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Ci risiamo: il governo Berlusconi contro i blog.

INTERNET
Bavaglio al web col ddl intercettazioni
ritorna la norma “ammazza blog”-repubblica.it
Il governo ripresenterà lo stesso disegno di legge, inclusa la disposizione che obbliga i gestori di un sito a modificare i contenuti pubblicati se oggetto di richieste di rettifica. Nessuna possibilità di replica e multe salate. In Rete riparte la mobilitazione. Di Pietro sul web: “Non staremo con le mani in mano”

Il governo torna alla carica sul ddl intercettazioni, fortemente voluto dal premier Silvio Berlusconi. Una questione su cui l’esecutivo è orientato a porre la fiducia, bloccando la via a ogni eventuale emendamento.

Ma il disegno di legge attualmente allo studio contiene ancora la norma 1 cosiddetta “Ammazza blog”, una disposizione per cui, letteralmente, ogni gestore di “sito informatico” ha l’obbligo di rettificare ogni contenuto pubblicato sulla base di una semplice richiesta di soggetti che si ritengano lesi dal contenuto in questione. Non c’è possibilità di replica, chi non rettifica paga fino a 12mila euro di multa. Una misura che metterebbe in ginocchio la libertà di espressione sulla Rete, e anche le finanze di chi rifiutasse di rettificare, senza possibilità di opposizione, ciò ha ritenuto di pubblicare. Senza contare l’accostamento di blog individuali a testate registrate, in un calderone di differenze sostanziali tra contenuti personali, opinioni ed editoria vera e propria.

Ai fini della pubblicazione della rettifica, non importa se il ricorso sia fondato: è sufficiente la richiesta perché il blog, sito, giornale online o quale che sia il soggetto “pubblicante” sia obbligato a rettificare. Ecco il testo: “Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”.

Al di là delle diffamazioni e degli insulti, ogni contenuto sul web diventerebbe potenzialmente censurabile, con l’invio di una semplice mail. E sul ddl intercettazioni, il governo ha particolarmente fretta: il documento potrebbe passare così com’è entro pochi giorni. Un caso unico in Europa che, come in passato 2, sta già allarmando il popolo del web e mobilitando i cittadini in favore della difesa della libertà di informazione, come già accaduto ai tempi della contestata delibera AgCom. 3

Sulla sua pagina di Facebook, il presidente dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, scrive che “Il governo prova ancora una volta a mettere il bavaglio al web. Il ddl intercettazioni, infatti, prevede anche che qualunque blog, sito, portale o social network riceva una richiesta da soggetti che si ritengano lesi da un contenuto pubblicato, sia obbligato a rettificare entro 48 ore. E’ la solita norma ‘ammazzablog’. La rete si sta già ribellando e state certi che anche noi dell’IdV non staremo con le mani in mano”. (Beh, buona giornata).

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Facebook ridà il passaporto a Barbella. Ma il giallo Advertown non è ancora risolto.

Facebook fa un passo indietro nella vicenda del bavaglio a Pasquale Barbella. Come è noto Facebook, su segnalazione di un certo Cenacolo Tradizione Cattolici Mordini, aveva chiuso il gruppo Advertonw, una pagina diretta da Barbella e altri creativi pubblicitari italiani, una pagina che raccoglieva annunci pubblicitari, una sorta di archivio della buona pubblicità in Italia e nel mondo.

Alle ore 10.04.44 GMT di oggi 14 settembre il Facebook Team italiano ha comunicato a Barbella il ripristino del suo account. Attualmente Barbella può rientrare nelle pagine che ha creato su Facebook. Tutte tranne Advertown, la pagina incriminata. “Ritengo – ma non ne ho le prove – che le proteste inoltrate da più parti al FB Team abbiano sortito questo effetto, e ringrazio tutti gli amici e i colleghi che si sono interessati alla vicenda”, ha detto Pasquale Barbella.

A questo punto la palla passa al Cenacolo. Intervistato ieri da ADVexpress Giuseppe Passalacqua, socio del Cenacolo aveva dichiarato “Non era nostra intenzione oscurare l’intero gruppo, abbiamo semplicemente seguito la procedura indicata dal social network per segnalare il nostro dissenso. Il nostro obiettivo era semplicemente eliminare dalla rete soltanto la pagina in questione”.

Se questo è vero, il signor Passalaqua ha il dovere di indicare la pagina ‘incriminata’, di modo che Barbella e i suoi colleghi possano rimuoverla e Advertown essere subito ripristinato. Solo così sarà chiaro che si trattava di ‘dissenso’ e non di atto proditorio di rappresaglia. E’ l’unico modo per chiudere questa bizzarra quanto opaca vicenda.

“Rimane aperto il “dossier Cenacolo”-ha detto infatti Barbella – una brutta storia che spero trovi prima o poi un perché”. Insomma, finché Advertown rimarrà chiuso, la questione resterà aperta. Beh, buona giornata.

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Berlusconismo: la Rai censura Videocracy, film di Erik Gandini.

La Rai rifiuta il trailer di Videocracy “E’ un film che critica il governo” di MARIA PIA FUSCO-Repubblica.

Nelle televisioni italiane è vietato parlare di tv, vietato dire che c’è una connessione tra il capo del governo e quello che si vede sul piccolo schermo. La Rai ha rifiutato il trailer di Videocracy il film di Erik Gandini che ricostruisce i trent’anni di crescita dei canali Mediaset e del nostro sistema televisivo.

“Come sempre abbiamo mandato i trailer all’AnicaAgis che gestisce gli spazi che la Rai dedica alla promozione del cinema. La risposta è stata che la Rai non avrebbe mai trasmesso i nostri spot perché secondo loro, parrà surreale, si tratta di un messaggio politico, non di un film”, dice Domenico Procacci della Fandango che distribuisce il film. Netto rifiuto anche da parte di Mediaset, in questo caso con una comunicazione verbale da Publitalia. “Ci hanno detto che secondo loro film e trailer sono un attacco al sistema tv commerciale, quindi non ritenevano opportuno mandarlo in onda proprio sulle reti Mediaset”.

A lasciare perplessi i distributori di Fandango e il regista sono infatti proprio le motivazioni della Rai. Con una lettera in stile legal-burocratese, la tv di Stato spiega che, anche se non siamo in periodo di campagna elettorale, il pluralismo alla Rai è sacro e se nello spot di un film si ravvisa un critica ad una parte politica ci vuole un immediato contraddittorio e dunque deve essere seguito dal messaggio di un film di segno opposto.

“Una delle motivazioni che mi ha colpito di più è quella in cui si dice che lo spot veicola un “inequivocabile messaggio politico di critica al governo” perché proietta alcune scritte con i dati che riguardano il paese alternate ad immagini di Berlusconi”, prosegue Procacci “ma quei dati sono statistiche ufficiali, che sò “l’Italia è al 67mo posto nelle pari opportunità””.

A preoccupare la Rai sembra essere questo dato mostrato nel film: “L’80% degli italiani utilizza la tv come principale fonte di informazione”. Dice la lettera di censura dello spot: “Attraverso il collegamento tra la titolarità del capo del governo rispetto alla principale società radiotelevisiva privata”, non solo viene riproposta la questione del conflitto di interessi, ma, guarda caso, si potrebbe pensare che “attraverso la tv il governo potrebbe orientare subliminalmente le convinzioni dei cittadini influenzandole a proprio favore ed assicurandosene il consenso”. “Mi pare chiaro che in Rai Videocracy è visto come un attacco a Berlusconi. In realtà è il racconto di come il nostro paese sia cambiato in questi ultimi trent’anni e del ruolo delle tv commerciali nel cambiamento. Quello che Nanni Moretti definisce “la creazione di un sistema di disvalori””.

Le riprese del film, se pure Villa Certosa si vede, è stato completato prima dei casi “Noemi o D’Addario” e non c’è un collegamento con l’attualità. Ma per assurdo, sottolinea Procacci, il collegamento lo trova la Rai. Nella lettera di rifiuto si scrive che dato il proprietario delle reti e alcuni dei programmi “caratterizzati da immagini di donne prive di abiti e dal contenuto latamente voyeuristico delle medesime si determina un inequivocabile richiamo alle problematiche attualmente all’ordine del giorno riguardo alle attitudini morali dello stesso e al suo rapporto con il sesso femminile formulando illazioni sul fatto che tali caratteristiche personali sarebbero emerse già in passato nel corso dell’attività di imprenditore televisivo”.

“Siamo in uno di quei casi in cui si è più realisti del re – dice Procacci – Ci sono stati film assai più duri nei confronti di Berlusconi come “Viva Zapatero” o a “Il caimano”, che però hanno avuto i loro spot sulle reti Rai. E il governo era dello stesso segno di oggi. Penso che se questo film è ritenuto così esplosivo vuol dire che davvero l’Italia è cambiata”. (Beh, buona giornata).

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“Per difendere l’industria del contenuto, si preparano fili spinati e pene assurde: querele per i blogger, cause per chi scarica un film, sospensioni della connessione Internet.”

di VITTORIO ZAMBARDINO- Scene digitali- repubblica.it

E’ una sentenza molto “mainstream”, quella che oggi condanna i gestori di The Pirate Bay a varie pene detentive e a un forte risarcimento verso quelle Major dell’intrattenimento che avevano fatto richieste  anche più ingenti. E’ una brutta sentenza: che si “incastra” bene con le intenzioni punitive del governo francese, di quello inglese, e di quello italiano. Ed è un errore.

A pochi minuti dalla decisione del tribunale di Stoccolma, la blogosfera comincia a commentare, ma ci vorrà del tempo prima che un’opinione prenda forma. Non è difficile prevedere che sarà negativa. Intanto ecco TechDirt (in inglese) che sostiene che quella è “un’occasione perduta per l’industria dell’intrattenimento”. Vedremo cosa significa: intanto TechDirt in questi giorni sta riproponendo un tema importante: che la capacità delle macchine digitali e della rete di riprodurre e copiare indefinitamente hanno introdotto nella rete il concetto di “zero”. Hanno cioè smontato in modo irreversibile il conseguimento del profitto sulle opere dell’ingegno.

Sembra di sognare, eppure questo dato, che è chiaro, elementare, percepibile a chiunque guardi oltre l’orizzonte della propria scrivania, non viene colto dall’establishment industriale e politico.

La creatività e l’industria – Per essere chiari e onesti fino in fondo, il male che affligge la musica e il cinema, è lo stesso, anche se i sintomi sono diversi, che ha preso i giornali e in parte la tv. La riproducibilità totale del contenuto punta a distruggere il modello produttivo che finora ha presieduto all’attività di quelle industrie. Che per il momento studiano solo reazioni giudiziarie e/o politiche, invece di dedicarsi a nuove stretegie commerciali. I loro responsabili profetizzano la morte delle creatività e delle professioni che quelle industrie reggono: fare il musicista, il regista, il giornalista. Che è una bella sovrapposizione: il mondo avrà sempre bisogno di chi suona, racconta e informa. Il punto è in quali forme, canali, supporti.

Non facciamola lunga – l’argomento sarà ripreso – ma vale davvero assai poco produrre informazione terroristica, come ha fatto l’industria cinematografica italiana in un rapporto diffuso ieri: bambini che non sanno disegnare, cinema che chiudono, film che non si fanno più. O come fanno i nostri politici, di maggioranza e qualche volta di opposizione, quando parlano di social network come luoghi di abominio, magari con la consulenza degli industriali del cinema seduti accanto a loro, preoccupati perché le loro fiction finiscono su YouTube – a pezzi, niente paura.

Il rischio vero di guardare indietro – Questa cattiva informazione produce un rischio politico gravissimo. Devono saperlo tutti coloro che danno qualche importanza alla parola libertà.

Perché per difendere l’industria del contenuto, si preparano fili spinati e pene assurde: querele per i blogger, cause per chi scarica un film, sospensioni della connessione internet. In Francia, dove sono meno ipocriti, si ipotizza che gli utenti internet debbano, in un futuro non lontano, navigare solo all’interno di liste note di siti e quindi “autorizzati”. Noti all’autorità. In un articolo del nostro decreto sicurezza si conferisce al governo, cioè all’autorità politica, il diritto di decidere se una pagina viola le legge e chiudere magari tutto il sito. Cioè il governo decide cos’è reato in una manifestazione della libertà d’espressione.

Un piccolo passo grave – No non siamo noi che facciamo confusione fra argomenti: è proprio così, passare dal blocco del “pirata” ai controlli di massa e alla repressione della libertà di espressione, è un passo nella direzione più catastrofica. Un piccolo passo grave.

E’ il potere – che da noi è particolarmente intrecciato e confuso tra industria e politica – che fa volutamente confusione.

La ricerca creativa del nuovo – Allora via libera al “pirata”? Sono molte le cose che si potrebbero fare. Una rilfessione sui modelli di business ha portato Steve Jobs a creare con iTunes un meccanismo virtuoso di distribuzione della musica. Miliardi di brani venduti. Venduti.

Se non si fa il passo e non si riesce a capire che il “pirata” siamo moi, i nostri figli e che pirateria è il nuovo mercato, la nuova società, si rimane fermi al palo del delirio reazionario e repressivo. Bisogna inventare nuovi business, nuovi modi di vendere, nuove professioni. Perfino la repressione va ripensata per distinguere tra repressione del contrabbando e consumi personali…

Tanto non guarirete un’industria malata. Riuscirete solo a produrre una solida, diffusa, cultura autoritaria. (Beh, buona giornata).

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Santoro punito, Vauro espulso. Beh, buona censura.

Viale Mazzini ha deciso. Santoro dovrà riparare, Vauro è sospeso perché una sua vignetta ha offeso le vittime e chi le piange. E’ il risultato della riunione che si è tenuta oggi alla Rai dopo le polemiche seguìte alla puntata di Annozero dedicata al terremoto in Abruzzo. “Indegna” secondo Gianfranco Fini, “non da servizio pubblico” secondo Silvio Berlusconi, e poi via via giudizi analoghi da altre voci del Pdl nei giorni scorsi. Il provvedimento è in una lettera del direttore generale Rai, Mauro Masi. Santoro, dalla prossima puntata (cioè domani), dovrà “attivare i necessari e doverosi riequilibri informativi specificatamente in ordine ai servizi andati in onda dall’Abruzzo”. Vauro, invece, non ci sarà. Beh, buona giornata.

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Attualità

Bonino su Santoro: “”Se si contesta che siano state dette falsita, c’e’ la magistratura; se si contesta lo sciacallaggo sulle emozioni, mi sembra un tema decisamente vago.”

(fonte AGI).

“Io non sono una grande estimatrice di quel modo di fare informazione, ma non ho capito cosa si contesta: e’ questione di tono?”. Lo ha detto Emma Bonino, nella consueta intervista settimanale a Radio Radicale, rispondendo ad una domanda sulle polemiche relative alla puntata di AnnoZero di giovedi’ scorso. “La liberta’ di espressione ha un limite solo, quella della menzogna”, ha aggiunto la Bonino. “Se si contesta che siano state dette falsita, c’e’ la magistratura; se si contesta lo sciacallaggo sulle emozioni, mi sembra un tema decisamente vago. E poi il punto e’ un altro: i partiti, gli stessi autori che non hanno consentito il funzionamento della Commissione di vigilanza, che l’hanno bloccato per mesi nonostante impegni inderogabili, che ancora non hanno predisposto le regole sulla par condicio, niente tribune, niente accessi, niente controllo, e poi alla fine scoppia un caso Santoro. Lo ripeto: o in quella trasmissione sono state dette falsita’ o calunnie, oppure chiedo da che pulpito viene la predica. La Vigilanza ha degli obblighi che ha disatteso per interventi partitocratici, partitici, chiamateli come volete. Oggi la stessa Vigilanza trova come caso espiatorio Santoro, che magari, non lo so, se lo merita pure, ma non mi sembra questo il tema”, ha concluso la Bonino. (Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia

Terremoto contro Santoro: tra le case distrutte de L’Aquila spuntano le macerie della libertà di informazione.

Berlusconi e Fini, con l’attacco a Santoro, durante la loro visita ai terremotati, dimostrano, con una ingenuità poco degna degli incarichi istituzionali che rispettivamente ricoprono, che lo scopo della loro presenza nei luoghi del disastro è stato puramente propagandistico, per non dire di segno smaccatamente elettoralistico.

Gli hanno fatto eco, come da copione, gli esponenti della maggioranza che di mestiere fanno i coriferi: il solito stucchevole piano preordinato dalla fabbrica delle veline governative: l’ attacco alla professionalità di Travaglio, Ruotolo e Vauro va al di là del merito della trasmissione che Anno Zero ha dedicato al terremoto. Questo modo di agire è ormai una rubrica quotidiana, la sola novità è che è andata in onda in edizione straordinaria nel giorno di Pasqua.

Il nuovo presidente e il nuovo direttore generale della Rai potevano evitare di farsi venire un colpo della strega pasquale nell’inchinarsi così rapidamente al volere del capo del governo: sono intercorse neanche un paio d’ore tra le agenzie che riferivano delle dichiarazioni, apparentemente estemporanee di Berlusconi e Fini e le agenzie che riportavano il “pronto intervento” dei vertici della Rai.

Emblematico, infine lo “sdegno” del vescovo dell’Aquila che ha espresso il proprio giudizio anche sul resto della trasmissione: “E’ vergognoso che si permetta sulla televisione pubblica un dileggio così incivile su un dolore tanto grande affrontato dagli aquilani con molta dignità -ha tuonato-e un così evidente disprezzo di tutti i soccorritori e i volontari che hanno contribuito con meravigliosa generosità e affrontando gravi rischi a salvare moltissime vite umane”.

Se abbiamo capito chi ha dato il là alla polemica, quello che non si capisce è come il vescovo non provi il senso del pudore: tra i suoi fedeli ci sono quei costruttori che hanno fatto crollare le case a fronte di un terremoto che non avrebbe avuto quella forza distruttiva se non con la complicità del malaffare. Se il vescovo si voleva occupare di cose terrene poteva e doveva pensarci prima.

Evidentemente, i peana alla coesione politica, alla volontà politica bipartisan di fronte alle tragedia del terremoto sono durati troppo poco per essere credibili.
Mentre si contavano i morti, disperatamente si cercavano i vivi tra le macerie e arrivavano i soccorsi, Berlusconi ha fatto fare un sondaggio sulla sua popolarità. Quando ha visto che saliva, allora ha fatto del terremoto il suo ultimo cavallo di battaglia. Pronto a saltare su un altro cavallo all’abbisogna di un nuovo sondaggio.

I cittadini de L’aquila sono avvisati: meglio una trasmissione giornalistica che mette sotto torchio la macchina degli aiuti, che governanti che fanno della loro tragedia uno spot propagandistico.
Gli spot, si sa, non sarebbero spot se non durassero il tempo necessario alla notorietà di chi li paga.

La ricostruzione è cosa lunga, seria e faticosa. E non è detto che vada a buon fine se non ci sarà una informazione libera a vigilare sulle promesse fatte dai politici di turno. Beh, buona giornata.

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Attualità Media e tecnologia

Terremoto: altra scossa sismica contro Anno Zero.

(fonte: ANSA).

”Non parlo piu’ di questo, ma mi sembra che i fatti mi abbiano dato ragione: la tv pubblica non puo’ comportarsi in questo modo”. Cosi’ il presidente del Consiglio, Silvio
Berlusconi, in visita alla tendopoli di Monticchio, vicino L’Aquila, risponde a una domanda sulle polemiche riguardanti la trasmissione Annozero di Michele Santoro sul terremoto in Abruzzo. (Beh, buona giornata).

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Attualità Media e tecnologia

Terremoto: scossa sismica contro Michele Santoro.

(fonte: AGI)

‘Anno zero’ e’ stata “semplicemente indecente, l’unica cosa stonata in questa tragedia”. Cosi’ il presidente della Camera, Gianfranco Fini, in Abruzzo con i terremotati, ha commentato ai microfoni di Sky Tg24, l’ultima puntata della trasmissione di Michele Santoro. (Beh, buona giornata).

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Media e tecnologia

Reporter Senza Frontiere: allarme censura su Internet

di Alessandro Oppes da repubblica.it
Un tasto speciale, “ctrl”, ovvero “control”, riprodotto in maniera ossessiva su tutta la tastiera del computer. Reporter senza Frontiere presenta con questa immagine la nuova campagna contro la censura su Internet. Il “controllo” è quello totale e assoluto esercitato dai regimi dittatoriali sulle informazioni circolanti in rete. Ma, secondo quanto denuncia l’organizzazione internazionale per la difesa della libertà di stampa, anche alcuni paesi democratici hanno adottato misure preoccupanti.

Per questo Rsf, oltre a denunciare le gravissime violazioni della libertà da parte dei dodici “nemici di Internet” (Arabia Saudita, Birmania, Cina, Corea del Nord, Cuba, Egitto, Iran, Uzbekistan, Siria, Tunisia, Turkmenistan e Vietnam), ha deciso di mettere “sotto vigilanza” altri undici governi, nel timore che gli abusi si possano estendere in altre aree del mondo.

Le democrazie sotto osservazione sono quella australiana e la sud-coreana. Nel gennaio 2008, il Parlamento australiano ha esaminato un progetto di legge che esige che i provider di Internet creino sempre due collegamenti in ogni casa, uno per gli adulti e un altro per i bambini, entrambi sottomessi a un filtro rigido e segreto. Il progetto è considerato da Rsf come un grave attentato alla confidenzialità della corrispondenza privata, perché viene presentato in un momento in cui la legislazione contro il terrorismo permette già a un’agenzia indipendente del governo di intercettare qualunque messaggio e-mail sospetto e di compiere indagini sugli internauti anche in assenza di un’autorizzazione giudiziaria.

Anche in Corea del Sud, secondo Reporter senza Frontiere, sono state adottate misure “sproporzionate” per regolare l’acesso alla rete. Il 7 gennaio scorso è stato arrestato un blogger con l’accusa di aver messo in pericolo “gli scambi economici sui mercati”, così come “la credibilità della nazione” con la pubblicazione di alcuni articoli su uno dei forum di dibattito più importanti del paese.

Attualmente, denuncia l’organizzazione per la libertà di stampa, nel mondo ci sono 69 ciberdissidenti in carcere: in vetta alla lista nera, ancora una volta, la Cina, seguita da Vietnam e Iran. I dodici paesi indicati come “nemici di Internet” secondo Rsf hanno trasformato le loro reti in Intranet, impedendo agli internauti di accedere a quelle informazioni che i governi considerano “indesiderabili”. Oltre a censurare, i regimi dimostrano anche grande efficacia nella repressione, spesso giustificata con la necessità di difendere la “sicurezza nazionale”.

Accusate di aver collaborato spesso con i regimi censori – anche loro malgrado, per le fortissime pressioni dei governi – alcune delle grandi imprese globali di Internet hanno reagito con coraggio nei mesi scorsi: Google, Yahoo e Microsoft hanno aderito alla fine del 2008 ai principi del “Global Network Initiative”, affermando pubblicamente la volontà di rispettare la libertà di espressione dei loro clienti in tutto il mondo. Una dichiarazione di principio che si spera possa diventare realtà. Per questo nei giorni scorsi Rsf ha lanciato insieme ad Amnesty International un appello ai direttori generali delle tre compagnie, chiedendo che oggi, giornata mondiale contro la cyber-censura, diano un segnale forte a difesa della libertà d’espressione. (Beh, buona giornata).

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