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Finanza - Economia Società e costume

Venti (per cento) di crisi.

Il Paese virtuoso

di LUCIA ANNUNZIATA da lastampa.it

Il venti per cento in meno dei consumi per il Natale è un indubbio segno di sacrifici e di timore, ma vi si può leggere anche un segno di virtù delle famiglie italiane. Un’indicazione degli umori con cui il Paese si prepara ad affrontare la tempesta.Va detto che la stretta nei consumi non era affatto scontata. Come spesso ci ricordano gli economisti e come abbiamo imparato dalle esperienze di questi ultimi decenni, non c’è nulla di scontato nel comportamento collettivo. Nemmeno nella reazione a una crisi economica. In particolare se questa è – lo ha scritto su questo giornale il 22 dicembre Luca Ricolfi – una crisi che ha molte sfaccettature, come sfaccettato è del resto il profilo del reddito italiano. «È possibile che il 2009 sia un anno molto duro per molti, sia in basso (disoccupati, precari, piccoli esercenti), sia in alto (imprenditori, commercianti, lavoratori autonomi in genere). Però, attenzione a non generalizzare. Disoccupati, precari e lavoratori indipendenti non sono tutta la società», ricordava Ricolfi. A guardarla da vicino, senza paraocchi di pregiudizi, questa crisi è, come sempre succede, una realtà piena di differenze e sfumature, in cui accanto alla radicalizzazione della sofferenza di molti strati, permangono zone di stabilità se non di sicurezza.E’la differenza che sperimentiamo ogni giorno e che viene riflessa nell’informazione, che ci mostra da una parte spensierate vacanze e dall’altra famiglie in difficoltà. Ma, pur essendo la crisi una realtà a molti strati, il Paese ha avuto una reazione unanime: una frenata dei consumi, una scelta di parsimoniosa oculatezza che non era affatto scontata. Al bando il solito falò delle vanità italiane/occidentali, il culto del corpo, con i suoi annessi di creme, scarpe, borse e abbigliamento; decurtate le spese delle abbuffate, delle vacanze stravaganti, ma non quelle dell’interrelazione. Che si tratti di giocattoli, di sport o telefonini, l’elettronica non crolla perché è parte essenziale della vita.

Questa unanimità di comportamenti è forse la novità più rilevante del momento. Perché ci può far pensare che non è solo il frutto obbligato della diminuzione del denaro da spendere, ma anche di decisioni «psicologiche». Insomma, a differenza di quel che abbiamo visto in passato in altre crisi – l’esempio più potente che mi viene in mente è quello dello scoppio della bolla della nuova economia – durante le quali le difficoltà sottolinearono le differenze di reddito, nella crisi di oggi sembra di poter leggere anche il segno di una turbata coscienza nazionale che, al di là dei propri mezzi, sceglie la cautela e la parsimonia. Naturalmente è del tutto possibile che queste osservazioni siano più che altro una speranza, un riflesso di ottimismo natalizio sul nostro Io collettivo. Ma in parte sono basate anche sulla memoria di quella che è poi la natura del nostro Paese.

Solo mezzo secolo fa eravamo una nazione di contadini, ci diciamo spesso, per poi dimenticarlo più spesso. Gli attuali capifamiglia, cioè la maggioranza di chi produce in Italia, hanno genitori contadini o operai, e i nostri preziosi figli, che all’apparenza sembrano viziatissimi principini, hanno i nonni la cui parlata ha profonde radici nei dialetti locali. Sulle nostre tavole natalizie questi legami sono ovvi. Meno ovvi sono invece nel corso della nostra vita quotidiana. Il merito maggiore dell’Italia del dopoguerra è proprio questo: aver saputo diventare in due generazioni un Paese benestante e colto, e questo cambio è stato possibile grazie alla prudenza, al realismo, alla flessibilità e al coraggio con cui gli italiani hanno sempre affrontato le proprie traversie.

In questo Natale il solido spirito del Paese sembra ritrovarsi. Uno stato d’animo che ci dice molto del pessimismo con cui i cittadini guardano oggi alle cose a venire, ma ci dice anche della virtù italica di saper sempre ritrovare la propria bussola in quella serietà di comportamenti che è la base di ogni rispetto degli altri. Non sarà certo un caso se il tema politico prevalente in queste feste siano i contratti di solidarietà. Il Palazzo invece sembra per ora assorbito come sempre dalla riforma della giustizia. Ma se possiamo fare un augurio anche ai nostri governanti e ai politici tutti, governo e opposizione uniti, auguriamogli di non sprecare con una gestione irrazionale, partigiana e opportunista della crisi questa disponibilità di fondo del Paese. (Beh, buona giornata):

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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