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Attualità Finanza - Economia Società e costume

Social card: bidonati 200 mila nonni. Dal governo.

di ANTONELLO CAPORALE da repubblica.it

Si dice: morire di vergogna. “Avevo il Dixan in mano, anche una confezione di orzo e una scatola di tonno ma mi è venuto un presentimento: vuoi vedere che non funziona? Allora ho preso la tessera e ho chiesto alla commessa di digitare i numeri, io non vedo bene. Non era stata caricata. Avevo i soldi stretti nell’altra mano, già tutti contati, e glieli ho dati e così è finita. Non l’ho più usata”. Maria Pia, 67 anni, è fuggita via dal supermercato di Viareggio rossa in viso, e meno male che non c’era nessuno in fila. Comunque in quel supermercato non ci tornerà più.

La tessera di Tremonti è di un bel azzurro sereno. Come il cielo di Forza Italia, quello di una volta. Un tricolore ondulato la attraversa da sinistra a destra e sembra la scia delle mitiche frecce. “E’ anonima naturalmente per non creare imbarazzo”, commentò Silvio Berlusconi il giorno dell’inaugurazione della campagna dei 40 euro mensili ai bisognosi d’Italia.

Anonima. Infatti ieri, supermercato Sma di Roma, commessa indaffarata alla cassa, signore anziano in fila: “Ha per caso la social card?”. Il no è asciutto e risentito. “Scusi, ma era per capire come pagava”.
Lusy Montemarian non ha pagato, anzi è scoppiata in un pianto dirotto quando le hanno comunicato, come fa il medico alla famiglia del congiunto morente, che non ce l’aveva fatta. Un pianto raccolto da una microtelecamera di “Mi manda Raitre” e unito ad altri pietosi casi. Un mattone sull’altro, e un altro ancora. Alla fine si edifica questo incredibile muro della vergogna che attraversa la penisola e la trafigge senza colpa.

La Social Card, il circuito Mastercard. Protagonisti di una favola. Una strisciata e via. La pensionata indigente che alla cassa del panificio, come la donna chic di via Condotti, apre il borsello, non tocca i soldi sporchi, ma sfila la carta di credito. Un secondo magnetico. Se la carta è piena. Se è vuota – e lo sono un terzo delle circa 500 mila distribuite – la pensionata deve restituire il pane e ritirare l’umiliazione pubblica.

Era il 19 giugno, era estate, e il ministro Giulio Tremonti annunciava una vecchia novità: la carta di credito per i poveri. Vecchia perché l’aveva pensata Vincenzo Visco, nell’arcaico ’97: sconti sulla spesa, sugli affitti, sui beni di prima necessità. Vecchia perché l’aveva apprezzata Ermanno Gorrieri, comandate partigiano, fondatore del movimento Cristiano Sociali. Gorrieri è morto nel 2004. Nel 2008 è Tremonti a presenziare e presentare la svolta: una manovrina da 450 milioni di euro, 200 coperti dall’Eni, 50 dall’Enel, altri dalla Robin Tax. Togliere ai ricchi, dare ai poveri: 40 euro al mese, 80 euro accreditati ogni due mesi. Per un anno intero. Quattro mesi di annunci, di serrata organizzazione. Pronti. Si parte il primo dicembre. Attenzione: chi conserva 15 mila euro, in banca o alla posta, pensionato o disoccupato, non ha diritto alla carta di credito dello Stato.

Sono in 520 mila a dicembre a chiedere la social card, pensionati con reddito dai 6 mila euro agli 8 mila, coppie di anziani, famiglie con figli a carico, non oltre i tre anni però. Con una sola casa di proprietà, un’automobile e un’utenza elettrica attiva. In fila, per ore, davanti ai 9 mila uffici postali. Perché chi completava le pratiche entro il 31 dicembre, aveva diritto a 120 euro (ottobre, novembre e appunto dicembre) di partenza. Una corsa verso il nulla. Perché il 30 dicembre, con ottimismo natalizio, l’Inps – che doveva accertare il reddito – dichiarava di aver ricaricato 330 mila tessere. Le altre erano vuote.

Migliaia di italiani si sono ritrovati in mano una patacca. Una carta azzurra, di plastica, con il retro magnetico, il numero, il logo giallo e rosso della Mastercard. Belle, eccome. E di valore: si stima costi almeno 50 centesimi l’una, più 1 euro per la ricarica bimestrale, più il 2 per cento per le spese del circuito bancario. Uno scherzetto da 8 milioni e 500mila di euro, a pieno regime. Una lotteria per il mezzo milione di italiani che, soltanto alla cassa e davanti al commesso, saprà se la sua carta annonaria è buona oppure è uno scherzo del destino, se può permettere di fare la spese oppure di annunciare la propria povertà a tutti.

Duecentomila tessere vagano scoperte di tasca in tasca, sospese o respinte. Duecentomila italiani, forse di più, le possiedono senza poterle utilizzare. Alcuni (pochi) lo sanno. Altri, molti altri, che non sanno, vanno incontro alla sciagura.

Ci vuole del metodo per ideare una così lunga e inutile fatica. Prima fila: farsi certificare la povertà, la disgrazia assoluta. Seimila euro all’anno. In fila, naturalmente per vedersi attestata dal patronato la sospirata povertà. Poi l’Inps, le Poste, sempre in fila, sempre allo stesso modo. Infine, coraggio, andare al supermercato ed esibirla questa maledetta povertà. E poi, duecentomila volte finora, vederla svergognata: “La tessera non è carica”. Ma ha letto bene?

Per la social card un poveretto di Catania è ricoverato (coma farmacologico) in ospedale a seguito di furiosa lite, recita un dispaccio dell’Ansa del 3 gennaio scorso, generata “dalla discussione per l’ottenimento della social card”. Giovanni Spatola, imbianchino di 47 anni, si è costituito ai carabinieri confessando di aver fracassato il cranio del conoscente con una chiave inglese. Chi dei due doveva ottenere la social card? A Verona boom di ritiri. Il dato, riferisce la direzione delle Poste, è connesso alla presenza nel luogo di molti istituti religiosi. Trecento tra suore e frati si sono presentati all’incasso. Nullatenenti. Perciò potevano. A Castelletto di Brenzone, minuscolo villaggio sul lago di Garda, ne sono state elargite più di cinquanta. Come mai? Lì ha sede l’istituto delle piccole suore della Sacra Famiglia. Amen.

“Disagi e umiliazioni di ogni genere. Accreditategli questi benedetti quaranta euro sulle pensioni, così risparmierete dei soldi anche voi”, ha consigliato Pierluigi Bersani ieri alla Camera al ministro dell’Economia. “E’ la truffa del secolo, un flop, il più grande bluff tremontiano”, dice Franco Laratta, il deputato calabrese del Partito democratico mentre raccoglie le firme per un’interpellanza urgente sulla precoce agonia di questa tesserina azzurrissima, molto patriottica con quel fascio tricolore. (Beh, buona giornata).

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Di Marco Ferri

Marco Ferri è copywriter, autore e saggista, si occupa di comunicazione commerciale, istituzionale e politica.

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