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Lavoro

Lettera di una commessa contro l’apertura dei negozi il Primo Maggio.

(fonte: repubblica.it).

“Caro Alemanno ti scrivo.
Sì, ti scrivo per esprimere il punto di vista di un’addetta vendita (laureata, che parla 3 lingue), in merito alla decisione di tenere i negozi aperti domenica 1 Maggio, Festa dei Lavoratori. Forse tu non sai cosa voglia dire lavorare nel commercio. Provo a spiegartelo io.

Vuol dire dimenticarsi di cenare a un orario normale con la tua famiglia, perché se il negozio chiude alle 21.00 o alle 22.00 arrivi a casa in “seconda serata”.

Vuol dire non avere un weekend col proprio fidanzato, col proprio marito, coi propri figli perché il sabato e la domenica per te non esistono. In compenso hai il tuo giorno di riposo in mezzo alla settimana quando invece tuo marito lavora e i tuoi figli sono a scuola.

Vuol dire sorridere davanti ai telegiornali, quando senti che in parlamento si discute animatamente se tenere o meno gli uffici chiusi per festeggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Sai già che tu non rientri in questo discorso. Sai già che se gli altri italiani festeggiano, tu, italiana come i parlamentari, lavorerai. Magari con una coccarda tricolore appesa alla divisa, ma lavorerai.

E questo discorso vale per molte altre festività civili o religiose che siano (1 novembre, l’8 dicembre, il 6 gennaio, il 25 aprile, il 2 e 29 giugno, il 15 agosto). Per te queste sono solo date. Quasi ti scordi che cosa simboleggiano. Per alcuni rientra in questo elenco anche il 26 dicembre e il lunedì dopo Pasqua.

Questo è il settore del commercio: dove la vendita è lo scopo, il cliente è la preda, il dipendente è lo strumento. E lo strumento deve essere sempre disponibile. Io l’ho accettato, consapevole di questi sacrifici, per necessità. Non ho mai detto nulla e mai mi sono lamentata. Fino ad oggi

Il 1 Maggio a Roma c’è la beatificazione di Papa Giovanni Paolo II. Evento eccezionale, certamente, ma che altrettanto certamente non deve intaccare la possibilità di festeggiare l’unica festa nazionale civile rimasta al lavoratore commesso: la festa del lavoro. E il mio non può considerarsi di certo uno di quei mestieri che non conoscono riposo in quanto fortemente necessari al cittadino come può essere il medico, l’infermiere, il poliziotto. Il mio è quello di commessa di abbigliamento. Un bene che non è certo di prima necessità. Io non offro servizio al cittadino. Io offro lo sfizio. E il 1 maggio un turista può rinunciare allo sfizio.

Liberalizzare il 1 maggio non significa “favorire quel lavoratore che vuole lavorare”, come ritiene il presidente della Confcommercio capitolina Cesare Pambianchi. Significa favorire il datore di lavoro che fa lavorare il dipendente. E se è vero che il dipendente può rifiutare la prestazione lavorativa richiesta dal datore di lavoro, è altrettanto vero che come effetto quest’ultimo ci metta un attimo a porre fine al tuo contratto quasi sempre malato di precarietà cronica.

Grazie a te, caro Alemanno, magari i turisti saranno più contenti ma metà dei tuoi cittadini, quegli anonimi invisibili commessi del centro storico, a cui voi politici chiedete ogni volta se per loro c’è qualche “convenzione” straordinaria per avere degli sconti… ecco, loro lo saranno un po’ meno.

Auguri e buone feste”.
(Beh, buona giornata).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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