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Contro il terrorismo, Stato di polizia o Stato sociale?

I COSTI ECONOMICI DEL TERRORISMO

di José de Sousa , Daniel Mirza e Thierry Verdier da lavoce.info

Negli ultimi anni il terrorismo internazionale ha cambiato luoghi e motivazioni. Mira a colpire l’Occidente, ma gli attacchi dei fondamentalisti avvengono principalmente nei paesi in via di sviluppo con il risultato di peggiorare le condizioni economiche proprio di queste regioni. Una maggiore cooperazione internazionale è necessaria, ma non basta. Occorre adottare misure economiche che stimolino occupazione, formazione e inserimento economico-sociale degli individui suscettibili di essere arruolati nelle attività terroristiche, come i disoccupati e i giovani non qualificati, privi di prospettive economiche.

Non passa giorno che non si abbia notizia di qualche attentato o di minacce da parte dei terroristi contro gli occidentali  (giornalisti, diplomatici o turisti), oppure contro i simboli e gli alleati dell’Occidente. Gli attentati di Bombay non costituiscono un’eccezione: si è trattato di attacchi concentrati contro i siti più occidentalizzati della città. Anche se, alla fin fine, la maggior parte delle vittime non è occidentale, gli attacchi erano principalmente indirizzati contro i cittadini dei paesi più ricchi. Uno dei principali moventi dei terroristi è quello di minare gli interessi dell’Occidente. Quali sono realmente le conseguenze economiche di tali attentati?
Il fenomeno non è nuovo. In base alle statistiche disponibili, si direbbe anzi che – da 40 anni a questa parte – è una costante: gli Occidentali sono il principale bersaglio dei terroristi transnazionali. Sono cambiati però i luoghi e le motivazioni. Da una quindicina d’anni avvengono principalmente nei paesi del Sud. Negli anni ’70, infatti, gran parte degli atti terroristici proveniva da gruppi separatisti o estremisti europei. A partire dagli anni ’80 invece è apparso il terrorismo religioso fondamentalista, con lo spostamento del centro di gravità del fenomeno verso i paesi del Sud.

PAESI PIU’ POVERI DOPPIAMENTE VITTIME

Gli attentati di New York (2001) Madrid (2003) e Londra (2005), anche se spettacolari, sono eccezioni. Non sono affatto rappresentativi dei circa 400 attentati transnazionali, perpetrati ogni anno nel mondo. Gli studi sull’argomento dimostrano che, a parte gli attentati compiuti nei periodi bellici come quelli che oggigiorno colpiscono l’Iraq, tre quarti degli attentati avviene nei paesi in via di sviluppo. Se le vittime di tali atti sono quasi sempre cittadini dei paesi più avanzati, le conseguenze economiche, però, si ripercuotono proprio sui paesi in via di sviluppo.
Gli Stati Uniti sono stati pesantemente colpiti dai fatti dell’11 settembre, ma la ripercussione sulla loro economia è stata solo transitoria. Solo se gli attentati colpissero ripetutamente uno stesso luogo, si registrerebbe un effetto duraturo. Secondo alcuni studi, il reddito globale dei paesi baschi sarebbe stato più elevato di almeno il 10% se, durante gli anni ’70 e ’80, l’ETA non avesse compiuto numerosi attentati.
I continui atti terroristici che avvengono in alcuni paesi in via di sviluppo, come Colombia e Pakistan, colpiscono duramente il loro commercio estero, frenando le transazioni di beni e servizi, sia a livello nazionale che internazionale. L’Occidente è, infatti, il loro principale mercato d’esportazione e gli attentati hanno effetti non trascurabili. Ad esempio, in Colombia, l’aumento dell’1% degli incidenti, che colpiscono spesso interessi americani, provoca la diminuzione dell’1% delle esportazioni verso gli Stati Uniti. Senza contare che la maggior parte dei turisti proviene dall’Occidente e che gli attentati perpetrati contro bersagli occidentali diminuiscono considerevolmente le attrattive del paese in seno al quale essi avvengono, perché creano un forte senso di insicurezza.
Le misure di sicurezza messe in atto dai governi occidentali per far fronte al terrorismo non fanno che rinforzare questi effetti nefasti. Rendono, infatti, più difficile il movimento di beni e persone, soprattutto alle frontiere. Ad esempio, a causa degli attentati compiuti in Grecia contro bersagli americani, i fuoriusciti greci ancor oggi possono godere solo di un visto turistico per recarsi negli Stati Uniti.
E infine, a coronamento di tutto ciò, esistono anche gli effetti indiretti sui paesi confinanti con quelli da cui provengono i terroristi. Negli ultimi due decenni, infatti, molte organizzazioni terroriste hanno ampliato la loro rete di contatti. Per esempio Al Qaeda si è recentemente radicata nell’Africa del Nord. Di conseguenza i paesi occidentali devono estendere e in un certo senso “globalizzare” le loro misure di sicurezza, se vogliono impedire la diffusione di tali organizzazioni. In un lavoro recentemente pubblicato mettiamo in evidenza questo processo di contagio: gli attentati avvenuti in un determinato paese possono ripercuotersi sugli scambi dell’Occidente con quei paesi, che simpatizzano culturalmente, geograficamente o religiosamente con le organizzazioni terroristiche.
I paesi del Sud sembrano essere entrati in un circolo vizioso. Demoltiplicando l’impatto negativo del terrorismo, le politiche di sicurezza generano il calo delle attività economiche nei paesi del Sud, che – a sua volta – genera un terreno fertile perché attecchisca il terrorismo. E così la protezione della vita al Nord peggiora sensibilmente le condizioni di vita al Sud.

POSSIBILI SOLUZIONI

Che fare per rompere questo circolo vizioso? Le misure di sicurezza unilateralmente decise dai paesi del Nord sembrano solo spostare il problema, non risolverlo. E’ invece urgente instaurare una cooperazione internazionale mirata a ridurre il verificarsi di attentati nei paesi del Sud e del Nord. A breve termine, sarebbe auspicabile trasmettere ai paesi del Sud le tecnologie di prevenzione più progredite, onde ridurre il verificarsi di tali eventi. A lungo termine, bisognerebbe elaborare una politica più volontaristica, al fine di estirpare le radici del terrorismo. Parimenti occorrerebbe aiutare i paesi in via di sviluppo ad adottare misure economiche che stimolino occupazione, formazione e inserimento economico-sociale di quegli individui suscettibili di essere arruolati nelle attività terroristiche, come ad esempio i disoccupati e i giovani non qualificati, privi di qualsivoglia prospettiva economica. Per conseguire tutto ciò è indispensabile che i contribuenti del Nord capiscano che la loro sicurezza dipende anche dal miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni del Sud. (Beh, buona giornata)

(traduzione dal francese di Daniela Crocco)

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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