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“Non c’è più neanche il popolo dei creativi, mi disse tra i baffi”. Fa bene pensare ogni tanto a Emanuele Pirella.

Il Naso Fuori. Ma siamo proprio sicuri che Emanuele non ci sia più? -di Marco Ferri-advexpress.it

C’è stato sgomento, c’è stata retorica, ci sono state le celebrazioni. E’ interessante notare come le cose più significative siano state scritte dal giornale per cui Pirella ha lavorato, con Tullio Pericoli, per molti anni. E’ un poco triste notare che le cose più risibili siano state dette dalle persone della pubblicità italiana.

Emanuele inventò la figura retorica del “popolo dei creativi”. Lo fece allorquando divenne presidente dell’Art Directors Club italiano. Negli anni successivi, quando ci conoscemmo, e per lui lavorai, e poi con lui lavorai, e insieme lavorammo, ridemmo, litigammo, e di nuovo lavorammo e ancora ridemmo, l’idea che ci fosse una collettività di persone dedite alla creazione di messaggi pubblicitari era come un punto di riferimento: di cui tener conto, a cui riferirsi, con cui ingaggiare una competizione per fare meglio. L’ultima volta che ci siamo incontrati, davanti a due tazzine di caffè, c’era un terribile frastuono di lavori di ristrutturazione di un palazzo milanese:- Non c’è più neanche il popolo dei creativi, mi disse tra i baffi.

Già, quel frastuono. Allegoria di un impedimento alla parola detta e ascoltata, quanto della parola data, che è quello che è oggi la pubblicità italiana. Quel frastuono di biglietti da visita alti sonanti, di carriere fatte di riunioni, trucchi, tranelli, ritornelli, e parole dette per sentito dire. E dunque autorizzate a essere smentite, travisate, tradite.

Mentre per noi, che per lui abbiamo lavorato, che con lui abbiamo inventato annunci e campagne pubblicitarie, le parole avevano un peso, perché nascevano nella testa, attraversavano il braccio, scaturivano dalla mano, fiottavano dalla penna e riempivano un foglietto di carta bianca. Pronto a essere appallottolato e buttato, poi ripescato e riaperto, poi riletto e magari riscritto, poi ragionato e negato, assolto e condannato, e magari approvato, e poi consegnato all’annuncio. E alla fine visto, stampato, guardato con la diffidenza di chi poteva, magari aver fatto meglio. O al limite, aver scritto una cazzata.

Si amava il lavoro. Quello del copywriter. In Italia senza Pirella saremmo ancora alle frasette d’ effetto, magari scritte senza che finissero col punto.

Già, ‘il punto Pirella’. Bene. Emanuele, andandosene, ha messo il punto. E allora, forza! ci sono tanti titoli, testi e idee che devono ancora saper onorare quel punto. Lui lo ha messo per sempre, a noi inventare ancora qualcosa che abbia la dignità di meritarsi ‘il punto Pirella’. Punto. Beh, buona giornata.

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La “quarta crisi” colpisce ancora.

Dalle stime fornite da Nielsen e relative al 2008 emerge che gli investimenti pubblicitari sulla stampa nel suo complesso sono calati del -7,1% sul 2007. Nel dettaglio, l’adv sui quotidiani a pagamento ha registrato un -7%, mentre sui periodici è stata registrata una flessione del -7,3%. E a inizio 2009 la situazione è tutt’altro che migliorata. Nel primo bimestre, sempre stando ai dati Nielsen, gli investimenti sulla stampa sono calati del -27,4% sul primo bimestre 2008, -29,6% invece per i periodici e -26,4% per i quotidiani a pagamento.

Una conferma della flessione della pubblicità sulla carta stampata viene anche dai dati dell’Osservatorio Stampa Fcp. Dal confronto tra quelli relativi al periodo gennaio-febbraio 2009 e quelli relativi allo stesso periodo del 2008 emerge che il fatturato pubblicitario del mezzo stampa in generale ha registrato un calo del -28%. In particolare, il fatturato dei quotidiani ha perso il 26% e gli spazi sono calati del 13%. Segno meno anche per i periodici, che risultano in calo del 31% in termini di fatturato e del 24% in termini di spazi.

Numeri in forte ribasso, che hanno avuto notevoli ripercussioni sui bilanci 2008 e sull’andamento del primo trimestre 2009 dei più importanti gruppi editoriali operanti nel nostro Paese, come appare dal seguente schema che presenta i dati più significativi relativamente a ciascun Gruppo.

RCS MediaGroup: nel 2008 i ricavi netti consolidati si sono attestati a 2.673,9 milioni di euro, ovvero a -1,9% rispetto ai 2.728,2 milioni del 2007. I ricavi pubblicitari si sono attestati invece a 942,1 milioni (-2,1% sui 963,2 milioni del 2007).
Area Quotidiani: ricavi pari a 711,3 milioni (734,6 nell’esercizio 2007); ricavi pubblicitari a -2,7%.
Area Periodici: ricavi pari a 313 milioni (330,7 nell’esercizio 2007); ricavi pubblicitari a -3,4%.
Area Web: ricavi pubblicitari in crescita di oltre il 40%.

Mondadori: nel 2008 fatturato consolidato a 1819, 2 milioni di euro (-7,1% rispetto ai 1.958,6 milioni di euro del 2007).
Area Periodici Italia: ricavi consolidati a 575,7 milioni di euro (-12,5% rispetto ai 657,8 milioni del 2007); ricavi pubblicitari a -5,3%
Mondadori Pubblicità: ricavi pari a 331 milioni (-5,3% rispetto ai 349,5 milioni di euro del 2007). Sui periodici raccolta a 242,6 milioni (-4,8%)

Gruppo 24Ore: nel 2008 ricavi consolidati a 573 milioni di euro, in linea rispetto ai 572,1 milioni di euro del 2007. La pubblicità mostra un incremento di 7,4 milioni di euro (+3,1%) raggiungendo i 244, 6 milioni di euro, con un’incidenza del 42,7% sui ricavi totali.
Area Editrice: ricavi pari a -11,3% rispetto all’esercizio 2007.
Area System (divisione che svolge l’attività di concessionaria di pubblicità dei principali mezzi del gruppo, a eccezione dell’editoria specializzata): ricavi pari a 204,146 milioni (+2,1% sui 199.992 milioni del 2007).

Cairo Communication: nel 2008 ricavi lordi consolidati pari a 256,6 milioni di euro (265,8 milioni nel 2007). Raccolta pari a 51,8 milioni di euro (-8% rispetto ai 56,5 milioni)

Gruppo Hachette Rusconi: nel 2008 ricavi consolidati pari a 144,2 milioni di euro di cui 100 milioni derivanti dalla raccolta pubblicitaria (-0,5% rispetto al 2007). Area Web: ricavi pubblicitari in crescita del 46% sul 2007. (Beh, buona giornata).

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La quarta crisi convince Murdoch alla convergenza sul web.

(fonte: Affari e Finanza-Repubblica)

Rupert Murdoch lancia il nuovo portale internet che raccoglie notizie da ogni angolo del suo impero mediatico.

‘Sarà il portale dove si concentrerà l’essenza dell’informazione planetaria’ ha annunciato il magnate australiano, come riportato su ‘Affari&Finanza’.

Sulla piattaforma andranno a confluire le notizie pubblicate e trasmesse dalle testate ed emittenti controllate da News Corp , tra cui spiccano il Wall street journal , il New York Post, e, in Inghilterra, il Sun e l’elitario Times. Ci sono anche la casa editrice Harper-Collins, le reti televisive Sky e FoxNews e il social network MySpace.com. Fino ad ora, queste unità non avevano mai sperimentato una condivisione sul web.

La neo-iniziativa, guidata da John Moody, il vice presidente di Fox News, viene giustificata come un’operazione per potenziare l’efficienza dell’attività di raccolta di notizie e creazione di contenuti.Beh, buona giornata.

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La quarta crisi colpisce anche Google: 300 posizioni eliminate, tagli del 40%.

(Fonte: Affari e Finanza-Repubblica)

Google, nonostante il fatturato sia calato per la prima volta nella sua storia del 3% rispetto all’ultimo trimestre, continua a investire nell’innovazione come riportato su Affari & Finanza di Repubblica del 27 aprile. Google Ventures, la nuova società di venture capital fondata dal colosso del motore di ricerca per scovare e finanziare aziende appena nate ma dal grande potenziale, ha messo a disposizione delle startup tecnologiche un fondo di 100 milioni di dollari. Tra i primi investimenti di Google Ventures c’è Pixazza, promotrice di una nuova tecnologia che permette di inserire pubblicità contestuali nelle immagini digitali.

Il fatturato globale di Google è calato rispetto allo scorso trimestre, dopo tre anni di crescita ininterrotta, ma il fatto è dovuto all’andamento economico generale e non a una debolezza specifica del business di Google: il reddito dell’azienda dipende dall’andamento della pubblicità online che risente a sua volta della contrazione generale dei consumi. Il settore della pubblicità on-line è in forte crisi e risente della situazione mondiale, anche colossi del calibro di Google incominciano ad avere problemi.

Se i risultati del primo trimestre 2009 sono comunque positivi rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (+6%), confrontati con quelli dell’ultimo trimestre del 2008 mostrano un calo del 3%. E’ il secondo trimestre consecutivo in cui le entrate diminuiscono rispetto al precedente, una cosa mai successa a Google, che sta già riducendo il personale, con 300 posizioni eliminate. Anche le spese sono state ridotte del 40% e si sono attestate sui 263 milioni di dollari.

Le vendite pubblicitarie online, core business del motore di ricerca, si sono ridotte del 5%: detratte le commissioni dovute ai suoi partner web, nel primo trimestre Google ha totalizzato 4,07 miliardi di dollari di raccolta pubblicitaria, in linea con le aspettative degli analisti e con il trend negativo che caratterizza ultimante il settore dell’advertising.

Quello che preoccupa maggiormente è la diminuzione del valore ‘per click’ degli ads venduti da Google. Il motore di ricerca utilizza un sistema pubblicitario che paga i siti che espongono le pubblicità per ogni click che viene effettuato sui banner.

E sebbene i dati di Google mostrino che il numero di click da parte degli utenti sia addirittura aumentato rispetto allo scorso anno (+17%), a essere cambiato è il rapporto fra click e vendite. ‘Le persone cercano e cliccano sulle pubblicità come prima’ spiega Jeffrey Lindsay, senior analyst della Sanford Bernstein ‘ma se prima bastavano tra i 10 e i 15 click perché comprassero qualcosa, adesso sono tutti più cauti: e di click, prima di acquistare, ne servono in media 20.’

Come risultato, i prezzi per click degli ads di Google sono calati del 13% rispetto all’ultimo trimestre del 2008. Beh, buona giornata.

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Le agenzie di pubblicità italiane non sanno usare l’advertising su Internet.

di Chiara Pozzoli da advexpress.it
L’advertising sui social network, ovvero nuove forme di pubblicità che tengano conto delle caratteristiche dei siti di user generated content. Se è vero che non è ancora stata trovata la ‘formula magica’, è altrettanto vero che bisogna pensare oltre al tradizionale banner e ‘vincere la pigrizia’. La riflessione al centro del convegno Nielsen Online.

La raccolta pubblicitaria sui siti di social network non è commisurata alla loro audience e al livello di coinvolgimento degli utenti; ovvero non è ancora stata trovata la ‘formula magica’ per realizzare il miglior abbinamento tra social network e pubblicità. Questa la riflessione che ha dato il via al convegno svoltosi ieri presso la sede Nielsen di Corsico (Mi), dal titolo ‘L’advertising nell’era dei social network’.

Luca Bordin, managing director Italy Nielsen Online, ha presentato i dati sul fenomeno dei social network elaborati da Nielsen Online (aggiornati a dic 2008 vs. dic 2007) su dati globali (Global Index, dove per ‘Global’ si intendono i paesi in cui è presente il panel NetView: Usa, Brasile, Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna, Svizzera e Australia). Le dimensioni sono impressionanti: due terzi degli utenti internet visitano blog e social network e questi ultimi costituiscono oggi la quarta categoria più visitata (dopo search, portali generalisti e produttori di software) con 242 milioni, con la differenza che il tasso di crescita delle member community è più che doppio rispetto alle altre categorie. Per non parlare del tempo speso sui social network, cresciuto a livello globale del 63% nell’ultimo anno, contro il 18% di crescita del tempo trascorso su internet in generale. L’attore principale è Facebook. Tante le ragioni del suo successo, dal design al focus su networking e conversazione; basti pensare che il ‘tempo globale’ ha fatto registrare un +566% negli ultimi 12 mesi.

Verso la ‘brand generated content’

Un dato, però, fa riflettere: parlando di adv a livello globale, Myspace è più piccolo di Facebook e la sua audience si è stabilizzata, ma la sua offerta incentrata su contenuti e intrattenimento riesce ad attirare investimenti pubblicitari maggiori. I dati lo dimostrano: la raccolta pubblicitaria di Facebook nel 2008 è stata di circa 300 milioni di dollari, contro il miliardo di MySpace. Per ogni 10mila utenti unici, Facebbok ha avuto 0.36 inserzionisti, MySpace 1.51. La crescente mancanza di fiducia nell’advertising classico, il potere del passaparola come elemento influente nelle decisioni d’acquisto (in Italia, il 18% degli utenti internet esprime on line il giudizio positivo o negativo su un bene/servizio acquistato e il 27% legge le opinioni degli altri consumatori), nonché la necessità di utilizzare i social network come un vero e proprio canale di comunicazione adattando l’advertising alle modalità di interazione e alla filosofia degli user generated content, sono stati al centro della tavola rotonda seguita alla presentazione dei dati.

Layla Pavone, presidente Iab Italia, ha fatto una distinzione tra l’aspetto sociologico dei social network e le implicazioni per l’advertising e, all’interno di quest’ultimo ambito, tra le forme tradizionali di pubblicità e il ‘convertising’, ovvero una forma di pubblicità che utilizzi lo strumento della conversazione e della convergenza. “La maggiore fonte di business – ha specificato Pavone – è oggi costituita dalla prima tipologia, ovvero dalla tradizionale tabellare convertita in banner on line. Interessante, invece, sarebbe sviluppare maggiormente un ambito di comunicazione basato sul dialogo e sull’interazione con il consumatore. In questo caso si gioca una partita diversa, complementare all’advertising, che entra nei microcosmi delle persone. Una strada fatta di vero engagement, ma più difficile rispetto alla via tradizionale”.

Sceglie di evitare classificazioni troppo rigide come quelle del ‘2.0’ Salvatore Ippolito, sales director Microsoft Advertising: “Oggi si parla di Facebook, ma domani sarà già obsoleto e si guarderà a nuove frontiere. Il vero valore su cui riflettere è il tempo. È stato calcolato che nel 2010, a livello europeo, il tempo medio speso su internet sarà di 14 ore a settimana, mentre davanti alla Tv 11,5 ore”. Secondo Ippolito non esisterebbe una ‘formula magica’ per conciliare social network e advertising: “Pensiamo a un advertising che rientri in strategie integrate di comunicazione e che tenga in considerazione la variabile tempo”. Francesco Barbarani, country manager MySpace Italia, ha ammesso che su MySpace il grosso della raccolta pubblicitaria è costituito da banner. “La frontiera successiva alla tabellare tradizionale su internet sarà la ‘brand generated content’, ovvero l’azienda che dialoga con il consumatore, che entra nel mondo dell’utente per ‘flirtare’ con lui generando la sua fiducia. Su MySpace il messaggio pubblicitario è sempre ‘soft’, non invasivo e questo è uno dei motivi del successo”.

Case history: Bacardi B-Live su MySpace

Quale che sia la ‘formula magica’, insomma, il denominatore comune deve essere un’attenzione alla privacy dell’utente, la stimolazione del dialogo con il consumatore, un messaggio che non sia mai imposto ma quasi cercato e discusso dallo stesso navigatore, attraverso, ad esempio, la creazione di fan page. Un’operazione di questo genere è stata realizzata nel 2008 da Bacardi.
Gabriele Pizzutto, brand manager Bacardi (Martini & Rossi, Gruppo Bacardi-Martini) ha presentato la case history del B-Live, che lo scorso anno ha riunito al terminal dell’aeroporto di Bologna 6.000 persone per un evento che ha fatto della musica il proprio punto di forza. Musica ed entertainment riportano immediatamente a MySpace, ed è proprio su questo sito che è stato creato, prima dell’evento, un profilo ad hoc, all’interno del quale era possibile partecipare a un concorso per deejay ed esibirsi al B-Live. “La sfida – ha affermato Pizzutto – era coinvolgere anche chi non avrebbe fisicamente partecipato all’evento. I risultati hanno premiato l’advertising on line: 26.000 visite su bacardilive.it in 30 giorni e 9.000 pagine visitate su MySpace. Il sito Bacardi Italia, inoltre, è balzato al terzo posto come numero di accessi dopo Cina e Usa”.

Troppa pigrizia verso l’adv on line

Una raccomandazione è arrivata da Pavone: “Le operazioni sui social media vanno misurate e, in ogni caso, prima di partire con una campagna di advertising, le aziende devono utilizzare le realtà dei social network come prezioso canale di ascolto”. Non è mancata, infine, una nota polemica: “C’è ancora, in Italia, una forte pigrizia verso forme di advertising creativo e contestualizzato. Le stesse agenzie creative, che spendono milioni di euro per girare uno spot dall’altra parte del mondo, quando devono investire sull’on line per un discorso di rilevanza del messaggio, di aderenza al target e di innovazione, pianificano un solo banner… è evidente che ci sia troppa pigrizia”. (Beh, buona giornata).

Chiara Pozzoli

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Spagna: via la pubblicità dalla tv pubblica?

Spagna; Zapatero: “drastica riduzione” pubblicità in Tv di Stato
Roma, 14 apr. (Apcom) – La Spagna come la Francia: Madrid mira a ridurre la pubblicità nella televisione pubblica. E l’annuncio viene dal presidente del governo socialista, José Luis Rodríguez Zapatero, che lo ha detto oggi a deputati e senatori del Psoe riuniti in seduta plenaria per discutere le prossime leggi che l’esecutivo invierà in Parlamento. Il leader socialista ha annunciato che il governo manderà alle Camera una nuova proposta di legge sulla riforma del settore audiovisivo; un precedente testo nella scorsa legislatura si era arenato per mancanza di consenso. Nella nuova legge sarà indicato come obbiettivo proprio quello che chiedevano le televisioni commerciali. Ovvero, come ha detto Zapatero caldamente applaudito dai suoi stessi parlamentari, “una drastica riduzione della pubblicità nella tv di Stato”, i canali della TVE. In novembre, la Unione delle televisioni commerciali (Uteca) aveva ribadito all’esecutivo l’esigenza che la Tve non trasmetta pubblicità e che si finanzi esclusivamente con fondi pubblici, e la richiesta che la tv di Stato si concentri a trasmettere eventi per cui non entri in competizione con le televisioni commerciali. Sotto tiro in particolare il pagamento da parte della Tve di 60 milioni di euro per i diritti di vari campionati di calcio, cifra che secondo l’Uteca è il triplo di quanto avevano precedentemente pagato le tv private. La decisione di Zapatero rischia di ridurre di parecchio il raggio d’azione della tv pubblica, rendendola di fatto dipendente in modo totale dalle sovvenzioni del governo in carica (che, caso raro in Europa, non prevede un canone diretto dei telespettatori). Va ricordato che dopo il ritorno della democrazia, Tve – con un unico canale generalista al quale qualche anno dopo se n’è aggiunto uno regionale – non è mai stata sottoposta a un processo di “lottizzazione”, ma occupata in toto dall’esecutivo al potere. Di fatto, Tve è sempre stata un strumento a disposizione dei governi ma non dei partiti, che hanno alleati più preziosi – e in teoria più al riparo da incertezze elettorali – nei grandi gruppi privati. La legge dovrebbe infatti favorire il potere di acquisto delle televisioni commerciali, le sole a dividersi la torta dei ricavi pubblicitari – relegando Tve ai telegiornali e a format poco costosi, e sperando quindi di ridurre l’entità della spesa totale necessaria al suo finanziamento. Un dibattito simile è avvenuto poche settimane fa in Francia, dove il presidente conservatore Nicolas Sarkozy ha presentato e visto approvare una legge che riduce progressivamente e drasticamente la trasmissione della pubblicità sui canali di France Television, la tv di Stato (peraltro in Francia finanziata anche con il canone). I critici hanno affermato che Sarkozy voleva in primo luogo favorire i proprietari dei canali commerciali e privati, molti dei quali sono suoi amici personali. (Beh, buona giornata).

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Quando un apostrofo sbagliato manda in vacca la festa.

E’ un vero peccato. I news magazine italiani pubblicano questa settimana un annuncio in pagina singola di una famosa e molto prestigiosa marca di orologi svizzeri. L’annuncio in questione è quello che ci si aspetta da un prodotto di lusso: rigoroso, pulito nella grafica, arguto nel titolo.

Però, c’è un brutto però: c’è uno stupido errore di grammatica. È stato proditoriamente apostrofato l’articolo indeterminativo singolare maschile. Insomma, c’è scritto: “un’ altro”.

Che peccato. L’allure della prestigiosa marca, la percezione dell’assoluta precisione dei maestri orologiai svizzeri, la reputazione della cura maniacale nella soddisfazione del cliente, tutto in vacca per un maledetto apostrofo. Che uno dice: ma se siete davvero così precisi come mai non lo siete stati nello scrivere, nell’impaginare, nel controllare l’esecutivo, nel darlo alle stampe?

Ad aggravare la situazione, l’annuncio pubblicitario in questione celebra quasi un secolo e mezzo di vita e di successi, con una preziosa riedizione di un modello di alto prestigio. Ecco come, dunque, l’apostrofo sbagliato ha mandato in vacca una bella festa.

Lo sappiamo tutti che gli errori sono sempre in agguato, come i briganti con lo schioppo gli errori tentano di tagliarti la gola quando meno te lo aspetteresti. Magari dell’apostrofo galeotto se n’è accorto qualcuno e la regola grammaticale verrà ripristinata prontamente nelle prossime uscite.

Rimane il fatto. Quando una marca è sinonimo di precisione, lo deve essere anche la pubblicità firmata dalla marca. A questa precisione devono concorrere tutti. Se no la pubblicità è capace di vendicarsi, vale a dire riesce in una frazione di secondo a creare più danni che benefici.

Non so se un apostrofo è l’equivalente di un centesimo di secondo. In ogni caso, perdere un centesimo di secondo è grave per una prestigiosa marca di orologi svizzeri, esattamente come mettere un apostrofo nel posto sbagliato, nel momento sbagliato. Beh, buona giornata.

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