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Sulla pedofilia, il cardinale Joseph Ratzinger non ce la raccontava giusta. Adesso che è papa Benedetto XVI lo deve fare. Adesso.

La missiva del 1985 è firmata dall’allora cardinale che esprime preoccupazione
per gli effetti che un provvedimento avrebbe avuto sul “bene della chiesa universale”
Dagli Usa nuove accuse a Ratzinger
“Non rimosse un prete pedofilo”
Fonti della Santa Sede: “Continuano i tentativi di coinvolgere il Pontefice. Nella ricostruzione ci sono cinque inesattezze”
Il quotidiano canadese The Globe and Mail svela l’intervento del Vaticano per coprire un sacerdote che abusò di 13 minori-repubblica.it

Una lettera del 1985 firmata dal cardinale Joseph Ratzinger dimostra la resistenza opposta dal futuro Papa alla rimozione di un sacerdote californiano, Stephen Kiesle, che aveva molestato dei bambini. Nella missiva, scritta in latino, l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede esprimeva preoccupazione per l’effetto che una la riduzione allo stato laicale del sacerdote avrebbe avuto sul “bene della chiesa universale”. A rivelarlo è l’Associated Press, entrata in possesso di una fitta e lunghissima corrispondenza sul caso tra la diocesi di Oakland e il Vaticano. L’agenzia riferisce che la Santa sede ha confermato la firma di Ratzinger sulla lettera, ma ha rifiutato di commentarne il contenuto: “L’ufficio stampa non ritiene necessario rispondere a ogni singolo documento preso fuori contesto che riguarda particolari situazioni legali – ha detto all’Ap padre Federico Lombardi, portavoce vaticano – Non è strano che ci siano singoli documenti con la firma di Ratzinger”. In seguito il vicedirettore della sala stampa vaticana, padre Ciro Benedettini, ha precisato che “l’allora cardinale Ratzinger non coprì il caso ma, come si evince chiaramente dalla lettera, fece presente la necessità di studiare il caso con maggiore attenzione”.

Le spiegazioni di fonte vaticana. Secondo fonti della Santa Sede, “con accanimento continuano i tentativi di coinvolgere Joseph Ratzinger nello scandalo della pedofilia”. Nella missiva, sostengono, Ratzinger consigliava “di avere la massima cura paterna” non tanto per il sacerdote “quanto per le vittime e per i bambini che mai più avrebbe dovuto poter avvicinare”, definiva gli argomenti a favore della riduzione allo stato laicale di “grande significato”, suggeriva prudenza al vescovo di Oakland, John Cummins, sottolineando di considerare “il bene della Chiesa universale” e il “danno che concedere la dispensa può provocare nella comunità dei credenti in Cristo, in particolare vista la giovane età” del religioso. Il sacerdote, all’epoca trentottenne, era accusato di aver compiuto diversi abusi a cavallo degli anni ’70-’80. Fu ridotto allo stato laicale nel 1987, due anni dopo la lettera. Le fonti aggiungono che il sacerdote non veniva riammesso al lavoro pastorale, tema che comunque non era all’epoca di competenza della Congregazione della Dottrina della Fede, che divenne competente su questi casi nel 2001. I tempi intercorsi si spiegano con la lentezza delle comunicazioni in quell’epoca. E sembra che alcuni commentatori confondano la rimozione di un sacerdote dall’incarico – all’epoca di competenza del vescovo locale – con la riduzione allo stato laicale che deve essere autorizzata dalla Santa Sede.

A questo proposito un esperto di diritto canonico segnala cinque inesattezze nella ricostruzione della vicenda:
1) Nel 1985 la Sacra (allora c’era ancora questo aggettivo per le Congregazioni romane) Congregazione per la Dottrina della Fede non era competente per i casi di pedofilia, ma lo era per le richieste di dispensa dal sacerdozio.
2) Il sacerdote Stephen Miller Kiesle chiedeva appunto la dispensa dal sacerdozio; la richiesta era appoggiata dal vescovo, ma era del sacerdote.
3) Non si trattava quindi di una riduzione allo stato laicale di tipo “penale” (cioè di una punizione per gli atti di pedofilia), ma di una domanda del sacerdote stesso. Non risulta, dalla lettera, se il vescovo aveva intrapreso procedimenti punitivi nei confronti del sacerdote.
4) Era ed è tuttora prassi che non si concedano dispense dal sacerdozio a coloro che le richiedono, se non al compimento dei 40 anni di età (salvo casi particolari, come l’esistenza di figli). Al reverendo Kiesle la dispensa fu concessa nel 1987, cioè proprio quando raggiunse i 40 anni.
5) La responsabilità dell’intera vicenda – e di eventuali ritardi nelle decisioni – non può essere addossata alla Santa Sede, che fino al 2001 non aveva competenza per i casi di pedofilia se non implicavano la “sollecitazione” della vittima nel confessionale.

Nyt e caso Murphy. Il New York Times torna sulla vicenda Murphy e scrive che il sacerdote che negli anni Novanta istruì e avviò il processo canonico contro il prete accusato di aver molestato sessualmente 200 bambini sordomuti in Wisconsin, ha ammesso che gli fu ordinato di fermare il processo nel 1998, dopo una richiesta del Vaticano.

Accuse anche dal Canada. Dal Canada emerge intanto un nuovo caso di abusi ai danni di minori che sarebbero stati compiuti da un sacerdote, le cui azioni sarebbero state “coperte” dalle gerarchie ecclesistiche. La vicenda risale agli anni Novanta ed è stata ricostruita dal quotidiano canadese The Globe and Mail, secondo il quale alcuni vescovi della regione dell’Ontario, alti funzionari vaticani e un nunzio apostolico avrebbero coperto un sacerdote, Bernard Prince, risultato poi colpevole di abusi su tredici minorenni e, per questo, condannato dalla giustizia canadese a quattro anni di reclusione. Non solo: per sottrarlo a eventuali sospetti, Prince fu richiamato a Roma dove ricoprì l’incarico di segretario generale della Pontificia opera missionaria della Propagazione della fede, organismo della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. E ancora, nel 1994 venne elevato al rango di prelato d’onore di Sua Santità. Fu poi Benedetto XVI a ridurlo allo stato laicale, lo scorso anno.

La vicenda raccontata dal The Globe and Mail era già in parte nota al pubblico ma dalla ricostruzione del quotidiano emerge un particolare importante: la lettera che monsignor Jospeh Widle, vescovo di Pembroke – la diocesi dove si erano svolti i fatti – inviò a monsignor Carlo Curis (nunzio in Canada dal 1990 al 1999), nella quale si fa esplicito riferimento alle strategie da mettere in atto per insabbiare la storia prima che danneggiasse gravemente “non solo la Chiesa canadese ma tutta la Santa Sede”. Non solo: dalla lettera emerge anche che informato – almeno in parte – dei fatti era anche l’allora prefetto della Congregazione per il clero, il cardinale Josè Sanchez. (Beh, buona giornata).

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