Categorie
Attualità Società e costume

Questa è la storia solitaria dell’uomo che morì sette anni fa.

L’incredibile storia di Dante Nencioni, morto e dimenticato in casa per 7 anni
Nessuno ha mai suonato alla porta del pensionato, stroncato da un malore e rimasto cadavere nella sua villa di Frascati- di Marida Lombardo Pijola-ilmessaggero.it

Questa è la storia di un uomo senza storia. Un uomo rimosso dalla memoria di ogni consimile incrociato negli otto decenni in cui ha vissuto. Un uomo che non ha lasciato traccia negli affetti e nei ricordi di nessuno. Che si è lasciato alle spalle solo morti, o abbandoni, o indifferenza, o rancori, o labilità della memoria, o sciatterie dell’attenzione degli esseri umani verso gli altri esseri umani.

Nessuno può dire può dire come sia andata davvero, la vita di Dante Nencioni, in questa storia che va oltre la solitudine e l’indifferenza, in un non-luogo dove una vita può evaporare in una bolla vuota, eludere la memoria e i sentimenti, precipitare nel buco del nulla. Infatti non era nulla per nessuno, quel pensionato fiorentino, vissuto a Frascati per vent’anni, morto da solo a ottant’anni -presumibilmente nel 2003, per cause ignote – e rimasto per i successivi sette a deperire, come una cosa oltraggiata dall’umidità dell’altrui smemoratezza, sul pavimento del bagno di una villa isolata nella zona più prestigiosa di Frascati, che il tempo ha trasformato in un ossario.

Nessun parente. Soltanto due nipoti acquisiti, di Firenze, che appena si ricordano di lui. Due decenni a Frascati, eppure nessuno sa niente di lui. Un fantasma. Solo un’immagine sfocata nella memoria lunga di un paio di anziani che abbiamo rintracciato. «Massì, ”l’ingegnere”, simpatico, la renna e il cashemirino, la station wagon, distinto, capelli tinti, denti rifatti con gli impianti, molti soldi, parlava di aprire un Bingo a Roma, di andare a vivere in un residence». «Diceva, mi pare, di una figlia lontana con cui aveva litigato, e di una moglie divorziata e poi morta. Scendeva in piazza ogni tanto a prendere il caffè».

Eppure nessuno lo ha cercato, nessuno ha chiesto o si è mai chiesto di lui. Nessuno ha mai bussato per avere sue notizie al cancello di via Enrico Fermi 34, alto, massiccio, dissuasivo, così da inibire ogni sbirciata. Quattrocento metri quadri immersi in un giardino tutto arruffato dalle erbacce. Il tempo ha consegnato quegli ambienti, un tempo eleganti e rifiniti, all’avidità di una muffa implacabile, che si è accanita come un predatore su quella casa, su quel corpo, su quella morte, come, in precedenza, doveva aver divorato quella vita.

Perciò questa è una storia che si svolge in una terra di mezzo, dove la vita di un anziano può consumarsi in un silenzio irreparabile e perfetto come la morte, e può sfibrarsi come gli asciugamani ridotti a fili penduli che hanno vigilato sul corpo di Dante Nencioni come sinistre sentinelle funerarie. E chi lo sa se ha misurato l’entità diabolica del vuoto, Dante, già impiegato all’Agenzia delle Entrate di Roma, divorziato dal ’95, per l’anagrafe senza figli, mentre si accasciava sul pavimento del suo bagno, forse già privo di vita, o forse soltanto intrappolato in un malore che non avrebbe avuto alcun soccorso e alcun conforto. Sarebbe rimasto lì per altri anni, se l’acqua sputata dai tubi sgangherati dei suoi impianti non avesse indotto qualcuno ad avvertire i vigili urbani.

Nessuno di coloro che sono entrati in quella casa potrà dimenticare mai quello che ha visto. L’impatto con qualcosa di ancora più sinistro della devastazione che il degrado aveva minuziosamente prodotto sui mobili antichi di valore, le boiseries, i dipinti, le porcellane preziose, il buddha dorato quasi a grandezza naturale, il laboratorio con gli attrezzi da bricolage per lavorare il ferro e il legno, disposti in meticolosa simmetria. C’era qualcosa, in quell’abitazione, di ancora più inquietante delle ossa abbandonate tra la doccia e il lavandino come un mucchietto di rifiuti. Quell’ordine irreale, quei documenti archiviati e conservati nei faldoni con la pignoleria di un notaio, quei libri, corsi d’inglese ed enciclopedie, disposti in fila perfetta sugli scaffali. E in giro nessuna foto. E nella posta nessuna lettera, nessuna cartolina, nulla che non fosse un rendiconto, una bolletta, una pubblicità. E quella penna a sfera, quegli occhiali, quell’orologio d’acciaio sistemati in fila perfetta sul tavolino davanti al caminetto, accanto ad una copia chiusa di ”Porta Portese”. E quelle armi, regolarmente detenute, custodite con cura in una cassapanca. E quell’Alfa, protetta con devozione dai teli nel garage. E quel vuoto. E quella sensazione di asfissia.

Visitando quella casa il capitano dei carabinieri Marcello Sermoneta si è lasciato rinfrancare dal sollievo ripensando ai suoi cento metri quadri caotici, affollati da figli e da cani; il suo capo Giuseppe Iacoviello, che ha 31 anni, ha riflettuto sul fatto che prima o poi sarà ora di farsi una famiglia; a Barbara Luciani, comandante dei vigili del fuoco, si è stretto il cuore pensando alla sua bimba di 3 anni, che non ha fratelli. La solitudine produce solitudine. E neanche il postino, mentre nella cassetta si ammucchiavano all’inverosimile carteggi sterili da parte di entità neutre e sconosciute, ha pensato di insistere. Suonare due volte. Il postino non lo fa mai, si sa. Gli altri nemmeno. (Beh, buona giornata).

Share this nice post:
Share this nice post:
Share and Enjoy:
  • Print
  • Digg
  • StumbleUpon
  • del.icio.us
  • Facebook
  • Yahoo! Buzz
  • Twitter
  • Google Bookmarks
Share

Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

Una risposta su “Questa è la storia solitaria dell’uomo che morì sette anni fa.”

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Follow

Get every new post delivered to your Inbox

Join other followers: