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Media e tecnologia

The show must go off.

Il Natale della pubblicità italiana è triste e un po’ scemo. E’ lo specchio di una classe imprenditoriale che forse legge i dati Auditel, forse, ma non legge i dati economici. La ripresa economica è ricominciata: sono aumentati i valori della produzione industriale, sono aumentati gli indici della propensione ai consumi. Ma la pubblicità è […]

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Il Natale della pubblicità italiana è triste e un po’ scemo. E’ lo specchio di una classe imprenditoriale che forse legge i dati Auditel, forse, ma non legge i dati economici.

La ripresa economica è ricominciata: sono aumentati i valori della produzione industriale, sono aumentati gli indici della propensione ai consumi.

Ma la pubblicità è rimasta indietro, molto indietro, arretrata come i testicoli del cane. E’ al palo della tv, sirena incantatrice della passata gestione della cosa pubblica e finanziaria, di quel governo che credeva bastasse fare spot in cui uno diceva “grazie” a chi comprava qualcosa.

Sciocca mossa propagandistica del governo Berlusconi, cui si accodò Upa, l’unione pubblicitari associati, la “confindustria” delle aziende che investono in pubblicità, guidata da Giulio Malgara, che è anche il presidente di Auditel, e che fu addirittura candidato a presidente Rai..

E allora succede che la spettacolarizzazione della pubblicità produce effetti scemi: non basta più un testimonial, ce ne vogliono un tot per spot. Esemplare, nella sua triste apparizione sugli schermi della nostre tv, il caso Tim: quattro testimonial, tutti insieme disperatamente.

Tra cui spicca, malgrado lei, o almeno si spera, Sophia Loren, vestita da suora, ma gravemente deturpata da una regia senza scrupoli e da un serial killer della fotografia, che dice quello che pensano tutti quelli che hanno visto quel triste spettacolino natalizio: è proprio una schifezza.

Metafora della pubblicità italiana? O più semplicemente autoironia involontaria, maldestra (più destra che mal) e per questo sublime nella sua inconfessabile verità, che, come l’erba sotto l’asfalto, salta agli occhi di ha dovuto subire la serialità ossessiva della sua ripetizione televisiva.

Qui non si tratta di parlare male della pubblicità, cosa che fanno in molti, in troppi, per vile compiacenza a un luogo comune. Qui si tratta di sottolineare che se una delle più importanti aziende italiane fa pessima pubblicità c’è qualcosa che non va.

Non solo fa rima, ma fa anche pensare al fatto che la creatività pubblicitaria italiana merita interlocutori più intelligenti, meno legati al carro della tv spazzatura, e più attenti all’etica della comunicazione di massa.

Il che è un altro modo per dire che “the show must go off”. Beh, buona giornata.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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