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L’emendamento anti-internet di D’Alia:”noi italiani dobbiamo sempre distinguerci, anche nelle misure illibertarie e stupide al tempo stesso.”

di Carlo Gubitosa – da giornalismi.info
E’ impossibile mettere un bavaglio politico alla rete: per un sito che viene chiuso in una Repubblica delle Banane, altri mille siti in altri cento paesi del mondo sono disposti ad ospitarne i contenuti ritenuti “scomodi” da una miope legislazione nazionale.

Un provvedimento inutile per reprimere reati affida al ministero dell’Interno il potere di oscurare interi servizi web.

Per questa ragione ogni tentativo di normare la comunicazione dal basso piu’ che un bavaglio e’ solo un “bavaglino”, come quelli che si mettono ai bambini per contrastare il loro istinto naturale di giocare col cibo, sperimentando, manipolando e lanciando tutto quello che gli passa per le mani e per la bocca.

E i bavaglini sono solo palliativi inutili, come ben sa chi ha scoperto a sue spese che nonostante i nostri sforzi i bambini riescono comunque a sporcare seggiolone, genitori, tavola e pareti.

Anche i tentativi di regolamentare una tecnologia intrinsecamente libertaria e creativa come internet sono pezze colorate che non potranno fermare con un colpo di penna la forza inarrestabile della comunicazione sociale, che segue tempi, regole e dinamiche di evoluzione non governabili per legge, nonostante il pugno dei governi cerchi da sempre di stringersi attorno alla sabbia della comunicazione orizzontale. Ma la sabbia si sposta altrove, e le mani dei governi restano vuote.

Inizialmente si e’ cercato di affermare la responsabilita’ dei fornitori dei servizi internet, obbligandoli a controllare tutti i siti che ospitano come se le compagnie telefoniche fossero responsabili dei reati organizzati con una telefonata. Poi questo principio e’ diventato talmente assurdo da essere comprensibile perfino a un parlamentare.

Poi si e’ maldestramente provato ad equiparare ogni pagina web ad una testata giornalistica, col risultato tragicomico di veder oscurato un sito sciocchino pieno di bestemmie su Padre Pio (Vedi http://beta.vita.it/news/view/3208/ ), ma solo dopo averlo elevato al rango di “prodotto editoriale”, come se fosse stato il Corriere della Sera e non un banale sfogo anticlericale.

Ora c’e’ la cosiddetta “dottrina Sarkozy”, che chiude i rubinetti della rete agli “utenti cattivi” e sta prendendo piede in vari paesi europei per minacciare e criminalizzare tutti quelli che condividono materiali culturali in rete senza guadagnarci un centesimo, proprio come fanno le biblioteche pubbliche, ma pagando di tasca propria i costi di connessione e delle bollette telefoniche.

Ma noi italiani dobbiamo sempre distinguerci, anche nelle misure illibertarie e stupide al tempo stesso. Ed ecco quindi l’ultimo “bavaglino politico” con cui si e’ cercato di piegare la rete alla visione di un singolo: l’articolo 50-bis del Ddl n° 773 gia’ approvato dal Senato, un emendamento del pacchetto sicurezza varato dal governo e presentato dal senatore Udc Gianpiero D’Alia, che a suo dire servirebbe a reprimere l’utilizzo di internet per commettere reati di opinione.

Alcune bestialita’ saltano subito all’occhio gia’ dalla prima lettura: se c’e’ una apologia di reato su una pagina web si oscura tutto il sito (un po’ come oscurare tutte le reti Mediaset perche’ hanno esaltato in una specifica trasmissione l’eroismo del mafioso Vittorio Mangano) e non e’ la magistratura che dispone “l’interruzione dell’attivita'” di un sito, ma il ministero dell’Interno con apposito decreto.

Il tutto con una formulazione talmente vaga da lasciare ampi e prevedibili margini di discrezionalita’ politica al “censore” di turno, che a seconda dei suoi orientamenti decidera’ se censurare “da destra” i filmati violenti e sanguinari che mostrano i reati commessi dai poliziotti durante il G8 genovese del 2001, oppure oscurare “da sinistra” i siti padani quando fanno apologia di reato inneggiando alla rivolta armata secessionista. Ce n’e’ per tutti i gusti.

Intervistato da Alessandro Gilioli (L’Espresso), D’Alia ha spiegato che secondo lui quando un video sconveniente fa capolino su youtube bisognerebbe oscurare tutto il servizio. Affermazioni sufficienti a scatenare la protesta del popolo della rete e di chi ha sottratto alla lobotomia televisiva i neuroni sufficienti a leggere e capire una norma scritta male.

Ma il senatore ha ribadito le convinzioni espresse a Giglioli con una lettera indirizzata a Vittorio Zambardino di Repubblica.It, in cui afferma che rifiutare il suo emendamento equivale a “legittimare gli insulti, le nefandezze di cui è già piena la nostra società reale” e concedere “diritto di parola di chi incita alla mafia, al terrorismo, alla violenza, alla pedofilia, agli stupri di gruppo”.

Ma nel testo dell’emendamento si parla di “delitti di apologia di reato, previsti dal codice penale o da altre disposizioni penali”, e allora se sono gia’ previsti dal codice e puniti dalla magistratura, che bisogno c’e’ di reprimerli anche con l’azione discrezionale del Ministro dell’Interno?

Questo dubbio e’ sollevato anche dalla dettagliata analisi giuridica di questo stupido bavaglino giuridico fatta da Elvira Berlingieri sulle pagine di Apogeonline (http://www.apogeonline.com/webzine/2009/02/11/fact-check-il-50-bis-secondo-dalia) in cui si afferma che tutte le brutture descritte dal senatore sono gia’ sanzionate “da adeguati strumenti già presenti nel nostro ordinamento”, e al tempo stesso “la pericolosità sociale dei reati individuati dall’articolo 50-bis sembra sproporzionata agli effetti che la norma potrebbe perseguire”.

Tra i “delitti contro l’ordine pubblico” puniti dal codice penale, c’e’ anche l'”istigazione a delinquere” (art. 414) che punisce con la reclusione fino a cinque anni “Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati, per il solo fatto dell’istigazione”, oppure l'”Istigazione a disobbedire alle leggi” (art. 415), che sbatte in galera da sei mesi a cinque anni “chiunque pubblicamente istiga alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico, ovvero all’odio fra le classi sociali”.

C’era bisogno di altri strumenti repressivi da affidare al potere politico anziche’ a quello giudiziario? D’Alia e’ sempre piu’ convinto di si’, e nel testo inviato a Repubblica.it sostiene che la sua azione e’ mirata a colpire “chi insulta le vittime di Mafia, si mette a disposizione di Cutolo, inneggia alla Jihad o alle Brigate rosse, spiega come fabbricare un esplosivo, incita a picchiare i romeni o considera filantropi gli stupratori di Guidonia o i pedofili”.

Ma le vittime di Mafia che tira in ballo D’Alia saranno state interpellate?Sembra proprio di no, almeno a giudicare dalla reazione di Sonia Alfano, presidente dell’Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia: “invece di oscurare internet – sostiene la Alfano – si potrebbero ad esempio riaprire le inchieste sulle stragi di Ustica, Via D’Amelio, Capaci, Piazza Fontana, e molte altre, e far avere alle vittime delle molteplici stragi italiane la giustizia che non hanno mai ottenuto”.

Sul suo blog “piovono rane”, Giglioli racconta che “ho proposto via mail a D’Alia un di realizzare un dibattito audio-video da registrare qui a Kataweb e da pubblicare sul sito de L’espresso, in cui il senatore avrebbe potuto rispondere a tutte le accuse mossegli in questi giorni, confrontandosi con due giornalisti e due blogger”. Ma Il senatore D’Alia, tramite il suo addetto stampa, ha rifiutato il confronto. La “bonta'” delle sue idee e’ tale da non aver bisogno di dibattito per essere colta nella sua pienezza.

Dopo essere stata demolita sul versante giuridico, l’invenzione di D’Alia e’ stata attaccata anche sul fronte tecnico dal blogger Stefano Quintarelli ( http://blog.quintarelli.it/blog/2009/02/quel-biiip-di-biiip-ha-biiip-una-biiip-.html )

Oltre a rilevare “una sproporzione colossale tra il garantismo relativo alle intercettazioni telefoniche e il filtraggio di qualunque comunicazione internet”richiesto dall’emendamento D’Alia, Quintarelli dimostra con dati tecnici alla mano che “quanto richiesto dalla norma non è tecnicamente fattibile. Almeno non più di quanto sia fattibile combattere le inondazioni facendo evaporare l’acqua”.

Quintarelli prosegue affermando che “la rete non e’ un luogo diverso dal mondo reale; la rete e’ uno strumento che fa parte del mondo e quindi per i comportamenti attuati con questo strumento valgono gia’ le leggi esistenti! Ma forse il legislatore lo ignora. Sequestri di contenuti, imputazioni di reati, condanne di persone che hanno compiuto reati usando lo strumento Internet, avvengono gia’, su provvedimento delle autorità”. Ma non ancora su ordine del ministro dell’Interno.

Per commentare questo pastrocchio si e’ scomodata perfino la “Grande G” di Google, che per bocca del suo rappresentante italiano Marco Pancini ha denunciato l’ignoranza e la sordita’ delle istituzioni. “Non c’è dubbio che per chi non è un nativo digitale – scrive Pancini – non è semplice comprendere immediatamente le dinamiche delle nuove tecnologie. Ma per questo è importante il dialogo fra Istituzioni, industria e società civile”, lo stesso dialogo a cui D’Alia si e’ sottratto dopo le sue esternazioni unilaterali. Pancini fa riferimento esplicito al “filtraggio di tutti i siti Internet” auspicato da D’Alia, affermando senza mezzi termini che “non serve a combattere il crimine, perché basta segnalare un’attività illecita a qualunque Internet service provider perché questi la possa rimuovere: è già previsto dalla legge e dai contratti di tutti coloro che forniscono servizi online”. Ma allora qual e’ lo scopo di questi maldestri tentativi? Google non ha dubbi: “questo serve a controllare la Rete e in quanto tale è pericoloso per la nostra libertà”.

Che sia proprio questo l’obiettivo del pasticciaccio brutto innescato dal senatore UDC? Poche righe ben confuse per consegnare al ministro dell’Interno la chiave di un potentissimo lucchetto che puo’ chiudere un intero sito anche per una piccola istigazione a delinquere di due righe, qualcosa di tremendo e di sovversivo come “non ubbidite alle leggi ingiuste, stupide e repressive scritte da parlamentari ignoranti che non hanno la minima idea del funzionamento tecnico della rete, delle sue dinamiche sociali e degli strumenti gia’ a disposizione contro gli abusi”. (Oops! Mi e’ scappato! Speriamo che non se ne accorga nessuno senno’ si chiude baracca)

Di fronte alla superficialita’ cialtrona con cui si stanno affrontando nel nostro paese i problemi delle nuove tecnologie, viene voglia di rileggere la “Dichiarazione di Indipendenza del Ciberspazio”, scritta nel 1996 da John Perry Barlow, pioniere della difesa dei diritti civili in rete e cofondatore della “Electronic Frontier Foundation”.

Per reagire alle prime leggi che mettevano le briglie alla comunicazione elettronica, Barlow affermava che “queste misure sempre più ostili e coloniali ci mettono nella stessa posizione di quegli antichi amanti della libertà e dell’autodeterminazione che furono costretti a rifiutare l’autorità di poteri distanti e poco informati. Noi dobbiamo dichiarare le nostre coscienze virtuali immuni dalla vostra sovranità, anche se continuiamo a permettervi di governare i nostri corpi. Noi ci espanderemo attraverso il Pianeta in modo tale che nessuno potrà fermare i nostri pensieri”.

Tredici anni dopo, questa sfida e’ ancora valida. (Beh, buona giornata).

Note:

APPROFONDIMENTI

L’analisi tecnica di Stefano Quintarelli
http://blog.quintarelli.it/blog/2009/02/quel-biiip-di-biiip-ha-biiip-una-biiip-.html

L’analisi giuridica di Elvira Berlingieri
http://www.apogeonline.com/webzine/2009/02/11/fact-check-il-50-bis-secondo-dalia

La posizione del Senatore Dalia
http://zambardino.blogautore.repubblica.it/2009/02/17/risponde-il-sen-dalia-ma-quale-censura/

La posizione di Google
http://googleitalia.blogspot.com/2009/02/filtrare-la-rete-no-grazie.html

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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