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Till voglio bene.

“Andrò a Cannes non per difendere i nostri lavori, ma per premiare la qualità, la migliore di ogni Paese.” Lo ha detto Till Neuburg, giurato italiano nella categoria Cyber. Bravo Till. La vecchia guardia non si piega al solito stucchevole, consuetudinario e scontato bla-bla del prima, durante e dopo il prossimo Festival della pubblicità di […]

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“Andrò a Cannes non per difendere i nostri lavori, ma per premiare la qualità, la migliore di ogni Paese.” Lo ha detto Till Neuburg, giurato italiano nella categoria Cyber. Bravo Till.

La vecchia guardia non si piega al solito stucchevole, consuetudinario e scontato bla-bla del prima, durante e dopo il prossimo Festival della pubblicità di Cannes.

Till appartiene a quella folta schiera di pubblicitari che vennero a lavorare in Italia. Attratti dalla qualità della vita, della cucina, del Design e dell’arte italiana, Till e Fritz e Hans-Rudolf, e Michele e Felix e Chris, tanto per citarne solo alcuni, sono stati tra coloro che hanno portato il loro contributo alla crescita della pubblicità italiana. Un contributo deciso e decisivo.

L’Italia attirava talenti dall’Europa e dagli Usa, non solo nella creatività, ma anche nel contatto, nel media, insomma in tutta la filiera del nostro mondo. C’era voglia di fare, di innovare, di costruire, di forzare l’esistente, di inventare nuove e più promettenti regole. C’era posto per tutti.

Una delle ragioni della linea continua verso il basso della nostra creatività, che a Cannes viene ogni anno aggiornata verso il basso, sempre più basso, sta proprio nella perdita secca della voglia di fare, di innovare, di costruire. di forzare l’esistente, di inventare nuove e più promettenti regole. Non siamo più attrattivi né attraenti.

L’importanza della contaminazione culturale e professionale è stata una delle grandi ricchezze del nostro mondo della comunicazione commerciale. Vi basti pensare che il primo presidente dell’Art Directors Club italiano è stato Fritz Tschirren, svizzero che vive e lavora a Milano da quasi quarant’anni.

Bravo Till, dicevo.

Perché dice una cosa sacrosanta, semplice e pura: non faccio il giurato a Cannes per difendere i lavori italiani. Infatti, un giurato giudica. Non difende. La pubblicità italiana non ha bisogno di avvocati difensori. È colpevole. Pluri-pregiudicata. Recidiva. È arrivata all’ultimo grado del giudizio. La sentenza è ormai definitiva. Passata in giudicato.

Nessun giurato italiano ha neanche più la forza di appellarsi alla clemenza della corte. Se lo fa è solo perché non sa più neanche che dire a chi gli chiede di dire qualcosa.

Ma c’è un altro aspetto, che mi pare importante nelle semplici parole di Till Neuburg. Il compito del Festival della pubblicità di Cannes è quello di vedere, guardare, capire e premiare la qualità migliore di ogni Paese.

È un compito complicato, ma fantastico. È un compito che è a beneficio di tutti, e proprio per questo non ha proprio nulla a che fare con le piccole e stucchevoli beghe nazionali.

A Cannes si fotografa la mappa dei pensieri e si indica un traguardo, lo si indica nel futuro prossimo venturo.

Male fanno i nostri giurati a andare a Cannes con la testa rivolta all’orticello italico. Male fanno i rappresentanti della nostre marche a scambiare Cannes come una gita premio, magari offerta da una grande concessionaria. Cannes indica la luna, e noi concioniamo sul dito.

Cannes è riuscita negli anni, tra alti e bassi, tra crisi economiche e l’insorgenza della globalizzazione economica a mantenere viva nel tempo la sua missione.

Che è semplice e pura come le parole di Till Neuburg: scovare e premiare la qualità, perché la qualità della pubblicità mette allegria, voglia di fare, ci sfida nelle nostre vecchie sicurezze, ci stimola all’avventura di nuovi orizzonti.

Ci dà forte e chiaro il senso concreto del mondo in cui viviamo. Ci assegna un ruolo, ci indica da che parte stare. Ci obbliga a cambiare punto di vista: ci spinge a osare pensare, osare lottare e osare vincere

E per questo, scrosta via il calcare, la ruggine, la forfora: in altre parole, quel calduccio mediocre in cui spesso consoliamo le nostre mediocrità. Della qual cosa incolpiamo il “fato, cinico e baro”, sfoderando il più trito cerchio-bottismo: un colpo al Cliente e un colpo all’Agenzia. Balle.

Troppo facile: non ha funzionato, non funziona e non funzionerà. Si torna a casa da Cannes e, come al solito si parla del Festival come si parla del Meteo, che è il talento di quelli che non sanno che dire. Non sanno neanche che dire a se stessi.

Quest’anno il Festival del Cinema di Cannes ha premiato il talento, il coraggio, i piedi per terra e la testa nel futuro del cinema italiano.

Possibile che la pubblicità italiana sia così gnucca da non capire come si fa? Forza Till, anche se anche quest’anno la Costa Azzurra ci farà neri, lo spirito con cui ci vai è giusto. Salubre e salutare. Beh, buona giornata.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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