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Il caso dell’omicidio di una transgender coinvolta nell’affare Marrazzo: “È Brenda che deve tacere, non il computer”.

Era Brenda il pc da “spegnere”. Nella sua testa i file dell’industria del ricatto, di LUCIO FERO-blitzquotidiano.it
La scena del crimine ci dice di un omicidio con intorno tanti piccoli “effetti speciali” lasciati per confondere – Oppure di una spedizione punitiva e intimidatoria diventata omicidio per eccesso di zelo criminale – Come che sia, vanno da Brenda perché è l’anello debole di una catena, l’anello che sta per spezzarsi – Una catena che, a risalirla, conduce non tanto a nomi di clienti noti, quanto a nomi di clienti ricattabili – E quindi ad un’altra e parallela catena, quella dell’organizzazione criminale che ricattava

L’hanno ammazzata, ma come e perché? Rispondere alla seconda domanda è più facile che ricostruire la dinamica del delitto: Brenda è morta perché qualcuno aveva una disperata urgenza di tappare una possibile falla, un “buco” che avrebbe smagliato oltre che scoperto una rete che aveva pescato denaro, molto denaro. Molto più di quanto si incassa vendendo sesso. Chi ha ucciso si è assunto un gran rischio: colpire Brenda, anche il semplice recarsi da lei significa accendere e stimolare ogni tipo di indagine. Un rischio che ci si assume quando si è insieme quasi disperati e certamente impegnati a coprire, “proteggere”, qualcosa che non è la prostituzione e che vale, in moneta, molto di più. Qualcosa che può essere soltanto un modo di far soldi, tanti, e la rete che i soldi li faceva. E l’unica cosa che Brenda poteva possedere di così prezioso erano informazioni. Informazioni su come i clienti dei trans rendevano molto di più delle tariffe che pagavano per un’ora o per una notte. Brenda è morta perché aveva terrore di quel che sapeva e quel terrore le stava facendo perdere il controllo. Chi l’ha uccisa o ne ha provocato la morte aveva bisogno del controllo sulle sue informazioni, Brenda non lo garantiva più. Qualcuno è andato a casa sua per riprenderselo.

La scena del crimine, come al solito “parla”. Dice molto, anche se con lingua “biforcuta”. Poco più di venti metri quadrati tra una stanzetta con angolo cottura, un bagnetto, un soppalco. Non un indirizzo segreto ma una sorta di rifugio privato. Non il luogo di incontri occasionali con occasionali clienti. Questo esclude la lite degenerata in tragedia, violenza. Violenza che sul corpo di Brenda non c’è.

Corpo, cadavere che è sul soppalco, accanto una bottiglia di whisky, di sotto valigie piene, come già pronte per una partenza. E un borsone della vittima con sopra traccia di un liquido infiammabile, l’innesco di un incendio, forse non il solo punto in cui quel liquido è stato sparso e l’incendio innescato. Incendio, fuoco che genera fumo e di fumo inalato, di esalazioni tossiche respirate Brenda muore.

Può essere andata così: qualcuno o più d’uno vanno per ucciderla. È questa la missione, senza mezzi termini. Non si fidano, la giudicano irrecuperabile, incontrollabile. La ammazzano con qualcosa e in qualche modo che l’autopsia e gli esami tossicologici diranno. Il resto è messa in scena: la bottiglia a depistare (ma fino a quando?) verso l’ubriacatura, le valigie riempite ad arte a simulare una fuga, il fuoco appiccato come sfregio o firma, lo stesso computer di Brenda infilato nel lavandino sotto il getto d’acqua lasciato lì come si lascia un sasso in bocca alla vittima di mafia che ha parlato o stava per parlare.

Oppure può essere andata altrimenti: qualcuno o più d’uno vanno per zittirla, non necessariamente per spedirla al cimitero. La minaccia è teatrale e violenta: il computer “affogato” ad indicarle cosa può accaderle, il fuoco appiccato come “saluto” perché definitivamente Brenda capisca. Una Brenda che non è morta quando il fuoco parte e che però non si sveglia e muore soffocata, i medici legali diranno perché non si è svegliata.

In entrambi i casi quel che va protetto e spento non è nel computer. Se lì dentro c’è qualcosa da non far uscire, se lì dentro c’è il “secondo video” con Marrazzo e con altri che non si devono vedere, se questo è quello che si vuole oscurare, il computer non lo si lascia lì, lo si porta via. Nessun danneggiamento del computer può dare la garanzia che poi gli investigatori non saranno capaci di “leggerlo”. È Brenda che deve tacere, non il computer. Se sono andati lì per ucciderla non l’hanno certo fatto con il fumo nè potevano pensare di ucciderla così: non c’era, non ci poteva essere la garanzia che soffocasse, anche se stordita, anche se drogata.

La scena del crimine ci dice di un omicidio con intorno tanti piccoli “effetti speciali” lasciati per confondere. Oppure di una spedizione punitiva e intimidatoria diventata omicidio per eccesso di zelo criminale. Come che sia, vanno da Brenda perché è l’anello debole di una catena, l’anello che sta per spezzarsi. Una catena che, a risalirla, conduce non tanto a nomi di clienti noti, quanto a nomi di clienti ricattabili. E quindi ad un’altra e parallela catena, quella dell’organizzazione criminale che ricattava. Il ricatto, era questa “l’industria”. Non il sesso e neanche la droga. Industria del ricatto che ha bisogno di informatori, staffette, esattori, addirittura a suo modo di intelligence. Un’industria che andava protetta perché vasta e remunerativa. Brenda muore soffocata dal fumo, dalla voglia ed esigenza criminale di tapparle la bocca e, soprattutto, soffocata dalle informazioni che aveva in testa e in memoria. Ma i suoi assassini almeno un grande errore l’hanno commesso: uccidendola o provocandone la morte hanno indicato con chiarezza cosa cercare: l’industria del ricatto. (Beh buona giornata)

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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