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Minzolini difende, anche con toni aggressivi, il suo lavoro in questa intervista a Libero.

Franco Bechis- da Libero

A lui non risulta nessuna indagine. Il direttore del Tg1, Augusto Minzolini sostiene di non avere ricevuto alcun avviso di garanzia e quindi di non potere dire nulla sulla presunta concussione per cui sarebbe indagto a Trani. Dice però che se il fatto fosse vero, lo prenderebbe come un tentativo di intimidazione a lui e al Tg1. A Trani infatti c’era andato, come teste, dimostrando il millantato credito di chi sosteneva che sul Tg1 mai sarebbe apparsa una notizia contro l’American Express. Solo il Tg1 infatti ha dato informazione dell’inchiesta di Trani. Quanto all’accusa di avere ricevuto la linea del Tg1 da Silvio Berlusconi, la considera «ridicola». Certo che ha parlato con il premier, 4 o 5 volte da quando è al Tg1. Lo faceva anche prima, perché così si fa il giornalista. E difende, anche con toni aggressivi, il suo lavoro in questa intervista a Libero.

Sono una persona educata e rispondo a tutte le telefonate che mi fanno. Talvolta per cortesia, altre volte per interesse. Faccio sempre il giornalista e se non parlassi con i protagonisti dei fatti, mi sarebbe difficile comprenderli, no? A proposito, secondo te il presidente del Consiglio non è una buona fonte di informazione? Io spero che si informassero alla fonte diretta anche i miei predecessori

Augusto, sei indagato per concussione alla procura di Trani…

«…Alt. Io non so nulla. Non ho ricevuto alcun avviso di garanzia. Che io sia indagato lo dici tu, non io. Non c’è e credo proprio che non arriverà mai…».

Le notizie sono ufficiose, ma autorevoli. E credo che a quest’ora non ce le abbia solo io. Risultano indagati per concussione il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il membro dell’Authority tlc, Giancarlo Innocenzi, e il direttore del Tg1, tu…

«Io? Concussione? E come faccio ad avere concusso?».

La Rai è pubblica e tu sei incaricato di pubblico servizio. Se prendi una “comanda” dall’esterno e comandi i servizi alla tua redazione, ecco qui la concussione.

«Cioè mi accusano di fare il giornalista, che parla con i politici e il direttore che appunto dirige?».

Sembrerebbe così. Tu parli spesso con il presidente del Consiglio, Berlusconi?

«Spesso no. Ma è capitato…».

Devo fare come il confessore: quante volte, figliolo?

«Da quando faccio il direttore del Tg1, quasi un anno, direi quattro o cinque volte. Parlo con lui e con un’infinità di altri politici…».

Anche di opposizione?

«Sì, anche di opposizione. Per altro sono una persona educata e rispondo a tutte le telefonate che mi fanno. Talvolta per cortesia, altre volte per interesse. Faccio sempre il giornalista e se non parlassi con i protagonisti dei fatti, mi sarebbe difficile comprenderli, no? A proposito, secondo te il presidente del Consiglio non è una buona fonte di informazione? Io spero che si informassero alla fonte diretta anche i miei predecessori».

Sentivi al telefono Berlusconi anche prima di essere nominato al Tg1?

«Certo che sì. Ho iniziato a fare il giornalista politico nel 1980. Tranne due anni e mezzo che ho vissuto negli Stati Uniti, per scrivere articoli e retroscena ho parlato con tutti. Anche con diversi presidenti del Consiglio, ministri e segretari di partito…».

E mai ti sei trovato nei guai per averlo fatto?

«Mai. Infatti questa è pura follia. Di più: lo dico con franchezza: è un atto intimidatorio. Non ha senso, è fuori da ogni logica. Mi accusano di avere parlato con Berlusconi? E che accusa è? Poi – sostieni tu -, mi accuserebbero anche di avere parlato con la mia redazione? Significa che secondo i magistrati io dovrei fare il direttore sordo – perché non devo sentire il presidente del Consiglio – e muto, perché non dovrei dare indicazioni alla redazione. Insomma, sono colpevole di non essere sordomuto, altro che concussione!».

Forse dovresti parlare meno al telefono.

«Ah, su questo d’accordissimo. Ma questo è il Paese. Se ho capito bene queste presunte intercettazioni che non pubblica nemmeno Il Raglio del Travaglio…».

Telefonano, io ascolto. E poi decido di testa mia rispettando tutti e soprattutto dando ai cittadini la possibilità di capire. Però abbiamo ridotto un po’ la politica, perché i dati su ascolti e gradimenti dicono che interessa assai poco».

Il Fatto quotidiano, vuoi dire…

«Il Raglio del Travaglio. Beh, queste intercettazioni nascono da una indagine su interessi esorbitanti che avrebbe applicato ad alcuni clienti di revolving card l’American Express. Qualcuno – e lo riconosce perfino Il Raglio del Travaglio – ha millantato di potere intervenire sul Tg1 per bloccare informazioni dell’inchiesta ed evitare una campagna sull’American Express. Tutto nasce da una denuncia di un ufficiale della Guardia di Finanza a cui sono stati applicati tassi secondo lui da usura. La procura di Trani mi chiede di comparire come persona informata dei fatti».

Quindi ti hanno già sentito?

«Sì. Nell’autunno scorso. Li ho chiamati, e informandomi sui motivi della convocazione. Così ho scoperto che forse l’unico tg che ha mandato in onda un servizio sull’inchiesta contro l’American Express è stato proprio il Tg1. L’ho spiegato a Trani, e per me era finita lì. Come sia possibile che poi sulla base di un’ipotesi inesistente di cui ho fornito prova abbiano continuato a intercettare in cerca di chissà che, proprio non lo so».

Lo sai che sei un incaricato di pubblico servizio, non un direttore come gli altri?

«Certo che lo so. Per questo sul Tg1 si è data informazione anche dell’inchiesta sull’American Express. E ogni giorno si cerca di dare le informazioni più complete e rilevanti. Se ne rende conto il pubblico che continua a seguirci… Ecco qui i dati di ieri: Tg1 al 29,2%, il Tg5 al 23,9%. Evidentemente gli ascoltatori ritengono il Tg1 un prodotto equilibrato e non condizionato da chi tenta attraverso intimidazioni di piegare la linea del giornale a questo o quel partito».

E i partiti, intimidazioni a parte, si fanno sentire direttamente? Chiedono molto?

«Telefonano, io ascolto. E poi decido di testa mia rispettando tutti e soprattutto dando ai cittadini la possibilità di capire. Però abbiamo ridotto un po’ la politica, perché i dati su ascolti e gradimenti dicono che interessa assai poco».

Dici? E perché?

«Forse ne è stata fatta troppa in passato, o forse è troppo evanescente. Non si occupa dei temi reali. Guarda questa campagna elettorale: tutte inchieste, intercettazioni, timbri quadrati, rotondi o rettangolari…».

E c’è pure la par condicio.

«Sì, e la dobbiamo rispettare. Oggi ho letto su un quotidiano dei dati assolutamente falsi. Siamo lì con il bilancino a calcolare tutti gli interventi. Ho una squadra che non sgarra quasi al secondo. La par condicio certo frena. Pensa che frena me che vorrei tanto fare un altro editoriale…».

Ma non sono proprio quegli editoriali la ragione vera di polemiche e guai?

Antonio Di Pietro dice che dovrebbero cacciarmi a pedate nel sedere. Era il linguaggio di Benito Mussolini. Detto questo vado volentieri davanti alla commissione di vigilanza o al cda Rai per spiegare le mie idee e difenderle. Non ho paura delle idee.

«Polemiche le farebbero comunque. Rifarei ogni editoriale che ho firmato. Ce l’hanno con quello che ho detto su Spatuzza e Ciancimino jr? Ho detto che sono pentiti non credibili? Forse ero fra i pochi allora a ritenere questo. Ora hanno capito tutti. È una colpa intuire in anticipo? Ho fatto un editoriale sostenendo che era opportuno reintrodurre l’immunità parlamentare. Giù fischi e critiche. Un mese dopo Marcello Maddalena, il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino e altri magistrati hanno sostenuto la stessa cosa…».

Ma continuano a chiederti le dimissioni.

«Sì, personaggi a dire poco ridicoli. Antonio Di Pietro dice che dovrebbero cacciarmi a pedate nel sedere. Era il linguaggio di Benito Mussolini. Detto questo vado volentieri davanti alla commissione di vigilanza o al cda Rai per spiegare le mie idee e difenderle. Non ho paura delle idee. E non vi rinuncio nemmeno se usano atti per intimidirmi. Non mi intimidiscono. Ho le mie idee, e per fortuna le rendo pubbliche. Sono cristallino. Quello che penso lo dico in televisione. Lo dico nelle riunioni di redazione. E naturalmente anche in una telefonata privata…».

Non esistono telefonate private. Guarda questa intervista. Esce su Libero. Ma prima finisce in un faldone. Lo scoop lo sta facendo il maresciallo all’ascolto…

«Dici? Mi hai chiamato sul fisso, attraverso il centralino Rai. È intercettato anche questo? Vabbè, cerca di essere più veloce tu a trascriverla…».
(Beh, buona giornata).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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