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“Dove finisce Berlusconi comincia una nuova politica.”

di EZIO MAURO-la Repubblica

IL FLAUTO magico si è spezzato, gli italiani dopo vent’anni rifiutano di seguire la musica di Berlusconi. Quattro leggi volute dal premier – una addirittura costruita con le sue mani per procurarsi uno scudo che lo riparasse dai processi in corso – sono state bocciate da una valanga di “sì” nei referendum abrogativi che hanno portato quasi 27 milioni di italiani alle urne. E la partecipazione è il vero risultato politico di questo voto. Berlusconi, come Craxi, aveva invitato gli italiani a non votare, andando al mare, e gli italiani gli hanno risposto con una giornata di disobbedienza nazionale scegliendo in massa le urne, dopo quindici anni in cui i referendum non avevano mai raggiunto il quorum. Una ribellione diffusa e consapevole, che dopo la sconfitta della destra nelle grandi città accelera la fine del berlusconismo, ormai arenato e svuotato di ogni energia politica, e soprattutto cambia la forma della politica nel nostro Paese.

L’uomo che evocava il popolo contro le istituzioni, contro gli organismi di garanzia, contro la magistratura, è stato bocciato dal popolo nella forma più evidente e clamorosa, dopo aver provato a mandare a vuoto proprio la pronuncia popolare degli elettori, di cui aveva paura, cercando di far saltare il quorum fissato dalla legge.

Così facendo il premier non si è reso conto di denunciare tutta la sua angoscia per le libere scelte dei cittadini e la sua incapacità ogni giorno più evidente di indirizzare queste scelte politicamente,
orientandole verso il “sì” o il “no”. Legittimo formalmente, l’invito a non votare è in questa fase del berlusconismo una conferma di debolezza, quasi una dichiarazione di resa, soprattutto una prova politica d’impotenza, senza futuro.

Temeva le emozioni, il presidente del Consiglio, dopo il disastro di Fukushima: come se le emozioni non facessero parte semplicemente della vita, e come se lui stesso non fosse anche in politica un imprenditore di emozioni oltre che di risentimenti. Ma i risultati dimostrano che gli italiani non hanno votato per paura, bensì per una libera scelta, con serenità e coscienza, perfettamente consapevoli del merito dei singoli quesiti referendari – con l’abrogazione del legittimo impedimento che ha avuto praticamente gli stessi voti dei no al nucleare o alla privatizzazione dell’acqua – ma anche della portata politica generale di questo appuntamento elettorale.

Dunque la sconfitta è doppia, per il capo del governo. Nel merito di leggi che ha voluto e ha varato, e che (il nucleare) ha anche cercato di manipolare per ingannare gli elettori, scavallare il referendum e tornare a proporre le centrali subito dopo. Nel significato politico, perché il voto è anche contro il governo, contro Berlusconi e contro il proseguimento di un’avventura ormai completamente esaurita e rifiutata dagli italiani. E qui c’è la sconfitta più grande: il plebiscito dei cittadini che vanno a votare (anche quelli che scelgono il no) con percentuali sconosciute da decenni, nonostante il governo abbia deportato il referendum nel weekend più estivo possibile, lontanissimo dalle normali stagioni elettorali. È Berlusconi che non sa più parlare agli italiani, così come non li sa ascoltare, perché non li capisce più. E gli italiani gli hanno voltato le spalle.

Qui conviene fermarsi a riflettere, perché dove finisce Berlusconi comincia una nuova politica. Anzi, Berlusconi finisce proprio perché è nata una domanda di nuova politica, che sta cercandosi le risposte da sola, e in parte le ha già trovate.

Se mettiamo in sequenza i tre voti ravvicinati del primo turno amministrativo, del ballottaggio e del referendum, troviamo una chiarissima affermazione di autonomia dei cittadini. Questo è il dato più importante. Il voto al referendum e il voto nelle città sono infatti prima di tutto disobbedienza al pensiero dominante. Di più: sono il rifiuto di una concezione verticale della politica, con il leader indiscusso ed eterno che parla al Paese indicando l’avvenire mentre il partito e il popolo possono solo seguire il carisma, che soffia dove il Capo vuole.

Vince una politica reticolare, a movimento, incentrata sui cittadini più che sulla adulazione del popolo. Cittadini consapevoli che aggirano l’invasione mediatica del Cavaliere sulle televisioni di Stato, mandano a vuoto l’informazione addomesticata dei telegiornali, si organizzano sulla rete, prendono dai giornali i contenuti che servono di volta in volta, fanno viaggiare in rete Benigni, Altan e l’Economist a una velocità e un’intensità che le veline del potere non riescono a raggiungere. Cittadini giovani, che fanno naturalmente rete e movimento, e in un sovvertimento generazionale e di abitudini diventano opinion leader nelle loro famiglie, portando genitori e amici a votare, chiarendo i quesiti, parlando dell’acqua e del nucleare, spiegando come il “legittimo” impedimento aggiri l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

Dentro questo movimento orizzontale la leadership a bassa intensità (ma a forte convinzione) del Pd galleggia sorprendentemente meglio del Pdl, una specie di fortezza Bastiani che vede nemici dovunque, dipinge il Paese con colori cupi, nell’egotismo autosufficiente e chiuso in sé del suo leader è incapace di strategie, alleanze o anche soltanto di un normale scambio di relazioni politiche: che Bersani intesse invece ogni giorno alla luce del sole, con Vendola e di Pietro ma anche con Casini e Fini.

Questo spiega in buona parte perché i cittadini decidono oggi di indirizzare a sinistra la nuova domanda di autonomia politica: perché qui i partiti stanno imparando a stare dentro il movimento, giocando di volta in volta la parte della guida o della struttura di sostegno, al servizio di un obiettivo più grande. Ma c’è qualcosa di più. È la fine di un’egemonia culturale, perché come dice Giuseppe De Rita a Ida Dominijanni del Manifesto un ciclo finisce quando esplode la stanchezza per i suoi valori portanti: oggi si comincia a percepire “che la solitudine e l’individualismo non sono un’avventura di potenza ma di depressione e la sregolatezza personale è un prodotto dell’egocentrismo, in una fase in cui i riconoscimenti sociali scarseggiano, perché non fai più carriera, non riesci a fare impresa, non ti puoi gratificare con una vacanza”. È il ciclo della “soggettività” che si spezza, anche per l’inconcludenza della politica che lo sostiene e ne ha beneficiato per anni. Torna, come ci avverte Ilvo Diamanti, il bisogno di aggregazione, di solidarietà, di regole, di normalità.

È un cambio di linguaggio, dopo vent’anni. Le manifestazioni delle donne, i post-it contro la legge bavaglio, il boom per Fazio e Saviano, l’allegria della piazza di Pisapia e Vecchioni a Milano contrapposta alla paura e alla cupezza stanno cambiando la cultura quotidiana dell’Italia, il modo di comunicare, l’immaginario che nasce finalmente fuori dalla televisione, la domanda stessa della politica. Davanti a questo cambio, le miserie dei burocrati spaventati che reggono la Rai per conto di Berlusconi sembrano ormai tardive e inutili: chiudono la stalla di viale Mazzini con l’unica preoccupazione di lasciar fuori Saviano e Santoro, per autolesionismo bulgaro, e non si accorgono che gli spettatori sono intanto scappati altrove.

Faceva impressione, ieri pomeriggio, vedere tanti politici e giornalisti pronti a celebrare il funerale politico di Berlusconi dopo che per anni si erano rifiutati di diagnosticare la malattia di questa destra, la sua anomalia. Stesso strabismo dei “nextisti” che invitano a preparare il domani pur di saltare il giudizio sull’oggi, il giudizio ineludibile – proprio per evitare opacità e confusione – sulla natura del berlusconismo. Questo spiega lo stupore italiano davanti ai giornali europei di establishment, che rivelano quella natura e denunciano quelle anomalie – come Repubblica fa da anni – giudicandole semplicemente estranee ad un normale canone europeo e occidentale. Ci voleva molto? Bisognava aspettare l’Economist? L’Italia della cultura, dei giornali, dell’establishment si è rifiutata di vedere e di capire, finché gli italiani non hanno visto e capito anche per lei. A quel punto, come sempre, si è adeguata in gran fretta.

Adesso, Berlusconi proseguirà con gli esorcismi e le sedute spiritiche cui lo consigliano i suoi fedeli, incapaci di imboccare la strada di un tea party italiano che ricrei un movimento anche a destra, riprenda la leggenda della “rivoluzione” conservatrice delle origini e spari su un quartier generale arroccato e spaventato, preoccupato solo di difendere rendite di posizione in conflitto tra loro. Sullo sfondo, Bossi continua a ballare da solo sulla musica di Berlusconi che il Paese non ascolta più, e intanto perde contatto con la sua gente, scopre che il Nord è autonomo anche dalla Lega, decide per sé e va a votare con percentuali dal 91 al 96 per cento, disubbidendo dalla Liguria al Trentino. Ancora una volta, come nel ’94, la sovrapposizione con Berlusconi soffoca la Lega: che alla fine staccherà la spina, portando anche il Parlamento – in ritardo – a sanzionare quel cambio di stagione che ieri hanno deciso i cittadini. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia Media e tecnologia

Berlusconi travolto dai referendum.

di Enrico Franceschini-la Repubblica.

La sconfitta di Silvio Berlusconi nei referendum finisce in prima pagina sui più importanti giornali del mondo, che concordano nel ritenerla un altro “duro colpo” alla capacità di sopravvivenza politica del premier italiano. “Una bruciante sconfitta politica”, la definisce il New York Times. “E’ probabile che non provocherà l’immediata caduta del governo”, scrive Rachel Donadio, corrispondente da Roma del più autorevole quotidiano americano, “ma facendo seguito alle sconfitte sofferte dai candidati di Berlusconi nelle elezioni amministrative, dove ha perso la corsa per il sindaco a Milano e Napoli, la seconda e la terza maggiore città italiana, i risultati del referendum indicano una nuova realtà: l’uomo che un tempo sentiva il polso dell’Italia ha perso contatto, non ha più il suo tocco magico”.

“Un colpo a Berlusconi”, è il titolo che apre la prima pagina del Wall Street Journal. Il quotidiano finanziario Usa, soprannominato “la bibbia del capitalismo”, giudica il risultato dei referendum “un segno di scontento popolare” nei confronti del primo ministro italiano, il quale “conserva la maggioranza in parlamento ma vede ormai scendere da mesi il consenso nel paese”. Il Journal sottolinea che la Lega Nord, più importante alleato di Berlusconi in parlamento, “sembra averne abbastanza” di ricevere sberle in faccia, citando le parole del ministro Calderoli.

Prima pagina per Berlusconi, sotto il titolo “Roman defeat” (Sconfitta romana) e una foto del premier per una volta non sorridente scattata ieri a Villa Madama, anche sul Financial Times. Il quotidiano della City parla di una “grave sconfitta” per il premier, “un altro duro colpo alla sua credibilità”, predicendo che i referendum aumenteranno le divisioni in seno all’alleanza di governo e scateneranno la lotta per una successione a Berlusconi all’interno del centro-destra, rendendo nel frattempo il premier “sempre più un ostaggio” della Lega Nord in parlamento.

Anche il resto della stampa britannica dedica ampio spazio all’esito dei referendum. “Berlusconi va verso un divorzio dall’Italia” è l’ironico titolo del Daily Telegraph, principale quotidiano conservatore, che definisce il risultato come “un’umiliante sconfitta” per il premier. L’altro grande quotidiano conservatore del Regno Unito, il Times, usa quasi le stesse parole: “Un passo falso umiliante, dal punto di vista personale e politico, per Berlusconi”, afferma l’articolo, descrivendo il primo ministro come un uomo “schiacciato dagli elettori”, nonostante il suo appello a boicottare le urne. Quanto ai giornali progressisti, il Guardian parla di una “schiacciante sconfitta” per Berlusconi e di una importante vittoria per il movimento anti-nucleare e per l’opposizione, segnalando che, dopo avere perso le amministrative poche settimane prima, ormai molti sostenitori chiedono a questo punto ai loro leader di “liberarsi di Berlusconi”. E il quotidiano Independent intervista un politologo dell’American University di Roma, il professor James Walston, secondo cui il voto nei referendum dimostra che Berlusconi è ora politicamente “impotente”.

Titoli analoghi sulla Bbc, sulla rete televisiva araba al Jazeera – che si chiede “quanto a lungo Berlusconi riuscirà a mantenere la sua fama di sopravvissuto” – e sulla stampa francese. Il moderato Figaro parla di una “umiliazione” per Berlusconi, Le Monde di “schiaffo bruciante”, Sud-Ouest di “disfatta”, Ouest-France di “sconfessione”. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Berlusconi sa che i quorum sono stati raggiunti.

«Non cambia nulla anche se ci sarà il quorum. Si tratta di referendum su argomenti precisi, non sul governo. Per quello dovranno aspettare ancora un paio d’anni», Berlusconi dixit (tornando dal mare). Beh, buona giornata.

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Attualità Popoli e politiche Società e costume

“La mondializzazione consente la libera circolazione dei beni e non meno pericolosamente quella delle sciocchezze.”

di ANDRÉ GLUCKSMANN (traduzione di Daniela Maggioni)-Il Corriere della Sera

Non vi meravigliate se parole al vento e accuse infondate seminano il panico, condannando pomodori e cucurbitacee alla spazzatura e gli orticultori spagnoli, italiani o francesi al fallimento. Che la democrazia e il regno delle dicerie coesistano, non è una scoperta.

La nostra prima città libera, l’ antica Atene, fu corrosa dalla doxa, immensa palude di giudizi arbitrari e perentori. Socrate passò la propria vita a battagliare contro simili dicerie e ne morì. Sull’ agorà – la piazza pubblica del V secolo a.C. – ognuno sospettava o denigrava l’ altro senza altra forma di processo; quando oggi gli esperti di Amburgo e Berlino incriminano ex abrupto i cetrioli dell’ Andalusia, la loro sciocca precipitazione non stupirebbe né Aristofane né Molière.

La mondializzazione consente la libera circolazione dei beni e non meno pericolosamente quella delle sciocchezze. La cyber-circolazione dell’ informazione, quando riesce a eludere i blocchi dispotici, veicola ammirevoli insurrezioni per la libertà – lo dimostrano Tunisi e Il Cairo -, ma trascina con sé anche pregiudizi logori, odii inveterati e ragionamenti assurdi.

Una parte di europei, fra il 30 e il 70%, a seconda dei luoghi e dei momenti, ha ritenuto che l’ «11 settembre» fosse un «colpo» dei servizi segreti americani. Il 70% degli elettori di sinistra in Francia ha visto in Dominique Strauss-Kahn la vittima di un misterioso complotto. Simile e-analfabetismo aggiunge ai tradizionali deliri della doxa una capacità di mondializzare il panico istantaneo.

Da un giorno all’ altro, l’ esplosione di Fukushima diventa sinonimo del destino nucleare in generale e propaga urbi et orbi una messa all’ indice senza via d’ uscita. Povera Marie Curie, abbassata al demoniaco personaggio del dottor Mabuse! Ecco finalmente scovato il nemico dell’ umanità: l’ atomo. Si cancellano le circostanze specifiche – un sisma, poi uno tsunami di vastità incomparabile – per stabilire un «rischio nucleare» uguale dappertutto e per tutti, comprese le regioni che ignorano i sismi da secoli e gli tsunami da un’ eternità.

Sopraffatta dall’ ondata di panico maggioritario, la signora Merkel cede in tre settimane e i Verdi europei predicono a se stessi insperati trionfi. Inutile discutere: chi guarda la centrale di Nogent-le Rotrou vede Fukushima! Chi acquista verdura si espone alle nuvole dei batteri assassini. Le smentite scientifiche restano vane. Meglio tornare al lume di candela e fare lo sciopero dell’ ortaggio!

Il principio di precauzione diventa il nostro vangelo, ogni panico irrazionale attizza di riflesso la ricerca febbrile e disperata del rischio zero. A Sud del Mediterraneo, le popolazioni insorgono contro i propri despoti. Al Nord ancora sazio, tali turbolenze provocano inquietudine più che entusiasmo: chi può garantire l’ avvenire? Certo nessuno, e allora? Noi esistiamo al di là della Provvidenza, coloro che contano su un senso della storia si rompono il muso: guardate il nostro terribile XX secolo.

Coloro che puntano sulla razionalità dei mercati finanziari sono in fase di stanca: guardate il XXI secolo che comincia. Siamo sicuri di una sola certezza: non c’ è sicurezza assoluta, dobbiamo vivere nel rischio e «lavorare nell’ incerto» (Pascal). Se fosse stato adepto del principio di precauzione, l’ antenato che addomesticò il fuoco avrebbe temuto la possibilità di armare eventuali incendiari, avrebbe subito soffocato la propria invenzione, continuato a mangiare crudo e a morire di freddo sul posto senza correre il rischio della civilizzazione.

Per fortuna, ignorando le nostre sacrosante «precauzioni», egli osò avventure e invenzioni i cui successi ci rendono così prosperi e… così codardi. Che i Paesi d’ Europa si irrigidiscano pure nei loro miopi egoismi e si lascino spaventare da movimenti planetari che non controllano: a nulla serve rinchiudersi in se stessi. Ci sono popolazioni che si sbarazzano dei propri dittatori e rompono gioghi secolari a loro rischio e pericolo, e l’ unico argomento valido per un europeo è decidere se aiutare a confortare quella volontà di libertà che una volta era la sua. Lo stesso, nella più grande democrazia del mondo, mezzo miliardo di indiani vive senza elettricità, e quindi nella miseria più nera.

Senza petrolio, con poco carbone, la scelta del nucleare, per una questione di sopravvivenza, sembra imporsi. Ci sono altri Paesi che ragionano allo stesso modo: per loro, il dramma di Fukushima non cambia l’ ordine delle cose. Sta a noi contribuire a controllare i rischi inerenti alle centrali. L’ uscita locale dal nucleare e la sospensione dal lavoro dei tecnici di questa «industria maledetta» è solo un buco nell’ acqua. Se la Germania rinuncia al nucleare (per legarsi mani e piedi allo zar del petrolio della Russia), se la Francia persiste nel mantenerlo (in nome della propria indipendenza energetica), chi avrà i migliori strumenti per spegnere le sempre possibili catastrofi? Coloro che hanno messo la chiave sotto la porta, o coloro che continuano ricerche innovative?

Poiché la catastrofe non conosce frontiere, come ripetono all’ infinito i nostri ecologisti, o l’ intero pianeta (ipotesi surreale) esce dal nucleare, oppure (ipotesi realistica) nessuno ne esce, neanche ostracizzando le proprie centrali. L’ Unione Europea è presa dal panico, quindi si divide. Ieri, si credeva invasa dalla gente dell’ Est (e si scagliava contro il famoso idraulico polacco); oggi, tiene d’ occhio le orde giunte dal Sud. Ognuno per sé. Che l’ Italia se la sbrighi da sola con Lampedusa! Perché le formiche tedesche dovrebbero aiutare le cicale greche e iberiche? Che importa il contagio?

Chi si lascia prendere dal panico si chiude in se stesso, il Belgio fiammingo rifiuta il Belgio vallone, l’ Italia della Lega fa da sé, e la Francia si municipalizza: Corrèze contro Charente contro Lilla contro Neuilly, salotti contro salotti, tristi opzioni, tristi dibattiti in vista delle elezioni presidenziali.

Il senso dell’ Europa non è più decifrabile, l’ idea della Francia svanisce. Scusatemi, la terra è rotonda, la terra gira, il mondo esterno e le sue sfide esistono, non basta certo chiudere gli occhi per abolirlo. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

Berlusconi e Bossi già sconfitti ai referendum.

Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, che invitavano a non andare a votare i referendum sono stati ampiamente contraddetti dai risultati della prima giornata di votazioni: alle 22 di domenica la percentuale ufficiale di affluenza si è attestata su 41,1%.

Se è un dato che avvicina di molto l’obiettivo di raggiungere il quorum su tutti e quattro i quesiti referendari, è anche la conferma della perdita secca della capacità di interpretare gli umori degli elettori da parte del capo del Governo e del leader della Lega, fedele alleato nella coalizione di maggioranza.

A quindici giorni dalla cocente sconfitta nelle elezioni amministrative, i due leader hanno imposto ai rispettivi partiti di governo una linea politica perdente anche nella tornata elettorale dei referendum.

Un numero altissimo di elettori ha voltato le spalle ai candidati del centrodestra nelle recenti elezioni amministrative. Un numero ancora più altro di elettori ha ignorato i consigli dei leader del centrodestra sui referendum.

A questo punto è il governo Berlusconi appeso al quorum del 50 per cento più uno: se alle 15 di oggi i quattro referendum superano il quorum e i Sì dovessero prevalere, vorrà dire che gli italiani respingono le leggi che il governo ha imposto al Parlamento a colpi di voto di fiducia.

Vorrà dire che il governo ha perso la maggioranza degli elettori. Vorrà dire la fine nei fatti del governo Berlusconi e dei suoi alleati. Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia

Berlusconi col quorum in gola.

Berlusconi, “l’uomo che ha fottuto un intero paese”, come titola la copertina de L’Economist di questa settimana, aspetta questa tornata elettorale col “quorum” in gola. Se, dopo la cocente sconfitta alle scorse elezioni amministrative, dopo la “sleppa” presa in piena faccia a Milano, dovesse verificarsi la vittoria del Sì a questi referendum, la carriera politica del cavaliere sarebbe finita.

Lui lo sa che il “mantra” che abbiamo sentito ripetere centinaia di migliaia di volte secondo cui l’eletto dal popolo era intoccabile si impappinerebbe nelle labbra dei suoi seguaci, provocando una smorfia di dolore e di terrore di chi vede appalesarsi tutta intera la sconfitta. E’ singolare come il terrore di perdere abbia annichilito le armate mediatiche del cavaliere: qualcuno ha visto i comitati per il no? Qualcuno ha visto impegno contro i referendum, se non un debole invito a non andare a votare?

Qualcuno ha visto il Berlusconi battagliero, quello che in difficoltà dava il meglio di sé? Straordinari i lapsus freudiani delle due reti televisiva pubbliche: il TgUno e il TgDue, dopo aver ignorato i referendum, ne hanno poi parlato sbagliando entrambi almeno una volta ciascuno la data delle elezioni.

Neppure il tentativo di sottovalutare preventivamente il significato del voto referendario è apparso convincente nei pochi spazi che le tv hanno dedicato ai referendum. Quando si è detto che i referendum erano inutili perché già superati da leggi volute dal governo si è data una fantastica motivazione per andare a votarli da parte di quell’elettorato disilluso e scontento: se non cambia niente, allora posso tranquillamente votare per dare un segnale o magari una bella lezione al governo che ha tradito le mie aspettative. O semplicemente, vado a votare perché se no questi con la scusa del nucleare mi aumentano la bolletta della luce, e con la scusa della migliore gestione dell’acquedotto mi aumentano la bolletta dell’acqua.

La sciatteria con cui si è affrontato il dibattito sui quesiti referendari da parte dei politici del centrodestra e della stampa fiancheggiatrice ha fatto pensare che se anche ci poteva essere il dubbio che gli argomenti dei referendari non fossero del tutto corretti, una materia molto delicata come il nucleare, molto complicata come la gestione delle risorse idriche, molto controversa come la posizione di fronte alla legge delle cariche del governo, e beh no, questa volta proprio no, queste cose non si può lasciarle in mano loro: certe cose sono troppo serie e importanti per lasciarle fare a gente così.

Dunque, andare a votare e magari votare Sì appare come una forma di autotutela collettiva dalla pericolosa mediocrità politica dell’attuale classe dirigente.

Emblematico, poi, il caso del “convitato di pietra” di questa tornata elettorale: il quesito sul cosiddetto legittimo impedimento. Nessuno ne ha parlato: i referendari per non dare adito a tentativi di eccessiva politicizzazione del pronunciamento referendario, i berlusconisti e soci per non rifare l’errore fatto attaccando la magistratura durante la precedente campagna elettorale. E così sono sembrati come
quegli animali che girando la testa da un’altra parte pensano che il pericolo non ci sia. Risultato? Che votare Sì contro il legittimo impedimento sembra semplicemente pacifico, non fosse altro per punire chi fa politica coi trucchetti mediatici.

Berlusconi, “l’uomo che ha fottuto un intero paese”, come titola la copertina de L’Economist di questa settimana, sa bene che se si raggiunge il quorum vuol dire che più di venticinque milioni di italiani hanno deciso che adesso basta . A di là delle perversioni della attuale legge elettorale, un numero così alto di elettori lui non l’ha mai avuto a favore : c’è proprio da aver paura a sentirseli tutti contro. Ecco un ottimo motivo per andare a votare quattro Sì. O no? Beh, buona giornata.

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Attualità Popoli e politiche Salute e benessere Scienza

Perché dire No al nulceare e votare SI’ al referendum.

di ALBERTO BAROCAS-repubblica.it

Dopo essere stato allibito per l’incoscienza delle dichiarazioni di uno scienziato, il professor Battaglia (la pubblicazione di una sua opera scientifica con la prefazione di Silvio Berlusconi parla da sé), su un tema così importante per la sorte dell’umanità, mi sento costretto ad intervenire avendo dedicato tutta la mia vita professionale alla ricerca e sviluppo del nucleare ed essendo stato per lungo tempo “abbastanza” a favore dell’energia nucleare.

Dopo una laurea in Radiochimica presso l’Università di Roma e successivo Corso di Perfezionamento in Fisica e Chimica Nucleare, ho lavorato presso i laboratori di ricerca del plutonio di Fontenay-aux-Roses (Francia) nelle ricerche e tecniche del plutonio per l’impianto di riprocessamento del combustibile nucleare di La Hague. Ritornato in Italia ho partecipato, nei laboratori di ricerca della Casaccia (CNEN, ora ENEA), alla messa a punto degli impianti di separazione del plutonio di Saluggia e successivamente allo studio dei siti nucleari in vista della costruzione di centrali di energia nucleare. Dal 1982 sono stato distaccato dal CNEN presso l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) di Vienna dove mi sono occupato prevalentemente di salvaguardie nucleari, in particolare per i reattori nucleari di potenza e di ricerca nel mondo. Per 22 anni ho avuto la possibilità di visitare ed ispezionare una sessantina di reattori in tre continenti, in particolare in Giappone ed in particolare proprio Fukushima.

Durante l’intera attività ero giunto alla conclusione che le precauzioni utilizzate negli impianti nucleari fossero tali da rendere praticamente impossibile un grosso incidente nucleare. Proprio il Giappone si presentava ai miei occhi come il modello per eccellenza di organizzazione, di perfezione, di attenzione al più piccolo dettaglio: l’energia nucleare o doveva essere realizzata così o non doveva esistere. Ed invece… Three Miles Island, Chernobyl, Fukushima… tre catastrofi in meno di 30 anni.

Oggi sono completamente convinto che i rischi dell’energia nucleari siano tali da consigliarne l’utilizzo solo se non ci fossero sulla Terra altre fonti di energia o dopo una guerra nucleare. Voterò quindi SI al referendum per le seguenti ragioni:

a) la progettazione di una centrale nucleare avviene sulla base di dati statistici puri, cioè su una probabilità estremamente bassa di un grosso incidente, anziché basarsi sul fatto che un incidente anche imprevedibile possa avvenire (per esempio: chi avrebbe mai potuto calcolare statisticamente che otto montanari dell’Afghanistan si potessero impadronire contemporaneamente di quattro jet di linea facendoli convergere sulle Torri di New York, sul Pentagono e sulla Casa Bianca? Chi potrebbe calcolare statisticamente la possibilità dell’impatto di un meteorite?) e quindi progettando nello stesso tempo le soluzioni e le difese: naturalmente questo però aumenterebbe enormemente i costi ed allora bisogna ricordarsi che l’energia nucleare è un’industria come tutte le altre, cioè che vuole fare profitti;

b) gli effetti di un grosso incidente non sono come gli altri: terremoti, inondazioni, incendi fanno un certo numero di vittime e danni incalcolabili, ma tutto questo ha un termine. L’energia nucleare no: gli effetti si propagano per decenni se non secoli, con un disastro anche economico per il Paese colpito. I discendenti delle bombe di Hiroshima e Nagasaki ancora subiscono danni. Altrimenti perché il deterrente di una guerra nucleare funziona talmente? Anche i bombardamenti “classici” causano morti molto elevate, ma non portano a danni simili per generazioni…

c) il blocco dell’energia nucleare in Italia del 1987 ha avuto il torto di fermare di botto non solo le quattro centrali in funzione (Trino Vercellese, Caorso, Latina, Garigliano) e la costruzione di Montalto con spese immani per un pazzesco riadattamento dell’impianto nucleare ad una centrale di tipo classico, ma altresì ogni tipo di ricerca nucleare, anche di eventuali impianti innovativi, creando un pericolo, dato l’impauperamento di una cultura “nucleare”: non esistevano più corsi di scienze nucleari, né tecnici, né possibilità di tecnologie di difesa da eventuali incidenti in altre nazioni. E questo non è richiesto dalla rinuncia all’uso di centrali atomiche: la ricerca e lo sviluppo del nucleare dovrebbe poter continuare;

d) la presenza di impianti di produzione di energia nucleare porta ad una militarizzazione delle zone in questione: non c’è trasparenza, ogni dato viene negato all’opinione pubblica. Anche agli ispettori dell’AIEA viene proibito di comunicare con la stampa. Lo dimostra anche quello che è successo a Fukushima: il gestore ha tenuto nascosto per lungo tempo la gravità dell’accaduto. E in un territorio come il Giappone, sottoposto non solo a terremoti ma a tsunami, il costo di una maggiore precauzione per gli impianti di raffreddamento è stato tenuto il più basso possibile senza tenere conto dei rischi solamente per fare più profitto!

e) in tutto il mondo non è stato mai risolto il problema dello smaltimento delle scorie mucleari. Nell’immenso deposito scavato in una montagna di Yucca Mountain in USA si sono dovuti fermare i lavori, il maggiore deposito in miniere di sale della Germania si è dimostrato contaminato con pericoli per le falde acquifere, ecc. Il combustibile nucleare delle nostre centrali fermate è in gran parte ancora lì dopo 25 anni. D’altra parte un Paese come il nostro che non riesce a risolvere il problema dei rifiuti può dare garanzie sui rifiuti nucleari?

f) l’Italia è un paese sismico, dove l’ospedale e la casa dello studente dell’Aquila sono crollate perché al posto del cemento è stata usata sabbia. Può dare garanzie sugli impianti nucleari? E la presenza di criminalità organizzata a livelli preoccupanti può liberarci da particolari preoccupazioni nella scelta e costruzione di centrali atomiche?

g) ultima osservazione: anche se molti minimizzano gli effetti delle radiazioni nucleari, una cosa si può dire con certezza: gli effetti delle radiazioni a bassi livelli ma per tempi estremamente lunghi sugli esseri viventi non sono stati mai chiariti. Non deve essere solo il fumo a preoccupare l’opinione pubblica!

Per tutte queste ragioni penso che in Italia l’uso dell’energia nucleare non sia raccomandabile, perlomeno in questa fase della nostra storia, ed invece un miscuglio di diverse fonti di energia (eolica, solare, idrica, gas, geotermica) potrà sopperire ai nostri bisogni, accompagnato da una maggiore ricerca scientifica ed un diverso modello di vita con maggiore eliminazione degli sprechi. Io voto sì. (Beh, buona giornata).

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«L’Italia ha tutte le cose che le servono per ripartire, quello che serve è un cambio di governo».

di Paola Pica-Il Corriere della Sera

«The man who screwed an entire country» l’ uomo che ha fottuto un intero Paese». L’Economist torna ad attaccare Silvio Berlusconi bocciandone senza appello la politica di governo. Il presidente del Consiglio italiano è tornato in copertina del settimanale britannico in uscita venerdì, a otto anni dal celeberrimo «unfit to lead Italy», inadatto a governare l’Italia, e a cinque dall’altrettanto polemico «E’ tempo di licenziarlo». L’occasione di quest’ultima «cover story» è la pubblicazione di uno speciale di 16 pagine sull’Italia realizzato per l’anniversario dei 150 anni. L’analisi di John Prideaux, autore del rapporto, lascia emergere un Paese fermo che paga con la «crescita zero» le mancate riforme. «L’Italia ha tutte le cose che le servono per ripartire, quello che serve è un cambio di governo».

L’EDITORIALE – «Nonostante i suoi successi personali Berlusconi si è rivelato tre volte un disastro come leader nazionale», si legge nell’editoriale. Il primo disastro è la «saga» del bunga bunga e il secondo sono le vicende che hanno premier in Tribunale rispondere di frode, truffa contabile e corruzione. «I suoi difensori – spiega l’Economist – dicono che non è mai stato condannato ma questo non è vero. In molti casi si è arrivati a delle condanne ma queste sono state spazzate via» o per via della decorrenza dei termini o «in almeno due casi perchè Berlusconi stesso ha cambiato la legge a suo favore». «Ma il terzo difetto è di gran lunga il peggiore – continua l’Economist – e questo è il totale disinteresse per la condizione economica del paese. Forse perchè distratto dai suoi problemi legali, in nove anni come primo ministro non è stato in grado di trovare un rimedio o quanto meno di ammettere lo stato di grave debolezza economica dell’Italia. Il risultato è che si lascerà alle spalle un paese in grave difficoltà. La malattia dell’Italia non è quelle di tipo acuto; si tratta piuttosto di una malattia cronica, che pian piano mangia via la vitalità». Se fino ad ora, «grazie alla linea del rigore fiscale imposta dal ministro delle finanze Giulio Tremonti» l’Italia è riuscita e evitare di diventare la nuova vittima della speculazione dei mercati, questo non significa che la linea di credito sia infinita. Un’Italia stagnante e non riformata, con un debito pubblico ancorato attorno al 120% del pil, si ritroverebbe così esposta come il vero problema dell’eurozona. Il colpevole? «Berlusconi, che non ci sono dubbi, continuerebbe a sorridere» conclude l’Economist.

IL RAPPORTO – «Non farò l’errore di predire la fine di Berlusconi – ha detto l’analista incontrando la stampa a Milano – ma arrivando qui, parlando con le persone si inizia a sentire un’aria nuova, la fine di un’era».«L’Italia ha un problema di produttività, ha bisogno di alcune riforme. Se guardiamo agli ultimi dieci anni e più, dimenticando tutti gli scandali, lo scontro con i magistrati, il problema è c’è stato un disastro da un punto di vista economico. Berlusconi è arrivato al potere con l’idea di essere un imprenditore di successo in grado di fare le riforme economiche, ma poi non le ha fatte» e il Paese «ha sprecato» tempo prezioso.

BASSA CRESCITA – Il nostro Paese ha avuto il «più basso tasso di crescita di tutti gli altri Paesi del mondo occidentale. Tra il 2000 e il 2010, il Pil italiano è cresciuto in media dello 0,25% all’anno, una dato allarmante – scrive l’Economist – migliore solo rispetto a quello di Haiti o dello Zimbawe». E nonostate l’Italia «abbia saputo evitare il peggio durante la recente crisi finanziaria globale, non ci sono segnali di una possibile inversione di tendenza».

GERONTOCRAZIA – Nonostante i problemi che appaiono per lo più legati alla fase politica, l’Italia resta un «Paese civilizzato, ricco, senza conflitti». Il «successore di Berlusconi potrebbe introdure alcuni immediati miglioramenti con poco sforzo» e dovrà sicuramente metter mano alla legislazione sul lavoro «che favorisce gli anziani». L’Italia è afflitta tra le altre cose da una «gerontocrazia istituzionalizzata» che rende difficile ai giovani costruirsi una carriera. Tanto che dobbiamo porci il problema di come «richiamare migliaia di giovani di talento che sono emigrati e potrebbero avere un impatto positivo per il Paese». (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

In tutta Italia per i quattro Sì ai referendum.

Benevento, dalle 10 alle 24 presso la sede del “Quinto Elemento” (via S. Pasquale) – “Un’occasione comune: acqua, natura, cultura, musica…” con dibattiti, letture e musica dal vivo

Fuorigrotta (Napoli), dalle ore 10.30 alle 13 – Flusso

Umano Pro Referendum verso la Rai in Via Marconi, con partenza da piazza S. Vitale

Roma ore 11, piazza Santa Maria in Trastevere – Conferenza stampa di chiusura della campagna referendaria dei Comitati “2 Sì per l’Acqua Bene Comune”

Napoli, dalle 11 alle 24 in piazza Bellini – La piazza diventa “Piazza Quattro Sì”, con eventi e informazione sui referendum del 12 e 13 giugno

Naso (Messina) dalle 14, piazza Roma – Gazebo informativo “Perchè votare sì”

Roma dalle 14.30 alle 23.30, piazza del Popolo – Grande concerto con Quintorigo, Velvet, Piotta, Teresa De Sio, Francesco Baccini agli Area, Eugenio Finardi a Frankie Hi Nrg, Nathalie, Nada e gli Zen Circus, i Tetes de Bois, Brusco

Venezia ore 15, c/o S. A. L. E – Incontro “Commons: un nuovo paradigma oltre il privato e oltre il pubblico”

Trieste dalle 15.30, Via delle torri – banchetto referendario organizzato dal Partito Socialista Italiano

Napoli ore 16-19, metropolitane linee 1 e 2 – “Irruzioni Metropolitane” brevi sketch teatrali nei vagoni delle metro

Palermo ore 16, piazza Verdi – Manifestazione di chiusura della campagna referendaria

Udine ore 16, piazza San Giacomo – “Diritti, diritti in piazza”

Roma, via Capoprati 12 dalle ore 16 – Biciclettata verso il Referendum

Caserta ore 16.30, stazione ferroviaria – Flash mob referendario

Genova dalle 16.30, piazza Matteotti – Evento di musica e informazione sui referendum

Anagni (Frosinone) ore 17 – Chiusura campagna refendaria lungo il centro storico: banchetti informativi, musica, video

Bronte (Catania) dalle 17 – Banchetto informativo in vista dei referendum

Bagheria (Palermo) dalle 17, Corso Umberto I – Bagheria si mobilita

Monterotondo (Roma) ore 17, circolo legambiente – aperitivo pre-referendario

Formello (Roma) ore 17, scuole elementari in Viale Umberto I – “Energeticamente, la festa di Legambiente di Formello”

Velletri ore 17.00, piazza Mazzini. – Marcia per l’acqua

Roma ore 17, piazza Re di Roma – Iniziativa “Inondiamo Piazza Re di Roma – Acqua bene comune”.

Sinnai (Cagliari) dalle 17 nei locali della Biblioteca (ex municipio) – Esposizione della mostra realizzata nel 1978 contro il nucleare e la militarizzazione della Sardegna

Bari dalle 17 alle 20, incrocio stradale tra via Orazio Flacco e Via Giovanni XXIII – Volantinaggio organizzato da Libertà e Giustizia (Guarda tutti gli altri appuntamenti organizzati da LeG)

Pontedera (Pisa) dalle 17 alle 24, piazza Cavour – Festa di chiusura della campagna referendaria

Casale Monferrato (Alessandria) dalle 17 alle 22 in piazza Mazzini – “Sì vota”: concerti per la chiusura della campagna referendaria

Arcore (Monza) dalle 17 alle 20.30 – Banchetto informativo presso la stazione FS

Messina dalle 17 alle 20, Piazza Cairoli – Manifestazione di chiusura della campagna referendaria

Pinerolo (Torino) dalle 17.30, Piazza Facta – Festa popolare per la chiusura della campagna elettorale

Pretoro (Chieti) dalle 17.30 – Inziativa pubblica in piazza per spiegare i quesiti referendari

Oristano dalle 17.30 alle 21, Piazza Roma – Festa del sì

Campobasso ore 17.30, piazza Municipio – Critical mass per i referendum

Torino ore 17.30, centro studi Sereno Regis 8 (via garibaldi 13) – Presentazione del libro L’Umanità di uno scienziato. Antologia di Giulio Alfredo Maccacaro Un’ultima occasione per riflettere su Salute, ambiente e democrazia prima dei referendum del 12 e 13 giugno

Catania, alle 17.30 in piazza Roma – “Come un fiume in festa”: allegra passeggiata pro referendum

Centocelle (Roma) ore 17.30, piazza San felice – Corteo per il sì con arrivo in largo agosta

Roma ore 18, piazza de André (Magliana) – festa di chiusura dell acampagna referendaria

Napoli, dalle 18 alle 22 in tutto il centro storico – “Samba-parade per il centro storico: tingiamo di arancione i referendum”

Sulmona (L’Aquila) dalle 18 alle 20, piazza XX Settembre – Iniziativa di chiusura della campagna referendaria

Cividale del Friuli (Udine) dalle 18 alle 24, Piazza Paolo Diacono – Manifestazione di chiusura con burattinai e Banda Rithm & Blues

Vignola (Modena), dalle 18 in pizza dè Contrari – Serata conclusiva della campagna referendaria per l’acqua pubblica: spettacolo di burattini, tigellata, danze sull’acqua e concerto live con gli Audio2 Acoustic Duo

Perugia ore 18, caffè di Perugia, traversa di Corso Vannucci – Incontro “La legge è uguale per tutti?”

Roma dalle 18 alle 24, Piazza del Popolo – Menifestazione di chiusura della campagna referendaria dell’Italia dei Valori. In contemporanea, agli stessi orari, anche Milano (Piazza Duomo), Napoli (piazza Dante) e a Palermo (piazza Verdi)

Nocera (Salerno) Ore 18 – Critical mass per l’acqua pubblica (raduno biciclette alle 18 in piazza municipio) / Ore 20: al termine della critical mass, festa dell’acqua pubblica (in piazza municipio)

Marsala ore 18, sala degli angeli Chiesa Madre – Incontro sui referendum organzizato a Azione Cattolica e Unione Giuristi Cattolici Italiani

Ostia antica (Roma) ore 18, parco dei Ravennati – “Quattrovoltesì”, concerto “La Storia siamo noi” con repertorio di canatutori italiani

Roma ore 18, piazza San Giovanni – Ciclopasseggiata per l’acqua pubblica

Cagliari, dalle 18 alle 22 – Manifestazione finale della campagna referendaria con corteo da piazza S. Michele a Piazza del Carmine.

Caltavuturo (Palermo) ore 18, piazza Cav. Vittorio Veneto – Manifestazione conclusiva della campagna referendaria “Una festa comune per l’acqua di tutti”.

Latina, ore 18 piazzale ex Autolinee – Batti il quorum: tutti insieme con l’ombrello per formare la scritta “Sì”, con musica e interventi sul referendum

Firenze, in Piazza Annigoni (Mercato di Sant’Ambrogio) dalle 18 alle 24 – Chiusura della campagna referendazia, con informazioni sui quesiti e intrattenimento per grandi e bambini e alla musica

Pisa dalle 18, piazza della pera – Manifestazione dei mille colori per i 4 Sì ai referendum

Cosenza, ore 18 in Piazza Loreto – “Maratona per l’acqua” a sostegno del Si per i referendum

Monfalcone (Gorizia) in piazza della Repubblica dalle 18 alle 21 – Concerto e comizio

Trecastagni Etneo (Catania) dalle 18 alle 23, piazza Marconi – Concerto per 4 sì ai referendum

Borgosatollo (Brescia), ore 18 in piazza Castello – Biciclettata referendaria

San Vito al Tagliamento (Pordenone) ore 18, sala consiliare del Palazzo Rota – Incontro “Acqua, Nucleare, Legittimo impedimento. Il referendum come impegno civico”.

Cagliari ore 18, Piazza San Michele – Menifestazione finale per i quattro referendum

Castagneto Carducci (Livorno) dalle 18 – Serata di musica e informazione sui referendum

Gorizia, giardini di Corso Verdi dalle 18.30 alle 21 – Concerto e comizio

Brindisi, ore 18.30 – Critical Mass PRO REFERENDUM: in bici per i quattro Sì

Fermo, dalle 18 allo Chalet Batida (ex Big Fish) – “La partita del Quorum”: torneo di calcetto sulla spiaggia, aperi-cena e letture con accompagnamento musicale e concerto

San Canzian d’Isonzo (Gorizia) dalle ore 18 – Biciclettata con partenza dal P.e.e.p. e arrivo a San Canzian d’Isonzo con bicchierata finale

Savona ore 18, piazza Mameli – Biciclettata per le vie cittadine

Calascio (L’Aquila) ore 18, piazza della Repubblica – Festa del sì a Calascio

Massarosa (Lucca) dalle 18 alle 21, piazza caduti di Nassirya – Referendum in concerto

Chiaravalle Centrale (Catanzaro) dalle 18 alle 24, Piazzale Liceo – Serata “Musica per i referendum”

Nocera inferiore (Salerno), piazza municipio dalle 18 alle 21 – Critical Mass e Festa dell’Acqua

Ortona (Chieti), dalle 18.30 alle 20 – Volantinaggio e dibattiti informativi nel centro storico

Roma dalle 18.30 alle 23.30, La città dellUtopia (Via Valeriano 3F) – Serata dedicata all’acqua alla vigilia dei referendum

Ruffano ( Lecce) – Distribuzione di materiale informativo per le strade del paese, organizzato dai Giovani Democratici del circolo di Ruffano

Misterbianco (Catania) alle 18.30 in piazza Mazzini – Comizio di chiusura della campagna referendaria. Alle 21 in piazza Giovanni XXIII happy hour referendario

Tagliacozzo (L’Aquila), ore 18.30 in Piazza Duca degli Abruzzi – Incontro pubblico a Tagliacozzo: “Dire Sì a un futuro senza nucleare e con l’acqua pubblica, on è una scelta ideologica o di partito. È una scelta di civiltà!”

Jesi (Ancona) ore 18.30, Porta Valle – Biciclettata per l’acqua pubblica

Guastalla (Reggio Emilia) ore 18.30, parco I maggio – “4 sì per il futuro”. Evento di chiusura della campagna referendaria

Viareggio ore 18.30, piazza Margherita – Concerto di chiusura della campagana referendaria

Milano, dalle 18,30 all’Arco della Pace – Chiusura della campagna referendaria con musicisti e attori.

Melegnano (Milano) ore 18.30, pub Cavaliere Servito – Presentazione del libro “Enigma nucleare: 100 risposte dopo Fukushima” di Luca Carra

Floridia (Siracusa) dalle 18.30, piazza Aldo Moro – “Floridia vota sì”. Evento di chiusura della campagna elettorale

Ferrara, dalle 19 in piazza Trento e Trieste – In concerto per i 4 Sì

Padova, in Piazza delle Erbe, dalle 19 alle 23 – “Teatro musica e parole” per liberare l’acqua e cancellare il nucleare

Frosinone, ore 18 in piazzale Kambo – Critical Mass contro Nucleare e Privatizzazione dell’acqua

Lioni (Avellino) dalle 19, Piazza San Rocco- “VOTA SI” Dibattito pubblico, distribuzione volantini e concerto finale. Evento è organizzato dalla Fondazione Officina Solidale in collaborazione con Comune di Lioni, Rouge S. p. a. ed altre associazioni locali.

Mogliano Veneto (Treviso) dalle 19, Piazza dei Caduti – Festa di chiusura della campagna refeerendaria con Felice Casson (Partito Democratico Senatore della Repubblica) e Massimo Donadi (Capogruppo Italia dei Valori alla Camera dei Deputati)

Palermo ore 19, circolo Vella (Piazza Rivoluzione) – Festa referendaria

Portici (Napoli) ore 19, Piazza San Ciro – “In marcia per il quorum”

Torre annunziata (Napoli) ore 19 Corso Umberto – Manifestazione di chiusura della campagna referendaria

Montignoso (Massa Carrara), dalle 19 alle 23 in piazza Vittorio Veneto – Chi balla e canta va a votare: musica e interventi per 4 SI ai referendum

Carbonia dalle 19 alle 24, Villa Sulcis – ART 4 SI Artisti del Sulcis per il sì

Desenzano (Verona), ore 19 – Biciclettata per i referendum per le strade della città . Partenza da Piazza Matteotti.

Ferrara ore 19, piazza Trento e Trieste – “In concerto per quattro sì”

Livorno, Piazza Mazzini dalle 19 alle 24 – “Voglio essere il +1”. Serata conculsiva della campagna referendaria

San Giorgio a Cremano (Napoli) dalle 19 alle 22, piazza Massimo Troisi – Manifestazione con musica, animazione e dibattiti sui referendum organizzata dai partiti del centrosinistra, dal Forum Democratico e dal Comitato Referendario per l’Acqua Pubblica

Givoletto (Torino) dalle 19 alle 24, piazza della concordia – kermesse musicale con i Malarrunca (musica del sud) e gli Ossi Duri in favore dei referendum

Spoltore (Pescara), dalle 19 alle 22 in via Dietro le Mura – Happening per creare insieme le nostre ragioni del sì

Bassano del grappa ore 19.30, piazza Garibaldi – Flash mob referendario

Galatone (Lecce) alle 19.30 presso l’Ex Oleificio – Festa scaramantica! No unu, no doi, no tre, ma quattru sì!

Leverano (Lecce) in via Roma – Proiezione video e musica a sostegno dei Sì contro la privatizzazione dell’acqua e contro il nucleare

Pozzuoli (Napoli) ore 19.30, Piazza della repubblica – “Corri per l’acqua per dire sì al referendum”

Fisciano (Salerno), sala consiliare “G. Sessa” ore 19.30 – Incontro pubblico sui referendum

Novoli (Lecce) ore 19.30, ancora nella Saletta della Cultura “Gregorio Vetrugno” – Incontro con la LILT (Lega Italiana Lotta ai Tumori) leccese sulle ragioni del Sì al quesito referendario relativo al nucleare

Trani (Bat) ore 19.30, sede del “comitato pro-referendum” – Biciclettata radioattiva

Marsciano (Perugia) ore 19.30, Museo del Laterizio – Manifestazione di chiusura della campagna referendaria

Verona ore 20, Lungadige San Giorgio – “Liberalacqua” Sbarco dei gommoni dei pirati dell’Adige

Teramo, dalle ore 20 in Piazza Martiri – Festa del sì con musica dal vivo

Comiso (Ragusa) dalle 20 alle 24 – “Noi un mondo così non lo vogliamo” 4 si per rendere l’Italia un paese migliore. Musica e dibattiti non stop dalle 20 alle 24

Pontinia (Latina) ore 20 presso i giardini pubblici viale Italia – Proiezione film, concerti, dibattito, enogastronomia

Donoratico (Livorno) ore 20, parco delle sughere – Serata di chiusura della campagna referendaria

Bisceglie (Bat) Piazza Diaz (Stazione FFSS), ore 20.00 partenza del Corteo Cittadino. Ore 21.00. Comizio del Comitato Referendario “2 SI per l’Acqua Bene Comune” Ore 22.00. Proiezione del dvd “Acqua Bene Comune”

Castellana Sicula (Palermo) – Proiezione nella piazza principale del film “Il Pianeta Verde” e forum conclusivo con appello per il voto

Torre del Greco, al teatro di Sant’Anna alle ore 20.30 – Proiezione del film “Water makes money – Acqua che fa profitti”. Ingresso sarà gratuito e accoglienza con assaggio di prodotti equi e bio a Km zero.

Crema (Cremona), ore 20.30 in piazza Giovanni XXIII – Biciclettata per i referendum

Menfi (Agrigento) dalle 21, Piazza Vittorio Emanuele III – “Musica per il sì”, grande concerto per sensibilizzare la popolazione al voto, in vista dei referendum del 12 e 13 giugno.

Terni ore 21, Piazza Europa – Concerto di chiusura della campagna referendaria “Referendum Rock: 4 Si per il tuo Futuro” con Outback + Laccati&Sfonati

Grontardo (Cremona) ore 21 – Interventi di Don Bruno Bignami, dirigente provinciale Acli, e Domenico Negri, referente del comitato, sui temi referendari

Ivrea (Torino) ore 21, Castello – Grande festa referendaria

Parabita (Lecce) ore 21, Piazza Regina del cielo – “Flashmob water”

Treia (Macerata) ore 21, piazza della Repubblica – Manifestazione per promuovere i 4 SI al referendum organizzata spontaneamente dai cittadini

Lucca dalle 20 alle 23, Piazza Battisti – Notte referendaria

Savigno (Bologna) ore 21, palazzo comunale – Incontro “Nucleare giù il sipario”

Vibo Valentia dalle 10 alle 20, Corso Vittorio Emanuele – Chiusura della campagna elettorale sui referendum

Sondrio ore 21, piazza Garibaldi – Concerto rock di fine campagna referendaria

Ventimiglia (Imperia) dalle 21, Belvedere Resentello – “Festa del SI'” per celebrare la fine della campagna referendaria e per convincere gli ultimi indecisi. Gazebo informativo,stuzzichini e bibite,il tutto accompagnato da un DjSet a base di HipHop e elettronica.

Montefano (Macerata), ore 21.15 presso la sala Olivi nel palazzo comunale – Incontro per discutere sul referendum.

Castelnuovo di Garfagnana (Lucca), ore 21.15 presso la Sala Suffredini – Proiezione del film inchiesta “Water Makes Money”

Grottamare (Ascoli Piceno) ore 21,15 alla sala Kursaal – Concerto di Theresia Bothe dedicato a all’acqua, ai diritti e a tutti i beni comuni

Corridonia (Macerata) ore 21, Soms via procaccini 50 – Proiezione del film documentario “Water makes money”

Macerata dalle 21.30, Fontemaggiore – Festa di chiusura della campagna referendaria

Civitanova Marche (Macerata) dalle 21.30, piazzaa XX settembre – Serata di chiusura della campagna referendaria

Roma ore 22.30, via Palmiro Togliatti – parco Madre Teresa di Calcutta – Iniziativa di “Artisti romani per il sì”

San Giuliano Milanese (Milano) dalle 23, via Risorgimento 21 – Serata Raggae per promuovere il referendum

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Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La guerra civile che dilania Audiradio.

Neppure nel primo trimestre 2011 la crisi economica è stata clemente con la
pubblicità italiana. Secondo i dati Nielsen Media Research, la televisione,
considerando anche i marchi Sky e Fox e le tv digitali rilevate da Nielsen,
chiude il primo trimestre con un calo del -2,9%, con una raccolta
complessiva di poco superiore a 1,2 miliardi di euro. Continua a soffrire la
stampa, ma a differenza dello scorso anno, nel primo trimestre il calo
penalizza più i quotidiani (-4,6%) che i periodici (-2,1%). Mentre aumentano
gli investimenti pubblicitari su internet (+14,9%) e direct mail (+1,0%), si
registrano al contrario variazioni particolarmente negative per tutta la
pubblicità esterna, vale a dire manifesti, grandi impianti e affissioni sui
mezzi pubblici: in questo primo scorcio dell’anno crollano a -25,1%. E la
radio? Nielsen Media Reasearch registra un calo della raccolta
pubblicitaria del comparto delle radio di un pesante -5%.

Questi dati negativi calano come mazzate all’interno del mercato delle radio, luogo in
cui da mesi ormai c’è una situazione di vera e propria “guerra per bande”,
tanto che a metà di questo mese potrebbe succedere lo scioglimento di
Audiradio, l’organismo che emette i dati ufficiali di ascolto delle
emittenti radiofoniche in Italia, come fa la più famosa Auditel per le tv.
Questi dati molto negativi arrivano nel momento sbagliato, nel posto
sbagliato, l’Audiradio, appunto, mentre è in atto la sospensione di ogni
forma di rilevazione dei dati, perché l’indagine non è mai partita.

Lo stop alla diffusione dei dati derivanti dal Panel Diari decretato da Audiradio lo
scorso settembre avrebbe dovuto essere temporaneo, in attesa di stabilire le
soluzioni tecnicamente più idonee e affidabili per affinarne i risultati
partendo da una nuova ricerca di base finalizzata alla costruzione di un
campione adeguato e corrispondente agli obiettivi dell’indagine stessa.

La situazione di stallo totale finora ha prodotto una situazione paradossale:
le emittenti locali fanno attualmente riferimento ai dati dell’indagine Cati
(interviste telefoniche); al contrario, le emittenti nazionali, in assenza
dell’accordo condiviso sulla validità del Panel Diari, continuano a far
riferimento all’indagine sugli ascolti del 2009. Insomma, è come se in
Italia alcuni adottassero l’euro e altri, invece ancora le lira.

E così succede che più precisamente, dal lato del panel sarebbero schierate Radio
Rai/Sipra, Gruppo Espresso/Manzoni (Deejay, Capital ed M20), Radio 24/Sole
24 Ore System, e Mondadori (R101), anche in virtù del fatto che i dati
registrati attraverso i Diari premierebbero, e non poco, tali emittenti.
Radio Rai, per esempio, conta molto sull’esatta rilevazione dei dati di
ascolti relativi ai programmi, in modo da modulare il palinsesto attraverso
una valutazione più evoluta, che tenga conto molto più precisamente delle
fasce orarie di ascolto.

Sul fronte opposto ci sono invece RTL 102.5/Open Space, RDS, Finelco (105, MonteCarlo, Virgin), Kiss Kiss e Radio Italia: essi si dicono non contrari ‘per principio’ ai Diari (sui quali come tutti gli altri hanno del resto investito, e molto), ma insistono perché per loro sarebbe utile, e profittevole, fornire i dati 2010 ottenuti tramite Cati (inchieste telefoniche). C’è una terza posizione sostenuta da
Assocomunicazione, la Confindustria delle agenzie di pubblicità. Per
Assocomunicazione la “balcanizzazione” di Audiradio è pericolosa per tutti i
soggetti del mercato, cioè per gli investitori pubblicitari, le emittenti,
le agenzie perché senza un metro di misura univoco si andrebbe verso la
perdita di quella credibilità che sostiene la radio come mezzo efficace per
gli investimenti in pubblicità.

Se con il sistema Cati, si hanno dati “soggettivi”, ricavati da domande fatte via telefono; se con i Diari si potrebbero raccogliere dati per segmenti temporali di 15 minuti, ecco che Assocomununicazione propone di adottare il meter, cioè un apparecchio più o meno simile a quello adottato da Auditel, che permetterebbe di conoscere gli ascolti “minuto per minuto”, tanto per parafrasare un famosissimo programma radiofonico. Questo però significherebbe ulteriori investimenti che si
andrebbero ad aggiungere ai denari spesi per l’indagine Diari mai
utilizzata.

Come se ne esce? Probabilmente con un “atto di forza” da parte
delle emittenti nazionali, Rai compresa, vale a dire con l’esposizione,
cliente per cliente, dei dati Diari. Il che di fatto mette Audiradio in mora
per tutto il tempo per il quale non si troverà un accordo con le emittenti
locali. Certo, non dichiarare ufficialmente i dati equivale a staccare la
spina, come era già successo con Audipress, la cui messa in mora per tre
anni non ha certo giovato alla raccolta pubblicitaria sulla carta stampata.

Ma tant’è: alla fine vince chi ha più tela da tessere. E le emittenti
nazionali, Rai compresa hanno la forza e il prestigio per convincere il
mercato della validità dei Diari, promettendo, magari a breve l’introduzione
dei meters. E le agenzie media, cioè le aziende che s occupano della
compra-vendita degli spazi pubblicitari si dedicheranno più volentieri dove
più alti sono i volumi e dunque i margini. E’ la crisi, bellezza. Beh. buona giornata.

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Attualità Leggi e diritto Media e tecnologia Popoli e politiche Salute e benessere

“Atomausstieg”, ovvero facciamo come la Germania, abbandoniamo il nucleare. Ecco un buon motivo per andare a votare sì.

Atomo, addio, di Riccardo Valsecchi- Avvenire dei Lavoratori

Ripristinando la decisione assunta dal governo rosso-verde di Gerhard Schroeder, l’attuale cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha deciso che la Germania rinuncerà all’energia nucleare. Il tema scompare così dai programmi di tutti i partiti presenti nel Bundestag. La terza potenza industriale del mondo avvia la sua fuoriuscita dall’atomo.

“Atomausstieg”, abbandono del nucleare: una parola, un sogno, uno slogan politico che oggi, dopo 42 anni dall’apertura del primo reattore atomico per uso commerciale sul territorio tedesco, pone una data definitiva, il 2022, per la chiusura del programma nucleare in Germania. A dare l’annuncio, lunedì scorso, dopo una notturna riunione tra i partiti di maggioranza, il ministro dell’ambiente Norbert Röttgen.

Il futuro dei 17 reattori attivi sul territorio è, come ha scandito il segretario dell’Unione Cristiano Sociale (CSU) Horst Seehofer, “ir-re-ver-si-bi-le”: chiusura immediata degli otto impianti più vecchi, scadenza al 31 dicembre 2021 per altri sei reattori e data finale di uscita dal programma nucleare fissata al 31 dicembre 2022 con la chiusura delle tre centrali Isar 2, Emsland e Neckarswestheim 2.

Una decisione, in realtà, che ripristina i limiti imposti dalla legge sul nucleare del 2002, approvata dall’allora governo SPD-Verdi e soppiantata non più di otto mesi fa da un decreto dell’attuale governo Merkel che prolungava l’attività nucleare per altri 14 anni.

Poi Fukushima e le successive sconfitte elettorali in Baden-Württemberg e Brema hanno imposto un drammatico dietrofront alla maggioranza. Oggi la Germania è la prima potenza industriale non solo che rinuncia in maniera definitiva all’uso del nucleare, ma che cancella l’aggettivo dal programma di tutti i partiti presenti nel Bundestag, di qualsiasi colore e posizione politica essi siano.

Ma, nonostante ciò, le polemiche non mancano.
Il mercato nucleare tedesco è attualmente dominato principalmente da tre colossi: E.ON, che detiene 6 dei 17 impianti attivi – più partecipazioni azionarie in altri quattro -, RWE, che possiede 6 reattori, ed EnBW, l’azienda pubblica del Baden Württemberg che gestisce i 4 impianti localizzati sul proprio territorio. L’impianto di Brunsbüttel, invece, è di proprietà per il 67 % della società svedese Vattenfall e per il 33% di E.On
Secondo Wolfgang Pfaffenberger della Jacobs University di Brema, gli otto reattori nucleari in chiusura forniscono attualmente guadagni per oltre 1,5 miliardi di euro e vendite per circa tre miliardi di euro l’anno. La totalità dei 17 impianti in funzione creerebbe circa quattro milardi di euro di profitto annuo, per un giro d’affari di 7,5 miliardi. Il solo gruppo E.ON, secondo una valutazione interna, avrà, come conseguenza della chiusura immediata di tre degli impianti attivi, una perdita sull’utile di circa il 30%.

Ad aggravare la situazione, l’imposta fiscale che dal gennaio 2011 impone il pagamento di 2,3 miliardi annui sul combustibile nucleare per la produzione commerciale di energia.

Gli analisti della Landesbank Baden-Württemberg valutano, nel complesso, una perdita di valore per E.On e RWE di circa il 6% e l’11%, con conseguente esposizione dei due giganti energetici alle mire espansionistiche dei rivali stranieri EFD e Gazprom.
Se le prospettive future per le due aziende appaiono tutt’altro che rosee, meglio non va per le municipalità dove hanno sede gli impianti.
“Ci aspettiamo un deficit annuo di circa tre milioni di euro” ha spiegato il tesoriere di Neckarwestheim, nel Baden-Wuerttemberg. “EnBW – la compagnia che controlla l’impianto locale – è il più grande contribuente della zona.”

A Phillipsburg il sindaco Martus (CDU) è rimasto anch’egli perplesso: “Grazie alle tasse pagate dal gestore dell’impianto EnBW la nostra piccola cittadina di 12.600 abitanti si è potuta permettere un ginnasio, una scuola secondaria e una scuola speciale.” Secondo il sindaco, Phillipsburg dovrebbe comunque rimanere in futuro un centro d’infrastrutture energetiche, in virtù dell’impianto solare costruito a ridosso della cittadina e inaugurato quest’anno – con 87.500 metri quadrati di pannelli, il più grande impianto solare sul territorio tedesco -.

Hildegard Cornelius-Gaus è il sindaco di Biblis in Assia, dove sono localizzati due reattori RWE. Mercoledì scorso, in una conferenza stampa, ha ricordato lo scompenso fiscale dovuto alla chiusura degli impianti: “L’impianto nucleare comporta più del 50 per cento delle nostre entrate fiscali.” La centrale locale, di proprietà RWE, dà lavoro a più di 1.000 persone e, secondo RWE, garantisce inoltre annualmente all’intera regione metropolitana del Rhein-Neckar-Kreis, tra attività correlate, strutture commerciali e alberghiere, circa 70 milioni di euro.

Le polemiche non si sono esaurite all’interno del confine nazionale. Sebbene, infatti, la decisione di Berlino abbia riacceso i focolari della speranza di un futuro antinucleare negli ambienti ecologisti di tutta Europa, i governi in carica con programmi già attivi sul proprio territorio, dalla Spagna fino alla Finlandia, passando per Francia, Gran Bretagna, Belgio, Paesi Bassi, Svezia e Polonia, si sono affrettati a precisare, intimoriti dall’eventuale boomerang mediatico, che la scelta della Germania non avrebbe avuto alcun effetto sulla loro politica energetica.

Il Commissario Europeo per l’energia, Guenther Oettinger, ex Presidente dei Ministri dello Stato del Baden-Württenberg, ha dichiarato in una conferenza a Vienna lunedì scorso che “la politica tedesca funzionerà solo se ci saranno dei miglioramenti strutturali, maggiori capacità di stoccaggio e più consistenti investimenti nelle nuove energie.” Ha poi aggiunto che “il nucleare continuerà a giocare un ruolo importante in Europa, dato che Paesi come la Francia sono estremamente dipendenti da esso, ma dopo la decisione di Berlino il gas – con tutto ciò che comporta in quanto a dipendenza energetica dall’estero – diventerà il vero fattore guida nella crescita.”
(Beh, buona giornata).

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La privatizzazione dell’acqua ha fatto aumentare le bollette. Un buon motivo per andare a votare sì.

Costi, dispersione, efficienza i falsi miti dell’acqua privata

In vista dell’appuntamento del 12 e 13 giugno, Altraeconomia ha realizzato un dossier che sfata, punto per punto, tutte le false credenze nate intorno alla privatizzazione del servizio idrico italiano. Gli acquedotti pubblici non sono affatto dei “colabrodo”. E gestione privata il più delle volte fa rima con bolletta salata di GIULIA CERINO-republica.it

MITO numero uno: gli acquedotti “pubblici” sono dei colabrodo. “Falso: secondo i dati di Mediobanca, il peggiore, se consideriamo la dispersione idrica (litri immessi in rete e non fatturati/abitanti/lunghezza della rete gestita), è quello di Roma, dove l’acquedotto è affidato ad Acea, una spa quotata in borsa i cui principali azionisti sono il Comune di Roma, Francesco Gaetano Caltagirone e Suez”. In vista del referendum del 12 e 13 giugno, Altraeconomia ha pubblicato un dossier “speciale” 1. Lo scopo? Sfatare punto per punto tutte le false credenze nate intorno alla privatizzazione del servizio idrico italiano. A partire dai costi. Secondo il Conviri (Commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche), per i prossimi 30 anni servono circa 64 miliardi di euro per la manutenzione e l’ammodernamento delle reti idriche di casa nostra. Due miliardi l’anno, una cifra standard necessaria in ogni caso, a prescindere dall’esito del referendum. Di questi, il 49,7% è diretto al comparto acquedottistico (per nuove reti, impianti e per manutenzione) mentre il 48,3% alle fognature e alla depurazione. A metterci i quattrini dovrebbero essere lo Stato, le Regioni e i Comuni d’Italia dato che quelli – spiega Pietro Raitano, direttore del mensile Altreconomia e curatore del dossier Speciale Referendum – sono “soldi delle nostre tasse, gli stessi che vengono usati anche per riparare le strade, per costruire il ponte sullo Stretto o per la Difesa”.

Ed ecco sfatato il secondo mito. Con l’ingresso dei privati, la bolletta non si ridimensionerà. Al contrario, ai costi standard appena elencati se ne aggiungono altri. Per fare i lavori infatti (gli stessi che dovrebbero fare gli enti pubblici) le aziende punteranno al risparmio tentando di “scaricare l’investimento sulle bollette, come previsto dalla legge”. Dunque, nel conto di ogni italiano saranno inclusi, oltre ai lavori ordinari, “anche gli utili delle aziende”, spiega Raitano. La concorrenza tra privati non basterà a contenere i costi. Anzi. In assenza di ulteriori interventi normativi e in virtù della legge Galli del 1994, come modificata dal dl 152/2006, i costi di tutti gli investimenti sulla rete acquedottistica finiranno in bolletta. Il business ringrazia. I consumatori non proprio perché – conclude Raitano – pretendere tariffe più basse significherebbe – trattando con dei privati – “necessariamente un blocco degli investimenti”.

La privatizzazione della gestione dell’acqua prevista dal decreto Ronchi (numero 135 del 2009) ha dunque di fatto provocato un aumento dei costi. A dimostrarlo sono anche le cifre del rapporto Blue Book 4 che ha pensato di confrontare le tariffe della gestione privata con quelle in house. Risultato? Nel primo caso sono aumentate del 12% rispetto alle previsioni, nel secondo il dato è rimasto quasi costante (solo l’1% in più). Conferma la tendenza anche l’annuale dossier 5, realizzato dall’Osservatorio Prezzi & Tariffe di Cittadinanzattiva, dal quale si scopre che dal 2008 il costo dell’acqua non ha fatto che aumentare: la media è del più 6,7%, con aumenti del 53,4% a Viterbo (record nazionale), Treviso (+44,7%) Palermo (+34%) e in altre sette città, dove gli incrementi hanno superato il 20%: Venezia (+25,8%), Udine (+25,8%), Asti (+25,3%), Ragusa (+20,9%), Carrara (+20,7%), Massa (+20,7%) e Parma (+20,2%).

In generale, gli incrementi si sono registrati in 80 capoluoghi di provincia ma è la Toscana che si conferma la regione con le tariffe mediamente più alte (369 euro). Costi più elevati della media nazionale anche in Umbria (339 euro), Emilia Romagna (319 euro), Marche, Puglia (312 euro) e Sicilia (279 euro) mentre capita spesso di trovarsi di fronte a differenze all’interno di una stessa regione: l’acqua di Lucca costa 185 euro in meno di quella di Firenze, Pistoia e Prato. Stessa cosa in Sicilia: tra Agrigento e Catania lo scarto è di 232 euro. D’altra parte, la logica che muove ogni business degno di tale nome – scrive Luigino Bruni, docente di economia politica all’università Milano-Bicocca – è quella di fare utili, possibilmente a breve termine. Il ragionamento fila: “Le imprese private hanno per scopo il profitto. Chi massimizza il profitto non tiene conto dell’ottimo sociale e difficilmente può essere controllato, nemmeno con un meccanismo di sanzioni”.

Sul tema dell’acqua poi sembra circolino tanti altri falsi miti. Si dice, ad esempio, che la gestione privata della rete idrica sia molto efficiente. Sbagliato. “Uno dei migliori acquedotti del nostro Paese – spiega Raitano – è quello di Milano, al cento per cento di gestione pubblica, dove l’acqua viene controllata più volte al giorno e le dispersioni sono minime”. E’ quindi “dogmatico dire che la gestione privata garantisce una migliore gestione della rete. Le esperienze che si sono fatte in questi anni in Calabria, ad Agrigento, a Latina dimostrano che dove gli acquedotti sono passati in mano ai privati c’è stato solo un aumento delle tariffe”. E’ successo in Calabria, dove alcuni sindaci della Piana di Gioia Tauro si sono visti raddoppiare la bolletta. A San Lorenzo del Vallo, comune di 3.521 abitanti della provincia di Cosenza, il conto è salito da 100 a 190 mila euro l’anno perché – spiega il sindaco – l’azienda che gestisce l’acqua in tutta la Calabria (la So.Ri.Cal) con concessione trentennale ha arbitrariamente aumentato la tariffa del 5%. Una cifra, questa, pari all’intero bilancio del piccolo comune che, non avendo saldato il debito, e stato dichiarato moroso.

Privati o no, la gestione idrica pubblica in Italia sembra aver fallito. Il Belpaese spreca acqua continuamente. Ogni giorno si perdono circa 104 litri di sangue blu per abitante, il 27% di quella prelevata. Considerando ogni singolo italiano si scopre che consumiamo a testa in media 237 litri di liquido al giorno: 39% per bagno e doccia, 20% per sanitari, 12% per bucato, 10% per stoviglie, 6% per giardino, lavaggi auto e cucina, 1% per bere e 6% per altri usi. A fronte di un terzo dei cittadini che non ha un accesso regolare e sufficiente alla risorsa idrica, otto milioni di italiani non ne hanno di potabile e 95 milioni di litri di acqua che, ogni anno, vengono usati per l’innevamento artificiale. Dunque il problema – conclude il dossier – non si risolve nemmeno affidando l’acqua ai privati che – per loro natura – tenderebbero a spostare le reti idriche nelle zone d’Italia più fruttuose. Il punto semmai è la totale assenza di un piano normativo, economico ed amministrativo nazionale volto a finanziare e supportare le tecnologie necessarie. In alcune regioni d’Italia mancano ancora gli Ato, ambiti territoriali ottimali, territori appunto su cui sono organizzati servizi pubblici integrati. Come quello dell’acqua o dei rifiuti. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia Natura Popoli e politiche Salute e benessere

Parigi, Berlino, Johannesburg, Buenos Aires, Atlanta, Monaco di Baviera sono tutte tornate all’acqua pubblica.

di ANTONIO CIANCIULLO-repubblica.it

Mentre il governo Berlusconi varava la legge che bocciava il gestore pubblico dell’acqua, facendolo finire in serie B e costringendolo per legge a restare in minoranza nelle aziende quotate in Borsa, grandi città, comprese quelle che per decenni avevano sperimentato la gestione privata, decidevano di puntare sul pubblico. Parigi, Berlino, Johannesburg, Buenos Aires, Atlanta, Monaco di Baviera sono tutte guidate da ideologi sprovveduti, teorici estremisti che odiano i capitali privati? Proviamo a vedere cosa sta succedendo in alcune di queste città partendo dal caso meno pubblicizzato, Monaco di Baviera.

La chiave per comprendere la scelta di Monaco è il rapporto tra l’acqua e il territorio. Per la risorsa idrica quello che conta è la qualità dell’ambiente: più si preserva la natura in cui l’acqua scorre, meno è necessario intervenire sugli acquedotti. Nel 1992 Monaco di Baviera ha deciso di acquisire i terreni vicini alla falda e di riservarli alla coltivazione biologica: niente chimica, allevamento controllato. In questo modo è stata vinta la battaglia contro i nitriti che per tre decenni avevano continuato a crescere e l’acqua può arrivare in tavola senza cloro e senza trattamenti chimici.

Analoga la scelta di Parigi che, dopo la decisione di far tornare l’acqua in mano pubblica togliendola alle due multinazionali francesi (Veolia e Suez) che gestivano il servizio da 25 anni, ha preso il controllo dei terreni collegati alla falda idrica e li ha concessi in affitto a canone agevolato o a titolo gratuito agli agricoltori che si sono impegnati a lavorare seguendo gli standard più rispettosi dell’ambiente. Secondo i dati del Comitato per il sì, le perdite di rete registrate in Francia dai due principali gruppi privati del settore vanno dal 17 al 27 %, contro il 3-12 % della gestione pubblica. E l’assessore alla municipalità di Parigi, Anne Le Strat, ritiene che il passaggio da un sistema privato a uno pubblico consentirà di risparmiare 30 milioni di euro l’anno.

“Questo tipo di scelte può essere fatto solo se la gestione dell’acqua è pubblica perché impone investimenti e programmazioni a lunghissimo termine”, ricordano al Comitato per i sì al referendum. “Una società privata non ha interesse a investire per acquistare terreni che poi potranno non servirle più a nulla se alla scadenza il contratto non viene rinnovato. Inoltre avrebbe difficoltà a giustificare agli azionisti un investimento così importante per risolvere un problema che si può affrontare con una spesa molto minore utilizzando il cloro”.

I punti cruciali sono dunque due. Il primo, come abbiamo visto, è lo spazio. Più è vasta l’area ambientalmente sana in cui l’acqua scorre minore è la necessità di un intervento correttivo sulla rete idrica. Il secondo è il fattore tempo. Gli importanti investimenti di cui il settore idrico ha assoluto bisogno per chiudere il cerchio dell’acqua collegando alle fogne quel 30 per cento di scarichi non ancora in regola, richiedono uno sguardo lungo. La manutenzione costa, l’espansione della rete costa. E i ritorni si misurano nell’arco di vari decenni. Spesso troppi per un’azienda privata che è abituata a rendere conto del suo operato in tempi decisamente più brevi e che difficilmente ottiene contratti con una durata di più di 30 anni. A meno che il controllo delle scelte sull’acqua non rimanga saldamente in mano alla mano pubblica.
(Beh, buona giornata)

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Attualità

Il cavaliere triste e maleducato.

di Mario Ajello-ilmessaggero.it

Annoiato. Un po’ triste. Non acclamato dalla folla che assiste insieme a lui alla parata (solo qualche applauso e qualche fischio). Molto evitato da Fini, che lui a sua volta evita clamorosamente. Poco chiacchierone con Napolitano il quale, se non freddezza, sembra dimostrargli una lieve distanza. E scarsamente protocollare con re Juan Carlos. Infatti Berlusconi, non sapendo che i sovrani non si possono toccare se non quando sono loro a concederti il tocco, va a dare una bottarella amichevole sull’avambraccio al monarca spagnolo e gli dice: «Come sta il suo ginocchio?» (che di recente era acciaccato). Quello gli risponde con mezza parola e poi Napolitano gli fa la ramanzina: «Silvio, non ci si comporta così con i re».

Con la regina Elisabetta, quando quasi le saltò sopra le spalle per superarla e andare ad omaggiare il presidente americano gridando «Mister Obama, Mister Obamaaaa!!!!», Berlusconi fece di peggio, ma vabbè. Stavolta è poco ispirato. A un certo punto, in tribuna, addirittura s’addormenta mentre sfilano le truppe. E neppure la riapparizione sui Fori Imperiali della crocerossina dello scorso anno – quella bella signora in camice bianco che marciò insieme ai soldati alla parata 2010 e lui le dedicò una plateale smorfia di ammirazione maschile – riesce a destare il Don Giovanni brianzolo dalla sua pennica sotto il sole. Tocca preoccuparsi? (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia

L’autonomia dell’elettorato: come l’astensione ha punito il sistema dei partiti.

The (election) day after di Piergiorgio Odifreddi-repubblica.it

Passata l’euforia per i risultati dei ballottaggi, può essere utile meditare brevemente sui fatti e sulle interpretazioni delle elezioni amministrative. Anzitutto, il dato più significativo è quello delle percentuali di votanti: l’affluenza alle urne è stata del 60,08% degli aventi diritto per le comunali, e del 45,23% per le provinciali. Se si fosse trattato di un referendum, il voto per le provinciali sarebbe addirittura risultato nullo per mancanza di quorum.

Poichè alle precedenti elezioni amministrative l’affluenza era stata del 68,56% per le comunali e del 61,26% per le provinciali, si può dedurne un netto aumento della disaffezione degli elettori per il meccanismo elettorale. E si deve tenerne conto nel valutare le percentuali con cui sono stati eletti i nuovi sindaci e i nuovi presidenti di provincia. Ad esempio, a Napoli ha votato soltanto il 50,57% degli aventi diritto: poichè De Magistris ha ottenuto il 65,37% dei voti, in realtà è stato eletto dal 32,93% degli elettori, cioè esattamente da un terzo della città.

Che questo risultato venga presentato dai media e dai vincitori come una vittoria schiacciante, è significativo della percezione distorta che ci viene fornita dell’intero processo elettorale. In fondo, che a governare basti la maggioranza formale dei votanti (e nel maggioritario, paradossalmente, neppure quella) non sta affatto scritto nelle Tavole della Legge: si potrebbe benissimo argomentare, al contrario, che ogni imposizione ai cittadini debba avere un esplicito assenso della maggioranza sostanziale.

L’opposizione fra i due modi di vedere ha una lunga storia, e nella logica deontica si traduce nella scelta fra “ciò che non è esplicitamente proibito è permesso” e “ciò che non è esplicitamente permesso è proibito”. E a me sembra che, soprattutto quando sono in ballo grandi decisioni che coinvolgono un’intera cittadinanza o un’intera popolazione, la seconda alternativa sia la più democratica, mentre la prima puzzi un po’ troppo di truffa: soprattutto in una democrazia indiretta, dove il permesso (espresso attraverso il voto) prende la forma di una delega generica, e non di un assenso specifico.

In ogni caso, anche senza stare a sofisticare sulle percentuali reali, è singolare assistere all’esultanza del maggior partito di opposizione. Il Pd e il suo segretario si comportano come se avessero vinto loro, ma dimenticano che quando De Magistris dice di aver “liberato Napoli”, si riferisce alla precedente amministrazione: cioè, a un sindaco e a una giunta di centrosinistra che hanno governato per dieci anni. E dimenticano che al primo turno il Pd aveva espresso un altro candidato, che non ‘e arrivato al ballottaggio.

A Milano la situazione è un po’ diversa, ma non troppo. I votanti sono stati il 67,24% degli aventi diritto, e Pisapia ha vinto col 55,11% dei voti: dunque, col 37,06% degli elettori. E benchè fosse sostenuto già al primo turno dall’intera coalizione di centrosinistra, aveva comunque vinto le primarie contro il candidato del Pd.

In definitiva, le elezioni hanno mostrato, da un lato, una disaffezione dell’elettorato per il processo elettorale. E dall’altro lato, una sconfitta non solo dei candidati del Pdl, ma anche di quelli del Pd. Questi due campanelli d’allarme suonano all’unisono: la gente ne ha abbastanza della politica tradizionale, e se Berlusconi fa fa bene a piangere, Bersani non fa affatto bene a ridere.
(Beh, buona giornata).

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