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Crisi: il piano di Obama non è minimamente adeguato. Parola di Paul Krugman.

Il piano obama non basta

«Non credo che sia troppo tardi per cambiare direzione, ma lo sarà se non adotteremo quanto prima provvedimenti drastici. Se non faremo nulla, questa recessione potrà durare anni».Questo è ciò che ha dichiarato giovedì scorso il presidente eletto Barack Obama, spiegando perché l’ America ha bisogno che il governo reagisca alla depressione economica in modo estremamente aggressivo. Ha ragione.
Questa è la crisi economica più pericolosa dai tempi della Grande Depressione, e potrebbe facilmente trasformarsi in una prolungata recessione. Tuttavia la ricetta di Obama non è all’ altezza della sua diagnosi. Il piano da lui suggerito non è energico come le parole che ha usato per la minaccia economica. In realtà, esso è al di sotto di quanto sarebbe necessario. Consideriamo quanto è grande l’ economia americana. In presenza di una domanda adeguata alla capacità produttiva, nei prossimi due anni l’ America potrebbe produrre beni e servizi per un valore di oltre 30 miliardi di dollari. Ma con la flessione dei consumi e degli investimenti si sta aprendo un enorme divario tra ciò che l’ economia americana è in grado di produrre e ciò che è in grado di vendere.
E il piano di Obama non è minimamente adeguato a riempire questo “scarto produttivo”. Agli inizi di questa settimana, il Congressional Budget Office (CBO) ha reso nota la sua ultima analisi del bilancio e del panorama economico. Il CBO ha spiegato che, in assenza di un piano di stimolo, il tasso di disoccupazione potrebbe salire al di sopra del 9 per cento già agli inizi del 2010 e rimanere elevato per gli anni successivi. Per quanto tetra, tuttavia, questa previsione, è in realtà ottimistica, se paragonata ad alcune previsioni indipendenti.
Obama stesso ha ripetuto che, senza un piano di stimolo, il tasso di disoccupazione potrebbe diventare a due cifre. Nondimeno, anche il Congressional Budget Office afferma che “nei prossimi due anni la produzione economica sarà mediamente del 6,8 per cento al di sotto del suo potenziale”. Ciò si traduce in una perdita di produzione di 2,1 trilioni di dollari.
«La nostra economia potrebbe rimanere di un trilione di dollari al di sotto della sua piena capacità», ha dichiarato giovedì scorso Obama. Bene, in realtà egli ha sottostimato la situazione. Per ridurre uno scarto di oltre 2 trilioni di dollari -forse molti di più, se le previsioni del CBO dovessero rivelarsi troppo ottimistiche – Obama presenta un piano da 775 miliardi di dollari. E ciò non è sufficiente. A volte, lo stimolo fiscale può avere un effetto “moltiplicatore”: oltre agli effetti diretti degli investimenti nelle infrastrutture sulla domanda, per esempio, ve ne può essere anche un altro, in quanto profitti più elevati portano ad una maggiore spesa destinata ai consumi. Le valutazioni medie suggeriscono che un dollaro di spesa pubblica aumenta il Pil di circa 1 dollaro e mezzo. Tuttavia, solamente il 60 per cento del piano di Obama consiste in spesa pubblica. Il resto è composto da tagli fiscali – e molti economisti sono scettici sulla misura in cui molti di questi tagli, in particolare quelli destinati alle attività economiche, potranno effettivamente incoraggiare la spesa (numerosi senatori Democratici condividono questi dubbi).
Howard Gleckman, dell’ organismo indipendente Tax Policy Center, li ha riassunti nel titolo di un recente post del suo blog : “molti dollari, non un grande affare”. La sostanza è che non è probabile che il piano di Obama possa ridurre di più della metà l’ incombente scarto produttivo, e facilmente potrebbe svolgere meno di un terzo del compito che è chiamato ad assolvere. Perché Obama non cerca di fare di più? E’ il timore di far aumentare il debito a limitare il suo piano? Vi sono dei pericoli collegati al prestito governativo su vasta scala – e il rapporto del CBO di questa settimana per l’ anno in corso prevede un deficit di 1,2 trilioni di dollari. Tuttavia, sarebbe ancora più pericoloso intervenire in modo inadeguato nel salvataggio dell’ economia.
Giovedì scorso, il presidente eletto ha parlato in modo eloquente e preciso circa le conseguenze dell’ inazione -esiste un rischio reale di scivolare in una prolungata trappola deflazionistica di tipo giapponese- ma le conseguenze di un’ azione inadeguata non sono molto migliori. E’ la mancanza di opportunità di spesa a limitare il suo piano? Esiste soltanto un numero limitato di progetti di investimento pubblico “shovel-ready”, vale a dire, progetti a cui può essere dato inizio abbastanza rapidamente da riuscire ad aiutare l’ economia nel breve termine. Tuttavia, vi sono altre forme di spesa pubblica, specie nel campo dell’ assistenza sanitaria, che possono fare del bene e allo stesso tempo favorire l’ economia nel momento del bisogno. Oppure il piano è limitato dalla prudenza politica? Lo scorso dicembre alcuni servizi giornalistici indicavano che gli assistenti di Obama erano ansiosi di mantenere il costo finale del piano economico al di sotto della soglia, politicamente sensibile, del trilione di dollari.
C’ è stato anche chi ha suggerito che l’ inclusione nel piano di ampie riduzioni fiscali per le attività commerciali , che vanno ad aggiungere il loro costo ma che faranno ben poco per l’ economia, sia un tentativo di conquistare voti Repubblicani al Congresso. Qualunque sia la spiegazione, il piano di Obama non sembra adeguato alle necessità dell’ economia. Certo, un terzo di pagnotta è meglio di niente. Ma in questo momento abbiamo di fronte due gravi divari economici: quello tra il potenziale economico e il suo probabile rendimento e quello tra l’ austera retorica economica di Obama e il suo deludente piano. (Beh, buona giornata).
Copyright New York Times (Traduzione di Antonella Cesarini) 
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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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