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Popoli e politiche

Gaza non è l’Aquila.

di Gideon Levy – «Haaretz» da megachip.info

Alyan Abu-Aun giace nella sua tenda, accanto a lui le sue stampelle. Fuma sigarette e guarda nella spazio vuoto della piccola tenda. Il figlioletto gli siede in grembo. Dieci persone sono stipate in una tenda che ha le dimensioni di una piccola stanza. È la loro casa da tre mesi. Nulla rimane della loro casa precedente, che le Forze di Difesa di Israele bombardarono durante l’Operazione Piombo Fuso. Sono profughi per la seconda volta; la madre di Abu-Aun ricorda ancora la sua casa a Sumsum, una città che una volta era vicino ad Ashkelon.

Abu-Aun, 53 anni, è stato ferito durante il tentativo di fuggire quando la sua casa nella città di Beit Lahia, nella striscia di Gaza, è stata bombardata. Da allora è in stampelle. Sua moglie ha partorito durante la guerra, e ora il bambino è con loro nella tenda fredda. La tenda è stata spazzata via durante la tempesta che ha imperversato sulla Striscia di Gaza mercoledì scorso, così che la famiglia ha dovuto ripiantarla. Ricevono l’acqua solo occasionalmente in un serbatoio, e hanno una piccola baracca di latta come bagno per 100 famiglie in questo nuovo campo di rifugiati, ‘Camp Gaza,’ a Beit Lahia quartiere di Al-Atatra.

Abu-Aun sembrava particolarmente amareggiato lo scorso fine settimana; la Croce Rossa ha negato alla sua famiglia un tenda più grande. E poi ne ha abbastanza di mangiare fagioli.

Da tre mesi, la famiglia di Abu-Aun e migliaia di altri, vivono in cinque tendopoli costruite dopo la guerra. Non hanno iniziato a portare via i resti delle loro case, per non parlare di costruirne di nuove. A migliaia vivono all’ombra delle rovine delle loro case, a migliaia nelle tende, migliaia stipati insieme ai loro parenti, decine di migliaia di persone, nuovi senzatetto, per i quali il mondo ha perso interesse. Dopo la conferenza dei paesi donatori, convocata con grande fanfara a Sharm el-Sheikh un mese e mezzo fa, che comprendeva 75 paesi e che ha deciso di stanziare 1 miliardo di dollari per la ricostruzione di Gaza, nulla è accaduto.

Gaza è sotto assedio. Non ci sono materiali da costruzione. Israele e il mondo impongono condizioni, i palestinesi non sono in grado di formare un governo di unità, come è necessario, di soldi e di calcestruzzo non se ne vedono e la famiglia di Abu-Aun continua a vivere in una tenda. Anche i 900 milioni di dollari promessi dagli Stati Uniti sono bloccati nel registratore di cassa. C’è da dubitare se verranno mai tirati fuori. Parola dell’America.

È esattamente da tre mesi che si fa tanto parlare di guerra, e Gaza è ancora una volta dimenticata. Israele non si è mai data cura del benessere delle sue vittime. Ora anche il mondo ha dimenticato. Due settimane con a malapena un razzo Qassam son bastate a portare Gaza completamente fuori dall’ordine del giorno. Se gli abitanti di Gaza non si sbrigano a riprendere il fuoco, nessuno un’altra volta si darà cura del loro benessere. Anche se non è nuovo, questo è un messaggio particolarmentee terribile e doloroso capace di innescare il prossimo ciclo di violenze. E allora sarà certo che non riceveranno aiuti, perché staranno sparando.

Qualcuno deve assumersi la responsabilità per le sorti della famiglia Abu-Aun e di altre vittime come loro. Se fossero stati feriti in un terremoto, il mondo probabilmente avrebbe aiutato loro a riprendersi già da molto. Anche Israele avrebbe rapidamente speditio convogli di aiuti da parte di ZAKA, Magen David Adom, persino dell’IDF (le Forze di Difesa di Israele, ndt). Ma la famiglia di Abu-Aun non è stata ferita da una calamità naturale, bensì da mani, carne e sangue “made in Israel” e non per la prima volta. La risposta: nessun risarcimento, nessun aiuto, nessuna riabilitazione. Israele e il mondo sono troppo preoccupati da altre faccende per ricostruire Gaza. Non hanno più parole. Gaza, ricordate?

Dalle rovine della famiglia di Abu-Aun germoglia una nuova disperazione. Sarà più amara rispetto alla precedente. Una dignitosa famiglia di otto persone è stata distrutta, fisicamente e psicologicamente, e il mondo se ne lava le mani. Non dobbiamo aspettarci che Israele compenserà le sue vittime o ricostruisca le rovine che ha causato, anche se questo sarebbe nel suo interesse, per non parlare del suo obbligo morale, un argomento di cui neppure si parla.

Ancora una volta il mondo deve ripulire i casini di Israele. Ma Israele sta imponendo sempre più condizioni politiche per fornire aiuti umanitari di emergenza: scuse vacue per lasciare Gaza in rovina e non offrire l’aiuto che Gaza merita e di cui ha disperatamente bisogno. Gaza, ancora una volta, è stata lasciata a se stessa, la famiglia di Abu-Aun è stata lasciata nella sua tenda, e quando le ostilità riprenderanno ci verranno a parlare, ancora una volta, della crudeltà e della brutalità de… i palestinesi. (Beh, buona giornata).

Articolo originale: Gideon Levy, Gaza, remember? – «Haaretz»
Link: http://haaretz.com/hasen/spages/1079219.html

Traduzione di Manlio Caciopo per Megachip

Aggiornamento:
Ci siamo accorti a pubblicazione avvenuta che anche l’amica Manuela Vittorelli della rete di traduttori Tlaxcala aveva tradotto pure lei l’articolo di Gideon Lev

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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