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“La potenza mediatica di Berlusconi pare ormai piccola cosa a confronto con il discredito in cui è precipitato, e ci ha precipitati, sui media internazionali.”

Da Obama a Obama, il declino e la maschera di Ida Dominijanni-Il Manifesto

Non sappiamo se nel tempismo di monsignor Crociata ci sia più un omaggio alla virtù illibata di Santa Maria Goretti o un intervento a gamba tesa sui vizi impenitenti di Silvio Berlusconi alla vigilia del G8. Fatto sta che il giudizio del segretario della Cei sul «libertinaggio gaio e irresponsabile che invera la parola lussuria» e non è rubricabile sotto la voce «affari privati» sembra non ammettere retromarce.

Se si somma questo giudizio a quello espresso domenica sera alla festa del Pd da Massimo D’Alema, sull’«eccessivo ritegno» avuto dal suo partito a denunciare «un’esibizione di volgarità che quando viene da alte cariche istituzionali è un fatto inequivocabilmente pubblico», è lapalissiano che il cerchio magico di autoprotezione del premier si è spezzato. Quel cerchio era imbastito sulla base dell’impresentabile argomento della tutela della sua privacy violata. Ma ormai è chiaro a tutti che di privato la sua politica della sessualità non ha proprio niente. Ed è rimasto solo lui con i suoi più fedeli velini a pensare di poter sostenere che le prossime foto in libera uscita all’estero sui fasti e i festini di Villa Certosa siano un «fotomontaggio» intrusivo della sua intimità, e non una ulteriore prova del «sistema di intrattenimento dell’imperatore» denunciato due mesi orsono da sua moglie.

Mentre minaccia la stampa internazionale come ha fatto fin qui con quella nazionale, Berlusconi ostenta, come al suo solito, una sicurezza pari alla fragilità su cui traballa. Lui è «il più esperto» fra i leader che si incontreranno all’Aquila, lui sa come infondere fiducia per uscire dalla crisi, lui sa come si sta vicino a chi perde il posto di lavoro, lui sa come soccorrere i paesi africani che finora hanno avuto nella sua agenda un rilievo pari a zero, lui può esibire al G8 «un bel biglietto da visita» per via del suo cruciale ruolo sulla crisi in Georgia e sui rapporti Usa-Russia.

A fare da megafono a questa ennesima esibizione di sicumera è il «suo» Giornale, ma perfino la potenza mediatica di Berlusconi pare ormai piccola cosa a confronto con il discredito in cui è precipitato, e ci ha precipitati, sui media internazionali. Cresciuto grazie alla sua speculazione antipolitica sul declino della politica nazionale, Berlusconi ha sottovalutato anche sul terreno dei media la forza dirompente della globalizzazione; e non solo sul terreno dei media.

Opponendo al «complotto» mediatico internazionale e agli «agguati della sinistra» alla sua privacy la sua ostentata sicurezza di presidente del G8, Berlusconi non fa che tentare di occultare, ancora una volta, la triste verità che lo riguarda. E la triste verità è che il suo declino, deciso e accelerato dalla sequenza di disvelamenti iniziata con il caso-Veronica e proseguita con il caso-Noemi e il caso-D’Addario, ha agito in realtà non contro la sua forza ma in concomitanza con la sua debolezza internazionale.

Una debolezza che non si può nemmeno imputare direttamente a lui, alla sua inadeguatezza, alle gaffe che l’hanno reso tristemente famoso nel mondo fin dalle sue performance nei suoi precedenti governi; e che va piuttosto ricondotta ai cambiamenti dello scenario geopolitico e culturale che si sono innescati con la fine dell’era Bush e l’elezione di Barack Obama.

Molto più che un cambio di governo nella potenza alleata di riferimento, l’elezione del presidente «abbronzato» ha segnato fin dallo scorso autunno, per Berlusconi, la fine di una sponda politica e ideologica che dava una parvenza di plausibilità internazionale al laboratorio italiano della destra neoliberista e neoconservatrice. E vista a-posteriori, appare tutt’altro che casuale l’imbarazzante coincidenza fra la notte dell’elezione di Obama e la notte trascorsa dal premier italiano con Patrizia D’Addario a palazzo Grazioli, quasi un rito, aggressivo e mortifero, di rimozione di un evento per lui catastrofico. Così come a posteriori acquista un’altra luce, anch’essa decadente e profetica, l’imbarazzante sequenza di performance del premier italiano al G20 di Londra, il suo patetico tentativo di entrare nella scia carismatica del giovane presidente americano, di farsi fotografare con lui, di ottenere l’invito alla Casa bianca, di surrogare con un protagonismo improvvisato la solitudine di un leader privo di first lady.

Già in quei giorni, quando il Pdl era stato da poco battezzato alla Fiera di Roma inneggiando alla «leadership carismatica» del suo Capo, fu un collaboratore di Zapatero a dichiarare che all’estero Berlusconi era considerato «uno senza vergogna, altro che carisma». Eppure, le foto di villa Certosa non circolavano ancora, Sofia Ventura non si era ancora pronunciata contro le candidature delle veline, Veronica Lario non aveva chiesto il divorzio, non c’era nessuna Noemi Letizia e nessuna Patrizia D’Addario all’orizzonte, e nemmeno una giudice, donna anche lei, che di lì a poco avrebbe emesso la sentenza sul caso Mills.

Poi si sono manifestate una dietro l’altra, smontando uno dopo l’altro i trucchi di una finta potenza pulsionale e politica. E’ con questa compagnia femminile, per una volta indesiderata, che il premier bianco affronta di nuovo il confronto col presidente «abbronzato». Fra carisma e seduttività, si sa già che non c’è gara. (Beh, buona giornata).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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