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Ma che cosa sta diventando la scuola pubblica in Italia?

La scuola in Italia è un peso per i conti pubblici: docenti, non docenti, studenti sono tutti un esubero. E come tutti gli esuberi, vanno allontanati, quei costi vanno tagliati. Mi dispiace, dice Gelmini, l’avatar ventriloqua del ministro dell’Economia, ci vuole meritocrazia, non so che vuol dire, perché a me non è mai successo, però mi hanno detto di dire così. Mi dispiace, dice il ministro dell’Economia in persona: certi diritti sarebbero pure giusti, però non ce li possiamo più permettere.

Così è e così è stato nelle scuole italiane di ogni ordine e grado. Ma, direte voi, allora vorrebbero un popolo ignorante? Sì. No. Cioè. Vogliono un popolo forgiato al comando del telecomando, quello strumento di “democrazia diretta” che permette di cambiare i programmi televisivi.

Il principio è semplice, basico, è imperativo, anzi è un imperativo categorico: nella scuola italiana si insegna che quello che dovete sapere lo sappiamo noi. Infatti, tanto per fare un esempio, l’avatar Gelmini e il ministro della Difesa La Russa hanno varato in una scuola di Adro, in provincia di Brescia (quella famosa per i simboli legisti) il programma “Allenati per la vita”: lezioni di uso delle armi, dal tiro con l’arco, all’uso della pistola (ad aria compressa). Alla Gelmini non sarebbe mai venuto in mente. A lei non viene mai in mente niente. Ma a La Russa è venuta in mente una innovazione pazzesca: “libro e moschetto, balilla perfetto”.

Tutto il resto è strumentalizzazione politica, come ha detto l’avatar Gelmini quando si è rifiutata anche solo di incontrare una delegazione in rappresentanza dei 219.000 (duecentodiciannovemila!) insegnati precari espulsi in un colpo solo dalla scuola italiana: record di licenziamenti che a pieno titolo potrebbe essere iscritti nel Guinness dei primati.

La verità è che i nemici dell’istruzione pubblica sono entrati (tanto per usare un termine militaresco), sono entrati nel perimetro del diritto all’istruzione, bene comune di una società democratica. E hanno reintrodotto gli assiomi della divisione di classe: ai ricchi scuole private, in Italia o all’estero, ai poveri una sempre più povera scuola pubblica. Basta con la storia che anche l’operaio vuole il figlio dottore. Non c’è più mobilità sociale da rendere disponibile al progresso individuale attraverso la scuola.

Però se c’è meno qualità dell’istruzione, almeno c’è più quantità di prodotti da consumare. Nei centri commerciali, negli outlet c’è tanto consumo da offrirgli. E allora, ragazzi, ma che ci andate a fare a scuola: non vi basta chattare in rete con quella roba tanto carina piena di faccette? Non vi basta partecipare al televoto, sublimazione della democrazia televisiva, che vi fa scegliere il vostro personaggio televisivo preferito? Cosa ne volete sapere voi di cultura, di sapere, di diritti e democrazia, che vi fanno venire strane idee in testa, vi rendono pensierosi, addirittura riflessivi, che poi uno diventa triste e cupo, come certi strani personaggi che hanno fatto la storia, la letteratura, la filosofia, la scienza, e che poi a uno magari gli viene voglia di cambiare le cose che non vanno.

E no, eh?! Mica ricominciamo con le rivolte studentesche, con l’idea di voler conquistare un mondo migliore. Ma non vi rendete conto di quanto siete fortunati. Qui c’è un governo del fare e una ministra avatar che sa lei quello che dovete sapere voi: glielo ha detto un giorno, a tu per tu, ad Arcore Berlusconi in persona.

E non vi azzardate neanche a immaginare di poter essere un domani i protagonisti di un ricambio generazionale dell’attuale classe dirigente. Al massimo vi si concede un provino per il Grande Fratello. Beh, buona giornata.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

Una risposta su “Ma che cosa sta diventando la scuola pubblica in Italia?”

Se hanno avuto il coraggio di proporre il poligono di tiro come attività formativa, tra poco istituiranno anche la psicopolizia nelle scuole. Così, per essere sicuri che i ragazzi non imparino a pensare con la propria testa.

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