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Che succede all’economia europea/4.

Potesse la Grecia fare la svalutazione…di Paul Krugman-sole24ore.com

C’è ancora qualcosa da dire sulla crisi del debito greca? Secondo me, sì. Molti osservatori sottolineano che difficilmente la Grecia riuscirà ad applicare le misure di risanamento prescritte dal piano di salvataggio. Come dice senza giri di parole Charles Wyplosz, del Graduate Institute of International Studies di Ginevra, «il piano non funzionerà».
È il caso di osservare, però, che anche una ristrutturazione del debito non sarebbe granché utile per alleviare il fardello che pesa sul governo di Atene.

Per capire perché, immaginiamo che cosa succederebbe se la Grecia smettesse semplicemente di pagare il suo debito. A quel punto, tutto quello che dovrebbe fare sarebbe tenere a zero il disavanzo primario: in altre parole, dovrebbe incassare, attraverso le tasse, tanto quanto spende (dove per spesa si intende tutto quello che non sono gli interessi sul debito).
Ma ricordiamo che la Grecia in questo momento presenta un disavanzo primario enorme, pari complessivamente, nel 2009, all’8,5 per cento del prodotto interno lordo. Perciò, anche se il Governo greco dichiarasse la totale insolvenza sul suo debito, sarebbe comunque tenuto a imporre misure di austerità.
Ne consegue, dunque, che una ristrutturazione del debito servirebbe a poco, a meno di non pensare (cosa che sembra inverosimile) che ottenendo il condono del debito esistente il Paese ellenico sia in grado di accedere a nuovi e consistenti prestiti. L’unica strada per alleviare in modo significativo le pene della Grecia sarebbe quella di trovare un modo per limitare i costi dell’austerità di bilancio, e in questo senso la ristrutturazione non sarebbe utile.

Sarebbe utile invece una svalutazione. Ma uno studio (ormai diventato un classico) realizzato nel 2007 da Barry Eichengreen di Berkeley, che ha fortemente influenzato le mie opinioni sull’euro, descrive in dettaglio i motivi che rendono pericolosa una svalutazione. Eichengreen sostiene che qualsiasi tentativo di lasciare la zona euro esige tempo e preparazione, e che nel periodo di transizione vi sarebbero assalti agli sportelli dagli effetti devastanti.
In questi giorni, tuttavia, sto riconsiderando la faccenda. Più nello specifico, mi sembra probabile che la Grecia sia destinata a precipitare in una crisi politica interna, oltre che economica. La sua situazione attuale è simile a quella dell’Argentina nel 2001. Allora, l’Argentina aveva introdotto un piano di convertibilità (che nelle intenzioni avrebbe dovuto ancorare in via permanente il peso al dollaro) che sembrava irreversibile per le stesse ragioni per cui oggi sembra irreversibile l’euro. Le autorità temevano che per abrogare quel provvedimento sarebbe stato necessario un prolungato dibattito legislativo, e che un dibattito del genere avrebbe innescato devastanti assalti agli sportelli. Vi ricorda qualcosa?

Ma alla fine del 2001, l’economia argentina era allo sfascio. Il governo impose misure d’emergenza nel tentativo di contenere la situazione, fra cui una serie di restrizioni sui prelievi bancari. La conseguenza fu che la tesi contraria all’abrogazione del cambio fisso con il dollaro perse di validità, e nel 2002 l’Argentina passò a un tasso di cambio fluttuante.
È davvero impossibile che qualcosa di simile possa succedere in Grecia? E se accadesse, non si rischierebbe di mettere in discussione l’appartenenza alla zona euro anche di altri Paesi?
Questo dramma è ancora lontano dalla conclusione.

Il 2 maggio, l’Unione Europea ha approvato il pacchetto di aiuti da 110 miliardi di euro che punta a impedire il default greco. Gli Stati membri della zona euro hanno accettato di contribuire con 80 miliardi di euro, mentre il resto verrà dal Fondo monetario internazionale.
Il Governo tedesco, che aveva manifestato grande riluttanza ad accorrere in aiuto della Grecia, ha accettato di mettere a disposizione 22 miliardi di euro. In una dichiarazione al parlamento, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha detto che il piano di salvataggio rappresenta «niente di meno che il futuro dell’Europa e il futuro della Germania in Europa», aggiungendo che la Germania aveva «una responsabilità speciale per l’Europa e oggi l’eserciterà».

In cambio, la Grecia ha accettato di applicare una serie di rigide misure di austerità, che includono l’obbligo di ridurre il disavanzo nell’ordine dell’11 per cento del prodotto interno lordo, l’aumento delle tasse, la stabilizzazione del debito pubblico e drastici tagli al settore pubblico, compresi tagli alle pensioni e l’eliminazione delle gratifiche per i dipendenti pubblici.
I tagli hanno scatenato la rabbia in tutta la Grecia, dove un cittadino su tre lavora per lo Stato. Il 4 maggio, i dipendenti pubblici, inclusi gli insegnanti e il personale ospedaliero, sono scesi in sciopero, e da quel momento sono seguiti altri scioperi e manifestazioni. Il 5 maggio, i disordini sono sfociati in tragedia con la morte di tre persone ad Atene a seguito dell’incendio appiccato a una banca dai manifestanti.

Le turbolenze politiche hanno prodotto ripercussioni sui mercati finanziari, unitamente alla paura degli investitori di un allargamento del contagio ad altri Paesi della zona euro, in particolare la Spagna e il Portogallo. Il 5 maggio, l’euro ha toccato il livello minimo sul dollaro negli ultimi 12 mesi, attestandosi a 1,2886 dollari.

© 2010 NYT – distribuito da The NYT Syndicate

(Traduzione di Fabio Galimberti)

(Beh, buona giornata).

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Che sta succedendo all’economia europea/2.

Potere e mercati, la prova verità, di SERGIO ROMANO-corriere.it

Le grandi crisi non bastano purtroppo a rinsavire quelli che ne sono direttamente o indirettamente responsabili. Ma hanno l’effetto positivo di rendere evidenti alcune verità che prima della crisi apparivano poco convincenti o erano addirittura negate. Abbiamo sempre saputo che la mancanza di un governo europeo dell’economia avrebbe reso l’unione monetaria incompiuta e vulnerabile. Sapevamo che i divieti e le punizioni inseriti su pressioni tedesche nel Trattato di Maastricht e nel Patto di stabilità non avrebbero mai impedito a un Paese di commettere errori e soprattutto avrebbero convinto la speculazione che il Paese in pericolo non sarebbe stato salvato. Sapevamo che i compiti assegnati alla Banca centrale europea erano troppo rigidamente limitati e che fare da sentinella all’inflazione può essere in alcuni casi una politica insufficiente, se non dannosa. E sapevamo infine che gli aiuti, quando sono tardivi e vengono decisi soltanto dopo penose discussioni inconcludenti, sono sempre più costosi di quanto sarebbero stati se concessi tempestivamente. La Germania ha frenato gli altri maggiori Paesi della zona euro perché temeva che gli aiuti alla Grecia avrebbero mal disposto gli elettori del Nord Reno Westfalia verso la coalizione di governo.
Ebbene, il pacchetto è stato varato dal Bundestag alla vigilia del voto. I tempi, per Angela Merkel, non potevano essere peggiori. Ma di questo non può che rimproverare se stessa.

La crisi, dunque, ha sgombrato il terreno da alcune false verità. Resta da capire se i Paesi dell’eurozona sapranno correggere gli errori. La giornata di avant’ieri, potrebbe essere, in questa prospettiva, memorabile. Il presidente del Consiglio italiano e il presidente francese sembrano essersi accordati sulla necessità di un fondo monetario europeo a cui attingere per aiutare un Paese in crisi. Il presidente della Commissione ha detto che occorre rafforzare Eurostat (l’ufficio statistico dell’Ue) e fornirgli gli strumenti per accertare la verità dei conti pubblici degli Stati membri. La Banca centrale europea potrebbe prendere in garanzia, per i suoi prestiti, anche le obbligazioni deprezzate del governo greco e acquistare titoli di Stato per stabilizzare i mercati. Un’agenzia di rating europea potrebbe ridurre l’ingiustificata influenza delle agenzie americane. L’eurogruppo, infine, potrebbe assumere maggiori responsabilità e diventare la prefigurazione di un governo europeo dell’economia.

Molto dipende da tre importanti riunioni che si terranno oggi, prima dell’apertura dei mercati: il consiglio dei governatori della Bce, l’Ecofin, e un G7 dell’ultima ora in teleconferenza.
Ma se verranno adottate, queste misure avranno alcuni punti in comune: rafforzeranno le istituzioni europee a scapito delle sovranità nazionali, saranno un passo verso il completamento dell’Unione monetaria e l’integrazione europea. Faranno capire ai mercati che l’Europa non intende farsi ricattare dalla speculazione. E avranno l’effetto di ridare all’Italia uno spazio europeo che aveva finora trascurato. Tanto più se gli aiuti alla Grecia saranno votati sia dalla maggioranza sia dall’opposizione.
So che molto dipende dalle reazioni dei mercati, domani. C’è troppo denaro in giro per il mondo che è alla ricerca di selvaggina e si comporta come zavorra mal collocata sul fondo di una nave in tempesta. Ma qualche speranza, oggi, è possibile. (Beh, buona giornata).

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Che sta succedendo all’economia europea/1.

I giorni terribili dell’attacco all’euro di EUGENIO SCALFARI-repubblica.it

Due giorni terribili e una terribile nottata tra i capi dei governi europei, mentre crollavano le Borse di tutto il continente e Wall Street addirittura precipitava di mille punti in pochi minuti. Un errore umano? Molto peggio: l’errore umano aveva messo in moto le tecnologie computerizzate che avevano trasmesso l’ordine di vendere a tutti gli operatori collegati in rete. Così la tecnologia amplifica e soverchia le manchevolezze degli umani, dei quali sempre più spesso diventa padrona.
Quei minuti di panico si sono tuttavia protratti per tutta la giornata sulle due sponde dell’Atlantico; la riunione dei leader europei è durata otto ore, con lo spettro di che cosa potrà accadere lunedì alla riapertura dei mercati.

Lo spettro dell’affondamento dell’euro ha dato loro il coraggio che fin qui gli era
mancato. Soprattutto era mancato ad Angela Merkel, cioè alla Germania e alla Bundesbank che ne rappresenta il cuore monetario, ancora nostalgico del marco, abbandonato in favore della concezione europeistica di Kohl. C’è voluto un intervento diretto di Barack Obama sulla cancelliera della Germania federale per farle comprendere che la fase dei “se” e dei “ma” doveva essere superata e che non era più questione di giorni ma di ore se non addirittura di minuti per prendere le decisioni necessarie. Si vedrà domani se i mercati si stabilizzeranno e se la speculazione concederà alla politica una pausa di respiro.

I provvedimenti decisi dal vertice europeo sono stati, finalmente, all’altezza della sfida: la disponibilità della Bce, ovviamente con decisione autonoma, ad acquistare i titoli di Stato dei Paesi sotto attacco e la decisione della Commissione di Bruxelles di mobilitare 70 miliardi di euro accantonati nel bilancio dell’Unione per far fronte alle calamità naturali e usarli invece per prestiti immediati ai Paesi in difficoltà.
La frustata che gli speculatori hanno dato ai governi li ha finalmente risvegliati dall’ipnosi e li costringerà a reagire?

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La novità delle ultime quarantott’ore è questa: i governi hanno capito che l’attacco della speculazione non è più soltanto contro la Grecia. L’obiettivo è assai più alto, il dissesto dell’economia greca ne è stato soltanto il detonatore, ma ormai è chiaro quale sia il bersaglio: l’euro, la moneta unica europea, la tenuta del sistema europeo e la sua necessaria evoluzione politica. L’aveva già scritto qualche giorno fa Mario Pirani su queste pagine e l’ha detto giovedì scorso con chiarezza il ministro Tremonti alla Camera. C’erano solo cinquantotto deputati ad ascoltarlo e quasi tutti dell’opposizione, il che non depone a favore della sensibilità europeistica del nostro Parlamento e sottolinea il suo inguaribile provincialismo.

A questo punto le domande che dobbiamo porci sono tre: perché la speculazione attacca l’Europa, le sue Borse, la sua moneta? Quali sono, tecnicamente e politicamente, i punti deboli dell’Unione europea? Quali sono le terapie necessarie per difenderci? Possiamo aggiungere anche una quarta domanda: chi sono gli speculatori? È mai possibile che abbiano tanti mezzi e tanto coraggio da partire in battaglia contro una struttura di dimensioni continentali che coincide con l’area più ricca del mondo?

Questa quarta domanda è preliminare alle altre e va dunque affrontata per prima. La speculazione non è formata da un gruppo di operatori che si consultano tra loro e mobilitano i loro capitali per influenzare i mercati e trarre profitto dalle loro oscillazioni. La speculazione è un sinonimo del mercato. La speculazione è il mercato. Il mercato consiste in un luogo organizzato dove si registrano – attraverso la domanda e l’offerta – le aspettative di un’immensa massa di risparmiatori. La speculazione dunque non è altro che l’aspettativa che si forma liberamente, sulla base di libere valutazioni delle forze in campo.

La crisi di due anni fa partì dalla bolla immobiliare americana e si propagò con la velocità del fulmine in tutto il mondo. Fu la prima vera prova della globalizzazione finanziaria. Si confrontarono le aspettative ribassiste e deflazionistiche con la risposta dei governi, a cominciare da quello americano. I governi riuscirono a gestire la crisi e a controllare le aspettative ma pagarono un prezzo altissimo: dovettero iniettare sul mercato migliaia di miliardi di liquidità accumulando debiti immensi. Sono stati chiamati “debiti sovrani” e “fondi sovrani” sono stati chiamati gli enti preposti alla loro gestione.

L’uscita dalla crisi prevede che i debiti sovrani siano riassorbiti gradualmente ma in un periodo relativamente breve di tre o quattro anni. Ogni sistema, ogni fondo sovrano effettuerà l’operazione di assestamento secondo i propri mezzi e le proprie scelte; l’inflazione sarà inevitabilmente una scelta comune, non facile da guidare e difficilissima da far accettare alle pubbliche opinioni. Ma ancora più difficile sarà l’assestamento basato sul taglio di spese, inasprimento di imposte, disagio sociale. Il caso greco ne è la più lampante dimostrazione anche perché è maturato su un terreno politicamente e socialmente friabilissimo.
Adesso è la volta dell’Unione europea, la crisi si è concentrata su quell’obiettivo. Come ha ricordato Tremonti, la parola crisi in greco significa discontinuità.

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Perché la speculazione attacca la moneta europea, le sue Borse, le sue banche? La risposta è semplice: la speculazione attacca i fondi sovrani europei, cioè la struttura finanziaria dell’Unione attraverso gli Stati che la compongono e cerca di colpire la stessa Banca centrale europea, cioè il cuore dell’Unione, il solo ente veramente autonomo e veramente federale che gli Stati abbiano finora saputo esprimere.
La speculazione, cioè l’insieme delle forze che operano nei mercati internazionali, sa da tempo che la Bce è la sola Banca centrale esistente che non abbia alle sue spalle uno Stato sovrano. Questa situazione le conferisce il massimo di indipendenza, ma al tempo stesso il massimo di solitudine e di fragilità. La politica monetaria è interamente nelle mani della Bce e di conseguenza sono di sua esclusiva spettanza la quantità di moneta in circolazione, il tasso ufficiale di sconto, le operazioni di mercato aperto.

Ma gli Stati membri mantengono il completo dominio delle rispettive politiche di bilancio, delle rispettive politiche fiscali, della spesa pubblica sia nazionale sia locale, degli incentivi, delle pubbliche retribuzioni, dell’organizzazione del “welfare”. I meccanismi di coordinamento sono blandi e nella maggioranza dei casi si risolvono in raccomandazioni. Il bilancio amministrato dalla Commissione di Bruxelles non ha alcuna vera flessibilità.

Insomma l’Europa è ancora lontanissima dall’essersi data una struttura federale e politiche comuni, anzi unificate, con massicci trasferimenti di sovranità dagli Stati nazionali allo Stato federale europeo nel campo della politica estera, di quella della difesa, dei diritti e dei doveri, delle elezioni parlamentati e del governo dell’Unione.
La speculazione conosce perfettamente questa situazione ed ha interesse a bloccare qualsiasi sviluppo dell’Unione verso un assetto federale. L’ideale per le forze di mercato è che esso sia regolato il meno possibile e che il potere economico, soprattutto nei suoi aspetti finanziari, sia il solo dominante nello spazio globale del pianeta.

Questa è dunque la posta, la quale tuttavia comporta anche una contro-indicazione: se gli Stati nazionali membri dell’Unione hanno chiaramente capito la pericolosità estrema dell’attacco, vorranno e sapranno elaborare una risposta che sia all’altezza della crisi? Vorranno affrontare il problema della sovranazionalità europea cedendo all’Unione la parte politica della loro sovranità? O si limiteranno a rendere più strette le maglie del coordinamento tra le loro politiche nazionali?

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La crisi in corso contiene dunque un pregio, l’abbiamo già detto: ha reso attuale e non oltre procrastinabile il tema dello Stato federale europeo. Purtroppo non sembra che l’evidenza e l’urgenza di risolverlo siano in grado di indurre le classi dirigenti e le opinioni pubbliche nazionali a varcare finalmente la soglia di un vero federalismo. Mancherà certamente il contributo della Gran Bretagna, ancora irretita dal mito anglosassone e dalla relazione speciale tra Londra e Washington.
Quanto agli Stati europei del continente, non sembra che dispongano di una visione europea unitaria. Una classe dirigente europea e un’opinione pubblica europea capaci di sospingerli e costringerli non esistono. Ci sono singoli individui e ristretti ambiti sociali minoritari, niente di più.

Se debbo esprimere un’opinione personale, credo che l’attacco in corso contro l’attuale sistema europeo si attenuerà nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, ma non sarà affatto sgominato. Verrà contenuto, questo è probabile, ma preparerà ulteriori ondate. Voglio dire insomma che la crisi non è alle nostre spalle ma è ancora davanti a noi con tutta la sua terribilità.
(Beh, buona giornata).

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