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Crisi economica globale: a picco gli indici della fiducia dei consumatori in tutto il mondo.

(fonte: advexpress.it)

Negli ultimi sei mesi, la fiducia dei consumatori a livello globale è precipitata ad un minimo record, perdendo sette punti, da 84 a 77, secondo il “Nielsen Global Consumer Confidence Index”. L’ultima indagine Nielsen sulla fiducia dei consumatori a livello globale, condotta ad aprile 2009 in 50 Paesi, ha mostrato che i mercati emergenti di Russia, EAU (Emirati Arabi Uniti) e Brasile hanno accusato un enorme calo di fiducia da parte dei consumatori negli ultimi sei mesi a causa della svalutazione monetaria, dell’indebolimento dei mercati di esportazione e della caduta dei prezzi delle merci a livello globale.

“Mentre l’Europa e i mercati sviluppati hanno visto precipitare drammaticamente la fiducia dei consumatori tra maggio e ottobre 2008, i mercati emergenti di Russia e America Latina hanno accusato maggiormente il colpo negli ultimi mesi”, ha dichiarato James Russo, Vice President, Global Consumer Insights, The Nielsen Company. In Russia la fiducia dei consumatori è scesa di 29 punti (arrivando a 75 punti rispetto ai 104 di settembre ’08), dando prova del maggior calo registrato da Nielsen a livello globale. Nei principali mercati emergenti invece la fiducia di EAU e Brasile è scesa di 21 punti. L’America Latina ha dimostrato il maggior calo di fiducia dei consumatori, con una diminuzione di 15 punti (da 97 a 82), mentre in Europa e Asia-Pacifico è scesa in entrambi i casi di sette punti.

“Sei mesi fa, mentre i mercati sviluppati procedevano spediti verso l’epicentro di una recessione globale, l’America Latina rappresentava l’area geografica più ottimista del mondo – tuttavia i lunghi tentacoli della recessione globale non hanno tardato a raggiungerla”, ha aggiunto Russo. Secondo l’indagine Nielsen, la fiducia dei consumatori in Brasile è scesa da 108 a 87 punti, mentre in Argentina è scesa da 94 a 78 punti. “Sebbene sia improbabile che gli effetti della crisi globale abbiano un impatto sui consumatori dei paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) e Latam (America Latina) simile a quello registrato nei paesi sviluppati, questi mercati stanno attualmente sperimentando un notevole rallentamento rispetto al boom e alla crescita degli ultimi anni”, ha affermato Russo.

“Verso la fine dello scorso anno, i consumatori russi hanno assunto un atteggiamento di ‘attesa’ nei confronti della difficile situazione economica globale, che da allora ha intrapreso un’inesorabile oscillazione verso il basso. La continua riduzione del prezzo del petrolio, la svalutazione monetaria e il rallentamento locale verificatosi in diversi settori hanno riportato alla memoria la crisi russa del 1998”, ha aggiunto Dwight Watson, Managing Director, The Nielsen Company, Russia.

L’Indonesia è in testa alla classifica Nielsen della fiducia dei consumatori a livello globale con 104 punti, seguita dalla Danimarca (102 punti) e dall’India (99 punti). I Paesi più pessimisti a livello mondiale secondo l’indice Nielsen sono la Corea (31 punti), seguita da Portogallo e Lettonia con 48 punti. La fiducia è precipitata in 49 Paesi su 50 – Taiwan è stato l’unico Paese a contrastare la tendenza globale, rialzando l’indice da 60 a 63 punti, ma pur sempre 14 punti sotto la media globale.

“Comunicazioni quotidiane di tagli di posti di lavoro e di calo dei profitti aziendali, fallimenti e pignoramenti, riduzione delle previsioni di PIL e di produzione hanno contribuito a diminuire la fiducia e il potere d’acquisto dei consumatori, portandoli ai livelli minimi dal dopoguerra. Negli ultimi sei mesi, la fiducia dei consumatori in Medio Oriente, Africa e Nord America è diminuita rispettivamente di due e tre punti. Tuttavia, l’assenza di un’ulteriore diminuzione della fiducia dei consumatori nordamericani potrebbe dar prova dei primi cauti segnali di speranza che la recessione stia finalmente per giungere al termine.” ha dichiarato Russo.

“I risultati che stiamo osservando secondo l’ultimo indice Nielsen della fiducia dei consumatori indicano che siamo giunti, o che stiamo per giungere, verso la fine di questo ciclo economico. In particolare negli Stati Uniti, dove si stanno chiaramente ritoccando spese e risparmi e dove il 40% dei consumatori dichiara di aver quasi terminato di pagare i debiti e di iniziare a risparmiare, si sta sviluppando un atteggiamento di ottimismo dovuto alla percezione del fatto che la fine del tunnel sia vicina, e quasi il 20% prevede una ripresa entro i prossimi 12 mesi”, ha commentato Russo.

L’Europa rimane l’area geografica più pessimista con 70 punti, sette sotto la media globale; chiara indicazione del fatto che la ripresa economica in Europa avrà luogo più lentamente. Secondo l’indagine Nielsen, il 77% dei consumatori online ritiene che la propria economia sia in recessione, rispetto al 63% di sei mesi fa.

“In generale, i consumatori hanno attraversato un periodo difficile alla fine del 2008 e si sono preparati ad affrontare un periodo altrettanto arduo nella prima metà del 2009, cosa che sta puntualmente accadendo. L’unica eccezione a livello globale è la Cina, dove il 65% dei consumatori su internet non ritiene che la propria economia sia in recessione”, ha dichiarato Russo.

Tra i consumatori online a livello globale che ritengono di essere attualmente in recessione, il 52% dichiara di essersi preparato ad una recessione globale che durerà 12 mesi o più. “Un consumatore su due non è in attesa di un miracolo per una rapida ripresa; probabilmente il miglior approccio auspicabile è di rimanere fermi ma stabili”, ha dichiarato Russo. Tuttavia, non tutti sono preparati a sopportare una recessione prolungata – alcuni consumatori stanno già pianificando il loro party post-recessione. Tra i recessionisti attuali, quasi un consumatore online su cinque (23%) ritiene che il proprio Paese uscirà dalla recessione entro i prossimi 12 mesi; tale classifica è capeggiata da vietnamiti (60%) e indiani (56%).

Due consumatori danesi e olandesi su cinque ritengono anch’essi di uscire dalla recessione entro un anno, insieme ad un consumatore su tre con sede in Austria, Svezia, Norvegia, Russia, Indonesia, Israele, Messico e EAU.

Mentre la fiducia dei consumatori a livello globale è precipitata ad un nuovo livello minimo, la paura della disoccupazione e l’incertezza del lavoro hanno raggiunto massimi storici. La certezza del lavoro è stata menzionata come principale preoccupazione tra i consumatori su internet in 31 dei 50 Paesi oggetto dell’indagine. La preoccupazione globale relativa alla certezza del lavoro è salita al 22% rispetto al 9% rilevato in occasione dell’ultima indagine.

“Per la prima volta in questa ricerca, il posto di lavoro è diventato una delle preoccupazioni principali della vita”, ha affermato Russo. Sei mesi fa i consumatori globali menzionavano l’economia e l’equilibrio tra vita privata e vita professionale tra le principali preoccupazioni, ma a seguito del peggioramento delle condizioni economiche, le priorità dei consumatori sono cambiate rapidamente”, ha dichiarato Russo.

“Dato il numero record di licenziamenti per esubero a livello globale in tutti i settori, la preoccupazione economica e quella sulla certezza del lavoro hanno superato ogni altra preoccupazione della vita quotidiana”, ha affermato Russo. I consumatori che hanno indicato il lavoro quale preoccupazione principale nella vita quotidiana sono situati in Cina (29%), Hong Kong (33%), India (29%), Singapore (32%), Vietnam (36%), Italia (24%), Spagna (34%), Ungheria (31%) e Messico (29%). “Questi numeri riflettono il livello di crescente preoccupazione a fronte di un mercato del lavoro in crisi in tutte le aree geografiche”, ha continuato Russo. L’incertezza del lavoro rimane una preoccupazione anche per il prossimo futuro. Un consumatore globale su cinque (26%) ha delineato prospettive di lavoro negative per i prossimi 12 mesi rispetto al 17% del mese di ottobre 2008. (Beh, buona giornata).

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E la crisi consumò lo shopping.

Crisi del consumo o crisi del consumismo? di Daniela Ostidich* e Cabirio Cautela*-Il Manifesto

La crisi, ci dicono alcuni ottimisti, non ultimo il nostro Ministro dell’Economia, passerà presto. Sarà anche vero – speriamo – ma l’impressione di chi per professione si confronta quotidianamente con le dinamiche del consumo, è che i riflessi di questa crisi sugli atteggiamenti delle persone non saranno passeggeri. Senza il supporto di particolari ideologie, e trasversalmente per livelli sociali e nazioni diverse, le persone sono state particolarmente colpite (psicologicamente se non finanziariamente) da una crisi che ha messo in evidenza la fragilità di una economia basata sull’acquisto del superfluo, sul precario equilibrio del crescente indebitamento, sulla velocità degli scambi e sull’idea di innovazione e crescita continua.

Ma che relazione esiste tra la crisi – che qualcuno addebita alla “finanziarizzazione” dell’economia reale – e lo shopping, argomento in precedenza bistrattato, oramai entrato nelle aule accademiche sotto domini disciplinari come la sociologia dei consumi, il marketing, l’antropologia culturale? Sicuramente lo shopping – come ci insegnano i sociologi – affascina con molteplici seduzioni le persone, sin dalle origini dell’umanità – nelle sue differenti forme – ma questo momento storico ci offre l’opportunità di analizzarlo in modo più distaccato, fermando il fotogramma e consentendo una riflessione che vada alle radici del suo significato più profondo. È un momento di lutto, insomma, che impone una riflessione seria. Per questo colpisce il modo ancora splendidamente ottimista, quasi fatalistico, e comunque sempre molto – troppo – lontano dalla realtà, con cui certi sociologi guardano al fenomeno del consumo oggi (si veda l’articolo di Vanni Codeluppi su Il Manifesto del 20 marzo 2009).

La nostra convinzione è che lo shopping si configuri come una rete, sia che lo si veda dal punto di vista dello scambio (atto/luogo di acquisto), che della destinazione (i regali, i doni, gli acquisti per altri), che negli aspetti di auto percezione e costruzione della propria identità (rispetto ad una rete sociale esterna), che nella struttura urbanistica del territorio (che diventa tramite le strutture del commercio anche rete di mobilità e direzioni di socialità). La merce è il tramite attraverso cui s’innestano, si sviluppano e si attivano reti di relazione. Attività che viviamo quotidianamente, dal lavoro, alla cura di sé, dallo sport alla mobilità sono universi reticolari di cui le merci costituiscono spesso le infrastrutture, i nodi, la materia che quelle reti abilitano, supportano, condizionano, affermano.

Tutto ciò diventa ancora più fondante in epoche di crisi dove la rete è ancora di salvezza.

In questa visione la “merce” è accesso a reti di relazioni e svela qualcosa del momento storico in quanto ne incarna – almeno in parte – i miti e le preoccupazioni.

La visione più interessante del consumo attuale è quella che lo definisce “liquido”; di merce quindi che appare anch’essa “liquida”, nel senso in cui la intende Zygmunt Bauman: acquista valore per perderlo immediatamente dopo l’acquisto, destino seguito dallo stesso acquirente – “liquido” – che è spinto a livelli di consumo ulteriori dal fatto di spartire con l’oggetto dei suoi desideri – momentanei – la stessa caduca appetibilità.

Se cerchiamo invece le radici più profonde, e quindi più umane, e più vere, delle merci, ci si rende conto come non tutto è riducibile a liquidità. Esistono infatti – ed è impossibile negarlo, se non disegnando una società ben diversa dalla realtà – anche dei consumi “solidi”, con contenuti valoriali ben radicati nelle necessità delle persone: la mela acquistata e mangiata per fame, il regalo fatto o ricevuto da chi si ama – e consumi “gassosi”, che pur non scambiando merci materiali si strutturano su scambi di informazioni, conoscenze, esperienze. Come definire, altrimenti azioni che pur sempre rientrano nella categoria dei consumi come quelli legati alle community e ai social network sul web?

La complessità dello shopping è tale da non poterla semplificare in variabili prospettiche o sottili: è elemento politico – da qualsiasi prospettiva lo si guardi. Insomma, ci sembra di dover lanciare un appello, sfruttando proprio questo momento economico caratterizzato da una straordinaria crisi che riguarda proprio i consumi. Innanzitutto che per la tensione verso l’interpretazione delle tendenze future non si dimentichi l’analisi della bieca realtà, considerando tutte le dimensioni che lo shopping riveste nella quotidianità delle persone.

Lo shopping in quanto attivatore di reti, per il tramite di merci, è oggetto d’analisi poliedrico che richiede un intervento congiunto di quei domini disciplinari che studiano fenomeni reticolari: le scienze sociali, il design dei servizi, l’urbanistica. La dimensione esperienziale è sicuramente importante e rivelatrice ma non può avocare a sé solamente la capacità di dare significato all’atto del consumo.

In secondo luogo che per amore della materia (la sociologia dei consumi) non ci si scordi di chi consumare non può. L’inferno dei consumi esiste – che Codeluppi se ne renda conto: purtroppo, non è una visione apocalittica che fa dire a Censis che il 13% degli italiani (2008) sono sotto la soglia di povertà. Ed è questo il punto cruciale che segna il salto della crisi – da congiunturale a strutturale – come direbbero gli economisti “vecchia maniera”. Il sistema attuale non solo non garantisce a certi strati sociali l’acquisizione materiale di merci; ma a ciò si aggiunge l’impossibilità di attivare, attraverso gli acquisti, quelle reti (sociali, logistiche, commerciali, relazionali) che sono alla base del funzionamento del sistema di scambio capitalistico. Chi non consuma non accede e non attiva reti relazionali, dirette e derivate, che vivono per il tramite delle merci acquistate.E’ compito di chi governa i sistemi economici e di distribuzione dei redditi garantire questo diritto di accesso – definibile anche in termini di dignità della persone – ma è anche compito di chi studia i consumi tener conto che non è eticamente e metodologicamente proponibile proporre una lettura del sociale che partendo dal presupposto che lo shopping sia rivelatore di dinamiche condivise neghi la rilevanza (o non riconosca l’esistenza) anche di coloro che accesso al consumo non hanno.(Beh, buona giornata).

* Co-autori di “Hell-Paradise Shopping”, L’inferno e il paradiso degli acquisti e del consumo, Franco Angeli, 2009

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