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Se la Borsa si sostituisce al borsino dei direttori dei giornali.

Non bastava un governo sfiduciato dai mercati, e uno nominato dalla Bce. In Italia adesso anche i direttori dei telegiornali vengono nominati dalla Borsa.

I fatti sono che Mentana si dimette, il titolo Telecom crolla. Mentana ci ripensa, il titolo risale. Enrico Mentana deve essersi sentito più importante di un barile di petrolio, di un’oncia d’oro, per non dire più determinante del famigerato spread. Ormai che i mercati finanziari hanno rotto ogni inibizione, superato ogni riservatezza, in Italia da oggi in poi tutto è possibile. Non si muoverà foglia che Piazza Affari non voglia. Chi vincerà in prossimo Giro d’Italia, lo deciderà la Borsa.

Il campionato di calcio, quello già lo decide da un pezzo. La Borsa si sta preparando a decidere chi sarà il conduttore del prossimo Festival di Sanremo, e ovviamente chi nominerà  il vincitore non sarà più il televoto, ma il Mibtel, l’indice telematico. Si quoteranno i titoli delle canzoni? E poi,  chi vincerà le primarie del Pd? Una seduta contrastata di Piazza Affari?  La ricandidatura di Alemanno alla carica di sindaco di Roma? Sospesa per eccesso di ribasso.

Ovviamente, bisognerà stare attenti alle manovre degli speculatori: per sostenere il titolo Mediaset, ad esempio, si sono scatenati contro la Rai Minzolini e Ferrara, e contro SKY direttamente Auditel. Solo che non tutte le ciambelle riescono più col buco: da quando il Cavaliere è stato disarcionato,  l’unico buco certo è quello di Endemol, che Mediaset non riesce va dare via. Senza il santo protettore a Palazzo Chigi, Minzolinil  è stato giubilato, Auditel multata. E’ rimasto Ferrara.  Verrà considerato anche lui troppo grosso per fallire? Eppoi, riuscirà Maccari a salvare il TgUno dalla bancarotta degli ascolti? Staremo a vedere.

Intanto, tornando alla vicenda de La 7 e del suo direttore c’è  dire che i tempi sono cambiati per davvero. Una volta un direttore di successo si vedeva dai titoli di prima pagina. Oggi sono i titoli borsistici a consacrare il ritorno alla guida del Tg La 7 di  Mentana, il quale, se può essere soddisfatto di aver vinto la sua personale battaglia contro l’Associazione della Stampa romana, e di aver riottenuto la fiducia del cdr del suo telegiornale, certo qualche domanda se la sarà pur fatta,  dopo portato a termine con successo il suo personale aumento di capitale: sono un bravo giornalista o una bolla speculativa? Beh, buona giornata.

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Attualità democrazia Finanza - Economia Politica

Aspettando il prossimo convegno di Confindustria.

di Roberto Mania-repubblica.it

La casa brucia. L’Italia è a un passo dalla prospettiva del default. Il rendimento dei Btp decennali si è impennato oltre il 6 per cento, lo spread con i Bund tedeschi viaggia costantemente sopra il 4 per cento, la Bce ha ripreso a comprare titoli italiani, crollano le azioni in Borsa, risale l’inflazione, il tasso di disoccupazione è cresciuto all’8,3 per cento e proseguirà in salita con la cassa integrazione che via via esaurirà la sua funzione per lasciare sul campo la perdita di migliaia di posti di lavoro, un giovane su tre, infine, non ha un’occupazione. Succede tutto questo ma gli industriali, piccoli e grandi, hanno perso la voce. Dove sono?

Nelle settimane scorse avevano chiesto, tutte le loro lobby insieme (dalla Confindustria all’Abi, passando per l’Alleanza delle cooperative), “discontinuità”. Hanno lanciato, più alcuni che altri, penultimatum a gogò: ancora venti giorni, quindici, dieci, sei, poi il governo deve andarsene se non è in grado di cambiare rotta. Nulla. Berlusconi ha presentato la lettera-fuffa a Bruxelles. Una lista delle cose non fatte più che di impegni per il futuro. Ma gli industriali hanno detto che andava nella direzione giusta. Fine degli ultimatum. E poi nella lettera hanno ritrovato il vecchio spartito: basta con l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, con annesso lo slogan “più assunzioni con più licenziamenti”. Il mondo alla rovescia. Per la discontinuità insomma sono arrivati i tempi supplementari. Il rischio terrorismo evocato dal ministro Sacconi? Silenzio. Se ne parlerà – forse – al prossimo convegno. D’altra parte questo è il ponte d’Ognissanti. Il ponte degli industriali.

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Finanza - Economia

Che sta succedendo all’economia europea/5.

La speculazione, l’Europa divisa e la speranza di Kohl, di Romano Prodi-ilmessaggero.it
Per fortuna oggi si vota nel North-Rhine Westfalia (Cristianodemocratici al 34,3% e liberali al 6,5%: perdono il Nordreno-Westfalia, il land più popoloso, e non hanno più la maggioranza al Bundesrat, la Camera delle Regioni. Bene i socialdemocratici con il 34,5%, i Verdi (12,6%) e la sinistra radicale (6%), ndr). Dovrebbe essere una notizia trascurabile nel panorama della crisi finanziaria ma purtroppo, nella mancanza di regole europee comuni e condivise, le decisioni sono rimaste in mano agli stati nazionali e i governanti hanno agito tendendo conto non degli interessi di lungo periodo ma delle passioni popolari del momento . Si è verificato perciò lo scenario peggiore tra tutti quelli prevedibili, uno scenario in cui un problema di dimensioni quantitative modeste, come il deficit greco, ha prodotto le peggiori conseguenze possibili, sconvolgendo i mercati azionari ed obbligazionari di tutta Europa. Quando la politica non adempie al suo compito, la speculazione non può che approfittare del disorientamento generale e fare duramente il proprio gioco. Ed è questo che è avvenuto nella scorsa settimana, in cui l’attacco speculativo non solo ha provocato pesanti ribassi in borsa ma ha generato una catena di crisi di fiducia che ha reso più difficile e costoso il funzionamento dei crediti interbancari e ha infine messo a dura prova la solidità dei titoli di Stato di diversi paesi, con l’ovvia ultima conseguenza di attentare al cuore stesso dell’Euro.

La finanza (o forse meglio dire la speculazione finanziaria) ha travolto la politica perché essa ha per definizione interessi e obiettivi ben precisi mentre la politica europea non è stata in grado di preparare una forte strategia comune. Il prezzo di tutto ciò è elevatissimo: basti pensare che la metà del pacchetto di aiuti preparato qualche giorno fa sta ora andando in fumo per l’aumento dei tassi di interesse del debito pubblico greco, aumento dovuto proprio alla difficoltà, alla lentezza e alla scarsa convinzione con cui era stato preparato dagli “amici” europei.
Insomma la speculazione agisce quando sa di essere più forte della politica, più forte degli Stati. Oggi in Europa lo è.

Non solo perché è in grado di mobilitare enormi masse di denaro in un brevissimo periodo di tempo ( rapidità moltiplicata dagli automatismi con cui vengono dati gli ordini di acquisto o di vendita) ma anche perché tutto questo provoca ondate di panico nei possessori di titoli, allarmati da questi eventi improvvisi, imprevisti e della cui portata non sono in grado di rendersi conto. Nei giorni scorsi molti possessori di azioni sono corsi a vendere semplicemente per paura, così come sono corsi verso i Bund tedeschi altrettanti proprietari di obbligazioni pubbliche di diversi paesi.

Ad eventi così veloci si contrappone una situazione europea in cui nessuno ha il potere di agire con la necessaria rapidità e ogni decisione viene presa dopo che la speculazione ha raddoppiato la dimensione dell’intervento necessario. Questa è la ragione per cui l’attacco è stato mosso verso i paesi dell’Euro, anche se essi hanno in media un deficit molto molto inferiore a quello degli Stati Uniti o della Gran Bretagna ma hanno un potere politico frammentato, diviso e incapace di reagire agli eventi guardando in faccia alla realtà. Identica è la spiegazione sul contradditorio comportamento delle società di rating, che hanno promosso a pieni voti la banca Lemhan fino alla vigilia del fallimento e che ora gettano ombre di sospetto sull’Italia senza nulla dire riguardo all’enorme deficit di Gran Bretagna e Stati Uniti.

Intanto a Bruxelles si continua a discutere sui possibili interventi urgenti della Banca Centrale Europea e su come i mercati reagiranno domani di fronte alle misure prese. Se cioè sarà sufficiente un’iniezione aggiuntiva di liquidità alle banche perché acquistino titoli di Stato dei paesi sotto tiro o se si andrà verso la più complessa e ipotetica possibilità che sia la BCE stessa a comprare direttamente tali titoli. Vedremo domani se la decisione presa sarà in grado di calmare la furia dei mercati ma teniamoci ben in mente che, in ogni caso, si tratta di un rimedio di breve periodo. Il problema resta quello di creare degli strumenti di politica economica per tutta l’area dell’Euro che permettano di evitare i disastri come quello greco e che, se accadono, rendano possibile imporre nuovi comportamenti in modo rapido e autorevole.

Ritorniamo quindi al nostro problema di costruire una politica economica europea da affiancare alla politica monetaria, una politica abbastanza forte da imporre e fare rispettare le regole comuni. E’ proprio quello che i leader europei non hanno nel passato voluto e che gli eventi di questi giorni costringeranno invece a fare. A meno che non si voglia la distruzione dell’Euro, cosa che a nessuno giova a cominciare dalla Germania. Quando fra poche ore si chiuderanno le urne nel North-Rhine Westfalia si dovrà quindi ricominciare a parlare del nostro futuro, che esisterà solo se sarà un futuro comune. Per ora l’unica voce ottimista che ho potuto ascoltare in Germania è quella dell’ex cancelliere Helmut Kohl che, nel giorno del suo ottantesimo compleanno, mi ha rasserenato assicurandomi che la Germania è, nonostante tutto, pienamente consapevole del valore positivo ed indispensabile della solidarietà europea. Mi auguro proprio che abbia ragione.(Beh, buona giornata).

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Lavoro Media e tecnologia Pubblicità e mass media

La quarta crisi: Rcs manda a casa 175 giornalisti?

Media/ Rcs taglia tutti i periodici e paga 25 milioni di Tfr-blitzquotidiano.it
Cura da cavallo per sanare i bilanci del gruppo Rcs? Dalle indiscrezioni giunte e raccolta da Affari Italiani il piano dell’ ad Angelo Perricone sarebbe drastico: tagliare tutti i periodici e mandare a casa 175 giornalisti in un colpo solo. Per farlo il gruppo sarebbe disposto a pagare 25 miloni di tfr: sarebbe questa indiscrezione ad avere fatto schizzare in alto il titolo in Borsa, alla fine della settimana scorsa. (Beh, buona giornata).

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Finanza - Economia

A Obama non piace il capitalismo finanziario.

In un’intervista con il New York Times di oggi, Barack Obama ha detto: “ciò che ritengo fosse un’aberrazione, era una situazione in cui i profitti corporativi del settore finanziario costituivano una parte così consistente della nostra redditività complessiva. Questo, credo, cambierà. È importante comprendere che parte della ricchezza generata nell’ultimo decennio per i benefici delle imprese era puramente illusoria». Beh, buona giornata.

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