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Crisi del Pd: “prolungare l’agonia o incidere il bubbone? “

 

di Michele Salvati da corriere.it

 

Sabato 21 febbraio, domani, è convocata alla Fiera di Roma l’Assemblea Costituente del Partito Democratico per «adempimenti statutari a norma dell’articolo tre, comma due», come dice l’unico punto dell’ordine del giorno. Traduco: avendo Veltroni dato le dimissioni prima della fine del suo mandato, l’assemblea si riunisce per decidere se «eleggere un nuovo segretario per la parte restante del mandato ovvero determinare lo scioglimento anticipato dell’assemblea stessa». In questo secondo caso, l’elezione di un nuovo segretario e di una nuova assemblea devono avvenire secondo la complicata procedura dell’articolo 9: la presentazione e una prima selezione delle candidature a segretario, e dei membri dell’assemblea a lui collegati, davanti agli iscritti al partito, e poi l’elezione-ballottaggio mediante primarie cui partecipano tutti gli elettori registrati in un apposito albo.
Traduco ancora l’alternativa: prendere tempo nominando un reggente o cercare subito un nuovo segretario legittimato dal voto popolare? Uno più malizioso di me ritradurrebbe: prolungare l’agonia o incidere il bubbone? Come capita in molti casi che riguardano persone, in scelte dolorose che alcuni lettori avranno purtroppo dovuto compiere per i loro cari, ci sono buoni motivi sia per l’una che per l’altra soluzione. L’agonia, il prendere tempo, potrebbe condurre a continue sofferenze e alla morte, ma anche ad una guarigione o ad una stabilizzazione della malattia: fuor di metafora, ad una ripresa dei consensi o ad una stabilizzazione delle perdite già subite — la discesa al 24/25% — nelle prossime elezioni europee.

Si aggiunga che le dimissioni di Veltroni hanno colto il partito di sorpresa e in molte realtà impreparato rispetto agli adempimenti statutari previsti (liste di iscritti e albi di elettori); che devono essere scelti nelle prossime settimane i candidati per le elezioni europee e in alcune realtà anche per importanti elezioni locali.

Un complicato processo elettorale, il tempo che assorbirebbe, i conflitti che susciterebbe nel partito, interferirebbero pesantemente con le campagne elettorali, dando agli elettori un’immagine di affanno e di disunione. Altro che stabilizzazione della malattia! I consensi potrebbero calare di molto, se pure al termine del processo di elezione del segretario e dell’assemblea esisterà ancora un Partito Democratico capace di raccoglierli. Tutto comprensibile, tutto ragionevole. Ma di ragionevolezza, in situazioni di emergenza, si può anche morire. Se un segretario con un’investitura plebiscitaria si è sentito soffocato dalla cupola dei capi-corrente, come può il suo vice — persona che stimo ma che non ha ricevuto un’investitura popolare — riuscire a stabilizzare o a rilanciare il partito nell’immagine degli elettori?

Sarebbe soltanto il portavoce delle mediazioni — sulle candidature, sulla linea politica da adottare in parlamento e nelle realtà locali, sull’immagine del partito — che i capi-corrente raggiungono nelle segrete stanze, e così apparirebbe agli elettori. Il Pd è nato da un grande progetto: dalla convinzione che un sistema bipolare — in cui i partiti non fanno e disfano i governi in parlamento, ma sono gli elettori a sceglierli — è un sistema più democratico di quello della Prima Repubblica, dove avveniva il contrario; e dalla scommessa che era possibile fondere in un partito vero, con un’anima e una forte identità, le tradizioni riformistiche laiche e cattoliche la cui passata divisione tanti danni aveva prodotto alla società e all’economia di questo Paese.

È del tutto legittimo, forse persino ragionevole, non credere in questo progetto, come non ci credono Tabacci e Casini, o non ci credono Ferrero o Vendola. Ma costoro stanno in altri partiti, mentre molti che la pensano nello stesso modo sono influenti capi-corrente del Partito Democratico: esattamente come i leader dell’Udc e del Prc, non credono né al bipolarismo, né alla possibilità di fusione. Non ci credono e, tramite continue polemiche e pretesti — e soprattutto esasperando il conflitto laici-cattolici — inducono anche il popolo di centrosinistra a non crederci. Di qui la confusione, la mancanza di identità. Di qui lo smottamento dell’elettorato, uno smottamento che si accentuerebbe con una reggenza assediata da capi-corrente. Credo che gli elettori, il popolo di centrosinistra, abbia diritto ad un chiarimento. Non voglia aspettare di essere «rimandato a ottobre». Un ottobre dove si troverà di fronte un’altra pappa plebiscitaria preconfezionata dai capi-corrente, com’è stata quella di Veltroni, che però, almeno, al progetto credeva.

Naturalmente un congresso è rischioso: rischio di spaccatura o rischio, ancor peggiore, di mancato chiarimento. Ma ai politici è sempre bene ricordare l’apologo brechtiano del Gotama Budda e della casa in fiamme: «Maestro — accorrono trafelati i discepoli — la casa è in fiamme ma gli abitanti non vogliono uscire: perderebbero i loro beni e poi fuori fa freddo». Risponde il Budda: «Chi non si accorge del pericolo, merita di morire». (Beh, buona giornata).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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