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Violenza sulle donne:”La rabbia, il desiderio di vendetta, sono una sana reazione. Ma per la condanna c’è la giustizia.”

di Anna Maria Sersale  da ilmessaggero.it

Lo stupro è un’azione odiosa e spregevole. Nasce dalla cultura della forza, del dominio, del possesso. Umilia e lacera nel profondo. Ne parliamo con Anna Costanza Baldry, studiosa delle violenze inferte alle donne, psicologa e criminologa alla II Università di Napoli e membro del direttivo di “Differenza donna”, l’associazione che coordina Centri anti-violenza tra Roma e provincia, di cui il primo fondato nel ’92.

Baldry, dopo lo stupro che cosa prova una donna?
«Subire un’aggressione sessuale è devastante, che si tratti di un’adolescente o di una persona adulta. Molte delle vittime parlano di una situazione di morte, lo stupro viene paragonato alla morte. E non importa chi è lo stupratore: se è una persona che hai conosciuto e di cui ti sei fidata o lo sconosciuto che ti bracca. Fatta da uno o più maschi, è una violenza che non ha nulla di sessuale, è una violenza di genere, nel senso che è contro la donna».

Che cosa fa scattare la violenza?
«Ci possono essere forme di perversione o l’uso di sostanze droganti, che eliminano i freni inibitori, ma di solito dietro lo stupro c’è la volontà di dominio, il potere, lo sfregio, la volontà di lasciare il marchio. La cultura misogina di chi impone: “ora questa la posseggo io”».

Quali sono le conseguenze?
«La vittima si sente colpita nell’intimità, nel privato da un potere brutale. I danni non si possono misurare con la gravità del danno fisico, vanno ben oltre. E’ una lacerazione profonda dell’anima e del corpo».

Che cosa può lenire una simile tragedia?
«Mai pensare di avere sbagliato, mai crearsi delle colpe (sono andata nel posto sbagliato, non ho urlato abbastanza e così via). La cosa importante è denunciare l’aggressione, questo sì. Ed è importante affidarsi a persone specializzate, che possono fornire sostegno psicologico e aiuto per l’iter legale. Nè bisogna sentirsi deboli se ci si affida a un percorso di psicoterapia. Anzi, il contrario. Riconoscere a se stessi la possibilità di chiedere aiuto è un atto di coraggio che tiene lontano da un altro pericolo, quello di voler dimenticare e rimuovere senza essere usciti dall’incubo».

Possono restare dei segni per il resto della vita?
«Si può uscire da tutto questo, non è detto che la vita di una vittima resti segnata in modo ineluttabile. Bisogna riprendere il dominio di sé, parlare di quello che è accaduto. Bisogna liberarsi del ruolo di vittima, non è facile, ma ci si può riuscire, altrimenti permetti a quel bruto di continuare a distruggere la tua vita. La rabbia, il desiderio di vendetta, sono una sana reazione. Ma per la condanna c’è la giustizia». (Beh, buona giornata).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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