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La “quarta crisi” miete vittime eccellenti. Chi ci rimette sono i lettori di un’ottimo giornale italiano.

di Sabina Rodi – Italia Oggi

Il forsennato giro di poltrone ai vertici dei grandi giornali ha subito un’accelerazione, in questo fine settimana, con le dimissioni dalla direzione della Stampa di Giulio Anselmi e la sua sostituzione con Mario Calabresi, corrispondente di la Repubblica dagli Stati Uniti. E con la contestuale nomina di Giulio Anselmi a presidente dell’agenzia Ansa. I giornalisti sono le vestali della trasparenza. Per professione, dovrebbero togliere le tende che impediscono di vedere che cosa c’è sotto i fatti. In questo caso invece sono stati tutti zitti e muti a partire dai protagonisti di questo giro di poltrone. Cerchiamo di capire che cosa è successo e soprattutto perché è successo.

Partiamo dalle dimissioni dalla Stampa di Giulio Anselmi, un giornalista di 64 anni. In pratica, Anselmi è stato prepensionato solo un anno prima di poter essere messo legalmente in pensione dal suo editore. Anselmi, con questa sua ultima decisione, ha abbandonato il terzo quotidiano politico nazionale per coprire un incarico (la presidenza dell’Ansa) che è formalmente di prestigio, ma che è anche più o meno onorifico e, comunque, da fine percorso professionale.

Non a caso, chi lo ha preceduto nella carica, l’ambasciatore Boris Biancheri, non solo non era un giornalista professionista, ma era diventato presidente dell’Ansa dopo essere stato messo in pensione dal ministero degli Esteri per aver raggiunto la massima età per poter rimanere in servizio ed è poi stato in via della Dataria per addirittura quattro mandati triennali consecutivi (cioè per 12 anni abbondanti) fino ad arrivare ai suoi attuali 80 anni che non si può certo dire sia l’età di un uomo che è nel pieno delle forze. Dalla sua, per non abbandonare La Stampa, Anselmi aveva anche il fatto che, nei suoi tre anni di direzione del quotidiano torinese, era riuscito a trasformare un giornale invecchiato, asmatico e pieno di acciacchi, nel migliore e più innovativo quotidiano italiano.

Il suo è stato un lavoro non solo duro e senza soste ma anche molto intelligente. Un lavoro poi, che, per riconoscimento unanime, ha dato abbondanti frutti giornalistici. Lasciare una Stampa così, per andare a dirigere la Repubblica o il Corriere della sera sarebbe stata una decisione naturale ed inevitabile. Si dirà che la direzione de la Repubblica non è disponibile (ieri l’altro infatti Carlo De Benedetti, spegnendo ogni roumor contrario, ha detto che Ezio Mauro resta dov’è) e che la direzione del Corriere della sera è stata assegnata a un altro.

Tutto vero. Però, se le cose stanno così, perché Anselmi ha lasciato La Stampa? Non poteva restare in un posto giornalisticamente attivo e di grande visibilità personale ancora per un anno? Non è infatti possibile pensare che un editore (la Fiat), dopo questo exploit, sia disposto a privarsi di un direttore così significativo come Anselmi. Tuttavia l’ipotesi che Anselmi sia stato sofficemente spinto fuori, sta in piedi. A Torino però tutti sono abbottonatissimi, non hanno nulla da aggiungere, né, tanto meno, da spiegare.

Solo Anselmi dice a Italia Oggi: «Tutte le stagioni si concludono. Ho ricevuto dall’Ansa un’offerta che mi interessa, anche perché viene da una realtà che conosco bene e in cui mi piace tornare». Una dichiarazione opportuna, ma non totalmente convincente. Procediamo quindi per induzione dalle indiscrezioni che si conoscono.

Nel mondo sindacal-giornalistico torinese si dice infatti da tempo che la proprietà de La Stampa (preoccupata per il davvero imbarazzante deficit economico della testata e per il fatto che, nonostante che il giornale abbia sicuramente qualità nazionali, esso sia sempre restato prevalentemente acquistato solo nelle regioni del Piemonte, della Liguria e della Val d’Aosta) sia rassegnata a prendere atto di questo fatto e voglia restringere a livello tri-regionale la diffusione in tutte le edicole del quotidiano, realizzando, con questa sua scelta, una drastica riduzione dei costi.

Primo, tagliando su carta, stampa e diffusione realmente nazionali. E, secondo, riducendo il peso dei costi redazionali, compreso quello, oggi onerosissimo, di alcune sedi di corrispondenza (compresa quella, molto folta, di Roma) i cui argomenti, nell’epoca di Internet, possono essere coperti anche stando a Torino o mandando degli inviati, che comunque già ci vanno, nei momenti e negli appuntamenti importanti, chessò, dal G20 al terremoto dell’Abruzzo.

Ora, una rivoluzione di questo genere, piena di lacrime e sangue, non poteva sicuramente essere avallata da un direttore come Anselmi che è all’apice del suo fulgore direzionale. Meglio quindi lasciare il campo prima del diluvio che può essere affrontato con minori danni da un direttore giovane che ha poco da perdere e molto da guadagnare, diventando direttore di una testata così importante dopo aver oscuramente lavorato come un folle nella complessa cucina de la Repubblica e come corrispondente dagli Stati Uniti dove però, pur essendo molto bravo, veniva permanentemente oscurato da un corrispondente ingombrante come Vittorio Zucconi che, avendo una mostruosa capacità di lavoro, è da sempre abituato a lasciare solo le briciole informative ai suoi colleghi più giovani.

In tutta questa vicenda direttorial-presidenziale, resta a piedi, per un’altra volta, l’ex direttore de La Stampa, Marcello Sorgi (oggi riluttante corrispondente da Londra de La Stampa ma che, in pratica, vive a Roma e che, comunque, dei problemi della Queen non gli interessa un baffo). Sorgi, nonostante sia stato a lungo supportato, per la presidenza dell’Ansa, da Gianni Letta, che in questo settore è un mammasantissima, non ce l’ha fatta ad arrivarci, per l’unanime opposizione degli editori che avrebbero dovuto votarlo. Gli hanno preferito il suo amico (ancora?) Giulio Anselmi che, del resto, lo aveva già sostituito alla direzione de La Stampa. (Beh, buona giornata).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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