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Siamo pacifisti o caporali?

Le baruffe chiggiotte all’interno della maggioranza di governo non servono. Quelle sui temi della pace ancora meno. Chi dice che il governo Prodi è un governo di guerra lo dice Not in My Name. La vicenda di Vicenza è stata organizzata ad arte dal centro-destra. C’è cascata la sinistra, proprio a Vicenza. La storia del […]

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Le baruffe chiggiotte all’interno della maggioranza di governo non servono. Quelle sui temi della pace ancora meno. Chi dice che il governo Prodi è un governo di guerra lo dice Not in My Name.

La vicenda di Vicenza è stata organizzata ad arte dal centro-destra. C’è cascata la sinistra, proprio a Vicenza.

La storia del rifinanziamente alla missione in Afghanistan è stata sollevata con un paio di mesi di anticipo sul dibattito parlamentare. A che gioco stiamo giocando?

Qui la pace sembra essere solo un pretesto delle componenti di minoranza del governo, alla ricerca di un inutile protagonismo in vista delle prossime amministrative. Chi vi ha chiesto di essere i paladini della battaglia pacifista?

Lo state facendo per conto vostro e a modo vostro. Mentre a Nairobi, al World Social Forum giungevano più di cinquecento italiani per discutere in Africa di un altro mondo possibile, unica condizione politica perché si realizzi la pace, a Roma meno di cento persone hanno manifestato contro Prodi e D’Alema, giusto per far scendere dal Palazzo una dozzina di parlamentari “della sinistra radicale” a criticare la politica estera del Governo.

C’è una sproporzione gigantesca: a Nairobi il movimento no global, anima e motore del pacifismo mondiale, a Roma i “caporali”, quelli che della bandiera arcobaleno fanno solo un pretesto di scontro all’interno della compagine governativa.

E’ il momento di rimettere le cose a posto.

Il governo italiano, eletto dagli elettori del centro-sinistra sta facendo quello che un governo di centro sinistra deve fare: agire in ambito europeo per battere l’unilateralismo made in Usa. Senza se e senza ma. Questi sono i modi e i tempi della politica internazionale e della diplomazia europea. Sulla sponda istituzionale questa azione di governo non ha bisogno di essere appoggiata, perché è nella coscienza collettiva, oltre che nel programma dell’Unione. Ma proprio per questo, a nulla giova venga contrastata.

Chi vuole di più, e anche a me farebbe piacere di più, deve cercare un vero e proprio legame con la società civile, col movimento, con la creatività politica e sociale di cui è ricco il nostro Paese.

Che è cosa diversa, molto diversa che cercare di strumentalizzare la pace, ai fini del piccolo cabotaggio politico.

Così si è annichilito un forte movimento d’opinione, che si era fortemente schierato contro il governo Berlusconi, colpevole di aver trascinato l’Italia “che ripudia la guerra”, come recita la Costituzione, nelle avventure belliche in Afghanistan e in Iraq. Le sciocche chimiche di allora sono riuscite a far scolorire due milioni e mezzo di bandiere della pace, che sventolavano dai balconi di tutta Italia.

Ora ognuno deve fare la sua parte: Prodi non deve cadere, la pace deve vincere.

I terreni sono diversi: c’è una partita che si gioca sul tavolo istituzionale, ce n’è un’altra che si gioca sul terreno della politica del cambiamento, nell’universo pratico e ideale di “un altro mondo possibile”. Chi fa finta di non capirlo, ciurla nel manico della bandiera arcobaleno.

Stavolta sbagliare è diabolico, perseverare è umano. Beh, buona giornata.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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