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Berlusconi è stato all’altezza dell’agognato incontro con Obama?

Il vecchio clown alla Casa bianca, di Giovanna Pajetta-Il Manifesto

Silvio Berlusconi è arrivato a un passo dal colpo grosso, essere inquadrato alla Casa bianca nel momento, atteso per tutta la giornata di lunedì, in cui Barak Obama finalmente commentava la situazione iraniana. Ma le telecamere, impietose, hanno evitato in ogni modo di far vedere chi fosse l’ospite straniero. E così, mentre il presidente americano spiegava compreso “non posso rimanere in silenzio davanti alle immagini che vedo in televisione… al di là del risultato delle elezioni, gli iraniani devono poter decidere del futuro del loro paese “, l’unica altra voce che si è sentita (bruscamente zittita dallo stesso Obama) è stata quella dell’interprete italiano.
Schiacciato tra la grande battaglia per la riforma sanitaria e gli eventi, sempre più preoccupanti, di Teheran, il primo incontro di Silvio Berlusconi con il nuovo presidente egli Stati uniti, è stato in realtà molto formale. Il premier italiano ha portato in dono l’invio di altri 200 o 300 soldati italiani (probabilmente spostandoli, temporaneamente, dai Balcani) e soprattutto l’offerta di ospitare (incarcerare?) nella penisola almeno 3 ex detenuti di Guantanamo. Barak Obama ha apprezzato e ha risposto con un classico, e stereotipato “Piacere di vederti, amico mio”, sorridendo composto anche quando Berlusconi l’ha praticamente abbracciato, o con l’altrettanto classica affermazione “L’Italia è un alleato cruciale”.
Organizzato in vista del G8 di luglio all’Aquila, al centro di buona parte dei colloqui (a cui ha partecipato anche Hillary Clinton) l’incontro del resto era stato voluto fortemente da Silvio Berlusconi. Dopo gli anni della “grande amicizia” con George Bush, la distanza tra Italia e Stati uniti è cresciuta a dismisura, fino a far maturare le voci di un vero e proprio fastidio americano nei confronti di un premier più vicino a Vladimir Putin che alla Casa bianca. Poi è arrivato lo scandalo Veronica, Silvio Berlusconi è stato sbeffeggiato su tutta la stampa straniera e, come notava James Walston, professore dell’Accademia americana di Roma, il viaggio a Washington serviva per cercare di dimostrare che il nostro premier è “uno statista e non solo un vecchio clown”.
In realtà le televisioni americane hanno non hanno dato nessun rilievo alla visita, giusto qualche accenno su siti come “Politico.com”, e un benvenuto decisamente velenoso da parte della “National public radio”. La cui corrispondente da Roma ha annunciato l’arrivo “dello screditato premier italiano che, come si sa, dichiara che la crisi economica è un’invenzione dei media”. Ma del resto di questi tempi qualsiasi articolo, o servizio, sul nostro paese è impietoso. Speriamo che almeno una volta entrato nella stanza del caminetto, seduto a fianco di Barak Obama, il nostro premier si sia un po’ trattenuto, evitando quantomeno di spiegare come anche il New York Times (l’Economist, il Finacial Times…) sia in realtà un giornale che complotta contro di lui.

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Finanza - Economia Lavoro Popoli e politiche

Crisi globale: “Il lavoro da fare in questa direzione sarà davvero durissimo, perché in questi mesi il mondo sta davvero cambiando e nessuno sarà comunque disposto a cerderci il passo.”

La ripresa verrà, ma nulla sarà come prima

di Romano Prodi- da Il Messaggero del 19 aprile 2009

Se si ragiona sui freddi dati bisogna necessariamente constatare che l’economia mondiale è ancora in recessione. Il suo tasso di sviluppo è ancora negativo, il commercio globale mostra anch’esso il segno meno e l’unico dato col segno positivo è purtroppo quello della disoccupazione.

Eppure, anche se ancora piove a dirotto, non si possono trascurare alcuni segnali che possono fare pensare che la grande crisi, anche se ancora lungi dall’essere risolta, stia entrando in una fase di minore turbolenza.

Il primo segnale è puramente politico. Pur non avendo preso nessuna decisione straordinaria, la riunione dei G20 tenuta a Londra all’inizio di Aprile, ha dimostrato che nel mondo si è ricostituito un possibile nucleo di comando. Il fatto che attorno allo stesso tavolo fossero seduti gli Stati Uniti, la Cina e, seppure in modo più defilato, l’Unione Europea, ha mandato a tutti il messaggio che si sta ricostituendo la struttura di comando di cui vi era assolutamente bisogno. Da una crisi anarchica stiamo cioè passando ad un mondo in qualche modo governato.
Anche all’interno delle grandi aree economiche mondiali la paura sta lentamente diminuendo, lasciando, di fronte ad azioni in grado di poterla contrastare.

L’area che sembra essere più avanti in quest’azione di contrasto è certamente la Cina dove le centinaia di miliardi di dollari di potere d’acquisto iniettate nel sistema economico durante gli ultimi mesi, stanno dando i primi frutti, che si sono tradotti in un sostanzioso aumento della produzione industriale e degli ordinativi delle imprese.

Il secondo messaggio (non così positivo ma almeno di minore pessimismo) arriva dagli Stati Uniti, dove gli ultimi dati di alcune grandi realtà economiche, come Citigroup e General Electric, sono meno negativi delle previsioni. La fiducia dei consumatori non potrà riprendersi in modo stabile se gli americani non verranno liberati dalle tre grandi paure da cui sono ancora afflitti , e cioè la paura di perdere le case in conseguenza delle ipoteche non pagate, di vedere i propri fondi pensione decurtati dalla crisi finanziaria e, infine la paura di ammalarsi da parte dei 50 milioni di cittadini che non sono ancora coperti da alcun tipo di assicurazione contro le malattie.

Per tutti questi motivi, e non solo per l’iniezione di capitale pubblico nelle banche, è diventato ormai un luogo comune ripetere che l’uscita dall’emergenza economica passa più dalla Casa Bianca che non da Wall Street. Tale uscita, infatti, deve essere forzatamente accompagnata dalla messa in atto di quella grande innovazione sociale che stava alla base del programma elettorale di Obama.

Più pallidi sono i segnali provenienti dall’Europa, sia per la mancanza di una politica comune a livello continentale, sia per la divergenza delle situazioni dei singoli Paesi europei. Tuttavia non possiamo trascurare il fatto che la caduta si sia molto rallentata anche da noi e che in alcuni settori, come quello dell’automobile, le politiche di incoraggiamento alla domanda abbiano dato frutti certamente incoraggianti e, in ogni modo, assai più positivi rispetto alle previsioni.

Naturalmente quest’elenco di dati meno catastrofici rispetto a qualche settimana fa non ci deve fare dimenticare che non solo il reddito e la produzione ma anche gli ordini alle imprese e i dati sull’occupazione continuano a manifestare un segno pesantemente negativo, anche se meno negativo di un mese fa.

Queste considerazioni però sono sufficienti per dirci che la ripresa nel mondo verrà. Probabilmente dopo l’estate ma verrà. Ma verrà con una radicale redistribuzione del potere fra i diversi Paesi e le diverse classi sociali. Credo perciò che dovremmo impiegare i prossimi mesi non tanto a fare previsioni, quanto invece a preparare le nostre imprese e la nostra società a svolgere un ruolo da protagonista in questo nuovo mondo. Il lavoro da fare in questa direzione sarà davvero durissimo, perché in questi mesi il mondo sta davvero cambiando e nessuno sarà comunque disposto a cerderci il passo. Il posto nel mondo ce lo dovremo conquistare noi.

Prepariamoci quindi a pensare a cosa dovremo fare per conquistarlo. (Beh, buona giornata).

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