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Popoli e politiche

Gli jihadisti dell’occidente.

Ha indossato la mimetica, si è allaciato gli anfibi, a caracolla le giberne, si è messo l’elmetto. “Immaginiamo che tra qualche mese venga fuori che l’Apocalisse dei cieli, il grande attentato destinato a oscurare persino gli attacchi dell’undici settembre, con migliaia di vittime innocenti, sia stato sventato solo grazie alla confessione, estorta dai servizi segreti […]

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Ha indossato la mimetica, si è allaciato gli anfibi, a caracolla le giberne, si è messo l’elmetto. “Immaginiamo che tra qualche mese venga fuori che l’Apocalisse dei cieli, il grande attentato destinato a oscurare persino gli attacchi dell’undici settembre, con migliaia di vittime innocenti, sia stato sventato solo grazie alla confessione, estorta dai servizi segreti anglo-americani, di un jhadista coinvolto nel complotto, magari anche arrestato (sequestrato) illegalmente. Chi se la sentirebbe in Europa di condannare quei torturatori? La risposta è: un gran numero di persone. In Italia più che altrove.”

Angelo Panebianco postula questa macabra tesi sulla prima pagina del Corriere della Sera di domenica.

Per sostenere il ripugnante principio secondo la quale ci vuole un “compromesso tra lo stato di diritto e la sicurezza nazionale. “ Questo è non solo il provincialissimo vizio di scimmiottare le tesi dei neo-con americani, sport preferito, quello di scopiazzare tesi americane, praticato dal capo del servizio d’ordine dell’ex maggioranza, Giuliano Ferrara.

Questa è una pantomima della jihad all’occidentale, brutale, sconcia come quella islamica, che sgozza in diretta tv i rapiti, ma che si sente al di sopra e al di fuori di ogni convenzione. C’è del grottesco: Panebianco sa qualcosa che noi non sappiamo? Che dopo essere stata bruciata la copertura “giornalistica” dell’agente Betulla, Panebianco abbia preso il suo posto, magari con il soprannome di “Gramigna”?. C’è sentore di messa in scena, e allora bisogna correre ai ripari, prima che venga fuori qualche mezza verità, che mandi in vacca il tripudio di congratulazioni per la brillante operazione di Scotland Yard? Perché accenna a una “confessione, estorta dai servizi segreti anglo-americani, di un jhadista coinvolto nel complotto”. E’ questo quello che è successo?

Quando, ci dica quando la tortura ha prodotto la verità dei fatti, che non sia stata sempre e solo la verità che faceva comodo ai torturatori e ai loro mandanti. I torturatori fanno schifo, sono dei vigliacchi perché si ritengono al di sopra di ogni regola, anche quelle della guerra. Quelli che ne immaginano il valor militare, magari a futura memoria, sono dei reietti: usano le parole come gli elettrodi sul corpo martoriato del reo. Si auto proclamano, di volta in volta difensori della patria, della civiltà, dei valori democratici, (Panebianco riesce addirittura a richiamarsi ai valori liberali), ma usano le tesi di Torquemada: se resisti alla tortura sei posseduto dal demonio, se cedi vuol dire che la tortura ha sconfitto il demonio. Comunque colpevole, nemico da annientare.

“In questa casa si mangia pane e veleno”. “Quale pane, solo veleno”.(Miseria e nobiltà di Edoardo Scarpetta). Ogni riferimento a Panebianco e soci è assolutamente intenzionale, lui che nella miseria del veleno e dell’odio ci fa, qui ci sta proprio bene, la scarpetta.

La domanda è: da che parte sta Angelo Panebianco? Dalla parte dell’Italia che ha cercato in ambito europeo una ritrovata centralità dell’azione dell’Onu, come la Risoluzione 1701 sul Libano starebbe a dimostrare? O sta dalla parte dell’unilateralismo Usa, dei Bush, dei Cheney, dei Rumsfled? Panebianco si sbatte per la sicurezza nazionale del suo paese e dei cittadini della Ue o della supremazia diplomatico-militare degli Usa?

Perché è chiaro che quel “compromesso necessario” di cui parla è una tesi cara, ma forse ormai logora, all’amministrazione Bush e ha una precisa collocazione storico-geografica: si tratta di Guantamano Bay, dove anche il suicidio dei prigionieri, illegalmente detenuti, secondo la stessa giurisprudenza americana, viene considerata dai militari un crimine contro la sicurezza nazionale.

Quello sarebbe il modello di riferimento del compromesso tra stato di diritto e sicurezza? Se è così, altro che la vicenda di Abu Omar, se è così fa proprio Kaghan, e proprio per questo puzza di già visto, già detto, in via di definitivo fallimento.
Se avesse funzionato, perché invece di sconfiggere il terrorismo in Afghanistan e in Iraq, dopo cinque anni di guerra ci troveremmo alle prese con “il fronte interno”, come lo chiama Ferrara, delle cellule terroristiche islamiche in Europa?

I fatti danno torto marcio a chi propugna lo scontro di civiltà, e alla conseguente necessità di sospendere le regole della civiltà del diritto. Ciò che ci rimane è la constatazione di una tristezza intellettuale che rasenta il ribrezzo.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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