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“I giornali avvisano che la popolarità di Silvio Berlusconi è arrivata al 73 per cento dopo il terremoto. C’è da vergognarsi a riferirlo. Incredibile pensare che sia stato commissionato un simile sondaggio.”

Il dolore e i sondaggi
di Concita De Gregorio da L’unità

La macchinina sulla bara di Lorenzo gliela aveva regalata la maestra Alice, che ora è due file e sei posti a sinistra, il giorno che aveva fatto pace con Matteo. Della classe della maestra Alice nove si sono salvati, otto no. Ecco, quella è Sara. Quello Corrado che si chiamava come il nonno. È un’altra maestra che ci guida in questa incomprensibile geometria del destino. Parla al presente delle persone nelle bare, «Sara è bravissima in matematica». Piange. I vecchi si chiamano Emidio, Panfilo, Maria Incoronata. Le loro badanti Kristina, Carmen, Darika. I fili che li uniscono disegnano una ragnatela nel piazzale. Un secolo di vite, classi sociali, amici e nemici, compagni di scuola, generazioni e intrecci di amori. Una città intera distesa, allineata. Duecento bare. I morti sono quasi trecento, forse molti di più. Dei clandestini, si mormora, nessuno racconta né racconterà mai la storia. Vivevano negli scantinati, non hanno nome, non hanno chi li cerchi. Una sconcezza a cui nella vita ci siamo assuefatti perché conviene, è la morte a restituircela per quello che è: indecente, lercia.

Poi si dice anche: le case non dovevano crollare così, erano fatte di stracci. Questo giornale lo dice fin dal primo giorno, dal momento in cui i vigili del fuoco cominciavano a scavare tra piloni di cemento armato sbriciolato dicendo proprio così: sono fatti di stracci. Di sabbia, di polvere, di gesso, di qualcosa che costa di meno e vale di meno di quel che serve a fare il cemento quello vero, quello che non si sfarina. Speriamo che chi conduce l’inchiesta sia messo in grado di portare a termine il suo lavoro senza essere intimidito o zittito. Punire i colpevoli non resusciterà Lorenzo né Sara ma potrebbe fare in modo che i loro fratelli sopravvissuti abbiano case degne di questo nome. Che quella bambina bionda che rideva tra le bare con un fiore in mano abbia il futuro che le spetta e non il destino già scritto, alla prossima scossa che non sappiamo quando arriverà ma certo arriverà.

I giornali avvisano che la popolarità di Silvio Berlusconi è arrivata al 73 per cento dopo il terremoto. C’è da vergognarsi a riferirlo. Incredibile pensare che sia stato commissionato un simile sondaggio. La sedia del premier vuota, il giorno dei funerali, parlava da sola. Lui non era tra le autorità, era a baciare e carezzare e piangere ad uso di telecamera, a dire «darò le mie case a questa gente». Quali case? Quelle di Antigua o la villa sul Lago Maggiore? È vero. Anche far polemica in giorni così costa fatica. Preferiremmo tacere. Preferiremmo non dover dire faccia silenzio, signor presidente, e stia composto al suo posto. Se desidera rendere un servizio agli abruzzesi faccia in modo che si sappia subito chi ha speculato, raddoppi e triplichi le forze di chi indaga. Poi vigili sulla ricostruzione. Pietra su pietra rifaccia l’Aquila proprio dov’era e ne parliamo dopo. Ci vorranno anni, pazienza. Possiamo aspettare, anzi dobbiamo. Questa volta mostri di realizzare le promesse. Dopo, semmai, potrà anche commissionare un sondaggio. (Beh, buona giornata).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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