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Attenti al voto futile.

Tra poche ore si vota. Si vota prima della scadenza, perché il partito di Berlusconi ha tolto la fiducia parlamentare al governo Monti. Berlusconi, che era stato costretto alle dimissioni per manifesta incapacità di governare un paese in crisi, ha scatenato una campagna elettorale furibonda, a colpi di promesse irrealizzabili, come la presunta restituzione della tassa Imu sulla prima casa, invadendo i media, come in nessun altro paese del mondo gli sarebbe stato permesso.

Non solo, Berlusconi ha trascinato il paese alle elezioni politiche anticipate con una legge elettorale truffaldina, detta, appunto, “porcellum”. Berlusconi va punito per sempre perché ha fatto di tutto per non cambiare questa legge. Vanno puniti con lui tutte le forze politiche e sociali che lo hanno sostenuto anche in questa ultima sciagurata avventura: la Lega Nord, la Destra, Grande Sud e tutta quella “corte dei miracoli” al seguito, composta da partitini, formati da piccole personalità di grande appetiti di potere, sparse in tutt’Italia. Vanno puniti i candidati nelle liste del Pdl, liste piene di inquisiti dalla magistratura, liste di mezze figure, sia dal punto di vista politico che etico.

L’attuale “offerta” politica che si offre domani agli elettori italiani è apparentemente ricca di scelte. Dico apparentemente, perché in realtà l’unica possibilità di fermare Berlusconi e i suoi accoliti è una vittoria al Senato del centrosinistra.

Infatti, quello che è consigliabile è tenere ben presente che, proprio per colpa di Berlusconi, andremo a votare con due sistemi elettorali, uno alla Camera e uno al Senato. Alla Camera i sondaggi, finché sono stati pubblici, non segnalavano grandi chances per il partito di Berlusconi. Qui votare chi ognuno pensa possa svolgere un ruolo migliore non troverebbe ostacoli.

Il pericolo viene dal Senato: se in alcune regioni, per esempio come la Lombardia, la legge elettorale dovesse premiare il partito di Berlusconi, ecco che egli riuscirebbe a mettere un’ipoteca sulla formazione del nuovo governo. Sono convinto che chi vota Grillo o Monti o Giannino o Ingroia certo non vorrebbe succedesse un Berlusconi ancora in sella.

Si è parlato del ricatto del voto utile. Io direi, piuttosto, del pericolo del voto futile: chi è conservatore come Monti, di sinistra come Ingroia, barricadero come Grillo, o moderato come Giannino (al netto dei titoli di laurea) non è giusto che non abbia la possibilità di esprimere il proprio voto. Ma è proprio quello su cui contano Berlusconi e accoliti: sfruttare i vantaggi del “porcellum” e fregare ancora una volta la democrazia, i cittadini, gli elettori, grazie al differente meccanismo elettorale.

Dunque, perché il voto non sia una esercitazione futile, è necessario prendere seriamente in considerazione il “voto disgiunto” tra Camera e Senato. Per sicurezza, consiglierei di fare lo stesso anche per le Regionali in Lombardia e nel Lazio. Maroni e Storace, sodali di Berlusconi
devono perdere sonoramente. Solo così, sconfitto su tutti i fronti, Berlusconi uscirà dalla cronaca politica e per entrare, senza più ostacoli in quella giudiziaria. Beh, buona giornata.

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Luciano Gallino: “altre politiche per il lavoro, la spesa pubblica, il welfare.”

luciano-gallinodi Sbilanciamoci.info –

Quattro milioni di senza lavoro, decine di miliardi di reddito perduto, la crisi che non finisce mai, disoccupazione che crea disoccupazione. Ma altre politiche sono possibili, per il lavoro, la spesa pubblica, il welfare. La rotta d’Italia secondo Luciano Gallino

Appese alle pareti della casa di Luciano Gallino, le foto della moglie Tilde mescolano molteplici piani attraverso giochi di specchi, spingendosi oltre la percezione di un istante e cogliendo la sfuggente complessità d’insieme. È uno sforzo, questo, che si ritrova poco più in là, negli scaffali ricolmi di libri del professore, perché afferrare la complessità, arrivare al cuore delle cose, necessita di uno studio meticoloso e incessante. E spiegarla, poi, richiede un impegno altrettanto esigente, senza sosta, né risparmio: un impegno generoso, che passa per conferenze in Italia e all’estero, interviste e un nuovo libro per raccontare cos’è accaduto e come mai la gente continua a farlo accadere. Nel contesto odierno, dominato da semplificazioni populistiche e una visione neoliberista talmente radicata e potente da riuscire nel paradosso di gestire l’incendio dopo aver appiccato il fuoco, la voce di Luciano Gallino è un punto di riferimento prezioso per tracciare la rotta da seguire.

Una rotta che nasce dalla necessità del lavoro. “In Italia, ci sono circa quattro milioni di persone fra disoccupati e non occupati. Di conseguenza, una ricchezza pari a decine di miliardi l’anno non viene prodotta e non diventa domanda, commesse per le imprese, consumi. Il risultato è che la disoccupazione crea disoccupazione”.

Per creare occupazione bisogna seguire l’esempio di Roosevelt. “Con il New Deal, lo Stato si è impegnato a creare direttamente occupazione e in alcuni mesi furono assunti milioni di persone”. Un New Deal italiano permetterebbe non solo di creare ricchezza, ma anche di risolvere annosi problemi. A cominciare dal suolo. “Il dissesto idrogeologico riguarda più di un terzo del Paese. È un campo in cui i soldi si trovano sempre a posteriori, quando sono stati distrutti o allagati interi quartieri o quando ci sono frane, morti. Allora sì che si trovano i miliardi per riparare i danni. Sarebbe meglio spenderli prima, oculatamente, in opere da individuare”.

Prioritaria è anche la terribile situazione delle scuole. “Il 48% delle scuole italiane non ha un certificato che assicuri che l’edificio è a norma dal punto di vista della sicurezza statica. È possibile che i ragazzi italiani vadano in scuole metà delle quali non è a norma dal punto di vista della sicurezza? Non si tratta di pavimenti sconnessi o rubinetti che perdono, o servizi inadeguati, ma di muri, tetti, fondamenta, che bisognerebbe rivedere e rimettere a norma”.

La miopia riguarda anche il potenziale punto di forza dell’Italia. “Il degrado del nostro immenso patrimonio culturale è per molti aspetti sotto gli occhi di tutti. Negli anni si è puntato a migliorare i punti di ristoro nei musei, insistendo sulla fruibilità da parte di pubblici sempre più vasti, invece di intervenire sulla catalogazione digitale, sulla tutela effettiva, sulla custodia. Un’azione mirata può creare centinaia di migliaia di posti di lavoro”.

C’è poi il problema della riconversione del modello produttivo. “Il modello produttivo attuale è finito nell’estate del 2007. È impensabile che i posti di lavoro che si sono persi in questi anni siano ricostituiti, ripercorrendo lo stesso modello produttivo. Processi come l’automazione e la razionalizzazione hanno soppresso quote impressionanti di posti di lavoro e molte imprese si dirigono sempre di più verso Paesi in cui i salari, le condizioni ambientali o fiscali sono più favorevoli. Occorrerebbe pensare a forme di ecoindustria, cercando di evitare errori e compromessi che hanno, in alcuni casi, caratterizzato lo sviluppo di nuovi settori, come ad esempio si è visto con la creazione di parchi eolici”.

Una riconversione che riguarda anche l’agricoltura. “Anche qui, l’epoca in cui la lattuga del Cile o i pomodori di un altro Paese facevano 10 o 20 mila km prima di arrivare sulla tavola di qualcuno probabilmente è finita. Il costo dei carburanti, degli aerei e della logistica stanno in qualche modo imponendo forme di consumi agricoli, consumi alimentari che non saranno a km zero, ma certamente non a km 10 mila o 20 mila, come è stato invece per molti anni. Il ministero dell’agricoltura dovrebbe occuparsi della riduzione dei km che pomodori, lattuga e formaggi e altro percorrono prima di arrivare sulle nostre tavole”.

Per creare occupazione, l’ideale sarebbe un’agenzia centrale. “So che a molti sale la temperatura quando sentono parlare di Stato che occupa le persone. Bisognerebbe creare un’agenzia centrale che determina i limiti e che incassa i soldi da varie fonti, magari appunto dallo Stato stesso o da una rivisitazione degli ammortizzatori sociali. L’assunzione diretta può essere affidata ai cosiddetti territori, al non profit, al volontariato, ai servizi per l’impiego, alla miriade di entità locali, comprese piccole e medie imprese”.

L’occupazione diretta servirebbe molto di più dei soliti incentivi. “Una miriade di rapporti e documenti testimoniano che, se voglio creare un posto di lavoro, è molto più conveniente dare mille euro al mese a uno che lavora piuttosto che trasformarli in sconti fiscali, contributi alle imprese, nel caso assumano qualcuno. L’assunzione diretta ha un effetto immediato sulla persona e sull’economia, perché il giorno dopo che ho versato a qualcuno mille euro di stipendio, quello li spende contribuendo così al lavoro di qualcun altro. L’incentivo all’impresa, lo sgravio fiscale, la riduzione del cuneo fiscale e altre cose del genere hanno, invece, effetti molto più ritardati”.

E sotto attacco finirebbero ancora i meccanismi di protezione sociale. “Quando si parla di riduzione del cuneo fiscale, si ha in mente la riduzione dei contributi per le pensioni, la sanità e altro. La riduzione dei contributi implica che qualcuno pagherà ticket sanitari più elevati, magari a fronte di mezzi familiari scarsi, o che subirà un’ulteriore riduzione della pensione. Si annuncia di ridurre il cuneo fiscale, ma non si precisa come si recuperano quei contributi che vengono a mancare”. Un modo sottile per continuare a prosciugare il welfare.

Ma come finanziare gli interventi proposti? Per capirlo, bisogna ragionare su vari aspetti. Innanzi tutto il ruolo della Banca Centrale Europea. “Noi non disponiamo di una moneta sovrana, dipendiamo da una moneta che per certi aspetti è una moneta straniera. Non vuole essere una polemica contro l’euro, perché le polemiche contro l’euro sono semplicemente idiote e non vorrei minimamente essere accostato a quelle. Resta, però, il fatto che, mentre la Federal Reserve può creare quanto denaro vuole, noi non possiamo prendere in prestito soldi direttamente dalla Banca centrale per creare occupazione”.

Il problema è che i soldi ci sono, ma non arrivano a destinazione. “Tra il novembre 2011 e il febbraio 2012, la BCE ha prestato alle banche 1.100 miliardi di euro, con un interesse dell’1%. E li ha prestati senza chiedere nulla. Alla fine, si è scoperto che soltanto un rivoletto di quei 1.100 miliardi è finito alle imprese, al lavoro, all’economia reale”. E allora? “Allora, è davvero politicamente impossibile pretendere in sede europea che la BCE presti soldi soltanto se questi vengono destinati, attraverso le banche, all’economia reale e se le imprese e le società non profit che li prendono a prestito firmano l’impegno scritto di creare occupazione?”

Un altro aspetto importante riguarda la cassa integrazione. “La cassa integrazione ha superato il miliardo di ore. È denaro che è sacrosanto spendere per sostenere le famiglie, per porre un argine alla disperazione. Tuttavia, invece di pagare 750 euro al mese con il vincolo di non fare nessun altro lavoro, si potrebbe pensare di aggiungere 300/ 400 euro a quei 750 e convertirli, così, in un salario pagato dallo Stato: lo scopo sarebbe quello di far assumere da imprese non profit, imprese private, servizi per l’impiego, comuni e regioni le persone in cassa integrazione che sono disposte a fare altri lavori. In questo modo, si produrrebbe ricchezza e molti soggetti da passivi diverrebbero attivi. Pensiamo ai benefici economici che si genererebbero attraverso i cosiddetti moltiplicatori”.

Le risorse potrebbero essere ricavate, poi, dal rivedere spese apparentemente insensate. “L’idea di comprare un cacciabombardiere, che pare pure pessimo dal punto di vista strategico e militare, impegnando circa 15 miliardi, a fronte dello scandalo disoccupazione, a me pare uno scandalo per certi aspetti altrettanto grave”.

Infine, sul piano del fisco, non si può prescindere dall’economia sommersa. “L’economia sommersa c’è da ogni parte, ma in Francia, Germania, Gran Bretagna, è tra il 5 e il 10% del Pil, mentre in Italia è al 22% del Pil. Tra l’altro, con la crisi, i tagli alle pensioni e le riforme cosiddette del mercato del lavoro, l’economia sommersa ha fatto ulteriori passi avanti e fornisce incentivi molto convincenti a chi deve fare i conti con ogni singolo euro per arrivare alla fine del mese. Ridurre l’economia sommersa al livello di Francia o Germania significherebbe, per lo Stato, incassare almeno 60 o 70 miliardi l’anno di maggiori imposte di vario genere, dall’Iva alle imposte dirette”. (Beh, buona giornata).

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Elezioni, pareggio di bilancio e recessione: attenti alle frottole.

di MARCO PALOMBI-Il Fatto Quotidiano
Quale sarà la vera agenda del prossimo governo? È questa la domanda da cui siamo partiti per spiegare che la libertà d’azione macroeconomica di qualunque esecutivo si insedi a marzo sarà, per usare un eufemismo, piuttosto limitata. Se si volesse usare uno slogan, ad esempio, si potrebbe dire che le vere elezioni italiane saranno quelle tedesche del prossimo ottobre: è tutto nel rapporto con l’Unione europea infatti – e, ancor più, con gli altri paesi dell’eurozona – che si gioca il destino del nostro paese e, per quelli a cui interessa, del prossimo governo. Ecco un breve riassunto per capitoli dello stato dell’arte e di quel che c’è da aspettarsi tra poche settimane.

Il punto di partenza. Gli schieramenti in campagna elettorale possono promettere molto, ma occorre sempre ricordare che gli esecutivi si muovono ormai in un meccanismo di sovranità limitata. Il governo italiano, infatti, non solo ha rinunciato tempo fa alla leva monetaria, ma in sostanza anche a quella fiscale: il pareggio di bilancio inserito in Costituzione, e promesso ai partner continentali entro quest’anno, lo obbliga infatti ad agire in una sola direzione. La faccenda si farà ulteriormente complicata con la legge di stabilità del prossimo anno: dal 2015 scatta, infatti, l’obbligo sancito dal Fiscal compact (approvato in tutta fretta dalla strana maggioranza nell’ultimo scorcio di legislatura) di diminuire la parte del debito pubblico che supera il 60% del Pil di un ventesimo l’anno. In soldi fanno una cinquantina di miliardi l’anno: siccome i conti si faranno sul prodotto nominale – e non quello depurato dall’inflazione – il problema non sarebbe insormontabile se ci fosse un po’ di crescita. Solo che non c’è, e qui veniamo al vero problema.

La recessione. Dall’inizio della crisi abbiamo perso 7 punti di Pil, dice Bankitalia, e l’emorragia non accenna a finire e colpisce ormai la struttura stessa del tessuto produttivo che ha fatto grande l’economia del nostro paese. Sempre dal 2008, per dire, la produzione industriale è scesa del 25%, il suo volume rilevato all’indice grezzo segna 82,9, al minimo dal 1990. Riassunto: le aziende chiudono, aumentano i disoccupati, calano i consumi e le entrate dell’erario. Questa è la spirale, questa è la priorità di qualsiasi governo nell’immediato. Poteri di intervento? Nei limiti di bilancio di cui abbiamo parlato, molto pochi, anche perché lo stato dei conti pubblici non è quello raccontato da Mario Monti in questi mesi (“siamo fuori dall’emergenza”).

Una nuova manovra? Forse sarà la prima cosa che il prossimo esecutivo dovrà fare per ottenere il famoso pareggio di bilancio obbligatorio, nonostante sia pensiero comune che la cosa non farà che peggiorare la recessione in atto (se mi tassi spendo meno, se lo stato spende meno qualcuno – pensionati, lavoratori, aziende – vedrà diminuire i suoi introiti e spenderà meno). I problemi sono due. Intanto nel bilancio pubblico 2013 ci sono alcune spese non finanziate interamente: le missioni militari all’estero sono scoperte da settembre, il rinnovo dei contratti di oltre 200mila precari della P.A. da giugno e anche le risorse stanziate per gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione in deroga su tutti) scarseggiano. Totale: 5-7 miliardi di euro. In secondo luogo, le previsioni del governo sulla (non) crescita sono assai ottimiste: -0,2% nel 2013, mentre quelle di Bankitalia, Confindustria, Fmi etc veleggiano verso una contrazione dell’1%. Essendo il rapporto deficit/Pil appunto un rapporto, se il denominatore è più basso il risultato è peggiore. In sostanza la manovra necessaria potrebbe aggirarsi attorno ad un punto di Pil – circa 15 miliardi – ma fonti della Ragioneria generale dello Stato hanno parlato negli ultimi giorni di un importo più contenuto (7-10 miliardi). È tanto vero che il governatore della Banca d’Italia ha appena ribadito che “l’Italia non deve abbassare la guardia” sui conti pubblici e che per farlo servono “ulteriori, prolungati sforzi”.

Soluzioni. Mantenendo inalterata la struttura dei rapporti con l’Europa (moneta unica e relativi trattati di funzionamento), l’unica via d’uscita è rappresentata dalle scelte della Germania. Negli ultimi anni Berlino ha basato la sua strategia economica sulle esportazioni, in particolare nei paesi dell’eurozona, tenendo bassi i suoi salari e la sua inflazione. Il risultato è che ha mandato in deficit i suoi partner europei che ora, però, hanno smesso di comprare i suoi prodotti (e infatti recentemente le stime di crescita tedesca sono state tagliate). Ha spiegato al nostro giornale, ad esempio, il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo: “La nostra parte noi l’abbiamo fatta, ora la Germania deve fare la sua. Ha due strade: o rilancia la sua domanda interna aumentando i salari e/o la spesa pubblica oppure consente un certo grado di europeizzazione dei debiti pubblici”. Sulla stessa linea il responsabile economia del Pd Stefano Fassina: “La Germania deve fare la sua parte aumentando i salari e spingendo la sua domanda interna e poi basterebbe una diversa politica di bilancio Ue che escludesse alcuni investimenti dai saldi validi per il Patto”. A guardare la campagna elettorale tedesca – Cdu o Spd non fa differenza – non c’è molto da sperare: non solo nessuno propone politiche espansive interne per essere davvero “la locomotiva d’Europa”, ma tutto si gioca sulla critica ai cosiddetti Piigs fannulloni (e, in qualche caso, ai “terroni germanici”, che sono i poveri del nord e dell’est).

Sogni elettorali. In questo contesto le promesse di mirabolanti tagli di tasse fatte soprattutto da Silvio Berlusconi e Mario Monti non solo sono poco credibili, ma non sembrano tener conto delle priorità nella situazione attuale: come ha recentemente ribadito un working paper del Fmi – firmato dal capo economista Olivier Blanchard e da Daniel Leigh – non solo l’austerità fa male, ma il moltiplicatore (l’effetto positivo/negativo delle varie politiche economiche) della spesa pubblica, in particolar modo quella per investimenti, è assai superiore a quello fiscale. Tradotto: in una recessione bisogna fare politiche anticicliche e, tra queste, meglio che lo Stato spenda di più piuttosto che tagliare le tasse. Una proposta in questo senso in campagna elettorale l’ha lanciata ad esempio Pier Luigi Bersani sui debiti della P.A. verso le imprese. Si tratta, ma non c’è una stima ufficiale, di 90 miliardi in tutto che, al momento, non sono registrati dal nostro bilancio: tutti sanno che c’è un debito e che andrà saldato ma, secondo le stesse regole Ue, può essere tenuto fuori dai conti finché lo Stato non paga. Il Pd adesso propone di stanziare 50 miliardi per rifondere le Pmi emettendo titoli di stato vincolati a quel fine. Il problema? È un’uscita che inciderebbe significativamente tanto sul deficit quanto sul debito pubblico e per fare una cosa del genere – o altre che prevedano questi livelli di spesa – serve il permesso di Bruxelles. Ce lo daranno? (Beh, buona giornata).

Chiunque vinca le prossime elezioni avrà margini di manovra limitati nelle politiche economiche: da una parte i vincoli europei, dall'altra i segnali di crescita che non arrivano. Per questo, più che al risultato che uscirà dalle nostre urne, dovremo guardare a chi guiderà il prossimo governo tedesco.
Chiunque vinca le prossime elezioni avrà margini di manovra limitati nelle politiche economiche: da una parte i vincoli europei, dall’altra i segnali di crescita che non arrivano. Per questo, più che al risultato che uscirà dalle nostre urne, dovremo guardare a chi guiderà il prossimo governo tedesco.

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Cultura Fumetti. Guerra&Pace Movimenti politici e sociali Popoli e politiche

Mauro Biani si aggiudica il Premio Nazionale Nonviolenza 2012.

Come recita il comunicato ufficiale, è Mauro Biani il vincitore del Premio Nazionale Nonviolenza 2012, che sarà consegnato a Sansepolcro il prossimo sabato 16 febbraio 2013.

Mauro Biani, è vignettista, illustratore, scultore. E’ inoltre educatore professionale per ragazzi disabili mentali, presso un centro specializzato. I suoi disegni hanno fatto il giro del mondo su carta stampata, sul web e in mostre personali e collettive. E' stato vignettista di Liberazione, per cui ha anche curato l'inserto satirico Paparazzin e attualmente collabora come free lance con riviste e quotidiani nazionali e internazionali, organi di informazione indipendenti e riviste del terzo settore. Fa parte del gruppo internazionale “Cartooning for Peace”, sotto l’Alto Patrocinio dell’ONU. E’ uno dei fondatori di “Mamma!”, rivista di satira, giornalismo e fumetti. Ha ricevuto il XXXV Premio di Satira Politica nel 2007 il premio per la miglior vignetta europea del 2011, istituito alla Rappresentanza italiana della Commissione Europea in collaborazione con la rivista Internazionale. Nel 2009 ha pubblicato il fortunato “Come una specie di sorriso” (Stampa Alternativa), attraverso cui si è misurato con i temi più cari a Fabrizio De André interpretando in 15 tavole alcune delle canzoni più celebri del cantautore. A seguito della mostra personale ospitata dal Museo della satira di Forte dei Marmi, nel 2012 è uscito il volume “Chi semina racconta” che raccoglie il meglio della sua produzione, edito dall'associazione culturale Altrinformazione nella collana "I libri di Mamma!" (http://www.mamma.am/maurobiani)
Mauro Biani, è vignettista, illustratore, scultore. E’ inoltre educatore professionale per ragazzi disabili mentali, presso un centro specializzato. I suoi disegni hanno fatto il giro del mondo su carta stampata, sul web e in mostre personali e collettive. E’ stato vignettista di Liberazione, per cui ha anche curato l’inserto satirico Paparazzin e attualmente collabora come free lance con riviste e quotidiani nazionali e internazionali, organi di informazione indipendenti e riviste del terzo settore. Fa parte del gruppo internazionale “Cartooning for Peace”, sotto l’Alto Patrocinio dell’ONU. E’ uno dei fondatori di “Mamma!”, rivista di satira, giornalismo e fumetti. Ha ricevuto il XXXV Premio di Satira Politica nel 2007 il premio per la miglior vignetta europea del 2011, istituito alla Rappresentanza italiana della Commissione Europea in collaborazione con la rivista Internazionale. Nel 2009 ha pubblicato il fortunato “Come una specie di sorriso” (Stampa Alternativa), attraverso cui si è misurato con i temi più cari a Fabrizio De André interpretando in 15 tavole alcune delle canzoni più celebri del cantautore. A seguito della mostra personale ospitata dal Museo della satira di Forte dei Marmi, nel 2012 è uscito il volume “Chi semina racconta” che raccoglie il meglio della sua produzione, edito dall’associazione culturale Altrinformazione nella collana “I libri di Mamma!” (http://www.mamma.am/maurobiani)
ultimi vincitori del Premio sono stati Don Luigi Ciotti, Fondatore del Gruppo Abele e di Libera e a Christoph Baker, Scrittore e Consulente Internazionale Unicef.

Il Premio – che ha cadenza biennale – viene assegnato a personaggi che si sono impegnati a far sì che le modalità di soluzione dei conflitti non violente possano essere sempre più conosciute e realizzate nel quotidiano. Il destino del premio Nonviolenza è strettamente legato al Premio Nazionale “Cultura della Pace-Città di Sansepolcro” nato nel 1992 grazie all’iniziativa del Comitato Promotore per l’Obiezione di Coscienza (oggi Associazione Cultura della Pace) e che quest’anno è assegnato all’attore Marco Paolini. La premiazione si terrà
sabato 16 Febbraio 2013 alle ore 16.00 a Sansepolcro (AR), presso il Teatro INPDAP e sarà preceduto da un incontro con gli studenti delle scuole superiori, alle ore 11.30.

In occasione dell’assegnazione del premio, inoltre, si terranno due mostre personali di Mauro Biani: una a Città di Castello dal 9 al 16 febbraio 2013 presso Palazzo del Podestà e l’altra dal 16 al 23 febbraio 2013 presso Palazzo Pretorio di Sansepolcro, organizzate in collaborazione con l’Associazione “Amici del fumetto” di Città di Castello. (Beh, buona giornata).

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Attualità democrazia libertà, informazione, pluralismo, Movimenti politici e sociali Politica Società e costume

Campagna elettorale: le frecciate di Carlo Freccero.

Freccero: "Grillo non è articolato, né argomentativo. Non è un teorico, né un ideologo. Se deve sostenere una discussione approfondita, probabilmente perde. Ma e’ il nostro sismografo. Se si guardano attentamente le oscillazioni, siamo di fronte a un terremoto".
Freccero: “Grillo non è articolato, né argomentativo. Non è un teorico, né un ideologo. Se deve sostenere una discussione approfondita, probabilmente perde. Ma e’ il nostro sismografo. Se si guardano attentamente le oscillazioni, siamo di fronte a un terremoto”.
di Luca Casarini (rifondazione.it)

Ho ascoltato Carlo Freccero in Tv, già dopo aver letto alcune sue interviste, e mi sono deciso a chiamarlo. Mi è sembrato uno dei pochi “lucidi” ed interessanti sulla visione del panorama politico pre elettorale italiano. Già il fatto che sia un grande studioso ed esperto di comunicazione e in particolare di quella televisiva, mi fa pensare che solo attraverso questa chiave si può ormai affrontare il nodo del voto…gliel’ho chiesto all’inizio:

Freccero: Nel nostro paese la tv è lo strumento principe della formazione del consenso. E questo la dice lunga su quanto poco in realtà valgano i “programmi” dei partiti. Conta chi sa starci dentro, e una tv generalista, con i suoi talk show e siparietti, è quanto di più lontano possa esistere dal ragionamento. Il 78% degli italiani usa questa tv per orientarsi al voto. Di questa stragrande maggioranza ben dodici milioni, usano solo e solamente quella. Berlusconi lo sa e infatti punta a quello. Si afferma come il prototipo massimo della commedia all’italiana e in confronto a Monti è come vedere da una parte l’Alberto Sordi de“il sorpasso” e dall’altra un Max Von Sidow ne “Il Settimo Sigillo” di Bergman. Da una parte la barzelletta, la cialtroneria spaccona, l’arcitaliano aapunto, e dall’altra un film svedese in bianco e nero di un regista luterano.

Monti sta tentando di cambiare personaggio: parla del nipotino, sorride, promette…

Freccero: Monti cerca di fare il comico, ora, ma non può riuscirci: lui, come figura politica, è nato dallo shock, dalla paura: prova a far ridere, con il copione che gli detta David Axelrod il suo consulente di immagine americano, ma non può riuscirci. Uno che ha fatto passare le pene dell’inferno a tutti, quello del terrore del crollo, del baratro, come può pensare adesso di diventare “pop”? E Berlusconi, che certo non riuscirà a far dimenticare tutto, però si avvantaggia, proprio grazie a Monti. Credetemi, nel quadro della politica spettacolo, dell’audience/consenso, Monti favorisce Berlusconi e Grillo invece penalizza Berlusconi, perché raccoglie anche una parte dei delusi del Pdl, che sono il vero obiettivo del cavaliere.

Dopodichè c’è il Pd, il centrosinistra…

Freccero: E che dire? Allargo le braccia…come si fa a star dietro, se ci si candida ad essere alternativi, a questa follia? Il pensiero unico domina totalmente. Lo spiega Monti, per il quale la democrazia consisterebbe nel tagliare gli estremi per convergere tutti, appassionatamente, verso il centro. Un’immagine orribile, inquietante, il contrario esatto con il concetto di pluralismo e differenze con i quali è cresciuta la mia generazione. E invece il Pd accetta il gioco, lo teorizza, ci sta. E balbetta, tra il comico e il serioso, tra Alberto Sordi e Max Von Sidow…

In tutto questo un comico di professione c’è…

Freccero:In effetti. Quello che arriverà terzo. Prima di Monti, dopo Berlusconi che sarà sorpassato alla Camera dal Pd. Ma quel terzo posto non avrà il peso dell’ultimo gradino sul podio, dobbiamo farci attenzione. E’ un fenomeno problematico, ma sarebbe sbagliato non cogliere le caratteristiche dello spazio politico che sarah ferguson cthru pokies va a ricoprire. Ad esempio Grillo punta su internet e non va ai Talk. Strategia perfetta per chi sa come funziona la finta democrazia, trappola, della tv generalista. E’radicale, sceglie e decide una parte, non tutte. E ad esempio si rivolge a chi usa internet e cioè il 40% dei cittadini ma soprattutto i giovani che dai 14 ai 29 anni lo usano moltissimo. Ricordiamoci, e le metafore sono quello che conta per chi comunica, che internet è anche lo strumento contemporaneo delle rivoluzioni. Questa scelta poi gli consente di “rimbalzare” nella Tv, perché parlano di lui proprio perché egli si sottrae e crea suspence, audience. E quindi, rifiutando la Tv e i siparietti, vi irrompe più degli altri. Ciò lo fa risultare più simpatico al “popolo”, che per il 65% lo considera più efficace e coinvolgente come leader e come messaggio. Grillo ha conosciuto e lavorato con Coluche, e dal comico francese che per lottare contro il pensiero unico ipotizzò persino di candidarsi alle presidenziali, fu segnato. C’è molto del Coluche di allora in Grillo.

Nella società dello spettacolo in effetti i comici bravi sono avantaggiati…

Freccero: La comicità è una forma di verità. Una critica immediata, diretta, che non concede chance e può distruggere in poche battute avversari e partiti. Berlusconi e il suo editto bulgaro poi, l’hanno enormemente valorizzata.
Io dico che insieme ad una valutazione problematica, con tutte le criticità che vogliamo su ciò che Grillo ha messo in moto, non possiamo non vedere che lui è arrivato a colmare un vuoto, perché l’offerta politica italiana è terribilmente desolante. Non si può valutare Grillo senza rendersi conto cosa di cosa c’è attorno. Di come ad esempio nessuno risponda alla richiesta di un cambiare rotta rispetto alla degenerazione della politica dei professionisti, dei privilegi, della corruzione. Oppure di come Grillo rappresenti in qualche modo quella rottura con il sistema che ormai la maggioranza o tollera o subisce. O teme o odia. Ormai il discorso politico ha perso ogni passione nelle elezioni: si vota valutando chi è il meno peggio, ma dove sta il phatos, l’ideale, l’utopia, il combattimento? La politica somiglia sempre più a un’assemblea di condominio e ha sepolto ogni afrore rivoluzionario, in tutte le sue forme. Però quando giornali come il New York Timeshanno parlato di Grillo, l’hanno fatto in termini di novità. Non lo sottovalutate. Mi ripeto. Non è antipolitica, ma al limite, a-politica.

Un populismo digitale moralizzatore?

Freccero:La denuncia della corruzione non basta. Per invertire la congiuntura economica, la moralizzazione grillesca è insufficente. Ma coglie un aspetto fondamentale, che gli altri non osano affrontare per paura di essere “esclusi” dal loro giocattolino. La verità è che bisognerebbe prima o poi prendere sul serio l’idea che se identifichiamo la politica con la liberazione dell’individuo dalle limitazioni che gli impediscono di conseguire il massimo profitto individuale, non dobbiamo meravigliarci poi che chi ha raggiunto un minimo di potere lo utilizzi per i propri interessi. E’ un tema globale, legato all’ideologia neoliberista, e in Italia si è sovrapposto alla nostra “genetica” arte di arrangiarsi. Grillo non è articolato, né argomentativo. Non è un teorico, né un ideologo. Se deve sostenere una discussione approfondita, probabilmente perde. Ma e’ il nostro sismografo. Se si guardano attentamente le oscillazioni, siamo di fronte a un terremoto.(Beh, buona giornata).

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20111023-165947.jpgQuesto mese “Beh, buona giornata” ha superato i novantamila visitatori. Secondo i nostri analitics, ecco la situazione:

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Attualità Cinema Cultura

Quella hippie venuta dal caldo.

di RICCARDO TAVANI

La domestica dei fratelli Karamazov dà il nome a questa città cui s’intitola il lavoro di Larry Clark. Qui passa il treno, al confine con il Messico.

Il treno, dice Giuseppe Di Giacomo, è in questo film uno di quei personaggi che non parlano ma sono lo sfondo stesso della narrazione. Il treno di Larry Clark passa soltanto e non si ferma mai a Marfa. Passando, scopre la linea dei binari. È una linea di confine, una frontiera, non tanto geografica, quella tra Texas e Mexico, quanto tra storia e mito, tra racconto e natura, tra tempo e atemporalità. Il treno è la Storia; Marfa è una natura desertica, abbandonata nella sua polvere secca, nei suoi spogli prefabbricati monofamiliari tra gli steccati e le recinzioni, nei suoi riti meticci, erotici, allucinogeni.

Adam a sedici anni si trova a camminare sulle traversine di questi binari, di questo confine nudo che sferragliando gli passa dentro, minacciando di schiacciarlo. Adam è anch’egli meticcio, figlio di una yankee bionda e di un messicano, del quale, però, non sappiamo niente. Adam, come gli altri personaggi del film che gli ruotano attorno, non ha passato, è davvero il primo Uomo di questo Eden dai tramonti rosso fuoco nell’immobilità e ripetitività del non tempo, del non racconto, dell’oblio della Storia. Senza passato e senza futuro. Le uniche storie che in modo struggente si raccontano sono quelle di gatti e volatili, di cani che sbranano uomini al pari di volpi nel deserto edenico di Marfa. Anche le cure del corpo e dello spirito sembrano affidate alla ritualità india che la giovane messicana Tina ha ricevuto in eredità dal padre e questi dagli avi, dalla tradizione.

Lo stesso stile cinematografico elaborato dal regista, nota Di Giacomo, è insolito e inizialmente disorientante, proprio perché non ha a che fare con una narrazione, con una trama classica. La macchina da presa scorre fluidamente, senza cadenze ritmiche ben scandite, da una situazione all’altra del ciclo ripetitivo di Marfa, tra sesso, musica, pittura di nudi, cannabis e peyote.

In streaming con il filosofo
Giuseppe Di Giacomo commenta il film di Larry Clark “Marfa Girl”, vincitore del Festival Internazionale di Roma.
In streaming con il filosofo
Giuseppe Di Giacomo commenta il film di Larry Clark “Marfa Girl”, vincitore del Festival Internazionale di Roma.
Questa volta al filosofo non abbiamo chiesto di en- trare in una sala cinematografica ma di collegarsi in streaming a un sito web: larryclark.com. Unico modo di vedere, a pagamento, il film vincitore del Festival di Roma. Per Giuseppe Di Giacomo, ordi- nario di Estetica a La Sapienza di Roma, entrare in contatto con i giovani significa incontrarli durante le sue affollate lezioni nell’Aula I di Filosofia a Villa Mirafiori, saggiarne l’attenzione, coglierne visivamente le reazioni durante i passaggi più problematici dei testi studiati. Connettersi al sito del regista di Marfa Girl significa, invece, mettersi virtualmente in streaming insieme a migliaia di giovani sconosciuti e dislocati in chissà quali angoli del pianeta. Nel 1881 il treno si fermava in questo posto desertico e ancora senza un nome solo per fare rifornimento d’acqua, eppure la moglie del cantoniere, a un solo anno di distanza dalla sua uscita in Russia, già leggeva il capolavoro di Do- stoevskij, altro scrittore citatissimo nelle lezioni di Di Giacomo. Ignatievna Marfa, la domestica dei Karamazov, finisce allora per dare un’identità a un luogo anonimo e remoto. Le ragazze e i ragazzi di oggi sono i protagonisti del film di Clark e, così come diversa è stata la forma cinematografica del film e i contenuti in essa sedimentati, Larry Clark ha voluto che fosse diverso anche il modo di ve- derlo. Girato con macchine da presa digitali, il film non ha ancora una distribuzione nelle sale, perché Larry ha deciso che i giovani se lo vedessero dove a loro piace di più, ovvero sullo schermo di un porta- tile o di un tablet. Al costo di 5.99 dollari, ovvero di circa 4 euro e mezzo, il film può essere visto e rivi- sto, sviscerato e memorizzato in scene e dialoghi per un’intera giornata. In uno spirito simile. L’arti- colo che qui pubblichiamo non è un semplice pezzo giornalistico ma una prosecuzione con altri mezzi del mestiere di maestro che Di Giacomo semina con la voce e il pensiero tra i ragazzi che si succe- dono da ogni nuovo angolo del tempo, al confine tra l’arte e la filosofia, il cinema e la letteratura, la musica e la pittura.
Questa volta al filosofo non abbiamo chiesto di en- trare in una sala cinematografica ma di collegarsi in streaming a un sito web: larryclark.com. Unico modo di vedere, a pagamento, il film vincitore del Festival di Roma. Per Giuseppe Di Giacomo, ordi- nario di Estetica a La Sapienza di Roma, entrare in contatto con i giovani significa incontrarli durante le sue affollate lezioni nell’Aula I di Filosofia a Villa Mirafiori, saggiarne l’attenzione, coglierne visivamente le reazioni durante i passaggi più problematici dei testi studiati. Connettersi al sito del regista di Marfa Girl significa, invece, mettersi virtualmente in streaming insieme a migliaia di giovani sconosciuti e dislocati in chissà quali angoli del pianeta. Nel 1881 il treno si fermava in questo posto desertico e ancora senza un nome solo per fare rifornimento d’acqua, eppure la moglie del cantoniere, a un solo anno di distanza dalla sua uscita in Russia, già leggeva il capolavoro di Do- stoevskij, altro scrittore citatissimo nelle lezioni di Di Giacomo. Ignatievna Marfa, la domestica dei Karamazov, finisce allora per dare un’identità a un luogo anonimo e remoto. Le ragazze e i ragazzi di oggi sono i protagonisti del film di Clark e, così come diversa è stata la forma cinematografica del film e i contenuti in essa sedimentati, Larry Clark ha voluto che fosse diverso anche il modo di ve- derlo. Girato con macchine da presa digitali, il film non ha ancora una distribuzione nelle sale, perché Larry ha deciso che i giovani se lo vedessero dove a loro piace di più, ovvero sullo schermo di un porta- tile o di un tablet. Al costo di 5.99 dollari, ovvero di circa 4 euro e mezzo, il film può essere visto e rivi- sto, sviscerato e memorizzato in scene e dialoghi per un’intera giornata. In uno spirito simile. L’arti- colo che qui pubblichiamo non è un semplice pezzo giornalistico ma una prosecuzione con altri mezzi del mestiere di maestro che Di Giacomo semina con la voce e il pensiero tra i ragazzi che si succe- dono da ogni nuovo angolo del tempo, al confine tra l’arte e la filosofia, il cinema e la letteratura, la musica e la pittura.

Essere al confine della Storia, avverte Di Giacomo, non significa esserne completamente fuori, ma subire da essa un attraversamento, il quale non lascia dietro di sé soltanto la linea dei binari vuota, bensì residua qualcosa che turba l’equilibrio ciclico naturale. Il sedimento, per il fatto stesso di apparire come un improvviso, un imprevisto nella staticità atemporale di Marfa, non può che accadere, irrompere in forma di violenza. Tom, il poliziotto di frontiera bianco, è per Di Giacomo, questo elemento. (Beh, buona giornata)

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