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Un Caravaggio dei nostri tempi? (Quasi un lettera aperta ai creativi pubblicitari italiani.)

Facciamo finta che Giampietro Vigorelli abbia ragione, quando dice su advexpress.it dell’ 11 Ottobre che Toscani “è un Caravaggio dei nostri tempi”. Certo, a Toscani farebbe più piacere essere considerato “il” e non “un” Caravaggio. Fa niente, dai!, abbiamo appena detto che facevamo finta che Giampietro avesse ragione. Certo quella di Vigorelli è una posizione […]

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Facciamo finta che Giampietro Vigorelli abbia ragione, quando dice su advexpress.it dell’ 11 Ottobre che Toscani “è un Caravaggio dei nostri tempi”.

Certo, a Toscani farebbe più piacere essere considerato “il” e non “un” Caravaggio. Fa niente, dai!, abbiamo appena detto che facevamo finta che Giampietro avesse ragione.

Certo quella di Vigorelli è una posizione molto più simpatica, per non dire accettabile di tutti quei piccoli soloni, in odor di satrapia, che si scagliano sempre e comunque contro Toscani. C’è come la sensazione che, avendo per tutta la vita fatto finta di essere “grandi esperti” di pubblicità, magari per via di qualche poltroncina che occupano da anni, i nostri censori più che attaccare Toscani difendano se stessi, le proprie rendite di posizione.

Insomma, quello contro Oliviero Toscani è un millantato discredito.

Com’è, come non è, comunque Toscani fa discutere, incazzare, schierare: sembra il “nominato” della penisola dei famosi, o sarebbe meglio “fumosi” come direbbe D’Agostino, quello di dagospia.com.: comunque, però Toscani arriva sempre in finale.

Tuttavia, con il dovuto rispetto al problema e alla persona, della foto dell’anoressica, perché di una foto si tratta, e non di una campagna, mi sembra inutile disquisire: voleva stupire e ha stupito. Comunicare è un’ altra faccenda.

Infatti, l’asino casca quando Toscani cerca di fare pubblicità: pane, amore e sanità è pubblicità? Fa solo rima, ma è anche alquanto puerile. E allora, Giampietro, per favore, lasciamo stare Caravaggio.

Perché c’è qualcosa da fare, che non facciamo da tempo. E’ riempire di belle campagne quel vuoto lasciato dal nostro lavoro, che qualcuno riempie con le sue foto, non riuscendoci con buone idee.

Mi spiego. I giornali, le riviste, la televisione stanno pompando a pieno ritmo feroce critica all’establishment. I siti web fanno il pieno di letture uniche ogni volta che un potente viene messo alla berlina. Non credo sia una moda passeggera, né riguarda solo la politica, ma il ritorno, o, per meglio dire, il superamento di quel minimo comune denominatore che fa dell’informazione qualcosa di non addomesticabile, di interessante, che gli restituisce il ruolo di portavoce dell’opinione pubblica, che giudica, e a volte si incazza nei confronti dei piccoli e grandi poteri costituiti. Pare sia il sale della democrazia, cioè di quel luogo virtuale, e perché no?!, virtuoso, in cui le opinioni si confrontano, si scontrano e si verificano per dare vita, appunto, a una precisa opinione sui fatti e sulle persone che determinano i fatti.

Quel luogo ideale che è la democrazia è anche quel luogo nel quale è nata e si è sviluppata la pubblicità. Non solo perché la pubblicità muove i suoi passi all’interno dei mezzi di comunicazione di massa, quali i giornali, la tv, il web. Ma anche perché la democrazia è il luogo ideale ai consumi, dunque è il posto migliore in cui la pubblicità possa vivere. Come per i mass media, anche la pubblicità dovrebbe riprendersi lo spazio della sua indipendenza creativa.

E allora, perché se i giornali italiani ribollono di indignazione e di disapprovazione, di aperta critica, la nostra pubblicità è così tiepidina, supina, edificante, è diventata gustosa come un insipida minestrina riscaldata?

Vogliamo, una buona volta, accendere i fornelli, mettere su l’acqua e portare a ebollizione anche il nostro advertising? Vogliamo calare nell’acqua bollente, per esempio il meccanismo di rovesciamento, l’iperbole pepata, vogliamo servire sul piatto dei nostri clienti tanti succulenti “negative approach”, speziati, gustosi, caldi caldi, a scotta-dito? Quelli che fanno la differenza tra la nostra pubblicità e quella che ci vediamo davanti ogni volta che andiamo a un festival internazionale, per poi tornare a casa con le pive nel sacco, un sacco pieno di sì, certo, vabbè, però, insomma. Siamo diventati più bravi nel crearci alibi che nel creare buone campagne pubblicitarie.

La buona pubblicità in questo momento è proprio quella che manca ai giornali, alla televisione, ai siti web. Diciamoci la verità: è proprio quello che manca a noi e ai nostri clienti. Per non parlare dei destinatari dei nostri messaggi.

Toscani è un eccellente fotografo, anche se sembra fare l’autoscatto al proprio ego. Buon per lui. Noi, però, non siamo nati né siamo stati programmati per far da spettatori, men che meno del lavoro degli altri.

Facciamo questo mestiere sempre più complicato, spesso complicato proprio da noi stessi, per creare idee, che creano campagne, che creano reputazione, che creano valore, che creano successo e, perché no, tanta soddisfazione.

E allora, caro Giampietro, forse tocca a noi essere 10, 100,1000 Caravaggio. Toscani fa da sempre quello che gli riesce meglio, noi da quanto tempo ormai abbiamo rinunciato a fare molto meglio? Beh, buona giornata.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

2 risposte su “Un Caravaggio dei nostri tempi? (Quasi un lettera aperta ai creativi pubblicitari italiani.)”

Quando ero alle superiori il nostro docente di fotografia di sovente ci faceva scegliere delle immagini pubblicitarie che noi poi dovevamo rifare in studio; Dio solo sa quante volte saranno fischiate le orecchie a Toscani, dato che mi dilettavo a ripetere i suo scatti. Un diploma e una laurea dopo, ho realizzato che si, effettivamente l’unica cosa in cui è bravo Toscani è la ripetizione. Beato lui, che ha trovato il suo Panopticon comunicativo, da cui guarda senza essere visto; da cui tocca, senza essere toccato. Ma cosa farà, Toscani, quando finiranno le disgrazie da immortalare con l’obiettivo? La sua fortuna è di essere il becchino della fotografia, perchè si sa, se illustri la natura (cattiva e distruttiva) umana, o se hai un’agenzia funebre, il lavoro è sempre assicurato.

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