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L’arte della cotoletta alla milanese.

La mostra “Vade retro: arte e omosessualità” non aprirà al pubblico. Lo ha deciso l’assessore Vittorio Sgarbi dopo le polemiche di questa settimana..Sgarbi ha anche rivelato di aver telefonato a Silvio Berlusconi perché convincesse il sindaco Letizia Moratti a recedere dalla posizione assunta sulle opere da eliminare: “Una missione fallita. Di fronte alla censura la […]

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La mostra “Vade retro: arte e omosessualità” non aprirà al pubblico. Lo ha deciso l’assessore Vittorio Sgarbi dopo le polemiche di questa settimana..Sgarbi ha anche rivelato di aver telefonato a Silvio Berlusconi perché convincesse il sindaco Letizia Moratti a recedere dalla posizione assunta sulle opere da eliminare: “Una missione fallita. Di fronte alla censura la soluzione più concreta è la censura estrema e quindi la cancellazione della mostra”.

Ricapitoliamo: l’assessore organizza un mostra piccante. Il sindaco vuole togliere il peperoncino dalla mostra. L’assessore, piccato chiama al telefono il padrino politico suo e del sindaco perché interceda, perché faccia da mediatore, da intermediario. Quello, niente, non intermedia. E va tutto a carte quarantotto. Compresa la democrazia.

Milano è una città sfortunata. Laboriosa, proattiva quando si tratta di lavorare, di produrre, di creare valore, un disastro quando si tratta di andare a votare. E così si ritrova per la terza volta una classe dirigente, che da bere gli è rimasto il cervello.

Quando Berlusconi scese in campo, Formentini, primo sindaco della Lega, si impegnò con tutte le sue forze per chiudere il Leoncavallo, lo storico centro sociale. Il Leonca vive, Formentoni si è rifugiato delle parti delle Margherita. In compenso, nominò Philippe Daverio assessore alla Cultura, il quale inanellò una serie di cazzate storiche: piazzò un fontana che sembra un pandoro Melegatti di marmo in piazza San Babila.

Ne piazzò un’altra a piazza Duomo, col risultato che gli schizzi d’acqua negavano la vista delle guglie. Adesso sta li che non fa più neanche acqua.

Non pago, riaprì il centro storico alla circolazione privata, (unica città d’Europa a favorire le auto private); poi ingrandì i marciapiedi per favorire lo shopping e i commercianti (unica città al mondo che invece che allargare le strade, ingrandisce i marciapiedi).

Berlusconi poi elesse Albertini, intimo di Berlusconi, ma anche intimo dell’intimo: si fece fotografare in intimo, cioè in mutande. La città crollò: triste, abbandonata a se stessa , insomma, in mutande, appunto. La cosa è ben descritta in un libro appena uscito: “Milano da morire”di Luigi Offeddu e Ferruccio Sansa, per i tipi della BUR.

Quando Berlusconi ci mette la Letizia Moratti sulla poltrone di sindaco, la città è mezza stordita dal declino. Da capitale morale, diventa capitale Moratti.

In pochi mesi la Letizia è capace di far fare a botte i vigili con i cinesi di via Paolo Sarpi, China Town; di scendere il piazza contro Prodi per via di qualche commissariato di polizia in più; di schierarsi dalla parte dei tassisti, pur di fare un dispetto a Bersani.

La Letizia arruola Sgarbi alla Cultura. A parte che promuovere se stesso Sgarbi combina una pirlata dopo l’altra. L’ultima è la mostra sull’omossesualità. Dico, sull’omossessualità.

Vietata ai minori, ovviamente. Però non basta. Bisogna che lo scandalo continui. E allora, via un bel po’ di quadri, è la trovata della Letizia, che quei piselli e quelle chiappe magari offendono la “sciura Maria” che va vederla la mostra. Ci va perché il sesso tira più di cento buoi (del carroccio) in salita. E poi il sesso, la sciura Maria lo vede sempre in tv, sulle tv del Cavaliere, tutti i pomeriggi e alla domenica. Però la Letizia è “il comune sindaco del pudore”: questo si può vedere, questo no.

Sgarbi, come la foca che allo zoo riceve la sardina perché batta le pinne, come fossero le mani, fa finta che si incazza, ma gongola: sta facendo un cavolo (a parte quelli esposti alla mostra) però sta facendo un sacco di rumore (più dello scoiattolino della famosa gomma da masticare, che va in onda alla tv). Poi si inchina, non al pubblico, ma al domatore, il Cavaliere.

Ecco cosa diventa l’arte in mano ai balordi del centro-destra: una faida da tronisti, un argomento da Lucignolo di Italia Uno, una gazzarra tra cortigiani come se Palazzo Marino (la sede del Comune di Milano) fosse un reality, popolato dalla banda Mora-Corona’s. E’ fantastico: Berlusconi non riesce a fare da pacere tra i suoi polli. Poteva chiamare Costanzo: lui sì che è riuscito nell’intento di mediare tra Corona e la Totti family, per via di quelle foto imbarazzanti. Vabbè.

Lo sanno tutti, compresi i milanesi che Milano è da tempo la provincia di Arcore: li abita il sindaco del sindaco di Milano.

Così se l’informazione è un “panino” tra una velina e una meteorina, la cultura è una cotoletta panata e fritta dalle beghe di corte.

Nel bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi bisognerebbe augurare ai milanesi un nuovo Risorgimento. Cinque giornate comprese. Beh, buona giornata.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

Una risposta su “L’arte della cotoletta alla milanese.”

la mamma dei cretini è sempre incinta….
ecco perchè oggi al governo
c’è questo ammasso di sindacalisti al potere,
case di lusso,stipendi da favola,privilegi etc.
e sempre i cretini lì ad
applaudire.
è vero ,a milano c’è stato
un formentini,insulso e narciso ; scacciato per manifesta incapacità
non poteva che finire
nelle braccia dei cretini,
a sinistra.

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