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Stiamo diventando web-burini?

Ti telefona uno e ti dice: ti ho mandato una mail. Leggi la mail e quello ti scrive: poi ne riparliamo al telefono. Insomma, tutti ti dicono che ti hanno detto qualcosa, invece di dirti che cosa vogliono dirti. Che il mondo sia pazzo lo sapevamo, ma che stiamo diventando deficienti ce ne accorgiamo solo […]

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Ti telefona uno e ti dice: ti ho mandato una mail. Leggi la mail e quello ti scrive: poi ne riparliamo al telefono. Insomma, tutti ti dicono che ti hanno detto qualcosa, invece di dirti che cosa vogliono dirti. Che il mondo sia pazzo lo sapevamo, ma che stiamo diventando deficienti ce ne accorgiamo solo quando qualcuno ci fa incazzare.

Una ricerca pubblicata sul CyberPsychology and Behavior nel 2004 spiega il fenomeno dell’arroganza via e-mail con diverse motivazioni: l’anonimato della rete, il fatto di non vedere gli altri direttamente, l’intervallo di tempo che intercorre fra l’invio di un messaggio di posta elettronica e il momento in cui il destinatario lo leggerà. Ma anche la esagerata consapevolezza di sé favorita dal passare ore da soli online, o ancora la mancanza di una figura di riferimento autorevole in rete. A volte l’effetto disinibizione può essere positivo, come nel caso di qualcuno eccessivamente timido, che invece su internet riesce a comunicare senza filtri in modo più efficace. Ma il rovescio della medaglia è quella che rischia di diventare maleducazione e rasenta la molestia.

Chi dal vivo è gentile ed educato, rischia di trasformarsi in un maleducato quando è protetto dall’anonimato della rete. E’ quello che sostiene uno studio pubblicato nel 2002 sul Journal of Language and Social Psychology. Nell’esperimento descritto coppie di studenti universitari che non si conoscevano fra loro, si comportavano in modo cortese ed impeccabile quando si trovavano ad interagire di persona. Ma appena comunicavano tra loro in chat, diventavano aggressivi ed eccessivamente spinti.
Justin Kruger e Nicholas Epley, ricercatori della Business School dell’Università di Chicago hanno dimostrato come la chiarezza delle email sia altamente sopravvalutata.

Kruger ed Epley, con cinque esperimenti successivi che hanno via via verificato e ampliato i risultati, hanno chiesto a dei volontari di trasmettere messaggi via email o telefono sinceri o sarcastici. Chi scriveva era convinto, nel 75% dei casi, che il destinatario avesse identificato correttamente il tono del messaggio. Sebbene questo fosse vero per i destinatari del messaggio telefonico, tra coloro che avevano ricevuto le email, solo il 56% era stato in grado di percepire il messaggio in modo appropriato. A fare maggiore chiarezza non serviva neanche il tipo di rapporto esistente tra scrivente e destinatario, perché i malintesi ci sono in egual misura tra amici, conoscenti o estranei.

Conclusione: niente nella comunicazione scritta può rimpiazzare il linguaggio non verbale, fatto di ‘segnali paralinguistici’ e ‘segnali prossemici’. Quando ci si dice qualcosa faccia a faccia, chi parla non usa solo le parole, ma il tono della voce e la gestualità, che arricchiscono il messaggio e forniscono all’ascoltatore importanti chiavi di interpretazione.

Le lettere tradizionali erano usate su base mensile o settimanale, la posta elettronica è usata molto più di quella vecchia maniera, ha rimpiazzato il telefono, spesso negli uffici si manda un’email, anche quando sarebbe più facile parlarsi direttamente. Pensateci bene, quante volte avete usato una e-mail e poi vi siete resi conto che la velocità della posta elettronica ha ulteriormente impoverito il già povero (rispetto alla comunicazione a voce) linguaggio scritto, con conseguenti e spesso spiacevoli equivoci?
Secondo la ricerca di Kruger ed Epley , non è solo un limite dell’email, qualcosa di intrinseco al mezzo, ma anche un atteggiamento del tutto umano, un eccesso di egocentrismo. Secondo i ricercatori americani tutti, per abitudine, sovrastimiamo la nostra abilità di comunicare via email, per un eccesso di autostima. Benché consapevoli dell’ambiguità dei nostri messaggi, non riusciamo ad ammettere che il nostro interlocutore potrebbe interpretarli in maniera diversa. Questo è dovuto al fatto che seppure cerchiamo di metterci nei panni degli altri e di immaginarne il punto di vista, i sentimenti o i pensieri, usiamo pur sempre noi stessi come punto di riferimento. Non riusciamo insomma ad andare oltre la nostra esperienza soggettiva e nel caso delle email sopravvalutiamo le nostre abilità di scrittori.

La cosa migliore da fare è parlare quando bisogna parlare, scrivere quando bisogna scrivere. E quando si scrive, scrivere come se fosse una lettera, con tutte le cautele e le buone abitudini della posta scritta. Per esempio, è meglio cominciare con una ‘caro’ e finire con ‘cordiale saluto’. Come se usaste la penna. Avere poco tempo, non significa avere fretta. Le comunicazioni sbrigative sono di per se irritanti: scritte, parlate o lette che siano.
La migliore forma di empatia è la buona educazione, proprio perché empatia fa rima con cortesia. Beh, buona giornata.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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