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Attualità democrazia Finanza - Economia Lavoro Popoli e politiche

Il governo Berlusconi è in crisi. Qui non si tratta della crisi di un governo, questa è la crisi di una intera collettività: “Se poi vogliamo guardare “come stanno le cose” oggi, dobbiamo constatare che siamo caduti più degli altri durante la crisi del 2009 e stiamo ora crescendo decisamente meno della Germania, di Francia e della Gran Bretagna.”

di ROMANO PRODI-Il Messaggero.

Per decidere cosa fare bisogna prima di tutto sapere “come stanno le cose”. Quest’affermazione è scontata, ma sono costretto a ripeterla perché oggi non mi sembra applicata né nelle scelte mondiali né in quelle nazionali. A livello mondiale il G.20 di Seoul si è tutto svolto nell’illusione che la crisi sia ormai sotto controllo e che siano sufficienti misure minori per riprendere senza radicali riforme il tradizionale cammino. Lo stesso errore di base impedisce l’analisi e quindi la cura dei nostri problemi nazionali.

Ci fa infatti comodo , ed è oggettivamente consolatorio, sostenere che ci stiamo comportando in modo simile a tutti e che soffriamo della stessa malattia degli altri grandi paesi della vecchia Europa.

Le cose purtroppo non stanno così. Le cose stanno diversamente sia quando analizziamo l’andamento di lungo periodo della nostra economia sia quando ne osserviamo i comportamenti a breve. Riflettendo sul lungo periodo, è passata ad esempio sotto silenzio un importante tabella, elaborata da El Pais su dati del Fondo Monetario Internazionale. Una tabella che mette in fila le percentuali di crescita dei 180 paesi più importanti del mondo (e cioè in pratica di tutti i paesi) negli ultimi dieci anni. Io stesso sono stato sorpreso nel leggere che l’Italia è addirittura penultima, precedendo solo Haiti. Nell’intero primo decennio del secolo la nostra intera economia è cresciuta solo del 2,43% cioè quasi nulla. Sfiguriamo anche a confronto degli altri grandi paesi della pigra Europa perché la Gran Bretagna ha progredito del 15% , la Francia del 12% e la Germania del 9%. Si tratta di progressi modesti anche da parte dei nostri confratelli europei se li paragoniamo al 170% della Cina, al 103% dell’India o al 45% della Turchia, ma nettamente superiori a quelli italiani.

Se poi vogliamo guardare “come stanno le cose” oggi, dobbiamo constatare che siamo caduti più degli altri durante la crisi del 2009 e stiamo ora crescendo decisamente meno della Germania, di Francia e della Gran Bretagna. Continuando in questo modo ci occorreranno altri cinque anni per ritornare al livello di reddito che l’Italia aveva nel periodo precedente la crisi. Ed è chiaro che, se gli altri paesi continueranno a camminare più in fretta di noi, il nostro distacco non può che aumentare.

Ecco “come stanno le cose”. Ben poco potremo consolarci per il fatto che siamo ancora un paese relativamente ricco. Negli ultimi dieci anni siamo infatti passati dal 24esimo al 28esimo posto della scala mondiale del reddito pro-capite e tutti sappiamo bene che, continuando in questa lenta discesa, non solo dovremo abbassare il nostro tenore di vita ma ancora di più lo dovranno abbassare i nostri figli. Vivere in un periodo di decadenza, o almeno di aspettative decrescenti, è quanto di peggio possa capitare a una comunità nazionale. E noi lo dobbiamo evitare a ogni costo, discutendo con serenità e con atteggiamento costruttivo sui semplici dati che ho appena esposto e cercando soluzioni che, nella situazione in cui siamo, debbono essere condivise, o almeno comprese, da tutte le componenti della società italiana.

Credo, ad es. che Marchionne abbia sollevato un problema vero sul futuro del nostro paese. Credo che abbia fatto qualche errore tattico ma credo anche che le sue analisi sul settore dell’automobile debbano essere allargate ad altri settori della nostra società, per obbligarci a un sereno dibattito sul futuro dell’intera nostra economia e, forse, dell’intera nostra organizzazione civile. Il Paese si è invece spaccato e si è schierato secondo vecchi schemi, impedendo in questo modo quel dibattito così necessario per il nostro futuro. Un dibattito che deve mettere sotto esame tutti i comportamenti incompatibili con i cambiamenti che avvengono nelle altre parti del mondo.

E’ infatti l’intera nostra società che rifiuta i comportamenti che, ci piacciano o no, caratterizzano ormai tutte le società avanzate del pianeta. Non si può infatti correre alla velocità degli altri quando l’evasione fiscale copre almeno un quarto della nostra economia e non da segni di calare. E nemmeno quando la scuola e la ricerca hanno un ruolo sempre più marginale nella società e nelle strutture produttive: E potremo continuare con la lista delle ragioni che spingono ogni anni decine di migliaia dei nostri migliori giovani ad emigrare per trovare le occasioni di lavoro che non sono reperibili in Italia. L’elenco potrebbe davvero continuare ma quest’elenco non serve a nulla se non ci si accorge che il cammino della decadenza è già cominciato e che questa caduta sarà sempre più accelerata se ci dedicheremo ancora a elencare primati che non abbiamo più o a sperare che i pochi primati che ancora possediamo si estendano per magia a tutta la nostra economia o a tutta la nostra società. Un processo di rinascita collettiva nasce sempre da un’analisi impietosa della realtà. Per fare cose nuove ci si deve prima rendere conto di “come stanno le cose.” (Beh, buona giornata).

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Lavoro

Sacconi, il ministro del Lavoro, cinghia di trasmissione del precariato.

di Massimo Bordin, da avvenirelavoratori.eu

“Cattolico strappato ai cattolici e conquistato ai socialisti da Gianni De Michelis. . . Questa è la storia politica di Sacconi come ve la raccontano i socialisti veneziani. Be’, visti i risultalti, se lo lasciava lì forse era meglio”. Beh, buona giornata.

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Attualità Finanza - Economia

Svelato il motivo per cui Berlusconi ha annullato la conferenza stampa al G20 di Seul.

Pare che alla cena inaugurale del G20 di Seul, il premier italiano Berlusconi è stato piazzato in posizione periferica. Se non addirittura umiliante, per chi come lui si ritiene uno dei massimi statisti della storia del mondo. Insomma, da una parte c’erano Obama, il presidente cinese Hu Jintao, la Merkel, Sarkò e via dicendo. Da un’altra parte, ecco Silvio: l’hanno fatto sedere, lontano dai super-big, fra il presidente del Malawi, Bingu Wa Muharika e il presidente sudafricano Jacob Zuma. La cena l’ha talmente mal digerita che se l’è legata al dito. Ecco perché poi non ha neanche voluto fare la conferenza stampa di fine summit. E voi che credevevate che non voleva rispondere alle eventuali domande sulla crisi di governo in Italia. Che ingenui: ma quale crisi di governo, qui c’erano tutti gli estremi di una vera e propria crisi di nervi. Beh, buona giornata.

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Attualità Lavoro Popoli e politiche Società e costume

“Le scrive una madre cinquantaseienne, una madre che nonostante l’età, non ha mai smesso di sognare.” Lettera a “Beh, buona giornata” di una donna “prigioniera” di un Paese prigioniero del berlusconismo.

Sembrerà strano in tempi in cui ovunque si guardi, ovunque ci si giri, si sente il lezzo delle manovre megalomani di politici o di personaggi televisivi di potere che, al timone delle nostre vite, vorrebbero traghettarle nel nulla, nell’assenza totale di stimoli vitali, di sogni di aspirazioni, le scrive una madre cinquantaseienne, una madre che nonostante l’età, non ha mai smesso di sognare.

Amante della libertà di pensiero, degli spazi aperti dove ognuno possa esprimersi, perché in ognuno di noi dorme un pensiero creativo, positivo che non va taciuto.

Ho insegnato ai miei figli la fiducia negli altri, ho sempre descritto loro un mondo possibile, che li avrebbe accolti e dove loro si sarebbero sentiti parte costruttiva e determinante.

Ho insegnato loro a sognare.

Mio figlio ora ha trent’anni, dopo la laurea e lo Ied (Istituto europeo del design, ndr) si trova a sbarcare il lunario battendo il ferro in cantieri sempre diversi, solo per non sentirsi dipendente dalla famiglia. Ma il suo stato di frustrazione è cosmico. Lui ha sempre amato scrivere, creare, leggere e dalla lettura trarre conclusioni sempre diverse da quelle ovvie che gli altri cercano.

Ora le sue idee restano intrappolate in un circuito che si interrompe solo per consumare un panino a mezzogiorno.

Mia figlia si sta laureando in Comunicazione internazionale, è una bella ragazza e per come va il mondo oggi mi vergogno di dire che spero che il suo aspetto fisico l’aiuti ,lei che e’ sempre stata pulita nell’aspetto e nell’animo e che ha creduto che l’impegno l’abnegazione, la bravura fossero premianti, come io le ho insegnato.

Se leggerà, le saro’ grata.

Firmato: Paola, una madre che ha ancora voglia di volare alto e che
non ne può più di vivere in un paese opprimente. (Lettera firmata). Beh buona giornata.

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Attualità democrazia

Berlusconi si sente a Dien Bien Fu.

“Nel mio paese in questo momento ho qualche difficoltà”. Silvio Berlusconi si è rivolto così, parlando in inglese, al primo ministro vietnamita Nguyen Tan Dung, nelle primissime battute dell’incontro bilaterale a margine del G20. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

Berlusconi? Game over.

“Le prospettive di vita del governo sembrano essere brevi”, Gianni Letta, “eminenza grigia” del berlusconismo dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto

Che cosa ha combinato in Parlamento il ministro dell’Interno?

Con riferimento alle dichiarazioni rese dal ministro dell’Interno Maroni ieri 9 novembre al Senato in merito al caso della minorenne in oggetto, essendo stata personalmente coinvolta nella vicenda in veste di pubblico ministero della Procura per i minorenni di Milano di turno il 27 e il 28 maggio 2010, osservo che esse non corrispondono alla mia diretta esperienza”. “Poiché il ministro – prosegue la missiva – ha tenuto a rimarcare che il corretto comportamento degli agenti è stato confermato anche dalla autorità giudiziaria per voce del procuratore Edmondo Bruti Liberati all’esito di specifica istruttoria, chiedo che la discrepanza con i dati di realtà che sono a mia conoscenza venga chiarita”. il pm dei Minori Annamaria Fiorillo dixit. Beh, buona giornata.

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democrazia Finanza - Economia Leggi e diritto

Il governo non c’é più. Per fortuna, il Capo dello Stato c’è.

“Attenzione alle scadenza di impegni inderogabili per il Paese. In particolare alla legge di stabilità e a quella di bilancio”. Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica dixit. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

Bossi va casa di Berlusconi: bibì e bobò sentono l’acqua alla gola.

Bossi va a casa di Berlusconi ad Arcore “L’incontro è andato bene, andiamo avanti. Si è deciso di proseguire con l’azione riformatrice per realizzare il programma. Ne è emersa un’assoluta sintonia sui concreti problemi del Paese e sulle azioni da realizzare, a partire dalla situazione creatasi a seguito delle alluvioni in Veneto. Domani Bossi e Berlusconi saranno nei territori interessati insieme al presidente Zaia, per un sopralluogo nei comuni maggiormente colpiti”, dicono in una nota congiunta il capogruppo della Lega alla Camera Marco Reguzzoni e il capogruppo al Senato, Federico Bricolo, al termine dell’incontro di Arcore. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

E’ la “FINI” del governo Berlusconi. Si va verso la Terza Repubblica.

“Berlusconi si dimetta, salga al Colle e apra crisi. Senza questo colpo d’ala la nostra delegazione non rimarrà un’ora in più al governo”. Un ultimatum chiarissimo che chiude un discorso di inusitata durezza contro il premier, il Pdl e l’alleanza di governo, un governo che, secondo il presidente della Camera “non è quello del fare ma quello del fare finta che tutto va bene”. Fini mette la parole fine al governo Berlusconi. Si va verso la Terza Repubblica. Beh, buona giornata.

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Attualità Media e tecnologia Popoli e politiche

Chi e cosa hanno incastrato Barack Obama?

Per quanto il pessimo risultato elettorale dei democratici fosse stato ampiamente previsto, la debacle del presidente Obama, a metà del suo mandato alla casa Bianca è stato un colpo per chi all’interno degli Usa e nel resto del mondo aveva creduto in una svolta epocale della politica interna ed estera degli Stati Uniti. La rivincita dei repubblicani non si è fatta attendere, e in soli due anni dalla elezione di Obama hanno messo in campo una forza tale da frantumare il sogno neo kennedyano, incarnato dall’amministrazione Obama.

Il New York Times racconta lo sforzo imponente che in due anni ha portato i repubblicani alla rivincita già nel med term. Nel segno dello slogan: “Obiettivo della minoranza è diventare maggioranza”, i repubblicani hanno messo su in poco tempo una delle più impressionanti campagne degli ultimi cinquant’anni, campagna foraggiata da ingenti quantità di danaro da parte di finanziatori e banchieri capitanati da Karl Rove, ex stratega di George Bush che da solo, come riporta Nbc News, avrebbe “pompato” oltre 38 milioni di dollari in spot denigratori contro i democratici.

A guidare la campagna mediatica Carl Forti che ha saputo utilizzare a favore del partito tutti i punti deboli dei democratici. Quali sono stati i punti deboli dell’amministrazione Obama? Lo ha detto alla Abc, senza mezzi termini, Nency Pelosi, speaker uscente del Congresso, carica equivalente al nostro presidente della Camera: “Se la gente non ha un lavoro, non è interessata a cosa fai per trovarglielo, vuole vedere i risultati”.

Dunque, Obama è stato punito da quella gran parte di elettori che erano andati a votarlo per superare la crisi, e che non vedendo risultati apprezzabili, misurabili nella qualità delle loro vite, hanno deciso di votargli le spalle, anche semplicemente non andando affatto a votare. La disoccupazione negli Usa è oltre il 10 per cento, la classe media soffre della crisi economica, seguita alla grande crisi finanziaria che, nata negli Usa ha poi contagiato tutto il mondo. Quella crisi determinò la fine dell’era Bush. Ma, paradossalmente, quella crisi , diventata poi crisi dell’economia reale determina oggi una pesante sconfitta del consenso elettorale, che penalizza duramente il presidente Obama e la sua amministrazione.

Obama doveva comunicare meglio agli elettori l’attività di governo di questi due anni? E’stato troppo timido nel portare avanti quello che aveva promesso durante la sua strabiliante campagna elettorale? Ha prodotto più mediazioni, più compromessi che fatti concreti, tangibili agli occhi dell’opinione pubblica americana? E’ la possibile spiegazione della sconfitta elettorale dei democratici, che per altro riecheggia nei commenti della stampa in questi giorni.

Ma a ben guardare le cose, c’è da notare qualcosa di più profondo. Ci sono almeno due aspetti: il primo è che senza contenuti genuini e innovatori, la capacità di comunicare rischia di infrangersi contro gli scogli delle realtà. Il secondo aspetto, che è la conseguenza stringente del primo è che il populismo della destra (ma ina certa misura anche quello del centro-sinistra) è la malattia infantile delle democrazie occidentali.

Obama aveva promesso agli americani di uscire dalla crisi. Ma dalla crisi le grandi compagnie, le banche, le holding, le corporation non ci vogliono uscire: l’hanno provocata loro e oggi stanno facendo tali profitti che più dura meglio è. Per questo investono in politica ingenti quantità di denaro per fermare chi, anche timidamente, propone una migliore distribuzione della ricchezza. Non è un caso che i “tea party” sono cominciati contro la riforma sanitaria voluta da Obama. E che l’abolizione o comunque una profonda revisione di questa legge è al primo posto nell’agenda dei repubblicani, nei prossimi due anni dell’amministrazione Obama.

Gli elettori sono uguali in tutto il mondo: sanno partecipare a un sogno collettivo di cambiamento. Ma sono pronti a tornare, ognuno per sé sui propri passi, quando il cambio non si realizza. “Change, yes we can” era lo slogan dell’ascesa di Obama. Che oggi potrebbe essere suonato, nelle menti degli elettori americani: “Cambiamento? No, noi non possiamo permettercelo”. E’successo negli Usa. Ma non è affatto diverso da quello che succede da noi.
Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Media e tecnologia Popoli e politiche

Il berlusconismo ha fatto perdere tempo all’Italia. Ha fatto perdere la testa alla sinistra. Questa è una lettera scritta il 23 aprile 2008. La sua attualità è la misura del ritardo dell’opposizione al governo Berlusconi.

di MARTINA FERRI
(Martina Ferri ha firmato questo articolo sul quotidiano Liberazione il 23 aprile 2008. Lo pubblichiamo in vista di possibili nuove elezioni politiche in Italia. Ci sembra di un’attualità dirompente, stringente, addirittura lancinante. Dalema, Bersani, Vendola, Di Pietro dovrebbero pensarci un po’ su. Ben sapendo che, come cantava Guccini, “i politici han ben altro a cui pensare”)

Come se il proiettore si fosse spento bruscamente. Come se la realtà virtuale ricreata intorno a noi fosse sparita, lasciando apparire il deserto che ci circonda. Non ci credevamo, ma vederla rappresentata, questa sinistra, ci faceva stare un po’ meglio. Non c’era, lo sapevamo bene, ma accettavamo l’illusione come un leggero calmante.

Ho scritto a Vladimir Luxuria chiedendole un motivo per votare. Nella sua risposta non ho trovato quella motivazione forte, così forte da spingermi ad avere un altro po’ di pazienza e tornare a dare fiducia alla sinistra in parlamento.

Non ho votato, e ora di che mi lamento? Come giustifico politicamente la desolazione che provo nell’immaginare la nuova distribuzione dei colori nelle camere?

Non la giustifico, ma c’è. Mi sento desolata e sconfitta, ma mi sarei sentita così in ogni caso. Tant’è.

Il mio non voto è stato un grido, un grido che voleva scuotere una forza politica che ritenevo il mio unico interlocutore possibile, che però non mi rivolgeva più la parola da molto tempo.

La sinistra non parla con me, non mi conosce, non sa e non si cura di sapere dove vivo, cosa faccio, quali sono i miei problemi e le mie aspirazioni. Come può uno sconosciuto rappresentarmi? Cosa può rappresentare di me, della mia generazione, della mia classe sociale? Può il mio unico scopo essere la conservazione di una rappresentanza di sinistra in parlamento, quando questo avrebbe solo valore formale? Perché io non avverto la sostanza di sinistra nell’arcobaleno.

Umanamente mi dispiace per le persone che si trovano mancare la terra sotto i piedi per questa bastonata sui denti che si chiama trepercento. Ma quando si è lontani dalla realtà, il risveglio fa sempre male. Mi auguro che ci sia questo risveglio, mi auguro che nei prossimi anni si smetta di cercare di interpretare i desideri dell’elettorato (desideri indotti, bisogni immaginati, come l’esigenza di sicurezza), e che si cerchi di comprendere i problemi reali delle persone, interpretandoli ed offrendo una visione possibile del mondo.

Ho bisogno di una forza politica, ma non televisiva, che mi aiuti a spiegare ai miei colleghi di lavoro, alle persone che incontro nel quartiere, sull’autobus, o in fila alla cassa ticket delle asl, che il nostro problema non sono i Rumeni, ma gli affitti alle stelle. Che il problema è il profitto e chi sfrutta in nome del profitto, e non chi si lascia sfruttare perché non ha altra scelta. Che il concetto di clandestinità non ha senso, è scientificamente indifendibile. Che discriminare i gay e le lesbiche è come riprodurre l’apartheid dell’America e di Israele. Ho bisogno di essere appoggiata, di avere una sponda, per non sentirmi emarginata nella mia città. Ho bisogno di una sinistra in parlamento, certo, ma che sia sinistra.

Non c’è più nulla di scontato. L’antifascismo, la solidarietà sostanziale, il lavoro comune per il miglioramento della vita di tutti, il rispetto delle regole che garantiscono la libertà, e la lotta per i diritti che ancora mancano. Le persone con cui ho a che fare mi guardano con gli occhi di fuori quando faccio riferimento a queste cose. L’individualismo di massa ha conquistato ogni spazio lasciato incustodito, il qualunquista è considerato quello che ci ha visto più lungo di tutti.

Ecco, io mi sento così: mi avete lasciato da sola a combattere con il mostro gretto, ignorante e aggressivo. La mia voce è stata lasciata a morire sotto le urla dell’arroganza, della miseria umana, della totale mancanza di coscienza (di classe). E non mi sono sentita aiutata da voi, nella mia militanza quotidiana nell’orrido mondo reale in cui sono costretta a vivere.

Ho visto sempre più fascisti parlare ad alta voce e senza vergogna. Razzisti sproloquiare contro gli immigrati, senza pudore, sull’autobus, nei bar, per la strada. Signore distinte sospirare malinconiche ripensando ai bei tempi del duce. Tutti assolutamente indisturbati facevano a pezzi il mio paese. Mentre io mi azzardavo ad esprimere i miei contenuti, venivo travolta dalla massa di voci più forti, più categoriche, più arroganti. Le voci di quelli che avevano dalla loro parte forze politiche che sdoganavano i più bassi istinti dell’italiano medio.

Mi sono sentita sola, e non ho votato perché volevo che ve ne accorgeste. Vi prego di farlo, adesso. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Lavoro

«L’Italia rischia di trovarsi di fronte a un bivio tra la stagnazione e la crescita». Il governatore della Banca d’Italia smentisce clamorosamente il ministro dell’Economia, e manda alle ortiche le politiche del governo italiano.

(fonte:ilmessaggero.it)
«L’Italia rischia di trovarsi di fronte a un bivio tra la stagnazione e la crescita»: è l’allarme lanciato dal governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, nel suo intervento al convegno della facoltà di Economia dell’università olitecnica delle Marche. Per Draghi gli effetti della recessione sulla struttura produttiva italiana «devono ancora essere valutati» e la «difficoltà dell’economia italiana di crescere e creare reddito non deve smettere di preoccuparci».

«L’inerzia sulla crescita colpisce di più i giovani». «L’inerzia, l’inazione sulla crescita del Paese – dice Draghi – privilegiando il passato rispetto al futuro esclude dalla valutazione del benessere la visione di coloro per cui il futuro è l’unica ricchezza: i giovani». Secondo Draghi gli indicatori internazionali dicono che «gli italiani sono mediamente ricchi» e «sono in gran parti soddisfatti delle loro condizioni», ma gli stessi indicatori mostrano che «l’inazione ha costi immediati. La ricchezza è il frutto di azioni e decisioni passati, mentre il pil, legato alla produttività, è frutto di azioni e decisioni prese guardando al futuro.

«Stabilizzare i precari per una migliore produttività». Per Draghi è indispensabile offrire una prospettiva di stabilizzazione ai precari. «Senza la prospettiva di una pur graduale stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari si hanno effetti alla lunga negativi su produttività e profittabilità» rileva Draghi, secondo cui nel nostro Paese «rimane diffusa l’occupazione irregolare, stimata dall’Istat in circa il 12% del totale dell’unità di lavoro».

«Produttività deludente anche al Nord». «Per capire le difficoltà di crescita dell’Italia – sostiene il governatore di Bankitalia – dobbiamo interrogarci sulle cause del deludente andamento della produttività. La stagnazione della produttività nel decennio precedente la crisi, è stata uniformemente diffusa sul territorio. E’ un problema del Paese». Per Draghi i dati mostrano una «evidente perdita di competitività rispetto ai partner europei». Il governatore ha spiegato come non risponda a verità che la diminuzione della crescita del prodotto per abitante «sia media di un Nord allineato al resto d’Europa e di un Centro-Sud in ritardo. Ma così non è». Il governatore ha ricordato che la crescita del prodotto per abitante in Italia «si va riducendo da tre decenni: siamo passati da un aumento annuo del 3,4% negli anni ’70 a uno del 2,5% negli anni ’80, dell’1,4% negli anni ’90 fino alla stasi dell’ultimo decennio». Nel confronto con gli altri paesi europei, Draghi ha quindi evidenziato come nei primi dieci anni dell’Unione Europea (1998-2998) il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato del 24% in Italia, del 15% in Francia, mentre «è addirittura diminuito in Germania». Divari, ha argomentato il governatore, i quali riflettono «i diversi andamenti alla produttività del lavoro. Nel decennio citato questa è aumenta del 22% in Germania, del 18% in Francia e solo del 3% in Italia». Per il governatore i fattori all’origine di tali meccanismi «sono molteplici», fra cui, citando l’economista Giorgio Fuà, «sono simili a quelli che distinguevano il modello di sviluppo tardivo dell’Italia con marcati e persistenti dualismi nella dimensione delle imprese, nel mercato del lavoro». Proprio la dimensione delle imprese, ha concluso Draghi, «rimane ridotta nel confronto internazionale». (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Finanza - Economia Lavoro Popoli e politiche

Elezioni Usa: Sbarack Obama?

di Pino Cabras – Megachip.

La sconfitta di Barack Obama a metà del suo mandato è nettissima e apre scenari inediti. La crisi economica ereditata dalla sua amministrazione sta mettendo in ginocchio la classe media di Main Street che – contrariamente alle promesse – ha dovuto comunque cedere il passo a Wall Street. L’inerzia del leader che urlava “Yes, we can” è stata punita fino a prefigurare una sua sconfitta certa fra due anni, se le cose rimarranno così e se una guerra non lo salverà (come gli suggeriscono dal «Washington Post»).

Il movimento del Tea Party che ha rivitalizzato il Partito Repubblicano è una galassia di opposizione variegata. Nel suo grembo contiene tante contraddizioni, essendo una vasta protesta anti-establishment che però viene accanitamente foraggiata da pezzi da novanta dell’establishment stesso, e incitata a far suo un programma demagogico e ultraliberista.

Eppure emergono candidati che sono espressione di tendenze ben distinte dal cappello che vogliono mettervi sopra i plutocrati come Murdoch o i fratelli Koch.

Su tutti appare squillante la vittoria di Rand Paul, neosenatore del Kentucky e figlio del parlamentare Ron Paul, un repubblicano che ha corso anche alle ultime primarie presidenziali, il quale sosteneva e sostiene che gli USA debbano immediatamente ritirarsi da tutti gli scenari di guerra nel globo e ridurre drasticamente le immani spese militari statunitensi. Non solo, Ron Paul attacca frontalmente da anni tutti i tabù del potere washingtoniano, a partire dalla Federal Reserve. Il figlio segue la stessa scia.

Saltano insomma gli schemi, sullo sfondo di un paese che in tantissime città sta ormai rinunciando all’asfalto perché non ci sono nemmeno più i soldi per la manutenzione delle strade. La presidenza Obama viene associata a un declino terminale dell’Impero.

I democratici tenteranno disperatamente una correzione che potrebbe persino portare a contrapporre un altro candidato a Obama nel 2012. Tra una sconfitta certa con Obama e la brutta figura di una sostanziale sconfessione di un presidente in carica – e senza un vero programma per invertire la tendenza al declino, mentre il peso demografico della Florida si riversa di nuovo sui repubblicani – le speranze dei democratici di tenere la Casa Bianca sono minime.

I repubblicani soffieranno implacabilmente sul fuoco della protesta, cercando di coalizzare una massa impaurita sempre più consistente. Sarah Palin ha sponsor facoltosi, ma continua a rimanere un personaggio imbarazzante. La sorpresa potrebbero perciò essere i Paul padre e figlio, che avevano predetto la crisi e propongono soluzioni insieme più solide e più rivoluzionarie, che potrebbero incontrare favori anche nell’agone nazionale. I giornali d’oltreoceano e anche i nostri li etichettano come ultraconservatori. Etichetta sbagliata e fuorviante. Assistiamo invece a una spinta potenzialmente in grado di rovesciare in profondità lo stile di governo delle istituzioni statunitensi. Di conservatore c’è un richiamo plurisecolare alla Costituzione, un’idea di Stato federale in ritirata, una riduzione isolazionista della presenza nel mondo. Ma le implicazioni di un simile programma vanno ben oltre la dicotomia progresso-conservazione (non parliamo di destra-sinistra). Molta sinistra europea, per dire, è per la guerra in Afghanistan ed è pronta per una guerra in Iran. Ron Paul vuole invece smantellare il complesso militare industriale. Come andrà a finire? Quali risorse metterà in campo il potere minacciato dalla tenuta del paese più potente?

Tutto può succedere, la portata della crisi rende lo scenario più imprevedibile. Nel pieno di una crisi così grave e con un presidente ridotto ad “anatra zoppa”, l’Impero non ha una guida solida. Lo sbando sta durando da anni, e le vere decisioni sono prese da poteri irresponsabili. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Media e tecnologia

Tempi duri per gli italiani che vivono, studiano e lavorano all’estero.

“Berlusconi affonda nella volgarità”-La vicenda sulla stampa internazionale
da Londra ENRICO FRANCESCHINI, da Parigi ANAIS GINORI, da Berlino ANDREA TARQUINI-repubblica.it

DALL’AMERICA all’Europa, i media anglosassoni riportano con ampio rilievo la battuta di Silvio Berlusconi 1 sui gay e le reazioni che ha provocato. Ed è da notare il risalto che la notizia assume anche su giornali di orientamento moderato o conservatore, come la tedesca Frankfurter Allgemeine che le dedica una ampia foto in prima pagina. “Questa volta, lo sberleffo si ritorce su Berlusconi”, è anche il titolo di una corrispondenza dall’Italia del New York Times. “Il successo del premier italiano viene attribuito in larga misura alla sua capacità di connettere con la gente, talvolta raccontando barzellette spinte, ma in questo caso la sua abilità lo ha tradito”, scrive Elisabetta Povoledo. La frase pronunciata dal primo ministro, “meglio guardare belle donne che essere gay”, ha suscitato “un’ondata di sdegno e rinnovate richieste di sue dimissioni”, continua l’articolo, citando in particolare le proteste dell’Arcigay e del governatore “gay” della Puglia, Nichi Vendola. “Berlusconi sta attraversando un periodo particolarmente difficile”, osserva il quotidiano newyorchese. “Ha rotto con uno dei suoi alleati chiave e la sua vita personale è diventata materiale da tabloid”.

Anche il Washington Post dedica spazio al caso, notando che “perfino i commentatori di testate sotto il controllo di Berlusconi hanno criticato” il comportamento del leader del Pdl. Il quotidiano della capitale riporta anche i commenti in difesa del premier da parte del ministro Mara Carfagna, secondo cui Berlusconi “non voleva assolutamente offendere né le donne né gli omosessuali”, e del sottosegretario Daniela Santaché, che dice di “stimare i gay” ma osserva: “Tutte le madri sognano di avere figli eterosessuali”.

In Gran Bretagna praticamente tutti i giornali parlano della gaffe del premier sui gay. “Berlusconi cerca di metterla in ridere”, è il titolo del Financial Times sugli ultimi sviluppi della vicenda, “ma il caso della minorenne marocchina 2 potrebbe risultare uno scandalo di troppo”, commenta il più importante quotidiano finanziario europeo. La battuta “omofobica” su donne e gay, continua la corrispondenza da Roma di Guy Dinmore, sembra diretta non solo ai suoi avversari politici ma anche ai suoi alleati del centro-destra, “che secondo fonti ufficiali e indiscrezioni di stampa hanno concluso in privato che Berlusconi è un handicap per il governo e che dovrebbe dimettersi per permettere una ordinata transizione di potere senza convocare nuove elezioni”. In tale scenario, scrive il quotidiano della City, “Berlusconi nominerebbe come primo ministro Gianni Letta o Giulio Tremonti”. In ogni caso, conclude il Financial Times, “il suo destino non sembra più essere nelle sue mani”, bensì in quelle di Umberto Bossi e Gianfranco Fini, che avrebbero il potere di far cadere la coalizione di governo.

“Berlusconi cerca di mettere lo scandalo in ridere con una battuta sui gay” titola il Times di Londra, commentando che tuttavia il suo umorismo “non ha divertito molto”. Il quotidiano di proprietà di Rupert Murdoch nota le proteste dell’ArciGay e di numerosi esponenti del mondo politico e civile, sottolineando che perfino “alleati politici del premier si sono sentiti imbarazzati”, come il ministro delle Pari opportunità Mara Carfagna, che ha ammesso che “certe battute oscurano il buon lavoro fatto dal governo per fare avanzare i diritti degli omosessuali”. Il Times riporta anche la scoperta di nuove indagini “su uso di droga e call-girls a feste nelle residenza private del primo ministro”, alludendo alle rivelazioni di una escort in Sicilia.

In un ampio articolo, illustrato dai poster dell’Italia dei Valori sulla “evoluzione della specie” (“Da Silvio a Papi al Bunga-Bunga”), il Daily Telegraph definisce la battuta di Berlusconi “un insulto anti-omosessuali”. Il Guardian riporta la reazione dell’attrice Julianne Moore, impegnata a presentare al Festival di Roma il suo nuovo film “The kids are all right”, storia di due lesbiche che adottano un bambino, secondo cui la battuta di Berlusconi è “spiacevole, arcaica e scema”. Il Sun, più diffuso tabloid britannico, scrive che la battuta ha messo ulteriormente nei guai il primo ministro, scatenando una vampata di polemiche. E il Daily Express afferma che con le sue parole Berlusconi ha “provocato sdegno” e condanne.

In Germania, dicevamo, al caso è eccezionalmente dedicata prima e l’intera terza pagina della liberalconservatrice Frankfurter Allgemeine, il più influente e autorevole quotidiano di qualità tedesco, dedicate alla “inarrestabile fine dell’èra Berlusconi”. E sulla Sueddeutsche Zeitung, il prestigioso quotidiano di Monaco, un ampio servizio sul Rubygate. Stamane il coverage delle vicende del presidente del Consiglio sui media tedeschi ha fatto un significativo salto di qualità. Segnale apparente del crescente allarme e fastidio dell’establishment della Repubblica federale. La Frankfurter pubblica in prima pagina, con pesante ironia, la foto di una sala con molti monitor. Su tutti appare Berlusconi in diretta. Il quotidiano sottolinea il suo invito a non leggere più i giornali, e ironizza, “peccato, perché la nostra terza pagina di oggi è veramente appassionante”. All’interno un articolo a piena pagina del corrispondente Joerg Bremer. Secondo cui finora Berlusconi si è sempre dimostrato un grande manager delle crisi. “Ora, dicono molti, Berlusconi è stanco”. Possibili sbocchi? Un 8 settembre: una caduta di Berlusconi è possibile se Casini e Fini si alleano con il Pd. Oppure un “24 luglio”, perenne vigilia della crisi. La Sueddeutsche “il premier irrita anche il suo partito con i suoi affaires amorosi e rischia una crisi di governo”. L’articolo mette in evidenza anche la battuta anti-gay, che qui è stata uno shock per il grande pubblico.

In Francia, Libération in prima, a tutta pagina, ha una foto di Berlusconi che ride, con titolo sullo scandalo Ruby. Per Le Parisien quella sugli omosessuali è la frase del giorno. La nuova battuta è tra le notizie più lette sui siti di Le Monde e Nouvel Observateur. Radio Europe 1si chiede: “La fin du regne pour Berlusconi?”. L’olandese De telegraf titola invece “Berlusconi affonda negli scandali e nella volgarità”. Mentre lo spagnolo El Mundo tratta l’argomento raccontando di Julienne Moore, l’attrice che ieri al Festival di Roma ha dato dell’idiota a Berlusconi difendendo la paternità omosessuale. E poi un lungo reportage titolato “Sexo, drogas y dinero en las bunga bunga de Berlusconi”. Il commento sul portoghese Estadao parla di “solita volgarità”, in Belgio il De Morgen dedica a Berlusconi un’intera pagina e pubblica una antologia delle sue boutade più famose. (Beh, buona giornata).

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Contro Berlusconi ci vuole il piano b.

L’ennesimo scandalo che riguarda Berlusconi, ci pone due semplici alternative:
a) Berlusconi e il berlusconismo sono la causa di tutti i mali del Paese (xenofobia, precariato, disoccupazione, disoccupazione giovanile, aumento delle imposte regionali, illegalità dei forti, repressione contro i deboli, violazioni Costituzionali, attacco alla Magistratura, attacco alla contrattazione collettiva, criminalizzazione della FIOM, distruzione del welfare, umiliazione della Cultura, licenziamento di massa degli insegnanti della Scuola, evasione fiscale, aumento parossistico della popolazione carceraria, monnezza, manganellate, caste, cosche, mafie e bunga bunga): in questa ottica scagliarsi contro “il bunga-bunga” è giusto, è possibile. Speriamo che il puzzone cada dal balcone (quello da cui ieri si affacciava Mussolini; quello da cui oggi si affaccia Berlusconi: balconi e televisioni fanno anche rima). E’ la tesi che sostengono Scalfari, Travaglio, Floris, Santoro, Gabbanelli. Un po’ lo fanno anche Fini, e la Marcegaglia di Confindustria, e don Sciortino di Famiglia Cristiana.

b) Berlusconi e il berlusconismo non sono la causa, ma il prodotto (marcio) della crisi profonda dell’economia italiana, della politica italiana, della cultura italiana, dei poteri forti italiani (imprese, clero, corporazioni, banche). E allora, la protesta contro il ” bunga-bunga” è inutile ai fini di un cambio dello scenario. E’ utile ai Fini, ai Casini, ai Di Pietro, ai Bersani, e perché no, ai Vendola, (e ancora a Marcegaglia di Confindustria e magari anche a don Sciortino di Famiglia Cristiana) per proporre una cambio della compagine di governo, ma non, certamente non a un cambio della visione politica, e dunque della prospettiva ontologicamente fattuale delle contraddizioni della crisi della democrazia, della crisi della produzione di merci, della crisi della produzione di idee , della crisi delle relazione tra le classi sociali, della crisi della difesa dell’ambiente, dello sviluppo delle nuove risorse ambientali, della crisi della prefigurazione di nuove e più promettenti prospettive del ruolo della nostra società nel mare magnum della globalizzazione. E’ la tesi che sostengono le proteste dei pastori sardi, dei metalmeccanici, dei precari della scuola, dei cassaintegrati, dei cittadini incazzati per la monnezza, dei migranti, degli internati nei centri di prima accoglienza, degli studenti e dei ricercatori, dei nuovi schiavi dei quello che una volta era il lavoro salariato, e che oggi si chiama “flessibilità”; è la tesi che sostengono le proteste dei precari in tutti i settori produttivi, ma anche dei piccoli imprenditori, le cui piccole aziende fanno grandi cose, nonostante le banche e gli enti locali (ancorché “federalisti”).

Personalmente opto per il piano b. Perché ha una forza creativa tale che nessuna rappresentanza politica è ancora riuscita a portare a valore elettorale. Finché dura farà cultura (del nuovo che avanza contro il “modernismo” controriformatore). Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Media e tecnologia

Lo scandalo bunga-bunga fa il giro del mondo.

di ALESSIA MANFREDI-repubblica.it

“E’ la fine del regno”, scrive Bill Emmott sul Times britannico. Il Rubygate continua a campeggiare sulla stampa estera, che anche oggi registra le ultime sullo scandalo che coinvolge il presidente del Consiglio. “La fine di un regno” è vicina ma secondo l’ex direttore dell’Economist che ora ha una rubrica sul quotidiano inglese, non ci sarà “l’alluvione del caos”. Le accuse “potrebbero essere non vere”, scrive Emmott, ma l’intervento sulla Questura milanese “è un chiaro abuso di potere, potenzialmente un reato penale”. Il dopo Berlusconi “potrebbe non essere bello, come al tempo in cui gli uomini indossavano toghe macchiate di sangue, ma c’è anche una possibilità più edificante: che emerga una nuova generazione e avvii un periodo di riforme. Non potrebbe esserci migliore inizio dell’anno per le celebrazioni dell’Unità d’Italia”.

Il Guardian sposta l’attenzione sul ministro dell’Interno Maroni e la sua difesa dell’operato della polizia, accusata di non aver rispettato le regole, consegnando la diciassettenne ballerina di danza del ventre alla persona delegata da Berlusconi per prenderla in custodia. “Le procedure normali sono state bloccate” scrive il Guardian, ricordando come dopo che Ruby è stata consegnata a Nicole Minetti, che l’aveva in custodia, la ragazza sia finita immediatamente in appartamento con una modella brasiliana, che ha accusato di essere una prostituta. “Dopo un litigio fra le due, Ruby è stata medicata in ospedale per ferite leggere, arrestata una seconda volta e mandata in una casa protetta per minori”.

“Incontrollabile malattia nei rapporti con le donne”: oggi il Telegraph dà conto delle accuse rivolte a Berlusconi da Famiglia Cristiana. La modella, scrive il corrispondente da Roma Nick Squires, dice di aver ricevuto 7000 euro dopo aver partecipato ad una serata a casa di Berlusconi, ma nega di aver mai fatto sesso con il premier. La giovane ballerina di danza del ventre al centro dell’ultimo scandalo sessuale in Italia dice che sta scrivendo un libro, continua la corrispondenza. E’ quasi pronto e “ci sarà un capitolo su Berlusconi”.

“Berlusconi under fire over help for a teen”. Il primo ministro italiano nella bufera per aver aiutato una minorenne, ricostruisce il Wall Street Journal, nella versione europea. Pioggia di critiche sul premier per la telefonata fatta al capo di gabinetto la questura di Milano, in cui Berlusconi ha detto che Ruby era la nipote di Mubarak, “mentre la polizia ha stabilito che era figlia di immigranti marocchini che vivono in Sicilia”. Il caso Ruby, secondo il quotidiano finanziario, rischia di mettere ulteriormente alla prova la tenuta del suo potere, “fattasi sempre più tenue negli ultimi mesi”.

Per l’Huffington Post, dopo l’autodifesa di Silvio Berlusconi sul suo stile di vita, lo scandalo si è allargato. L’opposizione chiede le sue dimissioni se verrà provato che ha commesso un abuso di potere per assicurare la liberazione di Ruby. E l’ultimo scandalo si va a sommare agli altri guai per il premier, tra i richiami della Ue e la crisi dei rifiuti a Napoli.

Di “scandalo permanente” parla il duro editoriale di Le Monde. Secondo il quotidiano francese, che si chiede da quali abissi il presidente del Consiglio sia pronto ad assolvere la sua funzione e quanto tempo ancora i suoi alleati potranno sopportarlo, “Berlusconi si è convinto di essere il miglior interprete dell’animo degli italiani e dei loro vizi, ma la ripetizione degli scandali, giudiziari e sessuali, pone la questione della dignità del presidente del Consiglio”. “Non è solo l’immagine del presidente del Consiglio a risultarne compromessa, ma quella dell’Italia, ridotta poco a poco alla sua caricatura”. “Con il suo tanfo da basso impero – taglia corto Le Monde – la fine del berlusconismo non fa onore alla Penisola”. L’irritazione dell'”impreditoria e della Chiesa, la dissidenza di Gianfranco Fini, il cattivo umore della Lega Nord, riducono sensibilmente le prospettive politiche di Silvio Berlusconi. In assenza di un’opposizione forte e strutturata, è a questi attori che spetta dire ‘stop’ o ‘ancora'”. “Il meglio – conclude il quotidiano – sarebbe che dicano ‘stop’ per salvare l’Italia e ciò che resta della funzione di presidente del Consiglio”.

Ironico, invece, il tono del commento su The Australian, intitolato “il festaiolo non può rinunciare alla dolce vita”: si chiosa su cosa sia esattamente il bunga-bunga, sulla modella marocchina che avrebbe impietosito il capo del governo italiano con la storia del suo difficile passato in Italia e sui regali che avrebbe ricevuto dal premier: una Audi e una collana di diamanti, “proprio quello che ci vuole per un’emigrante in difficoltà”. Alla fine, si conclude, tanto di cappello all’irrefrenabile Berlusconi. “Ma quanto ancora può durare?”

Le cose si complicano per Berlusconi, secondo il quotidiano argentino La Razon, e le conseguenze per il governo potrebbero essere molto pesanti. Il sito di Abc, in Spagna, si focalizza sulle indagini dopo la presunta chiamata in questura di Silvio Berlusconi per far liberare Ruby, mentre la Nueva Espana riferisce che alla Questura di Milano, “a quanto sembra il cavaliere telefonò in persona non una ma due volte”.

Il Rubygate finisce anche su Al Jazeera. Sul sito un servizio video, intitolato: “Pressioni su Berlusconi perché si dimetta”. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

I danni collaterali del bunga-bunga: lo sconcerto determinato dall’apprendere che Silvio Berlusconi ha definito parente del presidente Hosni Mubarak la minorenne marocchina Ruby.

di Maurizio Caprara per il “Corriere della Sera”

La Repubblica araba d’Egitto, Stato da decenni in ottimi rapporti con l’Italia, ha tenuto finora confinato in canali riservati lo sconcerto determinato dall’apprendere che in maggio Silvio Berlusconi ha definito parente del presidente Hosni Mubarak la minorenne marocchina Ruby.

Il fastidio per l’accostamento tra il raìs e una ragazza di costumi assai diversi rispetto all’ideale islamico di donna, per di più al fine di ottenerne il rilascio dalla polizia mentre era in ballo un’accusa di furto, va però oltre i limiti delle vie appartate della diplomazia nelle quali si ricorre spesso alla discrezione.

«Mubarak va rispettato. È un uomo corretto e perbene. Per noi non è accettabile mettere in questa situazione il nostro capo dello Stato», diceva ieri al Corriere Adel Amer, il presidente dell’Associazione egiziani di Roma e del Lazio, una comunità di circa 15 mila persone. Dal suo Paese è già stato fatto presente che Ruby non è nipote del presidente. E questo è ciò che è noto.

In casi del genere (di davvero identici non ne esistono tantissimi, in verità) il minimo è che dallo Stato potenzialmente risentito parta, come passo diplomatico, una richiesta di spiegazioni e di smentite. Per iscritto. Oppure, con o senza una nota nero su bianco, attraverso la convocazione dell’ambasciatore dell’altro Stato in questione presso uno degli uffici della capitale ospitante. Non si esclude che il risentimento possa essere comunicato con reazioni più sonore, in telefonate o colloqui piuttosto ruvidi. Che nulla di tutto questo sia stato fino a ieri annunciato non significa tra il Cairo e Roma calma piatta.

Ad Al-Masry-Al-Youm, sito del quotidiano egiziano con lo stesso nome, Amer ha anticipato che intende citare in giudizio per diffamazione il presidente del Consiglio italiano, che si rivolgerà per lettera a Giorgio Napolitano e che pensa di dover organizzare una protesta per il comportamento del capo del governo. Quanto ha fatto Berlusconi non è stato compiuto da nessuno al mondo, ha dichiarato il presidente degli egiziani di Roma e del Lazio al corrispondente di Al-Masry-Al-Youm dall’Italia, Mohamed Yossef Ismail.

Ottantadue anni, capo dello Stato da 29, ex pilota, uomo di polso che prese la guida dell’Egitto dopo che fondamentalisti islamici assassinarono il suo predecessore Anwar al-Sadat, Mubarak è un personaggio con il quale i governi italiani di vario colore hanno avuto sempre relazioni strette.

Fu per non danneggiare lui che Bettino Craxi, nel 1985, si rifiutò di consegnare agli Usa il capo del Fronte per la liberazione della Palestina Abu Abbas e i dirottatori dell’«Achille Lauro», i quali avevano ucciso l’invalido di religione ebraica Leon Klinghoffer. Per favorire un ritorno della nave senza stragi, il presidente egiziano aveva avuto un ruolo di mediatore. Craxi, allora presidente del Consiglio, preferì uno screzio con la Casa Bianca di Ronald Reagan a uno smacco per Mubarak.

Considerato un nemico dai Fratelli musulmani e anche dal terrorismo integralista musulmano, il presidente egiziano è stato presentato come «un giovanotto» da Berlusconi quando entrambi sono comparsi davanti ai giornalisti a Villa Madama, il 19 maggio scorso, in occasione della più recente tra le numerose visite di Mubarak a Roma. Tanta cordialità e tanta cortesia non erano né casuali né improvvise.

Secondo diplomatici dalla memoria lunga, il raìs del Cairo fu determinante nell’evitare che l’indignazione araba diventasse valanga e trasformasse in uno scontro tra Stati l’incidente causato da Berlusconi nel 2001 attribuendo alla civiltà occidentale una «superiorità» sull’Islam.

Anche con Romano Prodi e i suoi predecessori Mubarak ha avuto ottimi rapporti, ma con l’attuale presidente del Consiglio la cordialità è stata, almeno fino a una settimana fa, maggiore. Il caso di Ruby, comunque, è delicato non soltanto per le ragioni più evidenti.

Anche perché sui nipoti Mubarak ha motivi per non aver voglia di sentire scherzi altrui. Il 19 maggio 2009, in un ospedale di Parigi, il presidente perse il suo nipote più grande, Muhammad, stroncato a 12 anni da una malattia. Dal Cairo, in segno di lutto, la tv di Stato trasmise brani di musica sacra.

Nel mondo, l’Italia è per l’Egitto il secondo partner economico. Nell’Unione Europea, il primo. Per le esportazioni egiziane, costituiamo il secondo mercato di sbocco. Il prossimo vertice bilaterale tra i due governi è previsto per il 2011. Non mancherà il tempo per cercare rattoppi e compensazioni. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Quel pasticciaccio brutto di via Fatebenefratelli: il bunga-bunga nella Questura di Milano.

La catena delle verità mancate . Ecco i sei punti rimasti oscuri, di LUIGI FERRARELLA-corriere.it

Una falsità certa. Un’altra affermazione o non corrispondente al vero o confinante con la sciatteria. Un rimpallo di versioni. Una controversia procedurale. Un ritardo. E una inadempienza. Sono questi i sei nodi della notte tra il 27 e il 28 maggio in cui una 17enne marocchina, scappata da una comunità protetta di Messina e rivelatasi in seguito una delle ospiti delle feste di Berlusconi ad Arcore sulle quali in estate deporrà ai pm, fu portata alle ore 19 in Questura per essere identificata di fronte a un’accusa di furto di 3 mila euro, e dopo due telefonate da Palazzo Chigi ai dirigenti della polizia ambrosiana uscì alle 2 di notte provvisoriamente affidata alla consigliere regionale pdl Nicole Minetti, anziché a una comunità per minorenni.

La bugia su Mubarak
Una delle poche certezze, paradossalmente, è diventata proprio la circostanza che all’inizio pareva più incredibile: gli stessi funzionari di polizia hanno infatti confermato che alle 11 di sera il presidente del Consiglio telefonò al capo di gabinetto della Questura, tramite il cellulare del suo caposcorta, per chiedere informazioni su una minore presente in quegli uffici: ragazza che – affermava Berlusconi – gli era stata segnalata come parente del presidente egiziano Mubarak, prospettando che perciò sarebbe stato opportuno evitare di trasferirla in una struttura di accoglienza, suggerendo fosse affidata piuttosto a persona di fiducia, e informando che a questo scopo sarebbe presto arrivata in Questura il consigliere regionale Minetti, disposta a prendersene cura. A cascata, la menzogna sulla parentela con il presidente Mubarak venne man mano riversata dalla polizia anche al pm di turno alla procura dei minorenni, Annamaria Fiorillo. Senza essere corretta neppure quando, ad identificazione avvenuta, sarebbe dovuta balzare agli occhi l’incongruenza tra le due nazionalità.

Non c’era o c’era posto
Questura e Viminale oggi ribadiscono che l’iniziale ordine del pm di portare la minorenne in una comunità protetta non sarebbe stato eseguibile perché la polizia aveva verificato che nelle comunità per minori contattate non vi era in quel momento disponibilità di accoglienza. Un agente, nello specifico, attesta di aver fatto un giro di telefonate ma di essersi sentito rispondere che ci sarebbe stato posto solo per qualche ragazzo, e niente invece per una ragazza. Il Corriere, con un giro di telefonate ieri, ha però rintracciato almeno quattro strutture «storiche» nel settore a Milano, che avrebbero avuto posto anche per una ragazza e che comunque non furono mai chiamate quella notte. O c’è stato un falso oppure, magari sotto pressione delle telefonate tra funzionari innescate da quella di Berlusconi, c’è stata una ricerca carente o sfortunata.

Il consenso del pm
Controverso è se il pm dei minori al telefono abbia dato a voce alla funzionaria di polizia, diversamente da un primo orientamento, il consenso a che la ragazza, se identificata con certezza con un documento, fosse provvisoriamente affidata all’adulta preannunciata da Berlusconi e comparsa in Questura a mezzanotte come «delegata per la presidenza del Consiglio»: e cioè la consigliere regionale Nicole Minetti, ex ballerina in tv e igienista dentale del premier, che in marzo l’aveva imposta nel listino sicuro di Formigoni per le elezioni del Pirellone. Benché ora il pm Fiorillo rifiuti di rispondere a domande, e il suo capo Monica Frediani dichiari che «per la mia Procura posso parlare solo io e io non voglio parlare per non partecipare a indebite ingerenze», asserite altre «fonti giudiziarie» veicolano infatti una versione divergente: e cioè che il pm non avrebbe dato l’autorizzazione ad affidare la giovane identificata alla Minetti, né avrebbe raggiunto con la polizia alcuna intesa in questo senso. Ma se il pm tace ufficialmente, altre persone riferiscono che a loro avrebbe detto di non poter ricordare con esattezza il contenuto delle telefonate quella notte. Non avrebbe più visto il fascicolo giacché il relativo rapporto di polizia arrivò alla Procura dei minorenni solo il 14 giugno, e non a lei ma (in base alle regole interne di assegnazione) a un altro pm di turno. E il 14 giugno la 17enne aveva già fatto in tempo a risparire, essere ritrovata e riaffidata stavolta a una comunità.

Nicole Minetti (Imagoeconomica)
I documenti
La questione se fosse stata o meno compiuta una identificazione certa, presupposto dell’eventuale via libera all’affidamento alla Minetti, sembra trovare risposta in un passo del rapporto del 28 luglio dei due agenti del commissariato Monforte. Già si sapeva che la comunità di Messina, dalla quale la 17enne si era allontanata, aveva risposto alla polizia di avere una copia dei documenti della ragazza ma di poterli inviare via fax la mattina seguente. Gli agenti, però, attestano due cose in più: e cioè che poi «all’identificazione della ragazza si addiveniva col codice univoco ottenuto mediante il fotosegnalamento e la copia del documento pervenuto dalla struttura di Messina». Se dunque resta prudenzialmente da capire se l’espressione «pervenuto» si riferisse a un invio di documenti materialmente già avvenuto oppure solo dato per certo il giorno dopo, come identificazione a tutti gli effetti vale però già il «codice univoco», cioè la combinazione di cifre e lettere assegnata a una persona fotosegnalata che si ritrova nei riscontri dei precedenti fotodattiloscopici.

Il fascicolo sul furto
Che del resto anche in Procura dei minorenni ci sia stata qualche battuta a vuoto lo testimonia una circostanza collaterale: solo questa settimana, per una serie di disguidi emersi ora con la notorietà del caso, la 17enne è stata indagata per il sospetto furto che l’aveva portata in Questura cinque mesi fa il 27 maggio, formalmente denunciato dalla presunta derubata non quella notte ma giorni dopo.

Gli obblighi di Minetti
Da chiarire resta il successivo comportamento della Minetti, oggi indagata con Lele Mora e Emilio Fede per favoreggiamento della prostituzione (come sempre scritto in questi giorni, e non per sfruttamento come invece comparso ieri per un refuso tipografico). Dalla Questura alle 2 di notte Minetti uscì come provvisoria affidataria della minorenne, «con l’obbligo di tenerla a disposizione del pm e vigilare sul suo comportamento». Ma poi non ospitò a casa la 17enne, che invece fu trovata a casa di una brasiliana arrivata in Questura con la Minetti: la stessa che dice al Corriere di aver avvisato lei il premier che la 17enne fosse finita in Questura, e dalla quale dopo 9 giorni (in una violenta lite) la minorenne si dirà «malmenata» e «indotta a prostituirsi». (Beh, buona giornata).

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