità dei cittadini. Inoltre la sicurezza deve essere garantita per tutti e chi governa questo Paese deve aiutarci a vivere meglio, a non essere costretti a fare rinunce a favore, ma usando semmai i privilegi già a disposizione: perché non vivere a Palazzo Chigi?”.

Intanto gli autobus, il 70, il 40, il 63, il 62, il 64, il 30 e tanti altri tirano dritto senza fermarsi. Qualche autista, la forza dell’abitudine, ancora frena e apre le porte ma viene subito fatto ripartire dai funzionari Atac suscitando le ire dei passeggeri. Qualcuno a distanza accenna una corsetta per cercare di raggiungere un autobus che però non si ferma. Il commento è sempre quello: “parlano di ordine pubblico e noi non possiamo dire più niente ma vorrei sapere: cosa c’entra con la sicurezza? Perché se Berlusconi vuole stare sicuro non se ne va a vivere a palazzo Chigi?”. (beh, buona giornata).

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Attualità

Il 2010 sarà un anno fin troppo sobrio. Pochi, ma solidi auguri di buone feste a tutti i lettori. Beh, buone giornate.

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Berlusconi e il bene del Paese.

“Andrò avanti per il bene del Paese”, lo dice da sempre il Presidente del consiglio. Lo dice ancora di più dopo la brutta avventura di piazza del Duomo.

Che cos’è il bene del Paese lo dicono i futuri progetti che sembra proparare: smontare la Costituzione e adeguarla alla Costituzione materiale; cambiare il sistema di elezione del Csm e quello della Corte costituzionale; riformare la giustizia separando le carriere dei magistrati inquirenti da quelle dei giudicanti; concentrare nella figura del premier tutti i poteri dell’Esecutivo e sancire che tutti gli altri poteri siano tenuti a collaborare lealmente con lui perché lui solo è l’eletto del popolo e quindi investito della sovranità che dal popolo emana.

Dunque, il bene del Paese non è uscire dalla crisi, il bene del Paese è tutto il potere nella mani di un uomo solo: Berlusconi.

Questo è quanto ci aspetta nel 2010. Democrazia avvisata, mezza salvata. Beh, buona giornata.

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Hanno privatizzato la Protezione Civile. Si salvi chi può.

Povero Bertolaso: gli tocca restare, comandare, privatizzare, di Antonio Sansonetti-blitzquotidiano.it
Aveva detto «mollo il Dipartimento e vado in pensione», invece resta – Aveva promesso: «La Protezione Civile non va riorganizzata e tanto meno trasformata in società per azioni», invece i suoi servizi adesso saranno gestiti da una Spa

Aveva fatto credere di essere stanco di fare il Superman delle emergenze e per questo Guido Bertolaso, poco più di due mesi fa, aveva confessato: «Mollo il Dipartimento e vado in pensione».

Un mesetto dopo aveva confermato: «A fine anno me ne vado. Ma non si tratta di dimissioni, si tratta della possibilità di avvalersi di una legge, la cosiddetta legge “anti-fannulloni” voluta dal ministro Renato Brunetta, che consente ai funzionari dello Stato di andare in pensione con anticipo rispetto alla scadenza naturale. Io ho fatto domanda».

Detto per inciso, si tratta di una norma destinata a decapitare lo Stato dei suoi uomini più esperti, come fu agli inizi degli anni ‘70 con la mai abbastanza vituperata legge detta “dei sette anni” di Giulio Andreotti, figlia di un cinismo elettorale che valse parecchi voti alla Dc ma che sfasciò l’apparato statale e in particolare la polizia contribuendo a lasciare per qualche anno l’Italia in balia di malavita e terrorismo.Rivestita del finto efficientismo di Brunetta, questa norma ha un sapore antico e preoccupante che sembra sfuggire a quanti sono troppo occupati a “mandare a casa” Berlusconi bollandolo con la lettera scarlatta per rendersi conto dello sfascio in atto.

La distrazione ha fatto sì che nessuno rilevasse le contraddizioni e anche i rischi del caso Bertolaso, il quale giovedì 17 dicembre ha comunicato: «Avevo chiesto di poter andare in prepensionamento alla fine di quest’anno, ma il governo ha inserito una norma che prevede una proroga a questi termini e quindi rimarrò nelle funzioni di capo del Dipartimento fino ad un massimo di 12 mesi a partire da gennaio». Accidenti ’sto Governo.

Ma non finiscono qui le contraddizioni. Bertolaso aveva detto (26 novembre) che «la Protezione Civile non va riorganizzata e tanto meno trasformata in società per azioni (Spa)». Aveva garantito che «la possibilità che la Protezione civile sia in via di privatizzazione, come ipotizzano alcuni organi di stampa, sono solo chiacchiere». Del resto, aveva sottolineato, «la Protezione Civile non può che essere pubblica».

Notizia fresca è che il Governo la Spa l’ha fatta. Lo ha annunciato lo stesso Bertolaso senza un’ombra di imbarazzo: «È stata approvata la realizzazione di una società di servizi che possa agire in nome e per conto della Protezione Civile».

Una cosa non da poco, questa neonata società, alla quale sarà affidata «la gestione della flotta aerea e delle risorse tecnologiche, la progettazione, la scelta del contraente, la direzione dei lavori, la vigilanza degli interventi strutturali ed infrastrutturali, l’acquisizione di forniture o servizi di competenza del Dipartimento, compresi quelli concernenti le situazioni di emergenza socio-economico-ambientale».

Una Spa che nasce per decreto. Nello stesso provvedimento vengono dati in mano a Bertolaso 8,2 milioni di euro che serviranno ad assumere il personale che in questi anni ha lavorato per il Dipartimento.

Insomma i servizi della Protezione Civile sono privatizzati. Su Blitz avevamo spiegato perché si tratta di un “bene pubblico puro”. Così non sarà più. E Bertolaso resta.

Ma per questo c’è una spiegazione. Lui promise che «quel che è certo è che non me ne andrò fino a quando l’ultimo degli sfollati del terremoto del 6 aprile non sarà sistemato in un’abitazione sicura». Un impegno ribadito pubblicamente più volte.

E come lui stesso ha dovuto ammettere il 9 dicembre, «3.000 sfollati che avrebbero dovuto ricevere le case entro la fine dell’anno non entreranno nei moduli abitativi provvisori (Map)». Peggio, molto peggio per altri 14 mila sfollati che si trovano sulla costa, di cui «il 60% vive in case prese in affitto ed il 40 % negli alberghi».

Che dice il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio cui la Protezione civile dovrebbe rispondere? Ovviamente nulla, visto che è lo stesso Bertolaso che ricopre la carica di controllore di se stesso, senza il minimo imbarazzo e senza che ci sia qualcuno che glielo faccia notare, a parte qualche moralista un po’ demodé. Naturalmente di dimissioni dal doppio incarico nessuno ha mai sentito parlare, anche se adesso il conflitto di interessi è ancora più lampante.
(Beh, buona giornata).

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Come per la crisi finanziaria, come per la crisi economica, come per la crisi energetica, i governi del mondo non sono capaci di prendere decisione vere neppure sul Clima. Prendiamone atto.

Copenaghen, ore 16:23 (fonte: AGI)

CLIMA: SI CHIUDE VERTICE, PAESI RASSEGNATI “PRENDONO ATTO”
Con un’intesa minimalista e che ha lasciato tutti insoddisfatti si e’ chiuso ufficialmente poco fa, dopo 13 giorni di passione, il vertice di Copenaghen. In un comunicato tutte le nazioni, anche quelle che fino all’ultimo hanno osteggiato l’intesa e che ieri sera gridavano allo scandalo, alla fine hanno “preso atto” che, anche se non sufficiente, il documento passera’ comunque alla storia come l’accordo di Copenaghen e servira’ da base di lavoro per il futuro. Beh, buona giornata.

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Conferenza sul Clima di Copenhagen: c’è stato del marcio in Danimarca.

Copenhagen, la «grande delusione» vista dalla Nigeria, di Marina Forti-il manifesto

Verranno fuori con una dichiarazione politica senza vera sostanza, giusto per non dire che torniamo a casa con le mani vuote, dice Nnimmo Bassey: questa conferenza di Copenhagen «è una grande delusione». Da un anno Bassey è il presidente di Friends of the Earth International, grande rete ambientalista internazionale con affiliati sia nel Nord che nel Sud del pianeta. Nigeriano, architetto di formazione, nel ’93 è stato tra i co-fondatori di Environmental Right Action (Era), organizzazione che ha cominciato a legare i diritti umani alle questioni ambientali: e forse non esiste luogo dove la relazione tra i due sia più evidente che nel delta del fiume Niger, una delle regioni mondiali più ricche di petrolio e gas naturale, devastata dall’inquinamento, dove le pacifiche proteste sono state represse in modo brutale – è là che in quegli anni ’90 il governo nigeriano, allora una dittatura militare, ha risposto alla protesta contro la Shell nella regione Ogoni del Rivers State, nel delta, facendo impiccare 9 dirigenti del movimento tra cui lo scrittore Ken Saro-Wiwa.

Dunque «delusione»: ma cosa vi aspettavate da Copenhagen?
Che i governi qui riuniti fossero in grado di giungere a un accordo che riconosce il principio della giustizia climatica, finanzia le misure necessarie a mitigare il cambiamento del clima, in cui i paesi industrializzati si impegnano a seri tagli delle emissioni di gas di serra in casa propria e non solo attraverso il meccanismo degli offsets (i «meccanismi flessibili» che permettono di scrivere a proprio credito progetti ambientali finanziati in paesi poveri, ndr). E che fissa tempi e verifiche chiari. Ma di tutto questo qui non vedo nulla.

Chi ne ha la responsabilità?
Prima di tutto c’è un problema di mancanza di trasparenza. Troppe riunioni riservate, bozze di documenti che circolano in segreto, lo stile della presidenza danese ha una parte di responsabilità. Portano responsabilità anche i paesi del Annex 1 (i 37 paesi industrializzati elencati nel Protocollo di Kyoto, tenuti a tagliare le loro emissioni di gas di serra secondo quote precise, ndr): è chiaro che non sono qui per rafforzare il Protocollo di Kyoto ma per indebolirlo, fare manovre politiche a breve temine. Chi ha mostrato senso di leadership è Lula: il Brasile sta finanziando le sue misure per riconvertire l’industria nazionale e tagliare le emissioni, e aiuta anche altri paesi più poveri. E lo fa su base volontaria, senza pre-condizioni.

Come cittadino di un paese africano «in via di sviluppo», ma anche grande produttore di petrolio, cosa si aspetta che faccia qui il governo della Nigeria?
Vorrei che venisse a dire che mette fine, da subito, a una delle maggiori fonti di gas di serra nel mio paese, il gas flaring – il gas disperso da soffioni non controllati. E’ un problema pazzesco, circa 24 miliardi di metricubi di gas all’anno dispersi nell’atmosfera, una perdita di 25 miliardi di dollari l’anno. Invece qui hanno detto che vogliono legare il gas flaring ai Meccanismi di sviluppo pulito, cioè farsi finanziare interventi che dovrebbero già fare come obbligo di legge, e che non faranno mai.

Lo sfruttamento di petrolio e gas ha inquinato il delta innescando dagli anni ’90 un ciclo terribile di proteste e repressione.
E non è finita: nel 1999 è finita la dittatura militare ma non la grave violazione dei diritti umani. Prosegue la devastazione di comunità locali, non c’è lo stato d’emergenza ma continuano uccisioni e violenza, e l’inquinamento: in media una perdita di greggio al giorno. Come stupirsi che sia nata una lotta armata. L’amnistia? Di solito tregue e amnistie seguono un processo di negoziato, nel delta invece è stata annunciata dall’alto e ora ci sono segnali che sta collassando. Perché non ha fondamenta solide, non sono state affrontate le questioni di fondo: mancano investimenti in infrastrutture e sviluppo, non c’è stata alcuna bonifica, restano povertà, abbandono. Problema di fondo, posto fin dai movimenti degli anni ’90, il controllo delle risorse: ormai lo stato centrale trasferisce fino al 30% del reddito del petrolio, ma va nelle tasche della burocrazia non allo sviluppo economico e sociale.

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Attualità Finanza - Economia Leggi e diritto Società e costume

La crisi è un dolo. Infatti a Dolo i carabinieri arrestano due casalinghe che rubano al supermercato. Casalinghe disperate? Il dolo? Roba da mangiare.

Due casalinghe di Marghera rubano merce e alimentari per 165 euro al supermercato Alì di Dolo e vengono arrestate in flagranza per furto aggravato dai carabinieri della Tenenza di Dolo. Ora si trovano in carcere alla Giudecca in attesa di un processo con rito direttissimo che dovrebbe tenersi nei prossimi giorni proprio a Dolo.

È quanto successo martedì scorso a S.M. di 53 anni e A. L. (55), entrambe casalinghe di Marghera con una situazione familiare alle spalle davvero pesante, fatta di disoccupazione e problemi reali di sostentamento. Le donne, incensurate, forse in preda alla disperazione hanno deciso di agire e far razzia in un supermercato per passare un Natale con la famiglia sicuro almeno dal punto di vista alimentare.

Il fatto ha suscitato molto scalpore a Marghera dove da tempo diversi consiglieri di Municipalità denunciano una situazione sociale sempre più pesante.

«Al di là del fatto in sé che non conosco e che è condannabile – dice Bruno Gianni, consigliere dei Comunisti Italiani – resta la situazione di questo quartiere che, con la crisi, è diventata sempre più pesante. Ci sono decine e decine di famiglie sull’orlo della miseria per la perdita del posto di lavoro. Questi episodi possono essere visti anche come una spia del disagio in atto». Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

La democrazia italiana ha un grosso problema: “In relazione alle espressioni pronunciate dal presidente del Consiglio in una importante sede politica internazionale, di violento attacco contro fondamentali istituzioni di garanzia volute dalla costituzione italiana, il presidente della repubblica esprime profondo rammarico e preoccupazione”.

Il presidente della Repubblica reagisce. Con parole gravi, e inusuali per l’inquilino del Colle. Napolitano è preoccupato e rammaricato per le frasi pronunciate da Berlusconi a Bonn contro giudici, Consulta e i tre ultimi capi dello Stato. Parla di “attacco violento alle istituzioni”. Torna ad invocare “leale collaborazione” tra i poteri dello Stato.

La nota del Colle parla chiaro. “In relazione alle espressioni pronunciate dal presidente del Consiglio in una importante sede politica internazionale, di violento attacco contro fondamentali istituzioni di garanzia volute dalla costituzione italiana, il presidente della repubblica esprime profondo rammarico e preoccupazione”.

Nel comunicato si precisa che “il capo dello Stato continua a ritenere che, specie per poter affrontare delicati problemi di carattere istituzionale, l’Italia abbia bisogno di quello “spirito di leale collaborazione” e di quell’impegno di condivisione che pochi giorni fa il senato ha concordemente auspicato”. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia Lavoro Media e tecnologia

La quarta crisi: al Sole 24ore due anni di stato di crisi, 37 giornalisti lasciano il quotidiano.

Sembrerebbe essere stato raggiunto un accordo tra editore e comitato di redazione in merito alla riorganizzazione de Il Sole 24 Ore, il quotidiano di Confindustria. Secondo l’intesa, 37 giornalisti lasceranno la testata per pensionamento o prepensionamento nel corso dei due anni di stato di crisi. E’ previsto un incentivo all’esodo inversamente proporzionale all’età contributiva e al reddito. Beh, buona giornata.

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Attualità Media e tecnologia Pubblicità e mass media Società e costume

La testimonial dello spot del Governo sulla monnezza a Napoli: «Fra me e Berlusconi? Molto più che sesso».

Elena Russo: “Con Berlusconi molto più che sesso”.”Inutile essere ipocriti: tutti siamo dei raccomandati.” da blitzquotidiano.it

Vi ricordate Elena Russo, l’attrice “raccomandata” da Silvio Berlusconi nel 2007 al capo di Rai Fiction Agostino Saccà in una delle ormai famose telefonate intercettate? La procace attrice che venne assoldata dal governo come protagonista del discusso spot per “celebrare” la “pulizia” di Napoli dalla Monnezza? Ora, anche lei, ha deciso di parlare: «Fra me e Berlusconi? Molto più che sesso», dice dalle colonne di “A”, in edicola dal 9 dicembre.

«La mia frequentazione con lui -spiega- va ben oltre il sesso, è fatta di stima e di rispetto. Anche se non posso negare che all’inizio lui mi abbia rivolto degli apprezzamenti sul mio aspetto fisico. Io sono una persona che ama divertirsi e lui pure. Ogni volta che ci vedevamo per lui era una parentesi rilassante».

Sulla famosa raccomandazione a Saccà, all’epoca direttore di Rai Fiction, risponde: «Inutile essere ipocriti: tutti siamo dei raccomandati. Chi, avendo l’occasione di essere segnalato, non la prende al volo? Poi, però, non basta, perchè se non vali niente alla fine non vai lontano. Comunque Berlusconi non ha fatto altro che sensibilizzare una persona, che conoscevo da anni e mi stimava, per farmi fare un provino». (Beh, buona giornata).

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Attualità Leggi e diritto

L’Italia a due velocità: chi c’ha il Suv può andare a 150 km/ora. Chi c’ha l’utilitaria, no. La lotta di classe corre in autostrada.

“Sono stato sempre favorevole ad aumentare la velocità in alcune autostrade che hanno le caratteristiche adatte come le tre corsie e il tutor, ma non per tutte le auto, ma per quelle che per cilindrata e caratteristiche di sicurezza, possono viaggiare tranquillamente a 150 km orari. Certo non le piccole auto”. Il ministro delle infrastrutture dixit. La lotta di classe corre in autostrada. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Finanza - Economia

Fini copre il Governo per mettere fuori gioco l’opposizione sulla nuova legge Finanziaria: dopo il fuori onda, rientra nei ranghi. Più veloce della luce.

In Parlamento si discute di corsa della nuova legge Finanziaria. C’è poco tempo: Berlusconi ha altri problemi. La maggioranza della Commissione bilancio taglia corto sugli emendamenti dell’opposizione.”Il rispetto del regolamento è stato totale”. Gianfranco Fini dixit. Ancora una volta, il futuro leader del centrodestra conferma la sua attitudine all’obbedienza. Con buona pace degli estimatori di una alternativa all’interno dello schieramento di destra: da Almirante a Berlusconi, lui, Fini, non è mai stato fuori linea, semmai fuorionda. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Leggi e diritto

Il NO-B-DAY del Financial Times.

da blitzquotidiano.it
Duro attacco del Financial Times a Silvio Berlusconi. «Berlusconi braccato: assediato dalle corti, non può governare l’Italia».

Titolo e sottotitolo: l’editoriale del Financial Times non lascia adito a dubbi. Ormai, dice il quotidiano, il governo italiano è più preso a occuparsi del premier che a guidare il paese, sicchè «nessuna vera decisione sulla riforma delle istituzioni economiche e politiche dell’Italia potrà esser presa fintanto che resterà primo ministro».

Il Financial Times parte dalle cronache degli ultimi giorni per arrivare a una conclusione squisitamente politica. Le cose cambiano, dice il giornale della City, e anche per il «fiammeggiante premier italiano che è sempre sembrato in grado di navigare abilmente al di di sopra delle controversie che episodicamente si sono affollate su di lui», la situazione «potrebbe essersi fatta seria».

I processi di Torino e di Milano, la causa di divorzio con la moglie stanno delineando una situazione nuova: «Berlusconi è stato messo sotto assedio». Il Financial Times argomenta: «anche il suo alleato Gianfranco Fini, un possibile successore che è si è lanciato dal post-fascismo al centro politico, è stato registrato mentre diceva che Berlusconi ‘ha confuso la leadership con la monarchia assoluta».

Inoltre, aggiunge l’editoriale, anche la sua politica estera, «basata con i rapporti personali con leader come Vladimir Putin e Muammad Gheddafi, talvolta sembra mischiare gli interessi dello stato con i suoi affari di imprenditore». Il Financial conclude: «é prematuro dire se quest’uomo abilissimo nel sopravvivere sia davvero spacciato ma quel che è certo è che sta pattinando sul ghiaccio sottile. La sua denuncia di non poter governare costretto com’è a dover far fronte a tutti questi processi contro di lui è certamente giusta. Lui può anche liquidare la cosa parlando di una caccia alle streghe allestita dai magistrati rossi. Ma il suo governo sta ormai cominciando a spendere più tempo nel trattare i problemi personali di Berlusconi che quelli del paese. Nessuna vera decisione sulla riforma delle istituzioni economiche e politiche dell’Italia potrà esser presa fintanto che resterà primo ministro». (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

NO-B-Day: Berlusconi ha perso i giovani.

Ore 18 (fonte AGI). Cifre in aumento per la partecipazione al no B-day di Roma. Gli organizzatori parlano di “oltre un milione di partecipanti”. Secondo gli organizzatori oltre a piazza San Giovanni colma, ci sarebbero manifestanti in tutta l’area che circonda il luogo finale del corteo. Beh, buona giornata.

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Finanza - Economia Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

Crisi della pubblicità in Italia: anche nel loro piccolo i creativi della McCann si incazzano.

Sciopero in McCann Erickson-da kttbblog.spinder.com
Ieri in Mc Cann 4 persone hanno scoperto di non avere più un lavoro.
Quello che scrivo mi è stato riportato da un paio di gole profonde che, per ovvie ragioni, hanno chiesto di non essere menzionate.

I 4 sfortunati colleghi sono stati convocati di “sopra”, con “scuse varie”.
Gli è stato comunicato il licenziamento e, tornati “giù”, hanno trovato il loro Mac spento. Non gli è stato possibile portare via nulla.

Il licenziamento sembrerebbe aver colpito il reparto creativo.
Uno dei licenziati sarebbe padre di due bambini.
“il tuo stipendio è troppo alto per il ruolo che ricopri”
2500 euro al mese (ngp -nota gola profonda).

I dipendenti Mc Cann ieri hanno dichiarato uno sciopero e oggi dovrebbe esserci un’altra assemblea.

A quanto pare, altri nove dovrebbero essere licenziati a breve.
Era da almeno sei anni che non si registrava uno sciopero nel nostro settore,
dai tempi della Grey “guidata” da Valeria Monti.

La direzione creativa di Mc Cann viene definita “fuggita a Londra per non affrontare la situazione”. Questa affermazione potrebbe essere gratuita.
La sfiga esiste, è talvolta si è costretti a partire in un momento in cui si preferirebbe restare.
Restiamo sui problemi reali.
Il nostro lavoro ha perso valore perché si sono persi prima i valori.
Questo è successo molto prima dell’ultima crisi economica, ha iniziato ad accadere già nella seconda metà dei dorati anni ’80.

Un’agenzia nuova avviò una politica commerciale improntata su un dumping molto aggressivo, cosa relativamente normale.
Molte grandi agenzie si spaventarono e ne seguirono l’esempio, cosa meno normale.
Smettemmo di farci concorrenza con la forza delle idee, rendendo più deboli le nostre condizioni economiche, i nostri contratti, le nostra fondamenta.

Qualunque professionista operi nel nostro settore deve battersi, nel suo piccolo o nel suo grande, dicendo no a tutte quelle situazioni che possono concorrere a minare ulteriormente il nostro settore.
Mi riferisco alle gare non remunerate, alla mancata applicazione di qualunque tariffario, al fenomeno degli stagisti ad libitum non pagati.
Non parlo di un “cartello”, ma dovrebbe essere evidente a tutti che vendere un radiocomunicato a 100 euro, o una campagna integrata a 10 mila, è una follia.
Sono manovre che posso comprendere in un giovane agli inizi, non in una delle prime 10 agenzie d’Italia.
Continuare ad adeguarci a questa politica commerciale significa essere complici e conniventi con tutte le conseguenze. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Lavoro

Italia d’Autunno: superati 2 milioni di disoccupati.

Più di due milioni di disoccupati in Italia: è la prima volta dal marzo del 2004 che l’Istat rileva un numero così elevato di senza lavoro. A ottobre il tasso di disoccupazione è salito all’8% dal 7,8% di settembre. Il numero delle persone in cerca di lavoro è di 2.004.000, in aumento del 2% ( 39mila persone) rispetto a settembre e del 13,4% ( 236mila) su base annua. Il tasso di disoccupazione giovanile – aggiunge l’istituto di statistica – a ottobre è aumentato al 26,9% dal 26,2% di settembre.

Sono 14.741.000, con un aumento di 210.000 unità rispetto all’ottobre 2008, gli ‘inattivi’, che per la statistica sono i non occupati che nelle quattro settimane che precedono l’indagine non hanno effettuato neanche un’azione attiva di ricerca di lavoro (categoria ampia che include gli studenti, le casalinghe, ma anche i cosiddetti ‘scoraggiati’, cioè i disoccupati di lungo corso che ormai non cercano più lavoro perché si sono convinti che non lo troveranno). Il tasso di inattività è pari al 37,4 per cento, invariato rispetto al mese precedente e in aumento dello 0,4 per cento su base annua.

Penalizzata l’occupazione femminile. Infatti l’occupazione maschile a ottobre 2009 è pari a 13.801.000 unità, con un incremento dello 0,2 per cento rispetto al mese precedente ( 31 mila unità) e una riduzione dell’1,5 per cento (-217 mila unità) rispetto al corrispondente mese dell’anno precedente. L’occupazione femminile raggiunge le 9.298.000 unità, con una riduzione rispetto a settembre dello 0,3 per cento (-30 mila unità) e dello 0,7 per cento (-67 mila unità) rispetto ad ottobre 2008. Beh, buona giornata.

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