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Media e tecnologia

La comunicazione commerciale i diritti di cittadinanza del consumatore.

Recentemente il Ministro per le Comunicazioni, Paolo Gentiloni ha chiesto alla Rai di abbassare il sonoro degli spot pubblicitari. La Rai ha risposto che provvederà. L’impressione è che questa sia una iniziativa che non serve proprio a niente. Attualmente il problema non pare tanto il volume dei break pubblicitari, quanto piuttosto la qualità dei programmi […]

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Recentemente il Ministro per le Comunicazioni, Paolo Gentiloni ha chiesto alla Rai di abbassare il sonoro degli spot pubblicitari. La Rai ha risposto che provvederà. L’impressione è che questa sia una iniziativa che non serve proprio a niente. Attualmente il problema non pare tanto il volume dei break pubblicitari, quanto piuttosto la qualità dei programmi televisivi.

La bassa qualità dei programmi tv, trasmessi dalla tv pubblica è stata negli scorsi anni giustificata dalla necessità di produrre trasmissioni televisive che catturassero il numero più alto possibile di spettatori, tanto da convincere gli investitori a finanziare con la pubblicità il servizio pubblico, in concorrenza con la tv commerciale. I risultati sono stati deprimenti dal punto di vista della funzione del servizio publico, ma sono stati poco utili anche al mercato della pubblicità, tanto da chiedersi se il gioco valesse la candela. Ovviamente qui si prende il considerazione il rapporto tra spot e spettatori televisivi.

Perché se il metro di misura è la raccolta di budget pubblicitari, in realtà la Rai ha tirato la volata agli ottimi fatturati che Mediaset ha registrato in questi anni, che hanno coinciso con la presidenza del consiglio dei ministri del fondatore, tanto da riuscire a far approvare una legge come la Gasparri che ha ulteriormente rafforzato la posizione dominante di Mediaset.

E allora, quanta e quale efficiacia hanno ancora gli spot pubblicitari, trasmessi in televisione?

A ben vedere come stanno le cose, sembrerebbe che le marche e i consumatori vorrebbero volersi bene, se non fosse che non si capiscono più. E’ come quei matrimoni che vanno in crisi per ‘incompatibilità del carattere’. L’esempio calza anche per quello che riguarda l’inconsistenza degli intermediari: pubblicitari, ricercatori, centri media, agenzie ed emittenti sembrano come i consulenti matrimoniali, gli avvocati, e parenti che si affannano alla ricerca di una riconcigliazione, peggiorando le cose.

Ciò vuol dire che in un mondo non più di massa, ma di persone si deve trovare il modo di toccare il desiderio personale. La crisi si è portato via il consumatore-massa, semplice obiettivo (target) da colpire con raffiche di messaggi (misurabili in grp’s). L’efficacia degli spot cala di anno in anno. Si dovrebbero trovare altri mezzi da utilizzare oltre alla televisione, per generare immagini, nonché l’anima della marca. Oggi non ci possono più essere agenzie specializzate solo sul mestiere della pubblicità, i creativi pubblicitari dovrebbero perseguire la contaminazione con altre forme di creatività, provenienti dai media, per estendere la visione della comunicazione.

Le agenzie dovrebbero aprire lo spettro della comunicazione pubblicitaria, per fare uscire la marca dalla via tradizionale. Le aziende dovrebbero assecondare questo processo di rinnovamento. Perché con il rafforzamento dei movimenti che criticano la società attuale, la pubblicità viene rifiutata da molti, come simbolo appunto di questa società consumistica.

Dunque, bisogna sapere misurare e dosare la pubblicità, che non ha alternative se non nell’essere sempre più creativa, e avere un’etica sempre più ferma, rispettando il consumatore. Il paradosso italiano sta nello straordinario volume di fuoco pubblicitario prodotto dalle televisioni. Con il risultato che i consumatori non amano le aziende, attualmente non comprano i loro prodotti, subiscono la tv, sono scettici sul valore della comunicazione commerciale.

Poco meno di dieci anni fa, in ‘Disruption’ (John Wiley&sons, Inc 1996) Jean-Marie Dru sosteneva la necessità di rompere le regole, superare l’idea della difesa della quota di mercato per riscoprire un idea di quota di futuro, con cui le grandi marche, attraverso il linguaggio della pubblicità avrebbero potuto riconquistare il dialogo con i tanti pubblici, raggiungibili attraverso lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, sviluppo favorito dalla globalizzazione.

Chi abbia letto con attenzione ‘No logo’ di Naomi Klein (Baldini&Castoldi, 2001), si è accorto che la critica alle grandi marche globali e alle loro campagne pubblicitarie, era in realtà una richiesta precisa, affinché i diritti di cittadinanza fossero sempre ben presenti nelle strategie di marketing.

In ‘Copywriter, mestiere d’arte'( Il saggiatore, 2001), Emanuele Pirella scrive che la pubblicità deve far acquistare le merci ‘per amore, per desiderio, per affetto, per amicizia’.

Kalle Lasn, leader di Adbuster (vedi ‘Errore di sistema’, di Bifo Berardi ed altri, Feltrinelli, 2003) non nega la pubblicità, la critica, la manipola per impedirle di essere invadente nel territorio ed invasiva nella mente dei cittadini-consumatori.

Intervistato da Ilaria Myr per www.advexpress.it, (24.06.2004) durante il 51 festival della Pubblicità a Cannes, Jacques Séguéla dice: ‘Ma sarà evidente che la pubblicità del 21mo secolo non avrà niente a che fare con quella precedente, e questo sarà evidente dai Festival che verranno. Il primo grande cambiamento riguarda la fiducia dei consumatori. All’inizio degli anni quaranta bastava il prodotto a creare fiducia. Dagli anni ottanta è stato necessario aggiungere la marca per rafforzare la fiducia. E oggi c’è di nuovo banalizzazione del prodotto e del valore. Sarà necessario passare dal duo prodotto+ marca a prodotto+ marca+ azienda. Il secondo cambiamento riguarda il desiderio. Prima il desiderio era comune, perché il consumatore stesso era comune, così come i media. Oggi siamo in un mondo non più di massa, ma di persone, e si deve dunque trovare il modo di toccare il desiderio personale. La terza evoluzione riguarda i media. È il tempo dell’advertainment, la pubblicità farà parte interamente dell’entartainment. I media saranno nel 21mo secolo il vero motore del nostro mestiere. Perché l’efficacia degli spot cala di anno in anno. Si devono trovare altri mezzi da utilizzare oltre alla televisione, per generare immagini, nonché l’anima della marca. ‘

Per altro, Séguéla sostiene essere giunto il momento in cui creativi della pubblicità e creativi degli altri media, a cominciare dalla tv, imparino a lavorare insieme, perché i contenuti, le idee, i pensieri espressi dalle aziende siano il più vicino possibile ai desideri delle persone.

Al superamento dell’idea del consumatore-massa, all’abbandono della pratica del ‘target’ da colpire con raffiche di spot si era avvicinato Marco Benatti, excountry manager del gruppo Wpp, la più potente holding di pubblicità del mondo, il quale in una intervista a Prima Comunicazione di Ottobre 2003, a firma di Umberto Brunetti ha detto: “Facciamo un esempio, facciamo il caso che lei sia un grande produttore di surgelati. Finora cosa farebbe? Compra spazio alla televisione e scarica in faccia al consumatore italiano una dose terrificante di spot a favore dei surgelati. Più o meno colpisce il target giusto, ma con una dispersione di messaggio e di soldi spaventosa.

E’ interessante notare che Wpp ha recentemente acquisito quote di AGB Group, la società che ha inventato e gestisce il meterpeople, il sistema su cui si basano le rilevazioni condotte da Auditel.

Mi pare che questo sia lo scenario ideale per immaginare il superamento dei parametri di valutazione proposti da Auditel. La cui presenza è diventata ingombrante, non tanto per i dubbi relativi alla trasparenza dei dati, ma proprio come nume tutelare di quella idea di consumatore-massa che i mercati globali stanno mettendo fortemente in discussione.

‘Ma noi segmentiamo ben sessanta pubblici’, ha detto il dott. Pancini, direttore generale di Auditel durante ‘Controcorrente’ su Sky news 24, il 29 settembre u.s. E’ proprio questo il punto: Auditel compra gradimento all’ingrosso e rivende target al dettaglio. Questa stagione è finita, tutto ciò è stato superato dai mercati globali: nonostante le anomalie e i paradossi del nostro sistema radiotelevisivo, il cambiamento lo si può ritardare, come è stato fatto finora, ma fermarlo e impossibile.

‘La globalizzazione ha due volti: uno è quello dell’ordine imperiale, delle sue gerarchie, dell’omologazione; l’altro è la possibilità di nuovi circuiti di informazione e collaborazione che attraversano le nazioni e i continenti, facilitando un illimitato numero di incontri’ (Moltitudine, di Micheal Hart e Antonio Negri, Rizzoli, 2004).

E’ tempo che tra la comunicazione commerciale e i diritti di cittadinanza dei consumatori si stabiliscano mille occasioni di incontro e che i professionisti della comunicazione agiscano da volano per un continuo feedback positivo. Che possa anche essere illuminante per l’azione del Governo, che deve rimettere mani sul riassetto del sistema radiotelevisivo italiano. In questo senso il ministro Gentiloni non ha davvero un compito facile. Forse gli sarebbe utile guardare oltre il mercato italiano: gli esempi non mancano.

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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