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Popoli e politiche

Le guerre sono come le ciliegie, una tira l’altra.

Seymour Hersh ha scritto sul New Yorker che l’attacco israeliano al Libano era stato pianificato in anticipo con l’assenso della Casa Bianca. Seymour Hersh è un accreditato giornalista investigativo americano, denunciò la strage a My Lai durante la guerra del Vietnam, nella quale i marines uccisero 500 civili. Denunciò il bombardamento di una fabbrica di […]

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Seymour Hersh ha scritto sul New Yorker che l’attacco israeliano al Libano era stato pianificato in anticipo con l’assenso della Casa Bianca.

Seymour Hersh è un accreditato giornalista investigativo americano, denunciò la strage a My Lai durante la guerra del Vietnam, nella quale i marines uccisero 500 civili. Denunciò il bombardamento di una fabbrica di medicinali in Sudan nel 1998, scambiata per un covo di Osama bin Laden ai tempi dell’amministrazione Clinton. Più recentemente, Hersh ha denunciato le torture americane nel carcere irakeno di Abu Ghraib. Hersh ha reso noti al mondo i piani di invasione americana dell’Iran.

Secondo la ricostruzione dei fatti, pubblicati sul New Yorker, di cui a un servizio di Anna Guaita per il Messaggero del 14 agosto, e a un trafiletto sul Corsera del 15 agosto, nella scorsa primavera, uomini del governo israeliano avrebbero sottoposto i piani di attacco del Libano al governo degli Usa, nella persona di Dick Cheney, di Condi Rice e di Donald Rumsfeld. Nonostante lo scetticismo di Rumsfeld, preoccupato che il via libera avrebbe indebolito l’importanza dell’impegno militare in Iraq, Cheney si sarebbe dimostrato entusiasta e insieme alla Rice hanno garantito l’appoggio del presidente Bush. Un buon argomento per le elezioni di medio termine, nella quali Bush è impegnato. Un invito a fare presto, prima che scada il mandato presidenziale.

Si trattava semplicemente di cogliere l’occasione adatta, viste le frequenti scaramucce al confine tra israeliani e hezbollah, il pretesto è stato scelto con la cattura dei due soldati israeliani, che ha dato il via all’attacco.

Secondo Hersh, per Cheney l’attacco al Libano poteva essere un ottimo test diplomatico-militare, propedeutico alla messa appunto dell’attacco all’Iran: una cocente sconfitta degli Hezbollah sarebbe stata utile per neutralizzare una eventuale rappresaglia degli sciiti del Libano contro Israele, in caso di attacco all’Iran. Non solo, l’attacco aereo contro il Libano sarebbe stata una prova generale dell’attacco aereo, previsto nei piani contro l’Iran.

Immediata la smentita del Pentagono, del Dipartimento di Stato e del Consiglio per la sicurezza. Hersh cita, però ben cinque fonti, di cui ovviamente non rileva l’identità. Ma che Hersh abbia messo il dito sulla piaga sembra avere un conferma da una dichiarazione dell’ex vicesegretario di stato Richard Armitage, di cui nell’articolo di Anna Guaita del Messaggero, vengono virgolettate le parole: “La campagna di Israele in Libano può essere un ammonimento per la Casa Bianca sull’Iran. Se la più grande forza militare della regione non può pacificare un paese come il Libano, che ha una popolazione di 4 milioni di persone, bisognerà pensare con cautela prima di applicare lo stesso paradigma in Iran, che ha grande profondità strategica e una popolazione di settanta milioni di persone.”

Il parziale fallimento dei piani militari israeliani sono talmente evidenti, da aver costretto l’amministrazione Bush, quanto meno a giocare su due tavoli. Quello dell’appoggio all’azione militare, rimandando per settimane la stesura della Risoluzione 1701 che ordina il cessate-il fuoco. Per poi scegliere di appoggiare la risoluzione, quando è stato chiaro il fallimento della strategia israeliana.

Questo è lo scenario nel quale i militari italiani saranno coinvolti, partecipando alla forza multinazionale in Libano. Il problema è solo apparentemente quello di poter effettivamente disarmare Hezbollah. Il vero problema è disarmare Dick Cheney e i suoi piani di attacco all’Iran. Per il momento sembrerebbero aver avuto una battuta d’arresto. Ma solo una battuta.

Hezbollah si sente più forte, ha dato filo da torcere a Israele. Israele si sente più debole, per la prima volta è stato frustrato il mito dell’invincibilità del suo esercito.

Dovrebbe essere chiaro che la sconfitta dell’unilateralità Usa, provocata dal fallimento sostanziale dell’attacco al Libano è solo un episodio. Importante, ma solo un episodio. Allo stesso modo di come il ritrovato baricentro dell’Onu e del ritorno del protagonismo della politica Ue è un episodio.

E’ un episodio anche l’azione diplomatica del governo italiano. Un episodio importante, ma pur sempre un episodio. Contro il quale continuano a congiurare le forze dell’ex maggioranza di governo, e il codazzo degli impiegati della guerra di civiltà: dal “liberale” Panebianco, al capo del servizio d’ordine della Cdl, Giuliano Ferrara.

Perché questo episodio dia la possibilità che si apra una finestra, e poi una porta, e poi un ponte verso l’intesa, il dialogo, la cooperazione contro i guerrafondai di Washington bisognerebbe non delegare la politica estera alla Farnesina, neanche se guidata da D’Alema.

Bisognerebbe tornasse con forza nelle mani, nelle menti, nell’azione politica dei movimenti per la Pace l’idea-forza della fine della guerra al terrorismo, che non ha esportato democrazia ma proprio e solo terrorismo. E’ l’unica vera barriera contro il terrorismo jiahdista, pronto ad essere rinfocolato da ogni ulteriore atto di guerra, che spinge verso la timidezza l’opinione pubblica europea, facile preda delle politiche sulla sicurezza, che altro non sono che la continuazione della guerra con le misure “straordinarie” contro il terrorismo.

L’opinione pubblica italiana ha recentemente stabilito un record di indifferenza verso la guerra in Libano, molto poco rassicurante: siamo stati forse l’unico paese europeo a non inscenare neanche una manifestazione pubblica contro la guerra, neppure dopo il massacro dei bambini di Cana. Forse è solo un brutto episodio. Ma dobbiamo fare in modo che non si ripeta. Mai più.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

Una risposta su “Le guerre sono come le ciliegie, una tira l’altra.”

per la verità un corteo nazionale è stato indetto a roma un triste sabato di fine luglio, a cui abbiamo partecipato in meno di mille persone (stima onesta).
L’esiguo numero di partecipanti ha lasciato quasi tutto lo spazio della piazza a gruppi che avanzavano al grido di Hezbolla!
Era luglio, il movimento era in vacanza. i giornalisti non hanno ritenuto di dare notizia del corteo. Molte redazioni di giornali sono sapevano neanche che questa mobilitazione fosse prevista.
é chiaro che marciando in via Cavour sentivo la mancanza del movimento, ma non potevo fare a meno di considerare tristemente che la latitanza vera era quella dei sindacati, della “sinistra radicale”, insomma di quei soggetti politici che mobilitano le grandi masse. E non potevo fare a meno di constatare nuovamente come il movimento pacifista sia tutt’altro che spontaneo.
Dunque, il richiamo alle singole coscenze è doveroso, se non altro per coltivare l’illusione di spontaneità del dissenso, ma soprattutto è da bacchettare chi non ha ritenuto doveroso creare una mobilitazione, perchè il valore della vita decade quando si ha paura di dire che Israele è un aggressore assassino, perchè Israele è intoccabile eticamente, se non si vuole essere accusati di antisemitismo.
Bene, vi do una buona notizia: sterminare palestinesi e libanesi, significa sterminare popolazioni arabe. Gli arabi sono semiti. Israele è la potenza militare antisemita più imponente dai tempi della Germania di Hitler.

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