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Sono ancora utili le associazioni di categoria della pubblicità italiana?

La sensazione che la situazione del mercato della comunicazione commerciale italiana sia nettamente diversa da ciò che si discute nelle associazioni di categoria è netta quando si leggono i programmi elettorali dei candidati alle cariche direttive delle varie associazioni di categoria, che costellano la pubblicità italiana. A volte, verrebbe proprio voglia di chiedersi: le associazioni hanno ancora senso, ruolo, prospettive?

Dall’esterno, si ha quella strana sensazione di uno scollamento dalla realtà, abbastanza tipico della politica così come viene fatta in Italia: ognuno presuppone la tesi con la quali si legge la realtà.

Come dire: siccome io la penso così, allora le cose devono per forza essere spiegate così. In realtà dovrebbe essere esattamente il contrario: le cose sono cambiate, dunque devo adeguare il mio punto di vista alla nuova realtà delle cose. E agire di conseguenza.

È vero che ogni associazione ha la propria sintassi e comunque ha il diritto di esistere, fosse anche per la sola volontà degli associati; anche, cioè, qualora gli scopi associativi fossero assolutamente superati dalla realtà dei fatti. Tanto più che la libertà di associazione è un diritto costituzionalmente garantito. E’ la grammatica di un Paese democratico.

Ciò non di meno, mi si conceda, dall’esterno di ogni associazione, ma dall’interno della nostra comune industry, di formulare alcune riflessioni, di metodo e di merito. Il discorso è generale, dovrebbe riguardare tutte le associazioni di categoria. Anche se qui si parlerà nello specifico delle prossime elezioni degli organi dirigenti di Assocomunicazione.

Per rendere più agevole l’esposizione, esporrò il mio punto di vista sotto forma di brevi domande:

1) Perché i tre saggi (Testa, Montangero e Masi) non hanno proposto una rosa di candidati? Perché un solo candidato, praticamente predestinato ad assumere l’incarico? C’è una crisi di vocazione?

2) Che peso specifico autonomo potrà avere la prossima leadership dell’associazione, dal momento che Assocomunicazione medesima sarà embedded nella neonata Federazione della comunicazione presso Confindustria, presieduta proprio dal presidente uscente?

3) Come si potrà realizzare, qualora fosse nelle intenzioni del neo presidente, una discontinuità con la precedente presidenza? Insomma: che succede se Costa non vuole fare come faceva Masi, però a Masi dovrà rispondere, perché Masi è il capo della federazione di cui l’associazione fa parte?

4) Massimo Costa ricopre il ruolo di country manager del gruppo Wpp in Italia: non c’è il pericolo di conflitto di interessi? Tutte le strutture che a lui fanno capo nella holding come potranno essere autonome nel giudizio come membri, dal momento che alcuni manager di Wpp si candidano addirittura come dirigenti dell’associazione?

4) Nella lettera ai soci, il candidato presidente fa esplicito riferimento alle ripercussioni che il cambio del quadro politico italiano potrebbe avere nel futuro del mercato pubblicitario italiano. Che vuol dire?

5) Scorrendo i programmi dei canditati, si fa riferimento alla questione della remunerazione, dei fee e del dumping. Ma, se strutture economiche del calibro di Wpp, Omnicom, Publicis e IPG, tutte ben rappresentate nel mercato italiano, tanto da risultare come maggioritarie dal punto di vista dei fatturati, tutte insieme non sono finora riuscite a invertire la tendenza, come potrebbe farlo una associazione di categoria?

6) Non è forse proprio per questa scissione tra la realtà del mercato e il dibattito interno all’associazione che finora Assocomunicazione non è riuscita a ottenere nessun fatto concreto, tanto da spingere verso la costituzione di Confindustria Knowledge, nel tentativo di assumere un più rilevante peso specifico?

7) Alcuni candidati si presentano per una riconferma, è un legittima aspirazione, ma la domanda è: come si concilia il desiderio di nuovi scenari se non c’è discontinuità tra il vecchio ed il nuovo consiglio direttivo dell’associazione?

7) Può la complessità della relazione tra committenti pubblici e privati e le agenzie di pubblicità e comunicazione essere semplicisticamente
risolta nella speranza che un uomo al comando possa risolvere tutto e bene?

8) Massimo Costa è sicuramente una persona degna e un manager capace, ma siamo sicuri che non sia necessario un complessivo cambio di passo, prima ancora che un cambio di leadership?

9) Vale a dire, non è meglio prima ridefinire il perimetro entro il quale operare in profondità i necessari cambiamenti e sulla base di una nuova visione condivisa esprimere nuovi dirigenti, cui affidare il compito di realizzare gli obiettivi stabiliti dalla nuova linea politica?

10) Non pensate anche voi che i prossimi anni sono sicuramente cruciali, che molto di quello che abbiamo fatto e pensato verrà messo in discussione dai fatti, a prescindere dai ruoli che abbiamo nel mercato: che cosa dobbiamo essere disposti a fare per migliorare concretamente il modo di fare pubblicità, a partire dalle condizioni di vita e di lavoro degli addetti, per arrivare a essere concretamente all’altezza delle aspettative dei clienti?

Beh, a questo punto, mi sono fatto dieci domande. Non mi dò le risposte, siamo mica da Marzullo. Esse sono riflessioni, che non pretendono necessariamente una risposta. A meno che non siano quei fatti concreti che, sono certo, tutti vorremmo vedere cominciare a realizzarsi. Beh, buona giornata.

Allegati:
http://www.consorziocreativi.com/Il-Negozio-delle-buone-idee.html

http://consorziocreativi.com/blog/2011/11/17/1193/

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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