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La morte e la fanciulla (mia figlia).

A proposito di “Quel altro undici settembre, Martina mi ha scritto il commento che segue: “Il Cile è un bel problema. Io ho un problema con il Cile. Era un paese maturo, al punto che la propaganda feroce non riusciva a togliere dignità alla democrazia (Allende rieletto ne è il simbolo). E questo esempio di […]

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A proposito di “Quel altro undici settembre, Martina mi ha scritto il commento che segue:

“Il Cile è un bel problema. Io ho un problema con il Cile. Era un paese maturo, al punto che la propaganda feroce non riusciva a togliere dignità alla democrazia (Allende rieletto ne è il simbolo). E questo esempio di democrazia così inaccettabile per “il mondo libero” urla nelle mie orecchie fino a far esplodere i timpani. L’Italia di più di trent’anni dopo non è un paese altrettanto maturo, se la politica non è libera di dire ciò che ritiene giusto, ma dice solo ciò che ritiene accettabile per il pubblico consumatore. Lo so che le mie parole hanno il sapore di manifesti affumicati dalle sigarette in assemblea, che a leggere sembra di vedere “compagni” su sedie dure che si interrogano sulle azioni di lotta, insomma, hanno il gusto antico di un’ideologia superata. Ma la verità è che la giustizia è una cosa semplice. Cosa fa Allende di pericoloso? Dà latte e quaderni a tutti i figli. Mi sembra un’idea semplice e giusta. Non mi sembra un progetto criminale. E i Cileni, mandando i figli a scuola, se ne fregano dell’inflazione. E continuano a credere nel progetto. Questa è maturità. Capire la differenza tra sostanza e propaganda. Noi non ne siamo capaci. Ditemi voi se a pensarci, non vi viene uno sconforto micidiale. E’ questo il mio problema con il Cile.”

Una volta ero in vacanza con la più piccola delle mie figlie. Ho scambiato due parole con un uomo, che come me assisteva alla lezione di equitazione, in un maneggio di campagna. Quando, riconoscendo dalle sue parole un accento vagamente latino- americano, gli chiesi di dove era, egli mi disse sono cileno. Resomi conto dalla mia domanda banale, mi sentii dire:”Spero che lei non abbia sofferto molto”. E lui mi guardò e con gli occhi improvvisamente assenti mi disse: “Sono l’unico vivo della mia classe del liceo.”

Mi raccontò, in piedi, con i gomiti appoggiati alla staccionata del maneggio, che nell’estate del 1973 fece con la famiglia un viaggio in Europa, e si trovava in Italia l’11 settembre del 1973. A questo semplice fatto doveva la sua vita e il matrimonio con una studentessa italiana e la ragione per la quale sua figlia poteva andare a cavallo con la mia. Poi cambiò discorso, come si fosse svegliato da un incubo.

Molti studenti cileni ebbero asilo politica in Italia, in quei maledetti anni. Gli Inti Illimani erano in Italia e si salvarono, Victor Jara fu preso e fatto a pezzi a colpi di machete dai militari di Pinochet.

Luis Sepùlveda, militante di Green Peace, imprigionato nello stadio di Santiago, fu scambiato con due spie americane, catturate nella Germania dell’est. Lo scambio avvenne al Check-point Charlie, a Berlino. Rifugiò in Svezia e poi si trasferì ad Amburgo dove sposò una fanciulla tedesca, dalla quale ebbe due figli. Ai quali raccontò la storia della gabbanella e il gatto, che poi divenne un libro, che poi divenne un film.

Un giorno rincontrò la sua fidanzata, quella che aveva in Cile, prima di essere arrestato. La credeva morta sotto le torture. Anche i suoi aguzzini lo credettero, tanto che la buttarono nuda in un discarica alla periferia di Santiago. Fu ritrovata dai famigliari.

Sepùlveda aveva sempre detto che non avrebbe mai più messo piede in Cile, non avrebbe potuto sopportare di incontrare uno dei torturatori di Pinochet, liberi per le vie di Santiago.

Sepùlveda, come succede agli scrittori è stato preveggente. Pinochet e i suoi famigliari vivono ancora in Cile, anche se sono sottoposti a una indagine della magistratura, per via di alcuni milioni di dollari che hanno messo da parte, all’estero, sfuggendo al fisco.
Una volta Pinochet fu arrestato a Londra anni fa, per via di un mandato di cattura del giudice Garzon, che a Madrid aveva aperto un fascicolo sulla scomparsa di alcuni cittadini spagnoli in Cile, durante il golpe. Una corte di giustizia inglese liberò Pinochet perché malato, era costretto in carrozzella. Pinochet in carrozzella salì sull’aereo che lo portò in Cile. All’aeroporto di Santiago, Pinochet si alzò dalla carrozzella e passò in rassegna un drappello di militari, che gli attribuivano gli onori.

Quanto a Sepùlveda, oggi lui e lei vivono insieme, redivivi in Spagna.

Oltre a massacrare, come in una nuova “soluzione finale”, migliaia di militanti o i simpatizzanti o gli amici dei simpatizzanti del governo Allende, il piano Condor prevedeva il rapimento e l’adozione forzata dei bambini dei prigionieri. Una pulizia etnico-politica a futura memoria. Quei bambini furono dati in adozione ai militari della Giunta. Oggi, ancora oggi, nelle strade delle città del Sud America, ci sono le mamme dei desaparecidos che vogliono sapere dove sono stati buttati i corpi dei loro figli e quali cognomi hanno oggi i loro nipoti.

Il tutto fu giustificato negli Usa, che sponsorizzarono i colpi di stato nel continente e sperimentarono le tecniche di sequestro e di tortura, in nome della sicurezza nazionale e della lotta contro il terrorismo. Stiamo parlando degli anni in cui George Bush padre era il capo della Cia, prima di diventare il vice presidente con Regan e poi egli stesso il presidente degli Usa.

Durante una trasmissione televisiva italiana, la sera dell’11 settembre ultimo scorso, Jas Gawronski si diceva indignato delle illazioni dei “complottisti” che mettono in discussione la verità sull’attacco alle Torri Gemelle. Oggi Gawronski è eurodeputato per Forza Italia. All’epoca dell’altro 11 settembre era corrispondente Rai da New York e non ha mai messo in discussione le versioni ufficiali date dalla Casa Bianca. Chi è abituato a chiudere gli occhi, non ha nessuna intenzione di aprirli. Ecco perché c’è una drammatica similitudine, non solo del calendario, tra l’11 settembre del 73 e quello del 2001.

Quando nel suo commento Martina dice che la vicenda del Cile le disturba l’esistenza, coglie nel segno, molto più in profondità di quanto lei stessa non creda.

Nel 1973, in quel 11 settembre in Cile, avevo 18 anni. Se invece che in Italia fossi venuto al mondo in Cile o in Argentina o in Brasile o nella Grecia dei colonnelli o nelle Turchia del regime militare o in Viet-Nan o semplicemente nelle Spagna di Franco io oggi, probabilmente non sarei vivo.

E tu Martina, figlia mia,nata cinque anni dopo l’11 settembre del 73 non saresti nata. Né io avrei incontrato il padre della coetanea di tua sorella, in un maneggio, anche lui vivo per il caso voluto dal caso. Né avrei potuto leggere il tuo commento.

Ti ricordi di quel pomeriggio di qualche anno fa, quando andammo a vedere insieme “La morte e la fanciulla” di Roman Polanski, e che poi decidemmo di non andare a vedere nessun altro film per quel giorno?
E’ esattamente l’effetto che mi hanno fatto le tue righe di commento. Beh, buona giornata.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

Una risposta su “La morte e la fanciulla (mia figlia).”

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